è veramente una preghiera del Figlio al Padre, nella quale l'umana volontà naturale
è stata tratta totalmente dentro l'Io del Figlio,
la cui essenza si esprime appunto nel "non io, ma tu"
nell'abbandono totale dell'Io al Tu di Dio Padre.
Questo "Io", però, ha accolto in sé
l'opposizione dell'umanità e l'ha trasformata,
l'opposizione dell'umanità e l'ha trasformata,
così che ora nell'obbedienza del Figlio
siamo presenti tutti noi,
siamo presenti tutti noi,
veniamo tutti tirati dentro la condizione di figli.
Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II Volume
Gv 7, 40-53
In quel tempo, all'udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Questi è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Questi è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!». Ma i farisei replicarono loro: «Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea». E tornarono ciascuno a casa sua.
IL COMMENTO
In quel tempo, all'udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Questi è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Questi è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!». Ma i farisei replicarono loro: «Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea». E tornarono ciascuno a casa sua.
IL COMMENTO
Nessuno ci ha parlato come Lui. Nessuno è giunto così, sino al più profondo del nostro cuore, sfiorando con dolcezza le nostre più aspre sofferenze. L'autorità dell'amore. Incondizionato e gratuito. Infinito. Proprio quello che aspettavamo, esattamente le parole che, da sempre, abbiamo desiderato ascoltare. E, nell'ascolto, la pace, la veridicità e la credibilità che risuonano da quanto Egli dice. E un Amen che sorge naturale: si, è la Verità, non può che essere così. Il Creatore e la creatura, Lui e noi, oggi, nella Sua Parola, siamo fatti l'uno per l'altro. E' la fede che viene dalla predicazione, le parole del Signore sulle labbra degli apostoli, e inizia il cammino, seguire le sue tracce, e un'esperienza che si fa giorno per giorno più forte, e cresce, e si fa adulta e diviene parola da annunciare sulle nostre labbra, parola autenticata dalla vita, testimonianza che fluisce naturalmente, da chi vive ormai nella Parola fatta carne. Gesù, il Messia che percorre le vie del mondo, oggi come ieri, segno di contraddizione tra i giudei suoi contemporanei come tra i colleghi e amici nostri contemporanei.
Gesù di Nazareth, un interrogativo che scuote e divide. Chi è costui? I libri di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret sono basati su un'intuizione fondamentale, desunta dall'esegeta R. Schnakemburg: "Senza il radicamento in Dio la persona di Gesù rimane fuggevole, irreale ed inspiegabile". Per il Papa, senza la comunione con il Padre non si può comprendere nulla della figura di Gesù, ed Egli non può giungere alla nostra vita di oggi. La disputa sulla figura di Gesù che appare nel capitolo 7 del Vangelo di Giovanni si svolge infatti a partire dalla sua origine, contrapponendo il padre terreno al Padre celeste. Se Gesù è figlio di Giuseppe, non può essere Figlio di Dio. Se Gesù viene da Nazaret non può essere il Messia. L'interrogativo su Gesù è così l'interrogativo su suo Padre. Chi non conosce il Padre non può riconoscere Gesù come il Figlio da Lui inviato, il Messia atteso. La testimonianza della Scrittura prepara ma è necessaria la Grazia di un'intimità, la conoscenza del Padre per un dono celeste, una rivelazione gratuita che superi carne e sangue. Come sperimentò Pietro a Cesarea, per accogliere Gesù di Nazaret è necessario che il Padre riveli se stesso e apra gli occhi perchè riconoscano nei lineamenti del Figlio le sembianze di suo Padre. Ma che cosa significa questo? Che cosa mosse Pietro a professare la fede che è divenuta la fede della Chiesa?
Gesù è il volto umano di Dio, assomiglia come una goccia d'acqua a suo Padre. Tutte le cose del Padre sono sue, la voce, la parola, le sembianze, i moti del cuore, la compassione, lo zelo e la gelosia. Dio si è fatto carne in Gesù, ed è l'evento che scardina le certezze dei giudei. Chi ha una carne di uomo non può essere Dio. E' la bestemmia più grande, deve essere punita con la morte. E scardina anche le nostre certezze. In questa mia umanità così fragile, in me figlio di Paolo, di Vincenzo, di Giuseppe, non può apparire la vita divina, la santità e l'amore.
