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Mercoledì della XXIX settimana del Tempo Ordinario

Chagall: Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli

Così, col tempo, si può scoprire che Dio, 
nella sua Provvidenza onnipotente, 
può trarre un bene dalle conseguenze di un male
anche morale, causato dalle sue creature: 
“Non siete stati voi”, dice Giuseppe ai suoi fratelli, “a mandarmi qui, ma Dio; 
se voi avete pensato del male contro di me, 
Dio ha pensato di farlo servire a un bene
per far vivere un popolo numeroso”. 
Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, 
il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, 
causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, 
con la sovrabbondanza della sua grazia, 
ha tratto i più grandi beni: 
la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione. 
Con ciò, però, il male non diventa un bene.

Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 312




Dal Vangelo secondo Luca 12,39-48.


«Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». 
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 
Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 
il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.


IL COMMENTO


Vi sono, nella Storia come nella vita di ciascuno di noi, momenti diversi, come ci insegna Qoelet. Il tempo ci è dato per essere vissuto in pienezza, istante dopo istante. Si può vivere difendendosi o donandosi. Si può giocare la partita della vita chiudendosi a catenaccio oppure aprendosi e cercando di far gol. Si può essere avari o generosi, perchè il nostro destino si gioca sul molto che abbiamo ricevuto. Dio ci ha affidato un dono, la nostra vita, colmata dal molto suo amore rivelato in Cristo suo Figlio. E' un dono ma è anche una responsabilità. Ce ne verrà chiesto conto. Ed è la prima grande notizia di questo Vangelo: la vita è seria, non è frutto di un caso: "Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato). La bellezza di Cristo ha reso molto bella la nostra vita; per questo il dono diviene responsabilità: siamo amministratori di un bene che ci costituisce ma non ci appartiene; possiamo accogliere umilmente la bellezza per comunicarla agli altri, o rendere brutta la nostra vita chiudendola nel recinto dell'egoismo. "L'amministratore non è il proprietario, ma colui al quale il proprietario affida i suoi beni, affinchè li gestisca con giustizia e responsabilità" (Giovanni Paolo II, Dono e mistero). Quando si dimentica la gratuità dell'amore che ci ha raggiunto, facendolo oggetto della propria avidità, si diventa immediatamente irresponsabili: non più amministratori ma proprietari avari e impauriti. L'umiltà cede il passo all'arroganza e alla superbia, mentre infedeltà e stoltezza si sostituiscono alla fedeltà e alla saggezza. La vita perde così la serietà e diviene un contenitore vuoto da riempire con piaceri sempre più appaganti, nel terrore che giunga il ladro a strapparci il bene che abbiamo fatto nostro.  


La fedeltà e la saggezza invece ci conducono alla beatitudine. Nella notte del mondo esse ci guidano come lucerne accese che illuminano ogni aspetto della vita per discernere la volontà di Dio. Così ogni istante è vissuto come un kairos, un momento favorevole nel quale lavorare, l'ora in cui Cristo viene a compiere e dare pienezza al tempo e a raccogliere il frutto della nostra amministrazione. Chi ha gestito bene un'azienda attende con ansia il Consiglio di Amministrazione dove illustrare i dividendi e gli utili conseguiti. La fedeltà e la saggezza nell'amministrazione della vita è aprirla a tutti per donare l'amore di cui è stata colmata. Consegnare, senza riserve, se stessi. Ciò è possibile solo se si è autenticamente liberi. Per questo la fedeltà coincide con la libertà. Amministrare saggiamente è riconoscere in ogni persona, in ogni evento il kairos, il tempo opportuno, nel quale dare, letteralmente, la misura di grano a chi ne ha bisogno. Chi è dunque il servo fedele e saggio?  Giuseppe, il figlio di Giacobbe. E' lui la figura del Servo del Signore, che nella discesa - ingiusta - agli inferi del tradimento e della prigione, si è mantenuto fedele alla chiamata ben chiara sin da piccolo, saggio nel discernere in ogni evento, anche i più tragici, l'opera di Dio. "Non voi mi avete venduto, dirà ai fratelli, ma il Signore mi ha inviato qui prima di voi per sfamarvi oggi". Giuseppe che si è mantenuto fedele di fronte alla tentazione cui lo sottopose la moglie di Potifar. La castità ha rivelato la fedeltà: egli ha ben amministrato il suo corpo, il suo seme, custodendolo integro per la volontà di Dio e proteggendolo da un uso egoistico. "La castità comporta l'acquisizione del dominio di sé, come espressione di libertà umana finalizzata al dono di sé. La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei.  Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio... La carità è la forma di tutte le virtù. Sotto il suo influsso, la castità appare come una scuola del dono della persona. La padronanza di sé è ordinata al dono di sé. La castità rende colui che la pratica un testimone, presso il prossimo, della fedeltà e della tenerezza di Dio" (Catechismo della Chiesa Cattolica). Per questo, nel tempo opportuno, ha potuto donare se stesso, sfamare i suoi fratelli in quella rivoluzione copernicana che, in Dio, trasforma il male in bene. La castità genera la fedeltà perchè un cuore integro e libero di fronte alle passioni, alle proprie idee, alla cupidigia, conduce sempre ad uno sguardo puro che vede Dio in ogni avvenimento. E chi vede Dio e la sua opera anche negli eventi che sembrano negarlo, potrà essere fedele alla sua volontà anche se tutto sembra voler convincere del contrario. La castità è tenersi pronti per l'arrivo del Signore. Nel fidanzamento, nel matrimonio, nel lavoro, sempre e ovunque. Essere pronti a donarsi come Giuseppe, figura del Servo di Dio, Gesù; Egli, nella morte di Croce è stato casto e fedele, e quindi saggio nel discernere la "necessità" di quell'angusto cammino, sapendo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. La sua vita gettata via sulla Croce, oggi - il tempo opportuno - sfama e colma la nostra vita. 


