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Venerdì della XXIV settimana del Tempo Ordinario




Le donne sono le prime incaricate di annunciare la resurrezione. 
Avevano vissuto gli eventi tragici culminati nella crocifissione di Cristo sul Calvario; avevano sperimentato la tristezza e lo smarrimento. 
Non avevano abbandonato, però, nell´ora della prova il loro Signore. 
Vanno di nascosto nel luogo dove Gesù era stato sepolto 
per rivederlo ancora e abbracciarlo l´ultima volta. 
Le spinge l´amore
quello stesso amore che le aveva portate a seguirlo 
per le strade della Galilea e della Giudea sino al Calvario
Donne fortunate
Non sapevano ancora che quella 
era l´alba del giorno più importante della storia. 
Non potevano sapere che loro, proprio loro, 
sarebbero state le prime testimoni della risurrezione di Gesù.

Giovanni Paolo II, Omelia della Veglia di Pasqua, 14 aprile 2001





Dal Vangelo secondo Luca 8,1-3.

In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni. 


IL COMMENTO

La missione sorge sempre dalla gratitudine. L'annuncio del Vangelo ed ogni opera e attività al servizio della missione non si possono imporre. Non hanno nulla a che vedere con un volontariato. Sono opere della Grazia, di quel dono unico e gratuito dell'amore di Dio che risana, libera, ridona dignità e pienezza. L'esperienza del perdono e della vita nuova ricevuta gratuitamente muove "naturalmente" il cuore alla gratitudine. E la gratitudine si fa sempre sequela, offerta della propria vita. Chi ha sperimentato l'amore che sazia il cuore, chi ha scoperto per Chi e per che cosa vale davvero la pena vivere, non ha bisogno di appelli, di comitati, di convegni, di spot pubblicitari. Chi ha conosciuto l'amore di Cristo che lo ha guarito, ne è attratto, coinvolto e assorbito completamente. Quell'amore che ha colmato ogni suo desiderio, che ha ricreato un'esistenza agonizzante sotto i colpi del peccato, diviene, con evidenza, il centro e il motore della vita. Per esso vi si dedicano tempo, energie, beni. Le membra una volta offerte al peccato, vivificate di quell'amore, ne divengono strumenti privilegiati.

E' la storia delle donne che appaiono nel Vangelo, fondamento della missione della Chiesa. Come quella di Pietro, cercato e perdonato sulle sponde del lago di Galilea. La Chiesa è fondata sul perdono perchè l'annuncio del Vangelo sia una Buona Notizia autentica nella vita dei testimoni. Pietro, gli Apostoli, le donne al seguito di Gesù, una comunità di "graziati", un Popolo scampato alla spada e alla morte. Un popolo che, per pura gratitudine, annuncia l'unica notizia capace di salvare l'uomo, e serve con i propri beni, con la propria vita, l'opera più importante che si possa compiere sulla terra. Annunciare il Vangelo è il culto che San Paolo offre a Dio, il compimento dello Shemà, amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze: il Signore è uno solo perchè Lui solo ha liberato il Popolo dalla schiavitù. Ha compiuto un'opera che nessuno avrebbe potuto compiere, la gratitudine si fa amore indiviso, ascolto obbediente che si fa vita e così testimonianza, dove anche i beni sono offerti con gioia. Nessun "dovere" moralistico, solo un'immensa gratitudine per un amore gratuito e senza condizioni: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". C'è da chiedersi allora come mai tanti problemi economici e di bilancio affliggano Diocesi e Parrocchie. E' probabile che molti tra quanti frequentano e si impegnano nella Chiesa non hanno ancora l'esperienza decisiva del perdono, della liberazione, dell'amore infinito di Dio: "colui al quale è stato perdonato poco ama poco", e la carne e la paura impediscono la generosità che, solo, scaturisce dalla gratitudine e dalla libertà. Chi è stato amato molto ama molto, e l'amore si manifesta attraverso la totale generosità e il distacco dai beni, nell'intima certezza che Chi lo ha perdonato può, a maggior ragione, provvedere alla sua vita. La gratitudine, il segno di un Popolo che si sente amato, e così anche di famiglie dove l'amore ed il perdono ne costituiscono il fondamento, e così di amicizie, di fidanzamenti, anche di rapporti di lavoro: laddove regna il perdono, nelle relazioni fondate sulla misericordia di Dio non può insinuarsi il veleno dell'avarizia, anche se la lotta con la carne e  il mondo ne tessono le trame. Chi vive abbandonato alla misericordia è misericordioso, offre senza riserve se stesso, progetti, schemi, tempo, denaro.  