Gesù è il volto umano di Dio, assomiglia come una goccia d'acqua a suo Padre. Tutte le cose del Padre sono sue, la voce, la parola, le sembianze, i moti del cuore, la compassione, lo zelo e la gelosia. Dio si è fatto carne in Gesù, ed è l'evento che scardina le certezze dei giudei. Chi ha una carne di uomo non può essere Dio. E' la bestemmia più grande, deve essere punita con la morte. E scardina anche le nostre certezze. In questa mia umanità così fragile, in me figlio di Paolo, di Vincenzo, di Giuseppe, non può apparire la vita divina, la santità e l'amore.
Da qui deriva il rifiuto delle "menti" del popolo, sempre d'una spanna più in alto, sapienti secondo la carne e incapaci d'essere semplici. Anche in noi si annidano gli inganni carnali del demonio, il freno tirato sulle apparenze di un povero figlio di falegname, in bottega sino ad ieri e oggi ad insegnare. Troppo semplice per chi ha ormai il cuore diviso. Lo scisma, la divisione di cui parla il Vangelo di oggi (scisma: divisione tra la folla...), i contrasti e la separazione sono a causa di Lui, di quella pretesa piombata nella vita dei giudei, un uomo, un amico, un conoscente che si dice Dio. Lo scisma che appare in noi, come nel popolo. La divisione, opera del diavolo che significa appunto il divisore, sorge dall'incapacità di penetrare il mistero di Gesù, la stessa incapacità di stupore di chi non ha mai sperimentato un amore che sorprende nella sua gratuità. Il mistero di Gesù è la sua intimità con il Padre, un amore abbandonato alla sua volontà al punto che ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo non è altro che l'incarnazione visibile, percepibile e sperimentabile di quel Dio che nessuno ha mai visto. Solo chi ha dimestichezza con lo stringente bisogno di amore, può cogliere questo mistero. Solo la semplicità, la povertà di spirito, l'umiliazione dei giorni, la nudità e l'indigenza dell'anima possono intuire, e desiderare, l'amore capace di rispondere, curare, consolare, perdonare, saziare.
Il paradosso del rifiuto dei giudei si riassume nella maledizione che, secondo loro, pesa sul popolo che non conosce la Legge. Il Popolo che non sa leggere, che soffre, piange, pecca. La maledizione degli impuri, dei pubblicani, delle prostitute, dei ladri, dei pastori, di quanti vivono nell'ombra di morte. Tutti questi non conoscono la Legge, non hanno la forza per osservare i precetti della tradizione, per loro è già troppo il peso di ogni giorno. La storia li ha umiliati, e questo, agli occhi dei capi e degli intelligenti, dei religiosi e dei moralisti, è il segno inequivocabile della maledizione divina. Ma proprio per loro Dio si è fatto maledizione. Per loro Dio ha preso una carne perchè fosse appesa ad un legno, la croce da cui ciascuno di loro, disprezzato e rifiutato, potesse ricevere gratuitamente la benedizione.
Per questo è solo la semplicità del bisogno che può accogliere la luce dell'amore che illumina la Verità e fa semplici le cose. Pane al pane e vino al vino. Amore al peccatore e vita ad un morto. Libertà ad uno schiavo, felicità ad un infelice. La Buona Notizia predicata ai poveri. Il figlio di Giuseppe, il falegname venuto da Nazaret ha carne e sangue, occhi, orecchie e bocca, mani e piedi; attraverso di essi ha ascoltato, guardato, parlato, camminato e toccato e guarito. In Lui Dio ha amato di un amore concreto, quell'amore di Padre visibile nel Figlio è giunto ai poveri, ai maledetti. Sino all'estremo, al dono di quella carne e di quel sangue perchè ogni carne ed ogni sangue fossero attirati nello stesso amore che vince la morte. Gli orfani hanno incontrato il Padre, quel Figlio così umano, così prossimo e buono, misericordioso e compassionevole, ha aperto loro le porte della sua intimità; Gesù ha accolto ogni figlio senza padre, e nel suo amore concreto, che si fa pane da mangiare, in quell'esperienza unica, rivela, presenta, gli fa conoscere suo Padre, l'origine della sua vita. Rivelando se stesso, Gesù accompagna ogni uomo a scoprire anche la fonte della sua esistenza, la stessa del Figlio di Dio. In Lui ogni uomo può scoprire la sua origine, l'unica che coincida con l'aspirazione del suo cuore, con ogni fibra del suo essere, come due pezzi di un puzzle finalmente combacianti, trovati tra i mille provati e riprovati.
