Cari giovani, anche oggi Cristo si rivolge a voi
con la stessa domanda che fece agli apostoli:
«Ma voi, chi dite che io sia?».
Rispondetegli con generosità e audacia,
come corrisponde a un cuore giovane qual è il vostro.
Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio,
che hai dato la tua vita per me.
Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola.
Tu mi conosci e mi ami.
Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani.
Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene,
la gioia che mai mi abbandona.
Benedetto XVI, Giornata Mondiale della Gioventù, Madrid 2011
Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
IL COMMENTO
La domanda che Gesù rivolge ai discepoli è oggi rivolta a ciascuno di noi. "Tu, chi dici che io sia?". Di fronte a Gesù, la ragione sprovvista dell'illuminazione celeste della fede, rimane imprigionata in una visione semplicemente religiosa. Secondo questa, Gesù è un profeta, la sua bocca ha lasciato parole bellissime e commoventi. Nella migliore delle ipotesi i suoi gesti e i suoi insegnamenti potrebbero essere un orientamento per la propria vita. Ma quando essi si innalzano oltre le possibilità della carne e al di là dei criteri mondani, appaiono come sublimi utopie da relegare tra i sogni ideali che non si possono realizzare. Così Gesù resta confinato nella galleria dei grandi della storia, alla cui vicenda attingere per insaporire un po' la propria vita, ma, alla resa dei conti, la sua persona è irrilevante, non cambia radicalmente l'esistenza. E' questa l'esperienza di chi vive in una religiosità naturale che si esprime in alcuni principi che fondano idealmente l'agire, spesso contraddetti dall'inadeguatezza della carne. Gesù è un grande profeta, forse il più grande, ma non incide se non superficialmente, specie laddove le proprie convinzioni ci spingono verso un'esistenza apparentemente più comoda. La sessualità, la famiglia, il lavoro, il denaro, l'amicizia, lo studio: in tutto Gesù è via, verità e vita, ma alla resa dei conti, le sue parole scorrono sulle nostre giornate solo come una struggente colonna sonora, mentre i fatti, le passioni, il piacere, l'egoismo travestiti da criteri oggettivamente umani, ci conducono in direzione opposta.
Per rispondere alla domanda di Gesù liberi dalla stretta della religiosità naturale occorre una speciale Grazia dal Cielo; è necessaria una rivelazione che generi la fede e occhi capaci di trapassare la carne, che riconoscano nel Profeta di Nazaret l'Unto di Dio, il Messia, l'Atteso delle genti. "La fede va al di là dei semplici dati empirici o storici, ed è capace di cogliere il mistero della persona di Cristo nella sua profondità" (Benedetto XVI, Omelia per la Giornata Mondiale della Gioventù, Madrid 21 agosto 2011). Per questo è necessario che il Padre riveli suo Figlio imprimendo un sigillo interiore che faccia riconoscere Dio stesso nel volto, nelle parole e nei segni di Gesù.
Chi è Gesù? E' il Crocifisso che ha vinto la morte. Non v'è altra risposta. E' Colui nel quale si è compiuto l'impossibile, l'inimmaginabile, l'unico evento capace di cambiare il corso d'una storia inevitabilmente lanciata verso il fallimento e la fine. Gesù è vivo qui ed ora, ma gli occhi della carne sono incapaci di vederlo in ciò che, nella vita e nella storia, odora di scandalo, sofferenza e morte; quelli della fede invece lo riconoscono nella sua vittoria compiuta nella propria esistenza: il perdono dei peccati e la Vita nuova, l'amore che muove ogni passo, il poter perdere la propria vita laddove i criteri mondani consigliano tutt'altro. Gli occhi della fede si dischiudono attraverso un cammino che sostanzia, con l'esperienza, la professione ispirata dall'Alto. Come Pietro, che è dovuto passare attraverso la discesa alle radici di peccato per sperimentare l'amore gratuito di Dio, la misericordia rigeneratrice ed il potere della risurrezione di Cristo, anche noi dobbiamo percorrere un cammino che sigilli la fede nell'esperienza. "La fede non dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì suppone una relazione personale con Lui, l’adesione di tutta la persona, con la propria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione che Dio fa di se stesso. Così, la domanda «Ma voi, chi dite che io sia?», in fondo sta provocando i discepoli a prendere una decisione personale in relazione a Lui. Fede e sequela di Cristo sono in stretto rapporto. E, dato che suppone la sequela del Maestro, la fede deve consolidarsi e crescere, farsi più profonda e matura, nella misura in cui si intensifica e rafforza la relazione con Gesù, la intimità con Lui. Anche Pietro e gli altri apostoli dovettero avanzare per questo cammino, fino a che l’incontro con il Signore risorto aprì loro gli occhi a una fede piena" (Benedetto XVI, Omelia per la GMG di Madrid).
