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Giovedì della XXIX settimana del Tempo Ordinario. Approfondimenti




 Paolo Miki fu arrestato nel 1596. 
E quando fu trasferito in carcere vi trovò altri missionari,
catechisti laici, ragazzi chierichetti giovanissimi (15 anni circa).
Furono invitati tutti a rinnegare la propria religione ma nessuno lo fece. 
Furono minacciati a morte, mutilati (taglio di un orecchio), 
esposti al ludibrio e alla vergogna durante il viaggio di trasferimento, 
ma nessuno cedette. 
L’esecuzione doveva avvenire per crocifissione, a Nagasaki. 
Così erano gli ordini, che furono eseguiti il giorno 5 febbraio. 
Erano 26 cristiani. 

Piantate le croci, fu meraviglioso vedere in tutti 
quella fortezza alla quale li esortava sia Padre Pasio, sia Padre Rodriguez. 
Il nostro fratello Paolo Miki, 
vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, 
per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese 
e di appartenere alla Compagnia di Gesù, 
di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso
Quindi soggiunse: 
«Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità
Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. 
Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, 
io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte
e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».

E morirono qualcuno pregando in silenzio, 
qualche altro cantando i salmi, 
tutti perdonando ad alta voce il loro persecutore 
e i carnefici che eseguivano gli ordini di morte. 
Erano i primi martiri cristiani in terra di Giappone. 
Correva l’anno 1597.















Passione di Paolo Miki e compagni


Piantate le croci, fu meraviglioso vedere in tutti quella fortezza alla quale li esortava sia Padre Pasio, sia Padre Rodriguez. Il Padre commissario si mantenne sempre in piedi, quasi senza muoversi, con gli occhi rivolti al cielo. Fratel Martino cantava alcuni salmi per ringraziare la bontà divina, aggiungendo il versetto: «Mi affido alle tue mani» (Sal 30,6). Anche Fratel Francesco Blanco rendeva grazie a Dio ad alta voce. Fratel Gonsalvo a voce altissima recitava il Padre Nostro e l’Ave Maria.
Il nostro fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso. Quindi soggiunse: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Si rivolse quindi ai compagni, giunti ormai all’estrema battaglia, e cominciò a dir loro parole di incoraggiamento.
Sui volti di tutti appariva una certa letizia, ma in Ludovico era particolare. A lui gridava un altro cristiano che presto sarebbe stato in Paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori. Antonio, che stava di fianco a Ludovico, con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione catechista; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo.
Altri infine ripetevano: «Gesù! Maria!», con volto sereno. Alcuni esortavano anche i circostanti ad una degna vita cristiana; con questi e altri gesti simili dimostravano la loro prontezza di fronte alla morte.
Allora quattro carnefici cominciarono ad estrarre dal fodero le spade in uso presso i giapponesi. Alla loro orribile vista tutti i fedeli gridarono: «Gesù! Maria!» e quel che è più, seguì un compassionevole lamento di più persone, che salì fino al cielo. I loro carnefici con un primo e un secondo colpo, in brevissimo tempo, li uccisero.


Dalla Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni scritta da un autore contemporaneo (Cap. 14, pp. 109-110; Acta Sanctorum Febr. 1, 769)





Benedetto XVI. Commento a Lc. 12,49-53


Cari fratelli e sorelle!


C’è un’espressione di Gesù, nel Vangelo di questa domenica, che attira ogni volta la nostra attenzione e richiede di essere ben compresa. Mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la morte di croce, Cristo confida ai suoi discepoli: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". E aggiunge: "D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera" (Lc 12,51-53). Chiunque conosca minimamente il Vangelo di Cristo, sa che è messaggio di pace per eccellenza; Gesù stesso, come scrive san Paolo, "è la nostra pace" (Ef  2,14), morto e risorto per abbattere il muro dell’inimicizia e inaugurare il Regno di Dio che è amore, gioia e pace. Come si spiegano allora queste sue parole? A che cosa si riferisce il Signore quando dice di essere venuto a portare – secondo la redazione di san Luca – la "divisione", o – secondo quella di san Matteo – la "spada" (Mt 10,34)?