Ecco, deve essere stata proprio questa l'ineffabile esperienza di Pietro a Cesarea; condotto da Gesù sino a quel momento della solenne professione di fede, attraverso la sua presenza, le parole annunciate, i miracoli compiuti, e la stessa ordinarietà della sua vita quotidiana, Pietro scopre in quel rabbì e amico, come in un lampo di luce tra la nebbia, la natura soprannaturale, la sua origine celeste. "Voi, chi dite che io sia?": la domanda su di Lui, in fondo, è anche il quesito circa la stessa identità degli apostoli, ed è un parlare come nessuno ha mai parlato, la domanda sfuggita mille volte e, in quell'istante, giunta finalmente come libertà e verità. Come nella trasfigurazione, Pietro riconosce il Padre nel volto del Figlio, ed è l'approdo, la pace, la rivelazione che illumina la sua vita. Proprio perchè ha conosciuto Gesù come uomo lo può riconoscere come Dio! Proprio perchè lo ha visto tante volte, ha mangiato con lui, ha conosciuto sua madre, sa di dove viene, proprio perchè è un galileo come lui, suo amico, una carne del tutto identica alla sua, Pietro comprende, per una Grazia del Cielo, che tutto ciò che riguarda Gesù riguarda anche lui. In quel mistero di luce, in quel biancore che "nessun lavandaio sulla terra avrebbe potuto conseguire", in quella nettezza e purezza che afferrava quella veste vista infinite volte sporca e poi lavata, Pietro riconosce che l'Onnipotente, il Nome impronunciabile, s'era davvero fatto carne in Gesù; come una veste comune irradia una luce unica. La straordinarietà si stagliava dall'ordinarietà: se Pietro non avesse conosciuto questa non avrebbe accolto l'altra. E così, proprio a partire dall'esperienza della natura, Pietro ha potuto accogliere la rivelazione del soprannaturale, in Gesù, come anche in lui. Il destino che attendeva il Maestro era lo stesso del discepolo, perchè provenienti dalla stessa origine, figli dello stesso Padre. Da questa esperienza, da questa professione, sorgerà poi in Pietro il combattimento, apparirà lo "scisma" nei suoi pensieri: aveva riconosciuto Dio nella carne, ma il suo pensiero non era ancora quello di Dio, lo contrastava e rifiutava la croce. Avrebbe dovuto camminare ancora dietro a Gesù, sino alle rive del Mare di Galilea, sino all'amore figlio del perdono, l'unico capace di accordare la rivelazione celeste con la vita nella carne. Sarà infatti il Figlio risorto dalla morte ad accogliere Pietro nel perdono del Padre, nelle viscere di misericordia che lo libereranno dalla paura e dai limiti carnali per inviarlo sul suo stesso cammino con destino la croce, la vita del figlio nel Figlio diletto nel quale il Padre si compiace.
