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Martedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario



La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, 
cioè col passaggio dalla morte alla vita, 
dal peccato alla giustizia, 
dalla infedeltà alla fede, 
dalle cattive azioni ad una santa condotta. 
Coloro che risuscitano con questa risurrezione 
non subiscono la seconda morte. 

San Fulgenzio di Ruspe




Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17. 


In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. 
Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. 
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». 
E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». 
Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. 
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». 
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. 




IL COMMENTO


Il Vangelo di oggi è una profezia del mistero Pasquale di Gesù e ci aiuta a comprenderne un aspetto fondamentale e nascosto: la compassione. "Stava presso la Croce di Gesù Maria, la madre di Gesù...". Giovanni utilizza la preposizione presso in una forma particolare, quella che in greco è riservata alle persone, diversa da quella usata per le cose: Maria non era accanto ad un oggetto di legno quale era in effetti la Croce; Ella si trovava invece presso qualcosa di vivo, ad una Croce viva, la Croce di suo Figlio, il legno santo divenuto persona, la sofferenza autentica intrisa del sangue di Gesù, un dolore che la coinvolgeva in un rapporto specialissimo. La Croce non era per Maria un semplice strumento di tortura ma il Destino che aveva afferrato suo Figlio e nel quale lei stessa era assorbita, del quale partecipava fino a sentire la sua anima trapassata da una spada. Maria presso la Croce è immagine di ogni innocente sofferente. Bambini violentati, vittime degli tsunami, figli che hanno visto i genitori divorziare, coniugi traditi, lavoratori licenziati, anziani gettati nell'abisso della solitudine, e le vittime delle dittature e dei campi di concentramento, delle guerre e delle rivoluzioni, degli sconquassi economici frutto di giochi finanziari perversi e avidi. I piccoli e i poveri della terra, tutti racchiusi nel popolo degli anawin di Israele, oppressi e affaticati, gli ultimi della terra. Maria presso la Croce, una di loro, abbracciata alla sofferenza di ogni innocente, unita all'unico Giusto sofferente l'ingiustizia più grande: Maria presso Gesù crocifisso, presso ciascuno di noi, figli unici di madre vedova, senza speranza, cancellati dalla terra, avviati ad un sepolcro senza uscita.


Una vita spesso ridotta ad un funerale, di progetti, di amori, di lavori e amicizie, l'onda anomala del peccato a travolgere costruzioni e strade, uffici e case, i nostri luoghi faticosamente tirati su, abbozzi di un futuro appena dischiuso: il giovinetto  morto nel suo sbocciare alla vita, figlio unico come Gesù, come unico è ciascuno di noi agli occhi di Dio. E una madre vedova, come Maria, sola a solo presso la Croce, la sua e la nostra solitudine ai piedi della Croce piantata nella nostra vita. E in quel frastuono di lacrime e speranze infrante, in questo funerale che è oggi la nostra vita - un figlio scappato di casa, una malattia, il lavoro perduto, l'incomprensione della moglie, i soldi che non bastano, lo sfratto, i peccati che ci scappano dal cuore e non possiamo farne a meno - sul cammino che ci conduce al sepolcro dove deporre la felicità perduta, lo sguardo di Gesù, i suoi occhi colmi di compassione, e le sue parole, ora, diritte al nostro cuore: "Non piangere!". Le stesse che hanno fatto fremere il cuore di Maria Maddalena piangente al sepolcro di Gesù, che ne hanno destato la speranza, come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato mille volte: non piangere, la morte è vinta, ogni peccato è perdonato, Cristo è risorto dal sepolcro!


La compassione di Gesù è la compassione del Padre, il suo cuore spezzato di fronte alla morte del Figlio, alla spada che percuoteva l'anima di sua Madre, al peccato e alla sofferenza innocente di ogni uomo, paradosso che atterrisce anche la nostra vita. Quel figlio unico di madre vedova è immagine del frutto velenoso dell'inganno demoniaco, l'approdo drammatico di ogni peccato; ed insieme, è immagine di ogni ingiustizia che raggiunge e colpisce gli innocenti, i piccoli disarmati di fronte ad eventi più grandi di loro. Entrambi si intrecciano in noi, nelle nostre storie: peccatori che sperimentano le conseguenze mortali del peccato ci troviamo spesso vittime innocenti di ingiustizie cui non possiamo sfuggire. Siamo tutti distesi nella bara di quel giovinetto. E proprio per questo siamo tutti oggetto della compassione di Dio. In noi Egli vede il suo Figlio crocifisso, e sua Madre sola accanto a Lui. Nostra madre, le viscere di carne che ci hanno gestato e generato, la nostra storia, l'identità, quello che ci ha costituito e formato, dissolversi nel fallimento della morte. E la nostra Madre che ci ha rigenerato, Maria, la Chiesa, anch'essa sofferente per noi, le sue preghiere, la sua intercessione, lo zelo pieno d'amore che non ci lascia mai, sino al'ultimo respiro, sin dentro la morte. Su tutto lo sguardo compassionevole di Dio, lo stesso che ha guardato il Popolo oppresso da quattrocento anni di schiavitù in terra d'Egitto, lo stesso che ha amato quella madre vedova di quel giovinetto. 


La compassione che ha mosso Gesù a toccare quella bara e a ridare vita al ragazzo è la compassione di suo Padre che lo ha riscattato dalle angosce della morte. E' la compassione che tocca la nostra bara oggi, che si contamina con la nostra morte, e che ci risveglia e rialza ad una nuova vita. "Dico a te!", a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla moltitudine. Sono una chiamata personale ad alzarci dalla tomba, per ricominciare a parlare, ad entrare nella comunione nuova che Lui ci dona, nell'amore capace di risuscitarci. Parlare per donarci agli altri, per uscire dalla solitudine della tomba e ricominciare a vivere, che significa amare, nella storia concreta che siamo chiamati a vivere, senza sperare ed esigere cambiamenti, certi che la compassione di Dio ci conduce ogni istante ad attraversare la porta stretta dell'ingiustizia, della sofferenza e della Croce. Risuscitati per tornare a nostra Madre. Risuscitati per sperimentare la riconciliazione, e vivere nell'intimità della Chiesa, il luogo dove la nostra storia di carne, anche nei suoi aspetti più misteriosi e dolorosi, incontrano la pace di chi vi scopre l'amore infinito di Dio. Come Giovanni sotto la Croce siamo risuscitati per accogliere Maria, la Mediatrice di tutte le Grazie, nella nostra casa, nella trama della nostra vita. Per questo oggi il Signore ci perdona e ci riscatta dalle ingiustizie, per donarci a sua Madre, alla Chiesa, al Regno dei Cieli dischiuso per noi qui su questa terra. Risuscitare per gustare e vivere già oggi il Cielo nella nostra storia. E' questa la Profezia apparsa tra noi, la visita di Dio: "Non piangere! Alzati!" ed entra nella volontà d'amore di Dio, una vita trasfigurata sui passi della storia, attraverso tsunami e sofferenze, verso il compimento che ci attende in Cielo, in Cristo Gesù risorto che ci ama di un amore incorruttibile.







San Fulgenzio di Ruspe (467-532), vescovo in Africa del Nord 


Dal Trattato «La remissione» (CCL 91 A,693-695) (trad. dal breviario)


«Giovinetto, dico a te, alzati!»


        «In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati». Quando dice «noi» Paolo mostra che con lui conquisteranno il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: «È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1Cor 15,52-53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene. 


        La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L'ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna.
Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l'eternità. 


        La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell'Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20,6)... Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s'affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.


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