Addolorata, in pianto, la Madre sta presso la croce da cui pende il Figlio.
Immersa in angoscia mortale geme nell'intimo del cuore trafitto da spada.
Quanto è grande il dolore della benedetta fra le donne,
Madre dell'Unigenito.
Piange la Madre pietosa contemplando le piaghe del suo Figlio.
Chi può trattenersi dal pianto davanti alla Madre di Cristo in tanto tormento?
Chi può non provare dolore davanti alla Madre che porta la morte del Figlio?
Per i peccati del popolo suo
ella vede Gesù nei tormenti del duro supplizio.
Per noi ella vede morire il dolce suo Figlio, solo, nell'ultima ora.
O Madre, sorgente di amore,
fa' chi'io viva il tuo martirio, fa' ch'io pianga le tue lacrime.
Fa' che arda il mio cuore nell'amare il Cristo-Dio, per essergli gradito.
Ti prego, Madre Santa:
siano impresse nel mio cuore le piaghe del tuo Figlio.
Uniscimi al tuo dolore per il Figlio tuo divino
che per me ha voluto patire.
Con te lascia ch'io pianga il Cristo crocifisso finché avrò vita.
Restarti sempre vicino piangendo sotto la croce:
questo desidero.
O Vergine Santa tra le vergini, non respingere la mia preghiera,
e accogli il mio pianto di figlio.
Fammi portare la croce di Cristo,
partecipare ai suoi patimenti,
adorare le sue piaghe sante.
Ferisci il mio cuore con le sue ferite,
stringimi alla sua croce,
inebriami del suo sangue.
Nel suo ritorno glorioso rimani, o Madre, a1 mio fianco,
salvami dall'eterno abbandono.
O Cristo, nell'ora del mio passaggio fa' che,
per mano a tua Madre,
io giunga alla meta gloriosa.
Quando la morte dissolverà il mio corpo,
aprimi, Signore, le porte del Cielo,
accoglimi nel tuo regno di gloria.
Amen.
Jacopone da Todi, Stabat Mater
Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-27.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
IL COMMENTO
Non vi è maternità senza dolore. Anche se in questa epoca, che rifugge il dolore come nessun'altra, tra il moltiplicarsi di parti cesarei e anestetizzati, la sofferenza legata alla maternità sembra un tabù da cancellare. Ma il dolore del parto ha radice antica, nel peccato dei progenitori, al fondo dell'esistenza dell'uomo. "Dopo il peccato... Dio dice alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli” (Gen 3,16). L’orizzonte della morte si apre dinanzi all’uomo. Queste parole, al pari di quelle di Genesi 2,24, hanno un carattere prospettico. L'incisiva formulazione di Genesi 3,16 sembra riguardare il complesso dei fatti, che in certo modo sono emersi già nell'originaria esperienza della vergogna, e che successivamente si manifesteranno in tutta l'esperienza interiore dell'uomo «storico». La storia delle coscienze e dei cuori umani avrà in sé la continua conferma delle parole contenute in Genesi 3,16... Quelle parole, pronunciate quasi alla soglia della storia umana dopo il peccato originale, ci svelano non soltanto la situazione esteriore dell'uomo e della donna, ma ci consentono anche di penetrare all'interno dei profondi misteri del loro cuore" (Giovanni Paolo II, Catechesi dell'8 giugno 1980).
Il dolore che accompagna il parto è un segno tangibile della condizione umana. E' il castigo, ma anche la cruda conseguenza della libertà tradita dalla superbia, il salario che ci consegna il peccato. E' un fatto, è lì, come lo sono la morte, la malattia, il sudore sulla fronte affaticata dal lavoro, le difficoltà e le tensioni nelle relazioni umane, specie in quelle delle coppie. Eppure il dolore del parto segna anche quel legame carnale e profondo che lega il figlio a sua madre, il segno della ferita trasmessa che li unisce nella mendicanza di amore e redenzione. Una madre impara a conoscere intimamente le sofferenze del figlio custodendolo in grembo e partorendolo a prezzo di dolori lancinanti. E' l'amore crocifisso, che si purifica tra grida, lacrime e angosce, che impara la gratuità sulle orme della debolezza.
Quel grido è il dolore unito alla paura che definisce la grandezza e la debolezza di una donna come madre; racchiude l'essenza stessa della maternità, quell'unicum che la pone sulla soglia che separa carne e spirito, terra e Cielo. Come la Donna dell'Apocalisse (cfr. Ap. 12, 1 ss) che grida per i dolori del parto, stretta dal drago teso a rapirle il frutto del grembo, ed il Cielo dove è rapito il figlio appena partorito. Ogni donna grida dal versante della carne e del peccato, impaurita dalla morte, ma è un grido che è profezia d'un parto di speranza, di misericordia e vita eterna. Il parto è già segno del combattimento escatologico tra la vita e la morte, tra la menzogna e la verità, a cui, ogni madre, misteriosamente, è associata. Il grido di dolore che accompagna il parto è la porta sulla vita, la memoria d'una realtà che spera un di più.
