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Martedì della XV settimana del Tempo Ordinario


La distruzione di Sodoma


Il Signore ci avverte del pericolo in cui noi stessi siamo. 
Ci mostra la serietà del peccato e la serietà del giudizio. 
Non siamo forse, nonostante tutte le nostre parole 
di sgomento di fronte al male e alle sofferenze degli innocenti, 
troppo inclini a banalizzare il mistero del male?  
Ma guardando alle sofferenze del Figlio 
vediamo tutta la serietà del peccato, 
vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato. 
Il male non può continuare a essere banalizzato 
di fronte all’immagine del Signore che soffre.

Card. J. Ratzinger







Mt 11, 20-24
In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite:
«Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida. Perché, se a Tiro e a Sidóne fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidóne nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra.
E tu, Cafàrnao, "sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!".  Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».





IL COMMENTO


Il peccato di Sodoma e Gomorra non è stato come di solito si pensa legato ad una sessualità pervertita, la sodomia e le sregolatezze. La tradizione giudaica insiste invece sull'unica regola di Sodoma: il rifiuto dell'ospitalità. La trasgressione di questa legge da parte di Lot fece scoprire i due angeli che furono a visitarlo (Gen. 19, 1-4). I nomi di Sodoma e Gomorra in ebraico sono rispettivamente "il campo" e "i covoni". Nomi legati alla fecondità, alla prosperità, al Messia. Nomi che evocano semi e seminagione. Amore. Fecondo è solo chi accoglie l'amore. Chi lascia che il seme penetri e dia inizio alla vita. Nella Scrittura appaiono molti episodi e molte profezie al riguardo. Il Cantico dei Cantici descrive in modo sublime Il Signore che scende alla ricerca della Sua amata, nel Suo giardino. La parabola del seminatore ne trasmette gli echi. Sodoma e Gomorra richiamano dunque ad una storia d'amore tradita. Per superbia e autosufficienza. Gli stessi peccati delle altezzose Cafarnao e Corazin, delle emancipate Tiro e Sidone, della ricca Betsaida. Non c'è posto per la Grazia in chi si presume giusto. 


Lo sposo è giunto, i segni sono inequivocabili. E' Lui l'atteso, il nuovo Mosè, il Messia. E' Lui il Pane disceso dal cielo, la Sua carne e il Suo sangue sono l'unica vita. Ma il discorso era duro, e molti, proprio lì, nella sinagoga di Cafarnao, anche tra i suoi, hanno cominciato ad abbandonarlo. Non lo hanno accolto sino in fondo, il loro amore era come rugiada del mattino, evaporata al sorgere del Sole di verità. Senza di Lui non si può vivere. Senza di Lui, la vita è morte. Cafarnao, Betsaida, Corazin, sono i nostri nomi. Siamo superbi. Le porte del cuore sono sprangate. La predicazione, i miracoli, quante volte ci hanno scaldato, emozionato, per poi essere dimenticati, strozzati dal nostro ego smisurato? E siamo precipitati, proprio come si può constatare oggi di Cafarnao. Soli, sfiduciati, con i nostri fallimenti a darci dolore. 


E banalizziamo il male, scivoliamo sui peccati e ci auto-giustifichiamo prendendo come scudo la nostra debolezza. Ma in fondo non conosciamo il pianto ed il dolore per i peccati, e ci chiudiamo così alla misericordia. Sodoma e Gomorra non potevano accogliere lo straniero perchè turbava i loro standard, ed erano standard di peccato. Forse non giungiamo a chissà quali nefandezze, ma il principio è lo stesso: difendiamo quel che desideriamo fare, inzuppandolo nella melassa della debolezza. Magari le ferite sanguinassero davvero dilaniandoci dal dolore! Spalancheremmo le porte al medico capace di curarci. L'intolleranza, l'assolutezza nei giudizi, l'incapacità di amare ed accogliere sono figlie perverse di una chiusura previa alla Grazia capace di cambiare radicalmente il nostro cuore. Sono frutto di un'affezione subdola al male che desideriamo compiere. banalizziamo e chiudiamo cuore e mente al perdono. " Dell’immagine di Dio e di Gesù, alla fine, non ammettiamo forse soltanto l’aspetto dolce e amorevole, mentre abbiamo tranquillamente cancellato l’aspetto del giudizio? Come potrà Dio fare un dramma della nostra debolezza? – pensiamo. Siamo pur sempre solo degli uomini! Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato, vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato. Il male non può continuare a essere banalizzato di fronte all’immagine del Signore che soffre" (Card. J. Ratzinger, Meditazioni sulla Via Crucis al Colosseo, 2005).