Ecco, deve essere stata proprio questa l'ineffabile esperienza di Pietro a Cesarea; condotto da Gesù sino a quel momento della solenne professione di fede, attraverso la sua presenza, le parole annunciate, i miracoli compiuti, e la stessa ordinarietà della sua vita quotidiana, Pietro scopre in quel rabbì e amico, come in un lampo di luce tra la nebbia, la natura soprannaturale, la sua origine celeste. "Voi, chi dite che io sia?": la domanda su di Lui, in fondo, è anche il quesito circa la stessa identità degli apostoli, ed è un parlare come nessuno ha mai parlato, la domanda sfuggita mille volte e, in quell'istante, giunta finalmente come libertà e verità. Come nella trasfigurazione, Pietro riconosce il Padre nel volto del Figlio, ed è l'approdo, la pace, la rivelazione che illumina la sua vita. Proprio perchè ha conosciuto Gesù come uomo lo può riconoscere come Dio! Proprio perchè lo ha visto tante volte, ha mangiato con lui, ha conosciuto sua madre, sa di dove viene, proprio perchè è un galileo come lui, suo amico, una carne del tutto identica alla sua, Pietro comprende, per una Grazia del Cielo, che tutto ciò che riguarda Gesù riguarda anche lui. In quel mistero di luce, in quel biancore che "nessun lavandaio sulla terra avrebbe potuto conseguire", in quella nettezza e purezza che afferrava quella veste vista infinite volte sporca e poi lavata, Pietro riconosce che l'Onnipotente, il Nome impronunciabile, s'era davvero fatto carne in Gesù; come una veste comune irradia una luce unica. La straordinarietà si stagliava dall'ordinarietà: se Pietro non avesse conosciuto questa non avrebbe accolto l'altra. E così, proprio a partire dall'esperienza della natura, Pietro ha potuto accogliere la rivelazione del soprannaturale, in Gesù, come anche in lui. Il destino che attendeva il Maestro era lo stesso del discepolo, perchè provenienti dalla stessa origine, figli dello stesso Padre. Da questa esperienza, da questa professione, sorgerà poi in Pietro il combattimento, apparirà lo "scisma" nei suoi pensieri: aveva riconosciuto Dio nella carne, ma il suo pensiero non era ancora quello di Dio, lo contrastava e rifiutava la croce. Avrebbe dovuto camminare ancora dietro a Gesù, sino alle rive del Mare di Galilea, sino all'amore figlio del perdono, l'unico capace di accordare la rivelazione celeste con la vita nella carne. Sarà infatti il Figlio risorto dalla morte ad accogliere Pietro nel perdono del Padre, nelle viscere di misericordia che lo libereranno dalla paura e dai limiti carnali per inviarlo sul suo stesso cammino con destino la croce, la vita del figlio nel Figlio diletto nel quale il Padre si compiace.
Così anche il Vangelo di oggi è per noi la Buona Notizia di cui abbiamo bisogno. Se sperimentiamo oggi la stessa maledizione del Popolo, la stessa fatica di vivere che si fa ignoranza della Legge, se i comandamenti sono divenuti per noi un abito che non possiamo indossare, se siamo precipitati a terra e non riusciamo a risolvere nulla, se, come per Pietro, il cammino della croce ci appare assurdo, il Figlio di Giuseppe, Gesù che viene da Nazaret ci viene incontro, ci guarda, ci ama. In Lui possiamo oggi ritrovare ogni centimetro della nostra vita, ogni fallimento della nostra storia; in Lui è aperta per noi, gratuitamente, la porta alla sua intimità con il Padre, la nostra origine che ci illumina il destino identico a quello di Gesù, il mistero pasquale che trasfigura in un fascio di luce la nostra storia; in Lui oggi possiamo trovare pace, nella misericordia e nell'amore.