Questa espressione di Cristo significa che la pace che Egli è venuto a portare non è sinonimo di semplice assenza di conflitti. Al contrario, la pace di Gesù è frutto di una costante lotta contro il male. Lo scontro che Gesù è deciso a sostenere non è contro uomini o poteri umani, ma contro il nemico di Dio e dell’uomo, Satana. Chi vuole resistere a questo nemico rimanendo fedele a Dio e al bene deve necessariamente affrontare incomprensioni e qualche volta vere e proprie persecuzioni. Perciò, quanti intendono seguire Gesù e impegnarsi senza compromessi per la verità devono sapere che incontreranno opposizioni e diventeranno, loro malgrado, segno di divisione tra le persone, addirittura all’interno delle loro stesse famiglie. L’amore per i genitori infatti è un comandamento sacro, ma per essere vissuto in modo autentico non può mai essere anteposto all’amore di Dio e di Cristo. In tal modo, sulle orme del Signore Gesù, i cristiani diventano "strumenti della sua pace", secondo la celebre espressione di san Francesco d’Assisi. Non di una pace inconsistente e apparente, ma reale, perseguita con coraggio e tenacia nel quotidiano impegno di vincere il male con il bene (cfr Rm 12,21) e pagando di persona il prezzo che questo comporta.


La Vergine Maria, Regina della Pace, ha condiviso fino al martirio dell’anima la lotta del suo Figlio Gesù contro il Maligno, e continua a condividerla sino alla fine dei tempi. Invochiamo la sua materna intercessione, perché ci aiuti ad essere sempre testimoni della pace di Cristo, mai scendendo a compromessi con il male.






Fuoco sulla terra


       "Fuoco sono venuto a portare sulla terra" (Lc 12,49). Non si tratta certo di fuoco che consuma i buoni, ma del fuoco che suscita la buona volontà, che rende migliori i vasi d’oro della casa del Signore, consumando il fieno e la paglia (cf. 1Co 3,12ss). Questo fuoco divino divora tutte le cose del mondo accumulate dalla voluttà, brucia le opere effimere della carne, ed è quello stesso che infiammava le ossa dei profeti, come dice il santo Geremia: "È divenuto come un fuoco ardente che infiamma le mie ossa" (Jr 20,9). È infatti il fuoco del Signore, a proposito del quale sta scritto: "Un fuoco arderà davanti a lui" (Ps 96,3). Ma il Signore medesimo è fuoco, dato che egli stesso ha detto: "Io sono il fuoco che brucia e non si consuma" (Ex 3,2 Ex 24,17 Dt 4,24 He 12,29); il fuoco del Signore è infatti la luce eterna, ed è a questo fuoco che si accendono le lucerne delle quali poco prima ha detto: "I vostri fianchi siano cinti e le lampade accese" (Lc 12,35). La lampada è necessaria, perché i giorni di questa vita sono come notte. Ammaus e Cleopa testimoniano che il Signore ha messo questo fuoco anche in loro, quando dicono: "Or non ci ardeva il cuore per via, mentre ci spiegava le Scritture?" (Lc 24,32). Essi così hanno manifestato con evidenza qual è l’azione di questo fuoco, che illumina l’intimo del cuore. È forse proprio per questo che il Signore verrà nel fuoco (Is 66,15-16), per consumare tutte le colpe al momento della risurrezione, ricolmare con la sua presenza i desideri di ciascuno, e proiettare la sua luce sui meriti e sui misteri...


       Come potrebbe allora il Signore essere "la nostra pace, egli che di due ne fece uno?" (Ep 2,14). E com’è che egli stesso dice: "Io vi do la mia pace, vi lascio la mia pace" (Jn 14,27), se è venuto per separare i padri dai figli, e i figli dai padri, distruggendo i loro vincoli? Come può essere "maledetto chi non onora suo padre" (Dt 27,16), e religioso chi lo abbandona?


