Solo se la verità è Persona,
essa può portarmi attraverso la notte della morte.
Noi ci aggrappiamo a Dio – a Gesù Cristo, il Risorto.
E siamo così portati da Colui che è la Vita stessa.
In questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte,
perché non ci abbandona Colui che è la Vita stessa.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Marco 12,18-27.
Vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non c'è risurrezione, e lo interrogarono dicendo:
«Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che se muore il fratello di uno e lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la moglie per dare discendenti al fratello.
C'erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza;
allora la prese il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente,
e nessuno dei sette lasciò discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna.
Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie».
Rispose loro Gesù: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?
Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.
A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe?
Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore».
IL COMMENTO
Un roveto che arde e non si consuma, da sempre segno della perpetua verginità di Maria. Quel roveto su cui si posarono gli occhi di Mosè, quel roveto ardente dal quale Dio ha rivelato il suo Nome è il segno dell'eternità. Esso ci rimanda alla fornace dove furono gettati i tre giovani da Nabucodonosor. Le fiamme alte e possenti tentavano di aggredire le loro carni, ma con loro, vi era un altro, un angelo, un vento, Qualcuno che li difendeva e impediva al fuoco di recar loro danno. Ecco, l'immagine della vita eterna, della risurrezione è racchiusa in queste immagini, fondamentali anche per noi. Non si tratta di dotte disquisizioni sull'immortalità, e neanche di dogmi freddi da credere e basta. Si tratta di un'esperienza. O la si ha o non la si ha. Non si scappa.
La domanda dei sadducei la portiamo tutti nel cuore. Ma Gesù risponde senza trattati, senza grandi spiegazioni. Gesù ci mostra il Padre, e ci mostra uomini concreti con i quali ha intrapreso una storia di salvezza. Uomini chiamati, scelti, eletti per essere un segno del destino di ogni uomo. Gesù ci mostra l'opera di Dio, realizzata pienamente e definitivamente in Lui. La vita nella morte, il suo Mistero Pasquale, adombrato anche nella verginità di Maria. Questo Mistero raggiunge ciascuno di noi, trasforma le nostre vite e le strappa dalla corruzione. La vittoria sulla morte di Gesù è per noi oggi un evento capace di risuscitarci proprio nella concretissima storia che stiamo vivendo. E' l'esperienza del perdono dei peccati, della liberazione dalla schiavitù che ci costringe a peccare, che ci impedisce di amare. E' infatti l'amore la prova più credibile e sperimentabile della risurrezione: ""Quando Gesù parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso.... vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa dà pienezza alla vita, la rende bella. Ma proprio per questo, la distruzione della relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo attraverso di esse" (Benedetto XVI).
Camminare in una fornace ardente, il matrimonio con le lotte e le incomprensioni, il posto di lavoro con i problemi e le ingiustizie, il fidanzamento con le vampe di passione che lo accerchiano e lo insidiano, le malattie, le preoccupazioni, le angosce di ogni giorno. Vivere nella fornace ardente che è la nostra storia, uguale a quella che fu di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, e sperimentare la presenza concretissima di Dio, l'intima prossimità di Gesù, la sua vita più forte delle barriere della morte. E' questa la risurrezione, sperimentare la possibilità, con questa carne mortale che così spesso ci annichilisce, una vita nuova, che oltrepassa il muro del "finito", il limite angusto delle passioni, dei ricatti, dei rancori, delle invidie, dell'ira, dei giudizi, delle mormorazioni. Amare, attraverso la nostra carne.
Essere sposati come non lo si fosse direbbe San Paolo, vivere cioè, già qui come angeli nel cielo, non chiedendo al matrimonio, alla moglie, al marito, ai figli quello che non possono dare, la felicità piena ed eterna. Vivere ogni evento, ogni relazione impregnati dello Spirito Santo, lo Spirito di Dio, che ci fa contemporanei dell'eternità, perchè partecipi della stessa vita celeste. "Padre nostro che sei nei Cieli.... sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra", è la nostra preghiera, che mostra con chiara evidenza la nostra intercessione perchè il mondo intero possa compiere la volontà di Dio come essa si compie in noi. Attraversare la morte che ci insidia ogni giorno, pur essendo non ancora in pienezza passati nel Regno promesso. Con le debolezze, le cadute, le lotte possiamo sperimentare, in Cristo, ogni giorno la resurrezione che ci attende. La nostra vita diviene, con Cristo, come quel roveto che ardeva e non si consumava, dal quale la voce di Dio ha pronunciato l'unico Nome capace di dare vita e di salvare: Io Sono Colui che Sono: "La rivelazione del nome divino significa dunque che Dio, che è infinito e sussiste in se stesso, entra nell’intreccio di relazioni degli uomini; che Egli, per così dire, esce da se stesso e diventa uno di noi, uno che è presente in mezzo a noi e per noi. Per questo in Israele sotto il nome di Dio non si è visto solo un termine avvolto di mistero, ma il fatto dell’essere-con-noi di Dio" (Benedetto XVI).