Chi invece accumula per sé stesso è sempre teso, nervoso, pronto a mormorare e giudicare per difendere le proprie cose. E' intemperante, non può vedere Dio, anzi, lo identifica con un ladro pronto a scassinare e a rubare. Ha paura e deve controllare tutto per sfuggire alla novità e alla precarietà. Ovunque vede nemici e il tempo che passa diviene una condanna. Il ritardo nel vedere compiuti i propri progetti diviene un non-senso, una parentesi, un vuoto da riempire con il piacere. Questo, quando non è legato alla castità e al dono, è sempre un male: chi ne è schiavo percuote i servi e le serve, mangia, beve e si ubriaca, tentando di dimenticare e allontanare da sé la responsabilità della vita e facendo gli altri responsabili della propria insoddisfazione. Occorre invece imparare dalla natura creata da Dio: in una donna un "ritardo" cela l'apparire di una vita nuova. Il ritardo nasconde quanto di più prezioso vi sia. Gesù è stato tre giorni nel sepolcro, il tempo necessario a distruggere la morte e sorgere vittorioso in una vita nuova ed eterna. Di fronte ai tempi di Dio vi è il pericolo di pensare male di Lui; siamo infatti sempre come una donna quando sperimenta un ritardo: accogliere o abortire, vedere in esso una grazia che dà senso a tutto, o un attentato alla propria esistenza. La fedeltà e la saggezza si realizzano allora nella pazienza che comporta sempre un patire. "La sapienza del cuore contempla anche la pazienza. Il tempo non scorre invano" (Benedetto XVI, Omelia di Inizio Pontificato)Si educa con pazienza, com-patendo, entrando insieme ai figli nei ritardi che stravolgono le nostre tabelle di marcia, soffrendo certo, ma nella certezza che Dio stia operando in loro;  a volte occorre lasciarsi spezzare il cuore come il Padre del figlio prodigo, lasciarlo andare ben sapendo la sorte che lo attende, e restare incollati alla finestra nell'attesa del suo ritorno: "Siate dunque pazienti, fratelli,... Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera" (Gc 5, 7). Ogni figlio ha bisogno di pioggie d'autunno e primavera, per crescere e conoscere il perdono, l'amore di Dio che, solo, può fondare la sua vita. Così in un fidanzamento, la pazienza e la castità conducono i due ad entrare nei ritardi che gli eventi disseminano sul cammino verso il matrimonio; la pazienza che insegna ad amare nel rispetto e nella speranza, bagaglio fondamentale per la vita matrimoniale: quante volte il marito dovrà pazientare ed essere temperante e casto nei momenti in cui non potrà unirsi a sua moglie; quante volte la pazienza dovrà colmare il cuore degli sposi per accogliere i cambi di umore, le paure, la stanchezza del coniuge; così nel lavoro, nelle amicizie, nello studio, nel matrimonio.  Quello che agli occhi della carne appare come un ritardo è invece il tempo favorevole nel quale Dio depone il seme di vita: "Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2 Pietro 3, 8). La nostra pazienza sgorga dalla pazienza di Dio, come la nostra fedeltà nasce nella sua: i ritardi sono la misericordia di Dio verso ciascuno di noi, e non qualcosa che viene a distruggerci. Non accogliere l'amore celato nei tempi misteriosi di Dio significa rompere la sua Alleanza, chiudere il rubinetto della Grazia, e precipitare nell'inferno, il luogo degli infedeli. Interpretare la pazienza di Dio come un suo ritardo, quasi un errore da correggere prendendo iniziative personali e mondane, vie e scorciatoie per giungere al successo - nella missione come nella vita di ogni giorno - è pura infedeltà. Approfittare dell'apparente ritardo divino per appropriarsi della elezione e farne strumento di potere e affermazione personale, come appare nell'atteggiamento del servo che percuote e si dà ai piaceri, perverte e distrugge la stessa opera di Dio. Per questo il Concilio Vaticano II ricorda "a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati" (Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14). E la punizione sarà esemplare: l'infedele sarà tagliato in due, secondo il termine originale greco. Dio con Abramo sancì l'Alleanza secondo le regole del tempo: i due contraenti dovevano passare sotto un animale spaccato in due, segno della sorte che sarebbe toccata a chi avrebbe violato il patto. Ma mentre Dio vi passa sotto forma di una colonna di fuoco, su Abramo scende un torpore e non compie il rito: l'Alleanza si fonda solo ed esclusivamente sulla fedeltà di Dio. "Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre" (Sal 52, 10b). Beati noi se uniti al Signore entriamo fedelmente nel cammino buio e difficile della Croce, quella quotidiana, quella di un tempo o quella lunga tutta una vita, servi fedeli nel Servo fedele, saggiamente discernendo in esso la via alla pienezza della nostra chiamata. Entrando ogni giorno nei kairos divini, facendo nostro l'invito di Pietro: "La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza" (2 Pt. 3, 15). Il Signore viene, e porta a compimento ogni sua promessa, nelle famiglie, nell'evangelizzazione, in ogni nostra vita. Quando il Signore sembra tardare è perchè in quel momento sta preparando il banchetto d'eterna gioia, per noi e per ogni uomo al quale siamo inviati.