       Ma se noi ci ricordiamo che la religione sta al primo posto e al secondo la pietà, comprenderemo anche come sia facile questa questione: tu devi infatti porre l’umano dopo il divino. Se abbiamo doveri d’amore verso i genitori, quanto maggior dovere non abbiamo per il Padre dei nostri genitori, cui dobbiamo riconoscenza anche per i nostri stessi genitori? E, se essi non riconoscono il loro Padre, come potrai tu riconoscerli? Il Signore non dice che si deve rinunciare ai parenti, ma che si deve anteporre a tutti Dio. Perciò in un altro libro tu puoi leggere- "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me" (Mt 10,37). Non ti è vietato di amare i tuoi genitori, ma ti è vietato di preferirli a Dio: gli affetti naturali sono infatti un beneficio del Signore, e nessuno deve amare il beneficio più di Dio stesso che gliel’ha concesso.


       Dunque, anche stando al solo significato letterale, a coloro che intendono con pietà non manca una spiegazione religiosa. Tuttavia stimiamo che c’è da cercare un significato più profondo, per quello che egli aggiunge...


       Così, fino a quando, a causa dell’unione dei vizi, vi era nella stessa casa un accordo indivisibile e inseparabile, sembrava che non vi fosse alcuna divisione. Ma quando Cristo portò sulla terra il fuoco, con cui egli consuma le colpe della carne, e la spada, che significa il dispiegamento della potenza in atto, che penetra nell’intimo dello spirito e delle midolla (He 4,12), allora la carne e l’anima, rinnovate nel mistero della rigenerazione, dimenticando ciò che erano e cominciando a essere ciò che non erano, si separano dalla compagnia antica del vizio, amato sino a quel momento, e spezzano tutti i legami con la loro degenere posterità. È così che i genitori sono divisi e si pongono contro i figli, in quanto la nuova temperanza del corpo rinnega l’antica intemperanza, e l’anima evita ogni legame con la colpa, né resta più posto per la straniera venuta dal di fuori, la voluttà.


       Ambrogio, In Luc., 7, 132, 135 s., 145





Il fuoco dello Spirito Santo


       Tali erano il loro torpore e la loro pigrizia congiunti a invidia: duplice vizio che noi dobbiamo con forza espellere dalla nostra anima.


       Ma per poterlo combattere, bisogna essere più ardenti del fuoco. Per questo Gesù dice: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che desidero se non che si accenda?" (Lc 12,49). E per lo stesso motivo lo Spirito Santo apparve in terra sotto forma di fuoco.


       Eppure, dopo tutto questo, noi restiamo più freddi della cenere e più insensibili dei morti. Non ci commoviamo affatto al vedere Paolo elevarsi al di sopra del cielo, passare anzi di cielo in cielo più veemente di una fiamma, vincere tutti gli ostacoli e porsi al di sopra degli inferi e dei supremi, del presente e dell’avvenire, di ciò che è e di ciò che non è. Se questo esempio vi sembra troppo grande, ebbene ciò è segno della vostra rilassatezza. Che cosa ha Paolo più di voi, per dire che vi è impossibile imitarlo? Ma per non insistere su questo punto, lasciamo da parte Paolo e gettiamo uno sguardo sui primi cristiani: denaro, proprietà, onori mondani, affari terreni, essi gettarono via tutto, per donarsi tutti interi a Dio per meditare giorno e notte sugli insegnamenti della sua paroia. Ecco qui il fuoco dello Spirito Santo: esso non tollera che si abbia alcun desiderio delle cose di questo mondo, in quanto ci conduce verso un altro amore. Perciò colui che prima amava le cose terrene, ora, anche se occorresse donare tutto quanto possiede, abbandonare le gioie di questa terra, disprezzare la gloria e dare la sua stessa vita, farà tutto ciò con meravigliosa facilità. Infatti quando l’ardore di questo fuoco è entrato nell’anima dell’uomo, esso scaccia l’indifferenza e la pigrizia. Questo fuoco rende l’anima che ne è invasa più leggera di una piuma e le conferisce inoltre la capacità di disprezzare tutte le cose terrene. Quest’uomo rimane sempre in un perpetuo pentimento e nella contrizione. Piange senza tregua e trova grande sollievo e gioia nelle sue lacrime.


