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Sabato della IX settimana del Tempo Ordinario




Una volta, un monaco mentre era in viaggio 
trovò una pietra preziosa e la prese con sé.  
Un giorno incontra un viaggiatore e, 
quando aprì la borsa per condividere con lui le sue provviste, 
il viaggiatore vide la pietra e gliela chiese. 
Il monaco gliela diede immediatamente. 
Il viaggiatore partì, 
pieno di gioia per l'inaspettato dono della pietra preziosa 
che sarebbe stata sufficiente a garantirgli 
il benessere e la sicurezza per il resto della vita. 
Ma pochi giorni dopo tornò indietro alla ricerca del monaco 
e, trovatolo, gli restituì la pietra dicendogli: 
“ora dammi qualcosa di più prezioso di questa pietra, 
qualcosa di pari valore. 
Dammi ciò che ti ha reso capace di donarmela.






Dal Vangelo secondo Marco 12,38-44. 


Diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave».
E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte.
Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.
Allora, chiamati a sè i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poichè tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Il Commento
Il superfluo è esattamente la zona della vita dove passiamo la maggior parte del nostro tempo e per la quale occupiamo le nostre migliore energie e risorse. Il superfluo, tutto ciò che è periferico a quel che davvero conta, tutto quello che è laterale alla tremenda serietà della vita, questo davvero ci appassiona e ci trascina.


L'illusione di essere vivi e di vivere fino in fondo le cose ha quasi sempre il sopravvento su ogni timido tentativo di prendere seriamente la vita tra le mani e chiedersi per quale motivo ci vien data e per che cosa valga la pena viverla. I cosiddetti amori travolgenti, passionali, dove il cuore in gola acceso da uno sconvolgimento ormonale cattura tutta la scena e diventa l'assoluto protagonista dell'esistenza.


Qualunque altra "passione", civile, sportiva, culturale, religiosa, al diventare "assolute" stringono le anime, le menti e i cuori in un cappio mortale. La menzogna del superfluo, del marginale, che assurge ad assoluto. Il superfluo che diventa motore dell'esistenza. Attenzione, il superfluo non è un male, anzi, fa parte della vita, ma è come la terra che gira intorno il sole, non è il centro e il fondamento dell'esistenza. E' "super", è un "di più" che lo stesso Signore ha miracolosamente moltiplicato. E' l'abbondanza che Dio non disdegna, al punto che in tutta la letteratura profetica e sapienzale il "superfluo", l'abbondanza sono segni dell'ormai avvenuta era messianica.


Ma porre il superfluo come centro della vita è rovesciare la verità delle cose in menzogna, scambiare il frutto con l'albero, il Creatore con la creatura. "Voi mi cercate non perchè avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato e vi siete saziati" diceva il Signore a Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani. E' idolatria. E' la fonte della più grande sofferenza. E' la porta della solitudine. Al Tempio i ricchi, cioè i tronfi che credono di possedere e invece sono così stolti da aver perso la bussola e non sapere più quale sia il centro dell'esistenza, gettano del loro superfluo. Come Caino riconoscono al Signore una parte minima della loro esistenza, la periferia dell'esistenza. Sono immagini di tutti noi che viviamo una vita in superficie e lì viviamo il rapporto con il Signore.

La vedova invece è spogliata di tutto, ha terminato il suo cammino di fede attraverso la spogliazione d'ogni superfluo, non le rimane che l'"essenziale" per vivere. La vedova non ha nulla sulla terra, anche i beni messianici, anche l'abbondanza delle benedizioni celesti sembrano essere scomparse, il marito, i figli, nessuno più. Nuda con due centesimi. Tutta la sua vita. E l'ha gettato tutta nel tesoro del Tempio, nel cuore di Cristo. Gesù non loda l'aspetto morale della vicenda, registra un dato: solo chi ha camminato nella fede sino a non avere più nessuna sicurezza su questa terra, solo la vedova, l'"ultima" nella società (la traduzione letterale dal greco della parola "sua povertà" che appare nel vangelo è "ultimo"), solo chi dalla periferia della vita è stato condotto al centro dove si gioca il destino dell'esistenza, solo chi ha percorso il cammino in discesa che conduce alle acque battesimali può "gettare", consegnare, perdere la Sua vita. Tutta. Per riaverla moltiplicata eternamente.

