"Eviti il pastore la tentazione di desiderare
di essere amato dai fedeli anziché da Dio
o di essere troppo debole per timore di perdere l'affetto degli uomini;
non si esponga al rimprovero divino:
«Guai a quelli, che applicano cuscini a tutti i gomiti...
Il pastore deve bensì cercare di farsi amare,
ma allo scopo di farsi ascoltare,
non di cercare quest'affetto per utile proprio"
S. Gregorio Magno
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 10,1-9.
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi;
non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.
Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi,
curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
IL COMMENTO
Andare e annunciare. La Chiesa è tutta in questi due verbi. "Essa
esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare,
essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con
Dio" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14). E un amore infinito a muovere gambe e cuore, l'amore più grande, annunciare l'amore, che ha un nome, perchè è una persona, Cristo Gesù. Ed è Verità, l'unica Verità che rende liberi, perchè "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione... Più
che mai ora, in questa generazione che sembra aver smarrito i sentieri
del vero, è urgente un annuncio capace di ridestare in ogni uomo il seme
di Verità deposto in Lui. Per questo non c'è amore più grande che
annunciare la Verità a tutti, perchè «la Verità interroga il cuore» (J. Ratzinger).
Andare
ed annunciare la Verità: nella Chiesa la nostra vita è così immersa in un cammino
d'amore verso ogni uomo, come lo è stato per Cirillo e Metodio. Ovunque siamo inviati, per amare come Lui ci ha amati, senza risparmiare nulla,
sino alla fine. Andare indifesi, semplici e liberi, poveri. L'annuncio
del Vangelo, così come appare nel brano odierno, è sempre un'apparizione di Cristo risorto, la Buona Notizia fatta carne qui ed ora. L'essenziale missione della Chiesa è
Cristo stesso che appare laddove giungano i suoi messaggeri, come è
apparso la sera di Pasqua: "Pace a voi!". Non a caso san Paolo scrive
che "Egli è venuto ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini". Egli nei suoi apostoli, Egli nella sua Chiesa.
Egli è venuto,
è venuto da oltre la morte ed ha annunciato la Pace, che è autentica
solo al di là della barriera su cui si infrangono le speranze e gli
sforzi dell'uomo. Gesù annuncia la Pace passando attraverso la porta
sprangata dietro la quale si nasconde l'uomo di ogni tempo, alienato
in un cinismo che nega ogni possibilità all'autentico e all'eterno
facendo delle proprie vuote parole l'assoluto su cui fondare
l'esistenza. E' quello che canta John Lennon in una famosissima canzone -
Imagine, Immagina - che ha sedotto milioni di giovani e meno giovani. Una immagine di questa generazione che scaturisce da un'improbabile immaginare
disancorato dalla realtà e dalla verità; una generazione perduta in
sogni e utopie che evaporano tra cocaina e pasticche, depressioni e
anoressie, corpi e dignità gettate nei rifiuti, speranze defraudate e
pervertite in una teoria interminabile di "carpe diem", "Cogli l' attimo", che acutizzano i morsi della fame senza saziare:
Immagina che non esiste paradiso,
è facile se provi.
Nessun inferno sotto di noi,
nient’altro che il cielo su di noi.
Immagina tutta la gente vivere per l’oggi,
immagina non ci sono patrie.
Non è difficile, vedrai.
Nulla per cui uccidere o morire
e nessuna religione più.
Immagina tutta la gente vivere la vita in pace.
Ti sembro un sognatore?
Non sono il solo.
Spero che un giorno ti unirai a noi
e il mondo sarà una cosa sola.
Cristo è venuto
ad annunciare la Pace sgretolando questo immaginare falso e
distruttivo, e lo ha fatto portando proprio la Pace quale pegno,
testimonianza, caparra di quel Paradiso che Lennon invitava a
immaginare come non esistente. Gesù, come gli esploratori inviati da
Mosè nella Terra di Canaan tornano con le primizie ivi raccolte, torna dal
Paradiso recandone il frutto squisito, la Pace che fa dei due, di ogni
Adamo ed Eva inesorabilmente separati dal veleno del peccato, una sola
creazione nuova. E' venuto Lui, la Primizia, l'Uomo Nuovo, è venuto dal
Cielo, dove vi è entrato con la nostra stessa carne, trasfigurandola,
purificandola, liberandola. Viene dal Cielo annunciando la Pace, che è
Lui stesso, il suo corpo vittorioso.
Ma Gesù, interrogato da Pilato, ha detto anche: "Io
sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla Verità". E molto
di più, perchè ha affermato di essere egli stesso la Verità. E questo
gli ha costato la vita. Sant’Agostino,
commentando il colloquio con Pilato, scrisse: "Quid est veritas? Vir
qui adest". Cos’é la Verità? Era quell'uomo di fronte a Pilato,
quell'Uomo apparso ai discepoli dopo aver trionfato sulla morte e sul
loro tradimento. Pilato si girò e uscì, scappando da quel fascio di luce
che lo aveva raggiunto. Gli Apostoli, stupiti, gioirono; erano figli della Pace, e la Pace discese su di loro. Così la Verità è Cristo che giunge, negli Apostoli, ad ogni angolo della Terra, e la Verità coincide con la Pace. Annunciata da Cristo risorto si rivela al cuore degli Apostoli come la
Verità: quell'Uomo che avevano visto crocifisso era Dio, la
morte ed il peccato erano stati vinti, ogni desiderio e speranza
dell'uomo avevano in Lui trovato pace, compimento.