       Di certo, non c’è niente che congiunga e unisca più strettamente a Dio di queste lacrime. Colui che si trova in tali condizioni, anche se vive in città, è come se abitasse in un eremo nel deserto, su una montagna o nella foresta. Egli non rivolge più uno sguardo alle cose presenti, non si sazia di gemere e piange per i propri peccati come per quelli degli altri. Per questo Gesù proclama beati, prima di altri, gli uomini di tal genere, dicendo: "Beati quelli che piangono!" (Mt 5,5). Ma in qual senso allora -mi direte voi - Paolo ha detto: "State sempre allegri nel Signore" (Ph 4,4)? Lo ha detto per esprimere la gioia che queste lacrime suscitano. Infatti, come la gioia terrena ha sempre per compagna la tristezza, così le lacrime che si versano per amore di Dio, fanno fiorire nell’anima una beatitudine che non muore né appassisce mai. Fu così che quella peccatrice, di cui parla il Vangelo, divenne più pura delle stesse vergini, in quanto era stata presa totalmente da questo fuoco divino. Quando fu infiammata dal fervore della penitenza, arse d’amore per Cristo. Sciolse i suoi capelli, bagnò i piedi di Gesù con le lacrime, li asciugò con la sua chioma e versò su di essi il profumo. Tutto questo avveniva esteriormente, ma i sentimenti della sua anima erano assai più ardenti d’ogni esterna manifestazione e solo Dio li vedeva! Ecco, tutti coloro che ascoltano la sua storia, si rallegrano con lei per le sue sante azioni e la considerano purificata da tutti i suoi peccati.


       Come l’aria diviene più pura dopo violente piogge, così dopo questa effusione di lacrime lo spirito diviene tranquillo e sereno e le nubi del peccato si dissipano del tutto. Come siamo purificati nel Battesimo, grazie all’acqua e allo Spirito, così lo siamo nella penitenza grazie alle lacrime e alla confessione dei peccati, sempre che non facciamo questo per ostentazione o per vanagloria. Infatti, colei che piange con simili intenzioni, è più degna ancora di condanna di quella che si trucca in ogni modo il volto per il desiderio di apparire più bella. Quanto a me, io cerco le lacrime che non sono sparse per ostentazione, ma per contrizione, quelle lacrime che si versano segretamente, nel più nascosto recesso della propria casa, senza che nessuno veda; quelle lacrime che scorrono in silenzio e in profonda quiete, che escono dall’intimo del cuore, che nascono dal dolore e dalla tristezza e si versano per Dio solo. Di tal genere sono le lacrime di Anna, di cui la Scrittura dice che "muoveva le labbra senza che si udisse la sua voce" (1S 1,13). Ma anche solo le sue lacrime effondevano un suono più squillante di una tromba. Per questo Dio la guarì dalla sua sterilità e di una rocca dura fece un campo fertile.


       Crisostomo Giovanni, In Matth., 6, 4-5





 Dio è Spirito


       "Dio è Spirito e coloro che lo adorano debbono adorarlo in Spirito e in verità" (Jn 4,24). "Dio nostro è anche un fuoco che divora" (Dt 4,24). Dio dunque è chiamato con due nomi: "Spirito e fuoco:" Spirito per i giusti, fuoco per i peccatori. Ma anche gli angeli sono del pari chiamati spirito e fuoco: "Egli fa dei suoi angeli degli spiriti" - dice la Scrittura - "e dei suoi servi un fuoco ardente" (Ps 104,4 He 1,7). Gli angeli sono spiriti per tutti i santi, ma sottomettono al fuoco e alle fiamme coloro che meritano di essere puniti. In questo senso anche il nostro Signore e Salvatore, pur essendo Spirito, "è venuto a portare il fuoco sulla terra" (Lc 12,49). Egli è Spirito secondo queste parole della Scrittura: "Quando tu ti sarai convertito al Signore cadrà il velo" (2Co 3,16) e "il Signore è lo Spirito" (Jn 4,24 2Co 3,17).


       Peraltro egli è «venuto a portare il fuoco», non nel cielo ma «sulla terra», come egli stesso dimostra con queste parole: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che altro desidero se non che divampi?" (Lc 12,49). Se infatti «ti sarai convertito al Signore» che è "Spirito", il Cristo sarà "Spirito" per te, e non sarà venuto per te a «portare il fuoco sulla terra». Ma se al contrario rifiuti di convertirti a lui, e se possiedi la terra e i suoi frutti, «egli è venuto a portare il fuoco sulla terra», che è in te. La Scrittura parla anche di Dio in termini analoghi: «Il fuoco della mia collera si è acceso», non soltanto fino al cielo, ma «fino al fondo dell’inferno», ed «esso consumerà», non il cielo, ma "la terra e i suoi germogli" (Dt 32,22).