E' quanto si è compiuto nella notte del Gestemani. L'Abbà pronunciato da Gesù è oggi il nostro Abbà. L'impossibile si è fatto possibile grazie al suo cuore di uomo, alla sua volontà di uomo, alle sue labbra di uomo, alle sue parole di uomo. Il figlio di Giuseppe si compie nel Figlio di Dio, la volontà di Gesù si realizza nella volontà del Messia. In Lui la nostra volontà può convertirsi, tornare ad obbedire alla volontà divina perchè trova cuore, mente, bocca capaci di questo. "Nell'aderire alla volontà divina la volontà umana trova il suo compimento e non la sua distruzione. San Massimo il Confessore dice al proposito che la volontà umana, secondo la creazione, tende alla sinergia (alla cooperazione) con la volontà di Dio, ma a causa del peccato la sinergia si è trasformata in opposizione. L'uomo, la cui volontà si compie nell'aderire alla volontà di Dio, ora sente compromessa la sua libertà dalla volontà di Dio. Vede nel «sì» alla volontà di Dio non la possibilità di essere pienamente se stesso, ma la minaccia per la sua libertà, contro cui egli oppone resistenza. Il dramma del Monte degli ulivi consiste nel fatto che Gesù riporta la volontà naturale dell'uomo dall'opposizione alla sinergia e ristabilisce così l'uomo nella sua grandezza. Nell'umana volontà naturale di Gesù è, per così dire, presente in Gesù stesso tutta la resistenza della natura umana contro Dio. L'ostinazione di tutti noi, l'intera opposizione contro Dio è presente e Gesù, lottando, trascina la natura ricalcitrante in alto verso la sua vera essenza. Christoph Schönborn dice al proposito «che il passaggio dal contrasto tra le due volontà alla loro comunione avviene attraverso la croce dell'obbedienza. Nell'agonia del Getsemani si compie questo passaggio» (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Volume II). Nella croce lo scisma è ricomposto, la divisione del cuore che dilania la nostra vita è ricomposta nell'unità che è obbedienza alla volontà di Dio. Il contrasto tra le due volontà è risolto nell'Abbà di Gesù, nell'intimità che, solcando la notte della morte, giunge alla luce della risurrezione. E' questo l'amore nel quale siamo attirati, che "trascina la natura recalcitrante" verso il Cielo dove, già oggi, come Gesù e con Gesù, tra le lacrime e l'angoscia del Gestemani, nella carne ferita e maledetta, sperimentare l'intima comunione con il Padre. Nella storia che ci è data oggi, nel Getsemani che oggi ci attende, proprio nell'agonia della nostra carne - la malattia, i tradimenti, la precarietà economica, la difficoltà ad accettare il nostro carattere o il nostro aspetto fisico, anche i nostri peccati - possiamo oggi ascoltare la sua Parola, quella che nessun uomo è capace di pronunciare, quell'Abbà che ci libera e ci fa figli nel Figlio. Nulla di noi, nulla della nostra carne, fosse anche il peccato più grande e radicato, può contro questa parola di Gesù. Accogliendola e facendola nostra, lasciandoci accogliere nella sua intimità, essa ha il potere di distruggere ogni impedimento e ricondurci nel posto che Lui ha preparato per noi: "Oggi sarai con me nel Paradiso!".
E' Lui la nostra Legge fatta carne, la possiamo "studiare" nella nostra stessa carne, la possiamo conoscere nell'esperienza del perdono. E scoprire che proprio dalla Galilea, la nostra terra pagana, è sorto il Messia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, incarnato per noi e per la nostra salvezza. E' la gioia del Suo amore capace di trasformare la maledizione degli uomini in benedizione divina, la divisione in comunione di intimità con il Padre.
Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Peri Archôn, 2, 6, 2 : PG 11, 210-211
Riscontriamo in Cristo contemporaneamente i lineamenti umani comuni alla nostra debolezza di mortali, e i lineamenti divini propri soltanto di quella natura sovrana e ineffabile. Di fronte a ciò, l'intelligenza umana, troppo piccola, è presa da tale ammirazione da non sapere che dire e come orientarsi. Sa che Cristo è Dio, e tuttavia lo vede morire ; se poi lo considera un uomo, ecco che lo vede risorgere col suo bottino di vittoria dopo aver distrutto il regno della morte. La nostra contemplazione, meditando nello stesso Gesù la verità delle due nature, deve procedere con riverente timore, evitando sia di attribuire cose indegne o sconvenienti all'ineffabile essenza divina, sia di considerare gli avvenimenti storici come apparenze illusorie.
In verità spiegare tali cose a intelligenze umane e cercare di esprimere parole, è impresa superiore alle nostre forze e ai nostri meriti e supera l'intelligenza e la parola. Anzi, penso che superi le capacità degli stessi apostoli. Ancor più : la spiegazione di questo mistero trascende probabilmente tutto l'ordine delle potenze celesti.
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