Come Cristo ha gettato e consegnato per noi la Sua vita, tutta, nel tesoro del Suo tempio che siamo noi. La Sua vita in noi, completamente, perchè la nostra vita sia in Lui, altrettanto completamente. Questo è vivere la vita. Sino in fondo. Una vita d'amore qui sulla terra, ed il tesoro, e quindi il cuore, nella Patria, il Cielo che ci aspetta. Come la vedova, immagine della Chiesa, sposata a Cristo e pellegrina nel mondo, straniera ad ogni luogo, in attesa di riunirsi, in pienezza, al suo sposo, il Signore che le fha preparato un posto. Gli occhi fissi su di Lui, ed ogni istante gettato nel Suo cuore.



Beato Charles de Foucauld 
(1858-1916), eremita e missionario nel Sahara
Meditazioni sui Santi Vangeli
« Ha dato tutto quanto aveva »

« Padre mio, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,46). Questa è l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro prediletto. Possa essa essere nostra, e essere non soltanto la preghiera dei nostri ultimi istanti, ma pure quella di ogni nostro istante : « Padre mio, io mi consegno nelle tue mani ; Padre mio io mi affido a te ; Padre mio, io mi abbandono a te ; Padre mio, fa’ di me ciò che ti piace ; qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio ; grazie di tutto. Sono pronto a tutto, accetto tutto, ti ringrazio di tutto, purchè la tua volontà si compia in me, mio Dio, purchè la tua volontà si compia in tutte le tue creature, in tutti i tuoi figli, in tutti coloro che il tuo cuore ama ; non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perchè ti amo, ed è per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura. Mi rimetto nelle tue mani con una confidenza infinita, poichè tu sei il Padre mio ».

Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), monaco, vescovo, dottore della Chiesa
Lettere, 112
« Ha dato tutto quello che aveva »

In cielo tutti insieme con Dio saranno un solo re e come un sol uomo, perchè tutti vorranno una cosa sola e ciò che vorranno si realizzerà. Dal cielo Dio proclama che tutto questo è in vendita.
Se uno domanda a quale prezzo, gli vien risposto: non ha bisogno di un compenso terreno chi vuol dare il Regno del cielo, nè alcuno può dare a Dio ciò che non possiede, perchè tutto ciò che esiste appartiene a lui. D’altra parte Dio non dà del tutto gratuitamente una cosa di tanto valore, perchè non la dà a chi non ama. Nessuno infatti dà ciò che ha di più caro a chi non l’ama. Dio quindi non ha bisogno di qualcosa di tuo, nè deve dare una cosa tanto grande a chi non si cura di amarla; non cerca che l’amore, senza il quale non è tenuto a dare nulla. Dagli dunque l’amore e otterrai il regno: ama ed avrai... Ama Dio più di te stesso e già comincerai ad avere su questa terra quanto vuoi avere perfettamente in cielo.

Santa Teresa del Bambin Gesù (1873-1897), carmelitana, dottore della Chiesa
Scritto autobiografico B,1

« Ha dato tutto quello che aveva »

« Voglio farti leggere nel libro di vita, ov'è contenuta la scienza di Amore». La scienza d'Amore, oh, sì! la parola risuona dolce all'anima mia, desidero soltanto questa scienza. Per essa, avendo dato tutte le mie ricchezze, penso, come la sposa [del Cantico] dei cantici, di non aver dato nulla (Ct 8,7). Capisco così bene che soltanto l'amore può renderci graditi al Signore, da costituire esso la mia unica ambizione.
A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace divina, cioè  l'abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura tra le braccia di  suo Padre. «Se qualcuno è piccolo, venga a me», ha detto lo Spirito Santo per  bocca di Salomone, e questo medesimo Spirito d'amore ha detto ancora che «la misericordia è concessa ai piccoli» (Sap 6,6). In nome suo il profeta Isaia ci rivela che nell'ultimo giorno «il Signore condurrà il suo gregge nelle pasture, raccoglierà gli agnellini e se li stringerà al cuore» (Is 40,11)...
Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola fra loro, l'anima della sua Teresa, non una dispererebbe d'arrivare alla vetta della montagna d'amore, poiché Gesù non chiede grandi azioni, bensì soltanto l'abbandono e la riconoscenza. Egli infatti dice nel Salmo 49: «Non ho bisogno alcuno dei capri dei vostri greggi, perché tutte le bestie delle foreste mi appartengono e le migliaia di animali che pascolano sulle colline... Immolate a Dio sacrifici di lode e di ringraziamento». Ecco ciò che Gesù esige da noi, non ha bisogno affatto delle nostre opere, ma soltanto del nostro amore, perché questo Dio stesso che dichiara di non aver bisogno di dirci se ha fame (Sal 49), non ha esitato a mendicare un po' d'acqua dalla Samaritana (Gv 4,7). Aveva sete... Aveva sete d'amore... Ah! lo sento più che mai, Gesù è assetato, non incontra se non ingrati e indifferenti tra i discepoli del mondo, e tra i suoi stessi discepoli trova pochi cuori i quali si abbandonino a lui senza riserve, e capiscano la tenerezza del suo amore infinito.