       Per quale motivo ho ricordato tutto questo? Perché il Battesimo di Gesù è anche un Battesimo «nello Spirito Santo e nel fuoco». Senza dimenticare ciò che ho detto prima, né perdere di vista l’interpretazione data più sopra, voglio aggiungerne una nuova. Se tu sei santo, sarai battezzato nello Spirito Santo; se sei peccatore, sarai precipitato nel fuoco; e un medesimo battesimo diverrà condanna e fuoco per i peccatori indegni; ma i santi, che si convertono al Signore con fede completa, riceveranno la grazia dello Spirito Santo e la salvezza.


       Origene, In Luc., 26, 1-3





 Il battesimo di sangue


       Noi abbiamo anche un secondo lavacro: è quello stesso del quale il Signore dice, dopo essere stato battezzato nel Giordano: "Devo essere battezzato con un battesimo". Era venuto, come scrive Giovanni, per essere battezzato con l’acqua e col sangue; con l’acqua per lavarsi, col sangue per essere glorificato. E poi, per far di noi dei "chiamati" con l’acqua e degli "eletti" col sangue, trasse due battesimi dalla ferita del suo petto, perché, coloro che credono nel sangue fossero lavati dall’acqua e quelli che si son lavati con l’acqua, debbano lavarsi anche col sangue. Questo è il Battesimo che può sostituire la lavanda che non è stata fatta e restituire anche quella che è andata perduta!


       Tertulliano, De baptismo, XVI, 1-10






Dietrich Bonhoeffer. La grazia a caro prezzo


La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa. Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo.


Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese. L'essenza della grazia, così si dice, è appunto questo, che il conto è stato pagato in anticipo, per tutti i tempi. E così, se il conto è stato saldato, si può avere tutto gratis. Le spese sostenute sono infinitamente grandi, immensa è quindi anche la possibilità di uso e di spreco. Che senso avrebbe una grazia che non fosse grazia a buon prezzo?


Grazia a buon prezzo è grazia intesa come dottrina, come principio, come sistema; è perdono dei peccati inteso come verità generale, come concetto cristiano di Dio. Chi la accetta, ha già ottenuto il perdono dei peccati. La Chiesa che annunzia questa grazia, in base a questo suo insegnamento è già partecipe della grazia. In questa Chiesa il mondo vede cancellati, per poco prezzo, i peccati di cui non si pente e dai quali tanto meno desidera essere liberato. Grazia a buon prezzo, perciò, è rinnegamento della Parola vivente di Dio, rinnegamento dell'incarnazione della Parola di Dio.


Grazia a buon prezzo è giustificazione non del peccatore, ma del peccato. Visto che la grazia fa tutto da sé, tutto può andare avanti come prima. «È inutile che ci diamo da fare». Il mondo resta mondo e noi restiamo peccatori «anche nella migliore delle vite». Perciò anche il cristiano viva come vive il mondo, si adegui in ogni cosa al mondo e non si periti in nessun modo - a scanso di essere accusato dell'eresia di fanatismo - di condurre, sotto la grazia, una vita diversa da quella che conduceva sotto il peccato. Si guardi bene dall'infierire contro la grazia, dall'offendere la grande grazia data a buon prezzo, dall'erigere una nuova schiavitù dell'interpretazione letterale, tentando di condurre una vita in obbedienza ai comandamenti di Gesù Cristo! Il mondo è giustificato per grazia, e perciò - in nome della serietà di questa grazia! per non opporsi a questa insostituibile grazia! ~ il cristiano viva come vive il resto del mondo! Certo, il cristiano desidererebbe fare qualcosa di straordinario; è senza dubbio la rinuncia più difficile quella di non farlo, ma di dover vivere come il mondo! Ma il cristiano deve accettare questo sacrificio, essere pronto a rinunciare a se stesso e a non distinguersi, nel suo modo di vivere, dal mondo. Deve lasciare che la grazia sia veramente grazia, in modo da non distruggere la fede del mondo in questa grazia a buon prezzo. Il cristiano sia, nella sua vita secolare, in questo sacrificio inevitabile che deve compiere per il mondo - anzi, per la grazia! - tranquillo e sicuro nel possesso di questa grazia che fa tutto da sé. Il cristiano, dunque, non segua Cristo, ma si consoli della grazia! Questa grazia a buon prezzo, che è giustificazione del peccato, e non giustificazione del peccatore penitente che si libera dal suo peccato e torna indietro; non perdono del peccato che separa dal peccato. Grazia a buon prezzo è quella grazia che noi concediamo a noi stessi.


Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è Santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato.


Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l'uomo va e vende tutto ciò che ha, con gioia; la perla preziosa, per il cui acquisto il commerciante dà tutti i suoi beni; la Signoria di Cristo, per la quale l'uomo si cava l'occhio che lo scandalizza, la chiamata di Gesù Cristo che spinge il discepolo a lasciare le sue reti e a seguirlo.


Grazia a caro prezzo è "l'Evangelo che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo chiedere, la porta alla quale si deve sempre di nuovo picchiare.


È a caro prezzo perché ci chiama a seguire, è grazia, perché chiama a seguire Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l'uomo l'acquista al prezzo della propria vita, è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è cara, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figliolo - «siete stati comperati a caro prezzo» - e perché per noi non può valere poco ciò che a Dio è costato caro. È soprattutto grazia, perché Dio non ha ritenuto troppo caro il suo Figlio per riscattare la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia cara è l'incarnazione di Dio.


Grazia a caro prezzo è la grazia ritenuta cosa sacra a Dio, che deve essere protetta di fronte al mondo, che non deve essere gettata ai cani; è grazia perché Parola vivente, Parola di Dio, che lui stesso pronuncia come gli piace. Essa ci viene incontro come misericordioso invito a seguire Gesù, raggiunge lo spirito umiliato ed il cuore contrito come parola di perdono. La grazia è a caro prezzo perché aggioga l'uomo costringendolo a seguire Gesù Cristo, ma è grazia il fatto che Gesù ci dice: «Il mio giogo è soave e il mio peso leggero».


Due volte è stata rivolta a Pietro la chiamata: seguimi!


È stata la prima e l'ultima parola di Gesù al suo discepolo (Mc 1,17; Gv. 21,22). Tutta la vita di questo è posta tra queste due chiamate. La prima volta Pietro ha sentito l'invito di Gesù sul lago di Genezaret ed ha abbandonato le sue reti, la sua professione, e lo ha letteralmente seguito. L'ultima volta il Risorto lo trova di nuovo nella sua professione di prima, sul lago di Genezaret, ed ancora una volta gli dice: seguimi! Frammezzo c'è stata tutta una vita di discepolato al seguito di Cristo; al centro la sua professione di fede in Gesù come il Cristo (l'unto) di Dio. Tre volte a Pietro fu annunziata la stessa cosa: al principio e alla fine a Cesarea di Filippo, che, cioè, Cristo è il suo Dio e il suo Signore. È la stessa grazia di Dio che lo chiama: seguimi! e che si manifesta nella sua professione di fede nel Figlio di Dio.


Per tre volte la grazia si è fermata sulla via di Pietro: una grazia annunziata tre volte in maniera diversa; e così fu la grazia di Cristo stesso, e non certo una grazia che il discepolo si annunziava da se stesso. Fu la stessa grazia di Cristo che vinse il discepolo e lo indusse ad abbandonare tutto per seguirlo, la stessa che operò in lui la professione di fede, che a tutto il mondo doveva apparire una blasfemia, la stessa che richiamò l'infedele Pietro alla comunione del martirio e gli perdonò così tutti i peccati. Grazia e seguire Cristo, nella vita di Pietro, sono indissolubilmente legati. Egli aveva ricevuto la grazia a caro prezzo.