Che fare? Pentirsi. Convertirsi. Accogliere, oggi, di nuovo, l'amore e il perdono, la misericordia infinita di chi vuole ridonarci la verginità perduta, del Signore che ancora una volta, oggi, vuol ricrearci a una nuova fecondità.  "Tua sorella Sodoma e le città dipendenti torneranno al loro stato di prima" (Ez. 16, 55). Il Capitolo 16 di Ezechiele descrive magistralmente la parabola di Israele e di Sodoma e delle sue sorelle, a nostra vita. Amata, riscattata, perduta in adulteri e idolatrie, figlie della superbia antica. Ma l'ultima parola è la misericordia, la vita nuova in Cristo. "Dopo le irrimediabili minacce, il Signore lascia risplendere l'amore. Bisogna ascoltare, ascoltarre fino in fondo per arrivare all'ultima parola, il Nome del Signore! Egli è giustizia e tenerezza. Il suo essere sorprende ogni logica e ogni atesa. Come se l'attesa offerta al Santo, Benedetto Egli Sia, meritasse all'uomo il segreto del Signore, o come se il Signore desiderasse riservare a coloro che accettano di andare fino in fondo a se stessi il Suo nome di pazienza dove risplende il Perdono" (M. Vidal, L'ebreo Gesù e lo Shabbat, Napoli 1988, pag. 45). 


Dice infatti Ezechiele che "Anche io mi ricorderò dell'alleanza conclusa con te nella tua giovinezza e stabilirò con te un'alleanza eterna. Allora ti ricorderai della tua condotta e ne resterai confusa....tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto" (Ez. 16, 60.63). Come Giobbe anche noi possiamo riconoscere la nostra stoltezza, e abbandonarci, silenziosi, nella misericordia di Dio. "Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: "La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio" (Geremia 2, 19). È da questa tristezza e amarezza che il Signore vuole salvare l’uomo liberandolo dal peccato. Ma serve dunque una trasformazione dall’interno, un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono." (Benedetto XVI, Catechesi di mercoledì 18 maggio 2011). Stretti nell'alleanza nuova ed eterna che anche oggi, nel corpo e sangue del Signore, ci viene offerta gratuitamente. Convertirci è lasciarci amare, mangiare del suo amore, la volontà di Dio incarnata nella nostra vita. Le sue croci, le sue umiliazioni. Le tentazioni, le sofferenze. Quelle di oggi, il pane quotidiano della nostra salvezza, il Signore che ci cerca, ci chiama e desidera prendere dimora in noi. Dove siamo. Come siamo. Accogliamolo. Convertiamoci.











VIA CRUCIS AL COLOSSEO VENERDÌ SANTO 2005


MEDITAZIONI DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER



OTTAVA STAZIONE: Gesù incontra le donne di Gerusalemme che piangono su di lui




Sentire Gesù, mentre rimprovera le donne di Gerusalemme che lo seguono e piangono su di lui, ci fa riflettere. Come intenderlo? Non è forse un rimprovero rivolto ad una pietà puramente sentimentale, che non diventa conversione e fede vissuta? Non serve compiangere a parole, e sentimentalmente, le sofferenze di questo mondo, mentre la nostra vita continua come sempre. Per questo il Signore ci avverte del pericolo in cui noi stessi siamo. Ci mostra la serietà del peccato e la serietà del giudizio. Non siamo forse, nonostante tutte le nostre parole di sgomento di fronte al male e alle sofferenze degli innocenti, troppo inclini a banalizzare il mistero del male? Dell’immagine di Dio e di Gesù, alla fine, non ammettiamo forse soltanto l’aspetto dolce e amorevole, mentre abbiamo tranquillamente cancellato l’aspetto del giudizio? Come potrà Dio fare un dramma della nostra debolezza? – pensiamo. Siamo pur sempre solo degli uomini! Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato, vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato. Il male non può continuare a essere banalizzato di fronte all’immagine del Signore che soffre.






San Girolamo (347-420), sacerdote, traduttore della Bibbia, dottore della Chiesa Commento di Gioele 2, 12-14 ; PL 25, 967-968      
« Ritornate a me »


Quando l'avrete fatto, tornate al Signore vostro Dio a cui i vostri peccati passati vi hanno resi stranieri. Non disperate del pardono a causa dell'enormità delle vostre colpe, perché la sua misericordia cancellerà grandi peccati. Egli è benigno e misericordioso, preferendo la conversione dei peccatori alla loro morte (Ez 33, 11). « Tardo all'ira e ricco di misericordia » (Gl 2, 13), non imita l'impazienza degli uomini ma aspetta con perseveranza la nostra conversione.


« Ora, ritornate a me con tutto il cuore, » esprimete la vostra conversione « con digiuni, con pianti e lamenti » (Gl 2, 12). Se digiunate ora, sarete poi saziati ; se piangete ora, riderete in seguito ; se ora siete in lutto, sarete più tardi consolati (cf. Lc 6, 21 ; Mt 5,5)... Vi chiedo di « non lacerarvi le vesti ma i cuori » (Gl 2, 13), perché sono così pieni di peccati che scoppieranno da soli come un otre se non li lacererete voi. 


        




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