Beato John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo 
PPS, t. 4, n° 22 


« Tenetevi pronti »


        Il nostro Signore ha dato questo avvertimento mentre stava per lasciare questo mondo, per lo meno visibilmente. Prevedeva le centinaia di anni che sarebbero potute trascorrere prima del suo ritorno. Conosceva il proprio disegno, quello del Padre suo : lasciare gradualmente il mondo a se stesso, ritirare gradualmente i pegni della sua presenza misericordiosa. Prevedeva l'oblio in cui egli sarebbe caduto anche fra i suoi stessi discepoli ..., lo stato del mondo e della Chiesa come li vediamo oggi, in cui la sua assenza prolungata ha fatto credere che non sarebbe più tornato...


        Oggi, ci mormora misericordiosamente all'orecchio di non fidarci di ciò che vediamo, di non partecipare all'incredulità generale, di non lasciarci trascinare dal mondo, ma di « fare attenzione, di vegliare e di pregare » (Lc 21, 36), e di aspettare la sua venuta. Questo avvertimento misericordioso dovremmo tenerlo sempre in mente, tanto è preciso, solenne e pressante.


        Il nostro Signore aveva predetto la sua prima venuta, eppure quando è venuto, ha sorpreso tutti. Verrà in un modo ancora più improvviso la seconda volta, e sorprenderà gli uomini. Ora, senza dire quanto tempo trascorrerà prima del suo ritorno, ha affidato la nostra vigilanza alla guardia della fede e dell'amore... Infatti dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare ; non soltanto amare, ma vegliare ; non soltanto obbedire, ma vegliare. Perché vegliare ? Per questo grande avvenimento della venuta di Cristo. In questo sembra esserci affidato un dovere particolare : non soltanto credere, temere, amare e obbedire, ma anche vegliare : vegliare per Cristo, vegliare con Cristo.




San Francesco

Dove è amore e sapienza, ivi non è timore né ignoranza.
Dove è pazienza e umiltà, ivi non è ira né turbamento. Dove è povertà con letiziativi non è cupidigia
né avarizia.
Dove è quiete e meditazione, ivi non è né preoccupazione né dissipazione.
Dove è il timore del Signore a custodire la casa, ivi il nemico non può trovare via d'entrata.
Dove è misericordia e discrezione, ivi non è né superfluità né durezza.



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