Con la diffusione del cristianesimo e la progressiva secolarizzazione della Chiesa, a poco a poco la conoscenza della grazia a caro prezzo andò perduta. Il mondo era cristianizzato; la grazia era divenuta un bene comune a tutto il mondo cristiano. La si poteva ottenere a poco prezzo. Ma la chiesa romana conservò un resto della sua conoscenza primitiva. Fu un fatto di importanza decisiva che il monachesimo non si separò dalla Chiesa e che la prudenza della chiesa sopportò il monachesimo. Qui, ai margini della Chiesa, era il luogo dove si manteneva ancora viva la conoscenza del prezzo della grazia, dove si sapeva che la grazia è a caro prezzo, che la grazia include la necessità di seguire Gesù. Ci furono uomini che per amore di Cristo abbandonavano tutto ciò che possedevano e cercavano di seguire, in quotidiano esercizio, i severi comandamenti di Gesù. E la vita monastica divenne una protesta vivente contro la secolarizzazione del cristianesimo, contro il rinvilimento del1a grazia. Ma la Chiesa, sopportando questa protesta e non permettendo che scoppiasse completamente, non solo la relativizzò, ma, anzi, ne trasse persino la giustificazione della sua propria vita secolarizzata; perché così la vita monastica divenne una particolare opera meritoria di singoli, alla quale il popolo non poteva essere impegnato in massa. La fatale limitazione dei comandamenti di Gesù, ritenuti validi solo per un determinato gruppo di persone particolarmente qualificate, portò alla distinzione in prestazione massima e prestazione minima dell'obbedienza cristiana.


E così ad ogni ulteriore attacco contro la secolarizzazione della Chiesa si poteva rispondere rimandando alla vita monastica entro la Chiesa, accanto alla quale l'altra possibilità di una via più facile era senz'altro giustificata. Così il rinvio al concetto di grazia a caro prezzo com'era inteso nella chiesa primitiva e come fu mantenuto nella chiesa di Roma mediante il monachesimo, servì paradossalmente a sua volta a dare l'ultima giustificazione alla secolarizzazione della Chiesa. In tutto ciò l'errore fondamentale del monachesimo non consisteva nel fatto che - con tutti i malintesi di contenuto di fronte alla volontà di Gesù - esso aveva scelto la via della grazia nella severa imitazione di Gesù; il monachesimo, piuttosto, si allontanava fondamentalmente dal cristianesimo per il fatto che permise che la sua via divenisse un'opera particolare di alcuni pochi e pretendeva che si vedesse in questa via un particolare merito. 


Se Faust, alla fine della sua vita spesa nello sforzo di conoscere, dice: «Riconosco che non possiamo sapere nulla», questo è un risultato ed ha un senso ben diverso che se uno studente di primo anno si arroga tale frase per giustificare con essa la sua pigrizia (Kierkegaard). Come risultato l'affermazione è vera, come presupposto è un autoinganno. Il che significa che non si può separare ciò che è stato riconosciuto dall'esistenza che ha portato a tale constatazione. Solo chi si trova al seguito di Gesù, dopo aver rinunciato a tutto ciò che aveva, può affermare di essere giustificato per sola grazia. Egli riconosce nell'invito stesso a seguire Gesù la grazia, e nella grazia questo invito. Chi, però, pensa di essere dispensato per via della grazia dal seguirlo inganna se stesso.


Ci siamo raccolti come corvi attorno al cadavere della grazia a buon prezzo, da essa abbiamo ricevuto il veleno che fece morire tra noi l'obbedienza a Gesù. La dottrina della grazia pura conobbe, sì, un'apoteosi senza pari, la dottrina pura della grazia divenne Dio stesso, la grazia stessa. Erano, in tutto, le parole di Lutero, eppure erano tramutate dalla verità in un autoinganno. Si diceva una volta che, se la nostra Chiesa ha la dottrina della giustificazione, è certo anche una Chiesa giustificata. La vera eredità di Lutero doveva, dunque, essere riconosciuta nel fatto che la grazia era resa accessibile ad un prezzo quanto mai minimo. Si considerava atteggiamento luterano lasciare che seguissero Gesù i legalisti, i riformati, i fanatici, - tutto per amore della grazia -, giustificare il mondo e dichiarare eretici i cristiani che seguivano Gesù. Un popolo era divenuto cristiano, luterano, ma sacrificando il desiderio di seguire Gesù; lo era divenuto a poco prezzo. La grazia a buon prezzo aveva vinto.