San Paolino da Nola. Ha dato tutto quello che aveva per vivere.
Dalle Lettere, 34,2-4.


«Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (2Cor4,7). [...] Ricordiamoci anche di quella vedova che, nella sua sollecitudine per i poveri, trascurando se stessa, si privò di tutto quello che aveva per vivere, memore soltanto della vita futura, come attesta il Giudice stesso, il quale dice che altri danno del loro superfluo, essa invece, che forse era più bisognosa di molti anche tra i poveri, pur possedendo solo due monete, fu in verità più ricca nell'animo di tutti quanti i ricchi, e rivolta ai soli doni della bontà divina, avara del solo tesoro celeste, donò tutto quello che possedeva, perché tutto ciò che si raccoglie sulla terra alla terra deve tornare. Essa gettò nel tesoro del tempio quello che aveva per possedere ciò che non aveva ancora visto; vi gettò i beni destinati alla corruzione per procurarsi quelli immortali. Quella povera donna non disprezzò il giudizio disposto e ordinato da Dio per essere accolti da lui quando ritornerà. Per questo colui che tutto dispone e il Giudice del mondo anticipò la sua sentenza e lodò nel Vangelo la donna che avrebbe incoronata nel giudizio. [...] Rendiamo dunque al Signore i suoi doni; restituiamoli a lui che li riceve nella persona di ogni povero; diamoli, dico, con gioia per riceverli di nuovo da lui con esultanza, come egli stesso afferma.





Benedetto XVI. L'obolo della vedova, immagine della vita della Chiesa
Brescia, 8 novembre 2009




Al centro della liturgia della Parola di questa domenica – la XXXII del tempo ordinario – troviamo il personaggio della vedova povera, o, più precisamente, troviamo il gesto che ella compie gettando nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. Un gesto che, grazie allo sguardo attento di Gesù, è diventato proverbiale. "L'obolo della vedova", infatti, è sinonimo della generosità di chi dà senza riserve il poco che possiede.


Prima ancora, però, vorrei sottolineare l'importanza dell'ambiente in cui si svolge tale episodio evangelico, cioè il Tempio di Gerusalemme, centro religioso del popolo d'Israele e il cuore di tutta la sua vita. Il Tempio è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però, Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio. Egli pronuncia giudizi severi – come abbiamo sentito – nei confronti degli scribi, a motivo della loro ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano. Gesù, insomma, si dimostra affezionato al Tempio come casa di preghiera, ma proprio per questo lo vuole purificare da usanze improprie, anzi, vuole rivelarne il significato più profondo, legato al compimento del suo stesso mistero, il mistero della sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l'uomo, il creatore e la sua creatura.


L'episodio dell'obolo della vedova si inscrive in tale contesto e ci conduce, attraverso lo sguardo stesso di Gesù, a fissare l'attenzione su un particolare fuggevole ma decisivo: il gesto di una vedova, molto povera, che getta nel tesoro del Tempio due monetine. Anche a noi, come quel giorno ai discepoli, Gesù dice: Fate attenzione! Guardate bene che cosa fa quella vedova, perché il suo atto contiene un grande insegnamento. Esso, infatti, esprime la caratteristica fondamentale di coloro che sono le "pietre vive" di questo nuovo Tempio, cioè il dono completo di sé al Signore e al prossimo. La vedova del Vangelo, come anche quella dell'Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri. È questo il significato perenne dell'offerta della vedova povera, che Gesù esalta perché ha dato più dei ricchi, i quali offrono parte del loro superfluo, mentre lei ha dato tutto ciò che aveva per vivere (cfr. Marco 12, 44), e così ha dato se stessa.


Cari amici! A partire da questa icona evangelica, desidero meditare brevemente sul mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita.


La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l'oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio. Come dice la lettera agli Ebrei – anche nel testo che abbiamo ascoltato – a Dio è bastato il sacrificio di Gesù, offerto "una volta sola", per salvare il mondo intero (cfr. Ebrei 9, 26.28), perché in quell'unica oblazione è condensato tutto l'amore del Figlio di Dio fattosi uomo, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l'amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere.