Crocifissi con Cristo risuonerà allora la stessa voce per questa generazione, dalle stesse ferite che ciinchiodano la carne. Ogni nostro istante trasmetterà la voce di Dio, il suo Nome, il suo Essere oltre ogni limite, il Suo amore più forte della morte. Testimoni di questo amore annunceremo al mondo l'unico e vero Dio, il Dio dei Padri, di ciascuno di noi, amati infinitamente, oltre il peccato e la morte.
San Giustino (circa 100 -160), filosofo, martire
Trattato sulla risurrezione, 2.4.7-9
Trattato sulla risurrezione, 2.4.7-9
Coloro che sono in errore dicono che non c’è risurrezione della carne, che è impossibile che essa, dopo esser stata distrutta e ridotta in polvere, ritrovi la sua integrità. Ancora, secondo loro, la salvezza della carne sarebbe non soltanto impossibile, ma pure nociva; biasimano la carne, denunciando i suoi difetti, la rendono responsabile dei peccati; dicono quindi che se questa carne dovesse risuscitare, anche i suoi difetti risusciterebbero... Inoltre, il Salvatore ha detto: “Quando risusciteranno dai morti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.” Ora, dicono, gli angeli non hanno carne, né mangiano né si uniscono. Dunque, dicono, non ci sarà risurrezione della carne...
Quanto sono ciechi gli occhi del solo intelletto! Non hanno visto infatti sulla terra “i ciechi ricuperare la vista, gli storpi camminare” (Mt 11,5) grazie alla parola del Salvatore..., allo scopo di farci credere che, alla risurrezione, l’intera carne risusciterà. Se sulla terra, egli ha guarito le infermità della carne e ha reso al corpo la sua integrità, quanto più lo farà al momento della risurrezione, affinché la carne risusciti senza difetto, integralmente... Questa gente mi sembra ignorare l’operare divino nel suo insieme, all’origine della creazione, quando l’uomo è stato plasmato; ignorano il motivo per il quale le cose terrene sono state fatte.
Il Verbo ha detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza (Gen 1,26)... È ovvio che l’uomo, pur plasmato a immagine di Dio, era di carne. Quanto è assurdo allora considerare disprezzabile e senza alcun merito, la carne plasmata da Dio secondo la sua immagine! Che la carne sia preziosa agli occhi di Dio, questo è evidente, poiché essa è opera sua. E poiché proprio in questo si trova il principio del suo progetto per il resto della creazione, essa è ciò che c’è di più prezioso agli occhi del creatore.
Sant'Anastasio d'Antiochia, monaco poi patriarca d'Antiochia 549-570 e 593-599
Discorso 5, sulla Risurrezione di Cristo ; PG 89, 1358
«Per questo Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). «Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi». Perciò i morti sui quali domina colui che è risorto, non sono più morti, ma viventi; e domina su di loro la vita proprio perché vivano, senza temere più la morte, come «Cristo, risuscitato dai morti, non muore più» (Rm 6,9). Così risuscitati e liberati dalla corruzione, non vedranno più la morte, ma parteciperanno alla risurrezione di Cristo, come Cristo fu partecipe della loro morte. Non per altro motivo infatti egli discese sulla terra, incatenata da antiche catene, se non per «infrangere le porte di bronzo e spezzare le sbarre di ferro» (Is 45,2) della morte e per trarre a sé dalla corruzione la nostra vita, donandoci la libertà al posto della schiavitù.
Se non appare ancora ultimata l'opera di questo disegno divino (gli uomini infatti continuano a morire e i corpi si dissolvono nella morte), il fatto non deve certo per questo diventare motivo di diffidenza. Già in anticipo infatti abbiamo acquisito un pegno di tutti i beni futuri, mediante le primizie con le quali siamo già stati innalzati al cielo e ci siamo seduti con colui che ci ha portati in alto con sé, come dice san Paolo: «Con lui ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6). Raggiungeremo il compimento quando verrà il tempo prestabilito dal Padre, quando avremo lasciato l'infanzia e arriveremo allo stato di uomo perfetto. Così piacque al Padre dei secoli, perché fosse stabile il dono concesso... L'apostolo Paolo inoltre dice che questo fatto, a lui ben noto, si sarebbe avverato per tutto il genere umano per mezzo di Cristo, «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21)... Cristo è risorto con un corpo spirituale, il quale non è altro che il «corpo seminato ignobile» (1 Cor 15,43), ma mutato poi in glorioso. Egli avendo portato al Padre le primizie della nostra natura, condurrà a lui anche tutto l'universo; lo ha promesso quando ha detto: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
Benedetto XVI. Questa è la vita eterna.