La fede piena è il dono dall'alto che scopre in Gesù colui che realizza le profezie, l'unico capace di dare compimento al destino di ciascun uomo. La fede adulta spicca il volo oltre l'angusta prospettiva della religiosità naturale, dando alla vita una sterzata decisiva, innestandola nella stessa vita di Cristo. Essa produce frutti che hanno il sapore della vita eterna, il compimento reale e concreto in ogni giorno, delle sublimi parole di Gesù; esse disegnano e modellano l'uomo celeste, il figlio del Regno, colui che vive mosso da un amore che supera la barriera della morte, del rancore, della rivalsa, della gelosia, del giudizio, della concupiscenza, dell'avarizia. Per pura Grazia la Profezia si fa carne, pensiero, sentire e azione che rivelano la natura divina, la vita immortale che ha preso dimora nell'uomo rigenerato nella fede. Tu sei il Cristo, l'Unto, il Messia Salvatore: ciò significa molto concretamente che nel rifiuto, nella sofferenza e nella morte di Croce che ci attendono ogni giorno, sono rivelate la Verità, la Via e la Vita. La professione di fede di Pietro infatti, si fa autentica nel crogiuolo della storia di ogni giorno. Pietro è morto come quel Gesù di Nazaret che aveva riconosciuto essere il Messia: il suo martirio e la sua croce hanno autenticato la professione scaturita dalle sue labbra. La certezza della risurrezione di quell'uomo che lo aveva chiamato a seguirlo e che aveva vigliaccamente tradito, sigillata dalla stessa unzione dello Spirito Santo, lo ha reso conforme al Messia vincitore della morte: alle parole Tu sei il Cristo si aggiungeva ora quell'in me che ne certificava la credibilità agli occhi degli uomini. Dalla professione di fede crocifissa scaturisce così la missione della Chiesa durante i secoli, l'annuncio incarnato e perciò visibile e credibile che Gesù è il Signore, il Cristo, vivo nei cristiani che offrono la vita per i propri nemici, certi che in Lui la morte è stata sconfitta.
Nella storia che ci attende ogni giorno la fede ci invita ad entrare nel Mistero di Cristo, nella sua "incarnazione, chenosi, cioè umiliazione fino alla morte di croce, e glorificazione. Questo stesso mistero è diventato un tutt’uno con la vita dell’apostolo Paolo che afferma: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). E’ un nuovo senso della vita, dell’esistenza umana, che consiste nella comunione con Gesù Cristo vivente; non solo con un personaggio storico, un maestro di saggezza, un leader religioso, ma con un uomo in cui abita personalmente Dio. La sua morte e risurrezione è la Buona Notizia che, partendo da Gerusalemme, è destinata a raggiungere tutti gli uomini e tutti i popoli, e a trasformare dall’interno tutte le culture, aprendole alla verità fondamentale: Dio è amore, si è fatto uomo in Gesù e con il suo sacrificio ha riscattato l’umanità dalla schiavitù del male donandole una speranza affidabile" (Benedetto XVI, Angelus del 18 settembre 2011).
Nessun commento:
Posta un commento