Per
questo gli Apostoli, il suo corpo visibile in questa terra, sono
inviati senza nulla, come figli del Regno, essi stessi Pace annunciata e
offerta al mondo. Nulla per il viaggio, nessuna sicurezza, nessun
sostegno di quelli in uso al di là del muro che separa il Cielo dalla terra, nel mondo soggiogato e
soggetto al demonio e al peccato. Gli Apostoli sono la fragranza del
Paradiso, con loro giunge Cristo, la Pace di ogni uomo, la Verità che
schiude il Cielo, che libera dai sogni avvelenati cantati da Lennon. In
ebraico ed in greco la parola Verità rimanda a ciò che non passa; nella Verità, in ultima analisi, risuona
l'incorruttibilità. Per
Pavel Florenskij il senso etimologico di Verità in greco (aletheia), è
ciò che non si dimentica, che resiste saldo nel fluire del tempo. La
Verità, quella che fonda l'esistenza, la sostanza della Vita, ciò che la
orienta, la guida e la realizza, è dunque il Cielo e l'eternità che lo dilata in uno spazio e in un tempo che non hanno fine; la Pace
annunciata dal Signore risorto ne è l'esperienza offerta agli Apostoli.
Per questo la
loro vita è un anticipo del Cielo, un segno compiuto della vocazione di
ogni uomo. Il loro annuncio è uno squillo nella notte, la sua
credibilità risiede nell'autenticità della loro vita. Nulla possiedono,
nulla che passi con il tempo è per loro sostegno e sostanza, la loro
esistenza è un segno tangibile della Pace che realizza la Verità, la
memoria eterna di Colui che ha introdotto l'eterno nel tempo.
Peccatori,
fragili, eppure rivestiti della Gloria celeste, come pecore in mezzo ai
lupi, percossi, rifiutati, perseguitati, uccisi eppure sempre lieti,
rispondendo a tutto con amore, perchè la morte che pone fine a tutto in loro è stata vinta. I loro occhi brillano come
quelli Stefano sotto la tempesta di sassi, lo sguardo di un angelo che
fissa la sua Patria, un messaggero cui niente e nessuno può strappare la
Pace che sgorga dal sentirsi amato di un amore più forte della morte e
del peccato. Un amore per cui dare anche tutti i beni della terra
sarebbe ancora irriderlo, non considerarlo per quello che è; un amore
che seduce e fa suo l'amato, completamente. Un amore che si fa annuncio,
grido, misericordia per ogni uomo. Perchè «la
speranza nei cieli non è nemica della fedeltà alla terra», che
Nietzsche reclamava, ma «è speranza anche per la terra» (J. Ratzinger, Elogio
della coscienza).
Così è stata la vita di Cirillo
e Metodio che hanno saputo, seguendo fedelmente l'ispirazione del
Vangelo, incarnarlo nelle terre loro affidate. Senza compromessi, ma con
un amore infinito. Si parla tanto oggi di inculturazione del Vangelo.
Spesso con grande confusione. E si dimentica, probabilmente, ciò che
muove l'evangelizzazione. Ci si dimentica dell'amore.
Si ingabbia il Vangelo nelle trame delle diverse culture sino a gettarlo prono dinanzi alla dittatura del relativismo etico e morale dei tempi e delle mode; si pensa di
renderlo più fruibile, commestibile, appetibile. Stretti dalla paura del
rifiuto e del fallimento spesso limiamo la verità più profonda sino a
farla coincidere con quanto la cultura dei vari luoghi sottolinea e
presenta come peculiare. E' l'esperienza del compromesso, che tutti
facciamo nella nostra vita.
La
paura governa le nostre relazioni e le rende sempre più precarie.
L'amore che "proviamo" non trascende il perimetro della nostra carne,
dei sentimenti, del tangibile. Non è amore, è passione. E', in
definitiva, un narcisistico amore per noi stessi fatto salire sul treno
di atti e parole che colpiscano il cuore dell'altro, che lo aggancino,
lo leghino, lo facciano partorire sentimenti di gratitudine e di
affetto. E' un amore che cerca di irretire l'amore dell'altro. Così
anche in molti tentativi di inculturizzare il Vangelo. Ciò che realmente
preme è non fallire, è l'essere compresi, accettati. Lo scandalo della
Croce fa paura, perchè si è dimenticato il Cielo che essa dischiude. E
si camuffa la verità, si fa di Cristo un manichino su cui indossare gli
abiti più consoni ai nostri schemi ormai privi di fede, carità e
speranza. Si diluisce il cuore del Vangelo credendo che aiutare l'altro a
situarsi nella realtà - denunciare i peccati e chiamare a conversione -
sia giudicare la cultura o le tradizioni o la stessa persona. L'annuncio sine glossa del vangelo è, per molti in Asia, in Africa e purtroppo anche in Europa, sinonimo di fondementalismo intollerante.