Ma lo sappiamo che questa grazia a buon prezzo è stata estremamente spietata verso di noi? Il prezzo che oggi dobbiamo pagare con la rovina delle chiese istituzionali non è forse la conseguenza necessaria della grazia acquistata troppo a buon prezzo? Predicazione e sacramenti venivano concessi ad un prezzo troppo basso; si battezzava, si cresimava, si dava l'assoluzione a tutto un popolo senza porre domande e senza mettere condizioni; per amore umano le cose sacre venivano dispensate a uomini sprezzanti e increduli; si distribuivano fiumi di grazia senza fine, mentre si udiva assai raramente l'invito a seguire Gesù con impegno. Dove restava ciò che aveva riconosciuto la Chiesa primitiva la quale, durante il catecumenato, vigilava tanto attentamente sulle frontiere tra Chiesa e mondo, sulla grazia cara? Dove restavano gli ammonimenti di Lutero di guardarsi dall'annunziare un Evangelo che tranquillizzasse gli uomini nella loro vita senza Dio? Quando mai il mondo fu cristianizzato in maniera più orrenda e funesta? Che cosa sono le tre migliaia di Sassoni uccisi da Carlo Magno fisicamente di fronte ai milioni di anime uccise oggi? Si è realizzato sopra di noi l'ammonimento che i peccati dei padri saranno puniti sopra i figli fino alla terza e quarta generazione. La grazia a buon prezzo si è mostrata alquanto spietata verso la nostra chiesa evangelica.


E spietata la grazia a buon prezzo lo è stata pure verso la maggior parte di noi personalmente. Non ci ha aperta la via verso Cristo, ma anzi l'ha bloccata. Non ci ha invitati a seguirlo, ma ci ha induriti nella disobbedienza. O non era forse spietato e duro se, dopo aver sentito l'invito a seguire Gesù come invito della grazia, dopo aver, forse, osato una volta fare i primi passi sulla via che ci portava a seguirlo nella disciplina dell'obbedienza al suo comandamento, fummo colti dalla parola della grazia a buon prezzo? Quale senso poteva avere per noi questa parola se non quello di un richiamo ad una sobrietà assai umana, inteso a fermare il nostro cammino, a soffocare in noi il piacere di seguire Gesù, con l'affermazione che questa era una via scelta solo da noi stessi, un impiego di forze, una fatica e una disciplina non solo inutili, ma addirittura dannosi? Infatti nella grazia tutto era già pronto e compiuto! Il lucignolo fumante fu spento in maniera spietata. Era spietato parlare in questo modo ad un uomo, perché egli, turbato da un'offerta così a buon prezzo, necessariamente lasciava la via alla quale era chiamato da Gesù, perché ora voleva afferrare la grazia a buon prezzo che gli precludeva per sempre la possibilità di riconoscere la grazia a caro prezzo. Non poteva essere diversamente; l'uomo debole, ingannato, possedendo la grazia a buon prezzo doveva sentirsi improvvisamente forte, mentre, in realtà, aveva perduto la forza di obbedire, di seguire Gesù. La parola della grazia a buon prezzo ha rovinato più uomini che non qualunque comandamento di buone opere.


Beati coloro che si trovano già alla fine del cammino che noi vogliamo percorrere, e che comprendono, pieni di meraviglia, quello che veramente non pare comprensibile, cioè che la grazia è a caro prezzo proprio perché è grazia pura, perché è grazia di Dio in Gesù Cristo. Beati coloro che, seguendo semplicemente Gesù Cristo, sono vinti da questa grazia, così che possono lodare con cuore umile la grazia di Cristo che sola agisce. Beati coloro che, avendo conosciuto questa grazia, possono vivere nel mondo senza perdersi in esso, che, seguendo Gesù Cristo, hanno acquistato una tale certezza della loro patria celeste, che sono veramente liberi per la vita in questo mondo. Beati coloro, per i quali seguire Gesù Cristo non ha altro significato che vivere della grazia, e per i quali grazia non ha altro significato che seguire Gesù Cristo. Beati coloro che sono divenuti cristiani in questo senso, coloro dei quali la grazia ha avuto misericordia.







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