La Chiesa è il luogo della gratitudine. Con Cristo percorre ogni giorno le strade del mondo, annunciando la Buona Notizia. In ebraico la prima e l'ultima parola del primo versetto dello Shemà, Ascolta - Shemà e Uno - Echad terminano il primo con la lettera 'ayin e il secondo con la lettera dalet: unite insieme queste due lettere formano la parola 'ed, testimone. La testimonianza, il martirio, l'annuncio fatto carne sino al dono della propria vita, scaturiscono dall'ascolto dell'Unico Dio, dell'obbedienza ad un amore sconvolgente che ha consegnato tutto se stesso per ciascun uomo. Gli apostoli, e con loro le donne che seguono il Signore con i propri beni, vivono lo Shemà, l'unicità piena di gratitudine dell'amore di Dio. A Cristo hanno dato tutto, perchè da Cristo tutto hanno ricevuto. Per questo le donne, che tutto hanno consegnato a Cristo, dai peccati alla loro stessa vita, saranno le prime testimoni della sua risurrezione. Uno le ha amate di un amore unico, Uno è morto per loro, Uno è risorto per la loro giustificazione. Lo hanno ascoltato, hanno creduto, hanno accolto quell'unico amore, lo hanno incontrato sulla soglia del sepolcro, vivo e vittorioso. Nella sua vittoria la loro vita salvata diviene testimonianza dell'unica Verità capace di salvare e donare la felicità autentica. 



Benedetto XVI, papa 
Udienza generale, 14 febbraio 2007 (trad. © Libreria Editrice Vaticana)

«C'erano con lui i Dodici e alcune donne»

        Anche nell'ambito della Chiesa primitiva la presenza femminile è tutt'altro che secondaria... Una più ampia documentazione sulla dignità e sul ruolo ecclesiale della donna la troviamo in san Paolo. Egli parte dal principio fondamentale, secondo cui per i battezzati non solo «non c'è più né giudeo né greco, né schiavo, né libero», ma anche «né maschio, né femmina». Il motivo è che «tutti siamo uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,28), cioè tutti accomunati nella stessa dignità di fondo, benché ciascuno con funzioni specifiche (cfr 1 Cor 12,27-30). L'Apostolo ammette come cosa normale che nella comunità cristiana la donna possa «profetare» (1 Cor 11,5), cioè pronunciarsi apertamente sotto l'influsso dello Spirito, purché ciò sia per l'edificazione della comunità e fatto in modo dignitoso... 

        Abbiamo già incontrato la figura di Prisca o Priscilla, sposa di Aquila, la quale in due casi viene sorprendentemente menzionata prima del marito (cfr At 18,18; Rm 16,3): l'una e l'altro comunque sono esplicitamente qualificati da Paolo come suoi «collaboratori» (Rm 16,3)... Occorre inoltre prendere atto, ad esempio, che la breve Lettera a Filemone in realtà è indirizzata da Paolo anche a una donna di nome «Affia» (cfr Fm 2)... Nella comunità di Colossi ella doveva occupare un posto di rilievo; in ogni caso, è l'unica donna menzionata da Paolo tra i destinatari di una sua lettera. Altrove l'Apostolo menziona una certa «Febe», qualificata come diákonos della Chiesa di Cencre... (cfr Rm 16,1-2). Benché il titolo in quel tempo non abbia ancora uno specifico valore ministeriale di tipo gerarchico, esso esprime un vero e proprio esercizio di responsabilità da parte di questa donna a favore di quella comunità cristiana... Nel medesimo contesto epistolare l'Apostolo con tratti di delicatezza ricorda altri nomi di donne: una certa Maria, poi Trifena, Trifosa e Perside «carissima», oltre a Giulia (Rm 16,6.12a.12b.15)... Nella Chiesa di Filippi poi dovevano distinguersi due donne di nome «Evodia e Sìntiche» (Fil 4,2): il richiamo che Paolo fa alla concordia vicendevole lascia intendere che le due donne svolgevano una funzione importante all'interno di quella comunità. In buona sostanza, la storia del cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne.

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