E Maria era lì, su quella porta. Maria guardava, fissava quel suo Figlio crocifisso, sulla soglia di quella morte che dischiudeva la vita. Era lì, e la spada a trapassarle l'anima. Il dolore nella carne da cui era stata preservata durante il parto nella notte di Betlemme si destava in quell'ora, l'ora del suo Figlio, la sua stessa ora. Ed era un dolore acuto, dolore di parto, quel dare alla luce misterioso che la univa al Figlio nella stessa opera di salvezza. Ogni dolore, di ogni uomo, di ogni tempo, s'era addensato nel corpo e nell'anima del suo Figlio. Non poteva non raggiungere Lei, la Madre. Era coinvolta nello stesso travaglio, e così diventava, lì presso la Croce, Madre della Chiesa nascente. La riceveva dal suo Figlio, dal suo sguardo, dalle sue parole, dal fianco che di lì a poco sarebbe stato ferito per dare alla luce, nel sangue e nell'acqua, la Sposa senza macchia e senza ruga.
La Chiesa nasce così nel dolore per poter lenire ogni dolore. Maria lo sentiva quel dolore, le trapassava l'anima, e il suo sguardo addolorato del dolore stesso del Figlio si è posato sul discepolo amato. Lo sguardo di compassione del Figlio, che da Lei aveva preso le sembianze terrene, si trasfigurava ora nel suo volto di Madre, ed era lo sguardo compassionevole di Dio che varcava, con dolore, la soglia della morte per dischiudere al mondo la Vita che non muore.
E in quello sguardo il discepolo diviene figlio nel suo Figlio, partorito, accolto e amato nell'amore del Figlio. Madre e Figlio uniti in un unico parto d'amore, nel dare Vita che non muore ad un popolo innumerevole. In quello sguardo fecondo s'immerge così lo sguardo del discepolo, generato nel dolore di Gesù e di Maria. La Madre conosce quel discepolo come conosce suo Figlio, e conoscendolo nel dolore lo può amare ed accompagnare come una madre. Colei che non aveva conosciuto il peccato originale ne provava il dolore che ne deriva per poter compatire, e aver misericordia, e accogliere, istante dopo istante ogni suo figlio. "Intimamente arricchita da questa ineffabile esperienza, Ella s'accosta a chi soffre, lo prende per mano, lo invita a salire con Lei sul Calvario e a sostare davanti al Crocifisso" (Giovanni Paolo II, Angelus del 15 settembre 1991). E' l'amore di Maria, l'amore celeste che costituisce la Chiesa e la fa un segno vivo ed autentico dell'amore di Dio.
Al discepolo, a ciascuno di noi, non resta che accogliere Maria nella nostra casa, nella nostra intimità, laddove siamo, così come siamo. Lei ci ha partoriti, e continua ogni giorno ad amarci come per partorirci ancora alla Vita nuova. Lei conosce tutto di noi, ci è Madre nel dolore, esattamente in quello che ci impedisce la pienezza e la felicità. Maria ci è madre nelle ferite della vita, nella solitudine, nell'amarezza, nelle angosce, perchè di nessuna è indifferente, tutte la riguardano, ciascuna ha ferito il suo stesso cuore. Maria è immagine della Chiesa. Essa ci accoglie di nuovo ogni istante, perchè anche noi di nuovo, ad ogni caduta, presso ogni croce, possiamo incontrare lo sguardo misericordioso di Dio impresso in quello di nostra Madre; ad ogni Golgota il suo sguardo ci cerca con amore, per poterla accogliere, e farne la nostra intimità, come ciascuno di noi è già, nel suo cuore di Madre, la sua intimità più preziosa. Quella di suo Figlio, nel quale siamo suoi figli. E con Lei e il suo Figlio, vivere il nostro dolore come parte della fecondità divina. Con Lei impariamo a vedere trasfigurata ogni sofferenza, e divenire anche noi "viscere di misericordia" per il mondo; scoprire di essere madri di ogni sofferente nella maternità dolorosa e misteriosa che fa della nostra vita una "particella" dell'opera salvifica di Dio: "Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima Particella dell'infinito tesoro della Redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri" (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, n. 27).
Sant'Antonio da Padova: Un duplice parto: il primo nella gioia, il secondo nel dolore.