La Chiesa, che incessantemente nasce dall'Eucaristia, dall'autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo. [...] È questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le sue forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo "Pensiero alla morte", là dove, nella parte conclusiva, parla della Chiesa. "Potrei dire – scrive – che sempre l'ho amata... e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse".
Sono gli accenti di un cuore palpitante, che così prosegue: "Vorrei finalmente comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei – continua il papa – abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla".


E le ultime parole sono per lei, come alla sposa di tutta la vita: "E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo".


Che cosa si può aggiungere a parole così alte ed intense? Soltanto vorrei sottolineare quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev'essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea. L'incontro e il dialogo della Chiesa con l'umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore a Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita, dai primi anni di sacerdozio fino al pontificato. Egli ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l'uomo contemporaneo possa incontrare Lui, Cristo, perché di Lui ha assoluto bisogno.


Questo è l'anelito di fondo del Concilio Vaticano II, a cui corrisponde la riflessione del papa Paolo VI sulla Chiesa. Egli volle esporne programmaticamente alcuni punti salienti nella sua prima enciclica, "Ecclesiam suam", del 6 agosto 1964, quando ancora non avevano visto la luce le costituzioni conciliari "Lumen gentium" e "Gaudium et spes".
Con quella prima enciclica il pontefice si proponeva di spiegare a tutti l'importanza della Chiesa per la salvezza dell'umanità e, al tempo stesso, l'esigenza che tra la comunità ecclesiale e la società si stabilisca un rapporto di mutua conoscenza e di amore (cfr. Enchiridion Vaticanum, 2, p. 199, n. 164). "Coscienza", "rinnovamento", "dialogo": queste le tre parole scelte da Paolo VI per esprimere i suoi "pensieri" dominanti – come lui li definisce – all'inizio del ministero petrino, e tutt'e tre riguardano la Chiesa.
Anzitutto, l'esigenza che essa approfondisca la coscienza di se stessa: origine, natura, missione, destino finale; in secondo luogo, il suo bisogno di rinnovarsi e purificarsi guardando al modello che è Cristo; infine, il problema delle sue relazioni con il mondo moderno (cfr ibid., pp. 203-205, nn. 166-168).


Cari amici – e mi rivolgo in modo speciale ai fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio –, come non vedere che la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l'hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l'oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall'altra?
La riflessione di papa Montini sulla Chiesa è più che mai attuale; e più ancora è prezioso l'esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo. "Il mistero della Chiesa – leggiamo sempre nell'enciclica "Ecclesiam suam" – non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev'essere un fatto vissuto, in cui ancora prima di una sua chiara nozione l'anima fedele può avere quasi connaturata esperienza" (ibid., p 229, n. 178). Questo presuppone una robusta vita interiore, che è – così continua il papa – "la grande sorgente della spiritualità della Chiesa, modo suo proprio di ricevere le irradiazioni dello Spirito di Cristo, espressione radicale e insostituibile della sua attività religiosa e sociale, inviolabile difesa e risorgente energia nel suo difficile contatto col mondo profano" (ibid., p. 231, n. 179). Proprio il cristiano aperto, la Chiesa aperta al mondo hanno bisogno di una robusta vita interiore.


Carissimi, che dono inestimabile per la Chiesa la lezione del servo di Dio Paolo VI! E com'è entusiasmante ogni volta rimettersi alla sua scuola! È una lezione che riguarda tutti e impegna tutti, secondo i diversi doni e ministeri di cui è ricco il Popolo di Dio, per l'azione dello Spirito Santo.
In questo Anno Sacerdotale mi piace sottolineare come essa interessi e coinvolga in modo particolare i sacerdoti, ai quali papa Montini riservò sempre un affetto e una sollecitudine speciali. Nell'enciclica sul celibato sacerdotale egli scrisse: "Preso da Cristo Gesù (Filippesi 3, 12) fino all'abbandono di tutto se stesso a lui, il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell'amore col quale l'eterno Sacerdote ha amato la Chiesa suo corpo, offrendo tutto se stesso per lei... La verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l'amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio" ("Sacerdotalis coelibatus" 26).


Dedico queste parole del grande papa ai numerosi sacerdoti della diocesi di Brescia, qui ben rappresentati, come pure ai giovani che si stanno formando nel seminario. E vorrei ricordare anche quelle che Paolo VI rivolse agli alunni del Seminario Lombardo il 7 dicembre 1968, mentre le difficoltà del postconcilio si sommavano con i fermenti del mondo giovanile.


"Tanti – disse – si aspettano dal papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta... Non si tratta di un'attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza. Anche il papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera" (Insegnamenti VI, [1968], 1189). [...]




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