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Sabato della XXIX settimana del Tempo Ordinario


Non maledirmi come il fico,
Anche se sono uguale all'albero sterile,
Per timore che il fogliame della fede
Venga essiccato con il frutto delle mie opere.

Ma fissami nel bene,
Come il tralcio sulla santa Vite,
Di cui si prende cura il tuo Padre celeste
E che, con la crescita, fa fruttificare lo Spirito.

E l'albero che io sono, sterile di frutti gustosi,
Ma fecondo di frutti amari,
Non sradicarlo dalla tua vigna,
Ma cambialo, scavando nel letame.

San Nersès Snorhali, patriarca armeno 1102-1173





Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9.


In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai». 


IL COMMENTO


Possiamo fare un test velocissimo per vedere il tasso di moralismo che abbiamo nel cuore. E, di conseguenza, quanto di autentico sia il desiderio di convertirci. Se questo Vangelo ci intristisce, ci angoscia e, se pure molto in fondo, ci fa pensare a Dio con una punta di sconcerto di fronte a tanta crudezza, siamo dei veri moralisti con ben poco desiderio di convertirsi. Perchè in realt:à questo Vangelo è una notizia bellissima. In questo preciso momento, in questo kairos, secondo l'originale greco tradotto con "in quello stesso tempo". Siamo in un tempo favorevole, quello nel quale Dio viene a giudicare. La natura è ferita e "la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rom. 8,22); il peccato ha inferto una ferita ed il male esiste, e con esso la sofferenza: la malattia, la violenza, i disastri naturali, tutto ci annuncia la caducità e il cammino inesorabile verso la morte. Quando essa appare con tutto il suo carico di dolore sconcerta e scuote la vita. Ancora più la sofferenza e la morte degli innocenti. Non abbiamo risposte. La frustrazione e la consapevolezza di aver subito una grande ingiustizia ci lacerano e, spesso, segnano di morte la vita dei parenti, amici e conoscenti di chi è morto. Ad ogni funerale al quale partecipiamo, inconscia, si fa strada in noi l'angoscia di vederci, comunque si viva, dentro la bara della persona che piangiamo. Proviamo un istante a pensare alla nostra morte.....


Si può reagire come Steve Jobs: "Siate affamati, siate folli". Cercare un senso in quello che ci piace, affermarci e lottare per le nostre idee. E' un modo di riempire il vuoto che la morte annuncia. Ma non risolve la questione, la sposta più in là, nel momento in cui la morte giunga a visitarci. Ma vi è un altro modo: guardare in faccia la morte e ascoltare che cosa Dio vuole dirci. "Se non vi convertirete...." perirete tutti all'improvviso, anche se sarete vittime di un cancro con sofferenze ed agonie lunghissime. Perchè la morte, quell'attimo che raccoglie l'ultimo respiro, può essere un ladro che viene a rubare o un contadino che viene a raccogliere frutto. O la morte si viene a prendere le nostre cose o è l'appuntamento in cui, in pienezza, possiamo consegnare la nostra vita colma d'amore. Tutte le parabole sulla fine dei tempi e sul giudizio finale dicono la stessa cosa: si può vivere per se stessi, "siate folli, siate affamati", o per gli altri "siate giusti, siate cibo per sfamare". La conversione è passare dall'egoismo - il peccato - all'amore. Per chi ama, la morte è il kairos, il tempo favorevole, nel quale dar frutto, nel quale poter amare davvero, gratuitamente, senza nulla sperare in cambio. La morte è infatti la soglia sull'eternità, sul tempo redento; essa segna, paradossalmente, la sua stessa fine: Cristo l'ha vinta entrandoci dentro e ha consegnato al Padre se stesso, il frutto più bello e più buono. La morte indica allora la stagione più bella, quando finalmente si possono presentare i frutti; l'amata del Cantico dei Cantici attende con ansia l'arrivo del suo amato per offrirgli i frutti più belli del suo giardino. E come in un rapporto d'amore è coinvolto anche il corpo in un dono totale che abbraccia l'intera esistenza, così la morte è l'incontro sperato nel quale il corpo e l'intera storia della nostra vita si consegnano all'Amato come frutti squisiti. Per questo la Chiesa, con amore di madre, aspetta, ha pazienza, imitando la pazienza di Dio: attende che le morti di ogni giorno, la Croce dei rapporti familiari, del lavoro, della salute, ci preparino all'incontro decisivo. Un anno di misericordia, il giubileo dell'amore paziente di Dio nel quale Egli stesso prepara i frutti che verrà a cogliere nel Dies natalis che ci attende. L'anno in cui è predicato il Vangelo ai poveri, ai piccoli, a tutti noi. Perchè annunciare il Vangelo è preparare il mondo al'incontro con Cristo! Anche oggi sarà zappato il terreno della nostra storia, e il concime sarà sparso nelle ore delle nostre giornate. Anche oggi la sofferenza ci visiterà: ma sarà dolore che prelude al parto, la voce dell'Amato che bussa la nostro cuore, l'annuncio del banchetto dove Egli stesso ci servirà il suo frutto più buono, l'amore che ci colmerà eternamente. Quest'oggi ci è dato per donare a Cristo, vivo in chi ci è vicino, il frutto della nostra stessa vita. Perchè essa è il dono offertoci per essere consegnato nelle braccia dell'amato.




COMMENTI PATRISTICI AL VANGELO DI OGGI


PERCORSO ESEGETICO




Sant'Asterio di Amasea ( ? – circa 410), vescovo
Omelia sulla conversione (15) PG 40, 356-357,361


Imitare la pazienza di Dio


Poiché il modello, a immagine del quale siete stati fatti, è Dio, procurate di imitare il suo esempio. Siete cristiani, e col vostro stesso nome dichiarate che siete amici dell'uomo : perciò siate imitatori dell'amore di Cristo. Considerate le ricchezze della sua bontà... A coloro che risposero alla sua chiamata, concesse un pronto perdono dei peccati e li liberò da quanto li angustiava... Imitiamo l'esempio che ci ha dato il Signore, il buon Pastore...


Nelle parabole, infatti, vedo un pastore che ha cento pecore. Essendosi una di esse allontanata dal gregge e vagando perduta, egli non rimane con quelle che pascolavano in ordine, ma messosi alla ricerca dell'altra, supera valli e foreste, scala monti grandi e scoscesi e, camminando per lunghi deserti con grande fatica, cerca e ricerca fino a che non trova la pecora smarrita. Dopo averla trovata, non la bastona, né la costringe a forza a raggiungere il gregge, ma, presala sulle spalle e trattatala con dolcezza, la riporta al gregge, provando una gioia maggiore per quella sola ritrovata, che per la moltitudine delle altre.


Consideriamo la realtà velata e nascosta della parabola... Sono figure che contengono grandi realtà sacre. Ci ammoniscono, infatti, che non è giusto disperare degli uomini, e che non dobbiamo trascurare coloro che si trovano nei pericoli, né essere pigri nel portare loro il nostro aiuto, ma che è nostro dovere ricondurre sulla retta via coloro che da essa si sono allontanati e che si sono smarriti. Dobbiamo rallegrarci del loro ritorno e ricongiungerli alla comunità di quanti vivono nella fedeltà.



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