«E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,35). Il dolore che la beata Vergine Maria soffrì nella passione del suo Figlio fu come una spada che trapassò la sua anima. È quanto dice Isaia: «Prima di avere i dolori ha partorito» (Is 66,7). Il parto della beata Vergine Maria fu duplice: uno nella carne e l'altro nello spirito. Il parto della carne fu verginale e ricolmo di ogni gioia, perché la beata Vergine partorì senza dolore il «gaudio degli angeli». E quindi dice insieme con Sara: «Il Signore mi ha dato il sorriso, e chiunque lo saprà, sorriderà con me» (Gn 21,6).
Con la beata Maria dobbiamo sorridere e godere della nascita del Figlio suo; ma dobbiamo partecipare anche al suo dolore: nella passione del Figlio la sua anima fu trapassata da una spada, e quello fu il secondo parto, doloroso e ricolmo di ogni amarezza. E questo non deve far meraviglia, perché quel Figlio di Dio che lei, per opera dello Spirito Santo, vergine aveva concepito e vergine aveva dato alla luce, lo vedeva appeso alla croce con i chiodi, sospeso tra due ladroni. C'è forse da meravigliarsi, se una spada le trapassò l'anima? «Considerate e vedete se c'è un dolore simile al suo dolore!» (Lam 1,12). Prima dunque di partorirlo nella passione, lo partorì nel giorno della natività (prima di partorirlo nel dolore, lo partorì nella gioia).
(Sant'Antonio, Sermoni, I domenica dopo Natale, § 14)
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d'Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa Omelia sulla croce per il Venerdì Santo, 2 ; PG 49, 396
«Stava presso la croce di Gesù sua madre»
Vedi questa vittoria mirabile ? Vedi i successi della Croce ? Ti sto per dire ora una cosa più stupenda. Considera il modo con il quale questa vittoria si è realizzata, e sarai più stupito ancora. Cristo ha dominato il demonio proprio mediante ciò che gli aveva permesso di vincere. Ha combattuto il demonio con le sue stesse armi. Ascolta come. Una vergine, il legno e la morte, ecco i simboli della disfatta. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all'uomo ; il legno, era l'albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo.
Vedi che il demonio è stato vinto mediante ciò che gli aveva dato la vittoria ? Mediante l'albero, aveva vinto Adamo ; mediante la croce, Cristo ha trionfato sul demonio. L'albero mandava negli inferi, la croce ne ha fatto tornare coloro che vi erano scesi. Inoltre, l'albero servì a nascondere l'uomo vergognoso della sua nudità, mentre la croce ha alzato agli occhi di tutti un uomo nudo, ma vincitore.
Giovanni Paolo II: La Vergine Addolorata
"La Madre addolorata stava in piedi, piangendo presso la Croce, da cui pendeva il Figlio".
Oggi, 15 settembre, nel calendario liturgico ricorre la memoria dei dolori della Beata Vergine Maria. Essa è preceduta dalla festa dell'Esaltazione della Santa Croce, che abbiamo celebrato ieri.
Quale sconvolgente mistero è la Croce! Dopo aver a lungo meditato su di esso, San Paolo così scriveva ai cristiani della Galazia: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Gal 6, 14).
Anche la Vergine Santissima avrebbe potuto ripetere - e con maggior verità! - queste stesse parole. Contemplando sul Calvario il Figlio morente, Ella aveva infatti capito che il "vanto" della sua maternità divina raggiungeva in quel momento il suo culmine partecipando direttamente all'opera della Redenzione. Aveva inoltre capito che ormai il dolore umano, fatto proprio dal Figlio crocifisso, acquistava un valore inestimabile.
Oggi, dunque, la Vergine Addolorata, ritta accanto alla Croce, con la muta eloquenza dell'esempio ci parla del significato della sofferenza nel piano divino della Redenzione.
Ella, per prima, ha saputo e voluto partecipare al mistero salvifico, "associandosi con animo materno al sacrificio di Cristo, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da Lei generata" (Lumen Gentium, 58). Intimamente arricchita da questa ineffabile esperienza, Ella s'accosta a chi soffre, lo prende per mano, lo invita a salire con Lei sul Calvario e a sostare davanti al Crocifisso.
In quel corpo martoriato c'è l'unica risposta convincente agli interrogativi che salgono imperiosi dal cuore. E con la risposta c'è anche la forza necessaria per assumere il proprio posto in quella lotta, che oppone le forze del bene a quelle del male (cfr. Ioannis Pauli PP. II, Salvifici doloris, n. 27). "Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima Particella dell'infinito tesoro della Redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri" (Ibid.).
Chiediamo alla Madonna Addolorata di alimentare in noi la fermezza della fede e l'ardore della carità, per saper portare con coraggio la nostra croce quotidiana (cfr. Lc 9, 23) e così partecipare efficacemente all'opera della Redenzione.
Angelus, 15 settembre 1991
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