Omelia nella Messa in Coena Domini, 2 aprile 2010
“Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3). Ogni essere umano vuole vivere. Desidera una vita vera, piena, una vita che valga la pena, che sia una gioia. Con l’anelito alla vita è, al contempo, collegata la resistenza contro la morte, che tuttavia è ineluttabile. Quando Gesù parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso. Ma come si realizza questo? Che cosa è mai questa vita veramente eterna, alla quale la morte non può nuocere? La risposta di Gesù, l’abbiamo sentita: Questa è la vita vera, che conoscano te – Dio – e il tuo Inviato, Gesù Cristo. Con nostra sorpresa, lì ci viene detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa dà pienezza alla vita, la rende bella. Ma proprio per questo, la distruzione della relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo attraverso di esse. Già nella filosofia greca esisteva l’idea che l’uomo può trovare una vita eterna se si attacca a ciò che è indistruttibile – alla verità che è eterna. Dovrebbe, per così dire, riempirsi di verità per portare in sé la sostanza dell’eternità. Ma solo se la verità è Persona, essa può portarmi attraverso la notte della morte. Noi ci aggrappiamo a Dio – a Gesù Cristo, il Risorto. E siamo così portati da Colui che è la Vita stessa. In questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte, perché non ci abbandona Colui che è la Vita stessa.
Ma ritorniamo alla parola di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te e il tuo Inviato. La conoscenza di Dio diventa vita eterna. Ovviamente qui con “conoscenza” s’intende qualcosa di più di un sapere esteriore, come sappiamo, per esempio, quando è morto un personaggio famoso e quando fu fatta un’invenzione. Conoscere nel senso della Sacra Scrittura è un diventare interiormente una cosa sola con l’altro. Conoscere Dio, conoscere Cristo significa sempre anche amarLo, diventare in qualche modo una cosa sola con Lui in virtù del conoscere e dell’amare. La nostra vita diventa quindi una vita autentica, vera e così anche eterna, se conosciamo Colui che è la fonte di ogni essere e di ogni vita. Così la parola di Gesù diventa un invito per noi: diventiamo amici di Gesù, cerchiamo di conoscerLo sempre di più! Viviamo in dialogo con Lui! Impariamo da Lui la vita retta, diventiamo suoi testimoni! Allora diventiamo persone che amano e allora agiamo in modo giusto. Allora viviamo veramente.
Due volte nel corso della Preghiera sacerdotale Gesù parla della rivelazione del nome di Dio. “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo” (v. 6). “Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (v. 26). Il Signore allude qui alla scena presso il roveto ardente, dal quale Dio, alla domanda di Mosè, aveva rivelato il suo nome. Gesù vuole quindi dire che Egli porta a termine ciò che era iniziato presso il roveto ardente; che in Lui Dio, che si era fatto conoscere a Mosè, ora si rivela pienamente. E che con ciò Egli compie la riconciliazione; che l’amore con cui Dio ama suo Figlio nel mistero della Trinità, coinvolge ora gli uomini in questa circolazione divina dell’amore. Ma che cosa significa più precisamente che la rivelazione dal roveto ardente viene portata a termine, raggiunge pienamente la sua meta? L’essenziale dell’avvenimento al monte Oreb non era stata la parola misteriosa, il “nome”, che Dio aveva consegnato a Mosè, per così dire, come segno di riconoscimento. Comunicare il nome significa entrare in relazione con l’altro. La rivelazione del nome divino significa dunque che Dio, che è infinito e sussiste in se stesso, entra nell’intreccio di relazioni degli uomini; che Egli, per così dire, esce da se stesso e diventa uno di noi, uno che è presente in mezzo a noi e per noi. Per questo in Israele sotto il nome di Dio non si è visto solo un termine avvolto di mistero, ma il fatto dell’essere-con-noi di Dio. Il Tempio, secondo la Sacra Scrittura, è il luogo in cui abita il nome di Dio. Dio non è racchiuso in alcuno spazio terreno; Egli rimane infinitamente al di sopra del mondo. Ma nel Tempio è presente per noi come Colui che può essere chiamato – come Colui che vuol essere con noi. Questo essere di Dio con il suo popolo si compie nell’incarnazione del Figlio. In essa si completa realmente ciò che aveva avuto inizio presso il roveto ardente: Dio quale Uomo può essere da noi chiamato e ci è vicino. Egli è uno di noi, e tuttavia è il Dio eterno ed infinito. Il suo amore esce, per così dire, da se stesso ed entra in noi. Il mistero eucaristico, la presenza del Signore sotto le specie del pane e del vino è la massima e più alta condensazione di questo nuovo essere-con-noi di Dio. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele”, ha pregato il profeta Isaia (45,15). Ciò rimane sempre vero. Ma al tempo stesso possiamo dire: veramente tu sei un Dio vicino, tu sei un Dio-con-noi. Tu ci hai rivelato il tuo mistero e ci hai mostrato il tuo volto. Tu hai rivelato te stesso e ti sei dato nelle nostre mani… In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine perché Egli si è mostrato; perché Egli, l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione, è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare.
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