E'
la nostra esperienza nelle relazioni quotidiane, come l'esperienza di
tanti tentativi missionari. L'amore, e la missione che ne è mossa,
quella a cui siamo chiamati ogni giorno, e quella della Chiesa nel suo
complesso, sono ben altra cosa. E' l'amore, è la libertà che ha
sperimentato San Paolo e che gli ha permesso davvero di farsi tutto a
tutti. La libertà del Figlio che nulla difende, che scende al fondo
della vita di ciascuno per amore, per annunciarvi la Verità che genera
la Pace. E' l'esperienza della misericordia, del perdono, la Luce pasquale
nelle tenebre dei giorni, che illumina ciò che abita nel cuore di ogni
uomo. «Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito» (R. Guardini, L’essenza del cristianesimo, 1981, p. 12). La Verità del Vangelo è l'esperienza di un grande amore, il più grande. Annunciarlo, con valentia, parresia, coraggio, adeguandone
le forme di comunicazione seguendo le tracce delle Spirito Santo senza annacquarlo nei pruriti pseudo culturali, orgoglio mascherato che lascia Cristo fuori della porta, senza dimenticare che "Dio ha voluto salvare il mondo con la stoltezza della
predicazione".
Un
cuore grato, come quello dei Santi Cirillo e Metodio, ricolmo d'amore,
un cuore liberato dalla schiavitù del peccato, è il cuore che trabocca, e
che è bruciato da uno zelo indomabile. Il cuore del missionario è un
cuore ricreato ad immagine di quello di Cristo, spinto dall'urgenza
dell'annuncio di ciò che ha sperimentato. Un cuore che sa che
«l’uomo non può esistere senza inchinarsi (...) Si inchinerà, allora, a
un idolo di legno o d’oro, o del pensiero... o di dèi senza Dio» (F. Dostoevskij. L'Adolescente).
Ed ogni cultura resa assoluta e come tale idolatrata, come ogni idea
trasformata in ideologia, esigono ginocchia pronte a piegarsi per rapire
dall'anima la Verità, e con essa la vita: fare della terra il Cielo,
come cantava Lennon, come cantano tutti i falsi profeti. Il cuore del
missionario è un cuore come quello di Cirillo e Metodio, capace di scrivere con caratteri nuovi la Verità,
senza diluire, ammorbidire, adeguare, ma con passione, perchè giunga ad
ogni cuore, nella lingua con la quale è capace di accogliere,
l'annuncio del Vangelo, della Verità che è Vita e Pace. Un cuore geloso,
come quello di Dio, che vede in ogni uomo l'inganno di cui è preda, ed
offre la propria vita, la vita stessa di Cristo, per liberarlo e
ricondurlo alla vera Pace. Un cuore gonfio d'amore, che, per amore,
accetta il rifiuto, lo carica su di sé, sino a consegnarsi,
martire-testimone della Verità come il suo Signore, anche per chi, del
suo annuncio, non sa che farsene. L'amore di Cristo che scorre in una
vita donata, nemica dei compromessi, testimone della Verità sino
all'effusione del sangue. Un cuore mite, compassionevole, sincero, che
brucia di zelo per la salvezza, vera, di ogni uomo.
Giovanni Paolo II, papa dal 1978 al 2005
Ut unum sint, 19 - © Libreria Editrice Vaticana
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Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi
La dottrina deve essere presentata in un modo che la renda
comprensibile a coloro ai quali Dio stesso la destina. Nell'Epistola
enciclica Slavorum apostoli, ricordavo come Cirillo e Metodio, per
questo stesso motivo, si adoperassero a tradurre le nozioni della Bibbia
e i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze storiche
e di pensiero molto diversi.
Essi volevano che l'unica parola di Dio fosse « resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie di ciascuna civiltà ». Compresero di non poter dunque « imporre ai popoli assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più progredita, in cui essi erano cresciuti ». Essi mettevano così in atto quella « perfetta comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica ».
Cirillo, in punto di morte, pregava così : « Signore Dio, fa' crescere la tua Chiesa, e raduna tutti gli uomini nell'unità ; stabilisci i tuoi eletti nella concordia della vera fede e della retta confessione di fede : fa' penetrare le tue parole nel loro cuore affinché si consacrino a ciò che è buono e ti è gradito. »
Essi volevano che l'unica parola di Dio fosse « resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie di ciascuna civiltà ». Compresero di non poter dunque « imporre ai popoli assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più progredita, in cui essi erano cresciuti ». Essi mettevano così in atto quella « perfetta comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica ».
Cirillo, in punto di morte, pregava così : « Signore Dio, fa' crescere la tua Chiesa, e raduna tutti gli uomini nell'unità ; stabilisci i tuoi eletti nella concordia della vera fede e della retta confessione di fede : fa' penetrare le tue parole nel loro cuore affinché si consacrino a ciò che è buono e ti è gradito. »
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