Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo
furono trasformate in un letto e un cuscino.
Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse.
Midrash GenR 68,43
Mt 8,18-22
In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.
IL COMMENTO
In tutti noi alberga un desiderio profondo: poter passare indenni le giornate, le prove, la vita. Apriamo gli occhi e si srotola dinanzi ai nostri occhi un futuro incerto, impegni, lavoro, rapporti, soldi, famiglia, studio. Sorge il sole e con esso la pesantezza delle ore che incontreremo. Passarvi dentro senza lasciarci la vita, ecco il desiderio che ci brucia dentro. Non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce. Scapparne è pura illusione. Abbiamo provato tante droghe nella nostra vita. Ci hanno reso più fragili e meno felici. Il desiderio insaziabile di libertà, e di felicità. Ad esso risponde il Vangelo di oggi. L’ordine perentorio di Gesù di passare all’altra riva. Entrare nella Pasqua, il seno da cui è stato tratto Israele. Il Passaggio dalla schiavitù alla libertà.
E’ dunque molto più che un desiderio, è un ordine del Signore. Da questa chiamata siamo nati. In questa chiamata viviamo, esistiamo, siamo. Passare all’altra riva, ogni giorno. Una vita che non passa, un’esistenza atrofizzata e installata nelle sicurezze schierate come reggimenti a difesa di una pace che neanche possediamo, una vita seduta, è già preda dei vermi. La corruzione ha preso il sopravvento, e tutto marcisce tra le mani, nulla soddisfa, nulla rallegra. Passare all’altra riva è l’unico modo di seguire il Signore. Lui non ha dove reclinare il capo, lo farà sulla Croce, nel sepolcro, a anche lì per lo spazio d’un breve tempo. Non sono la Croce né il sepolcro il riposo del Signore. Croce e sepolcro sono la via, non sono la meta. Seguire il Signore è prendere la Croce d’ogni giorno, entrare con Lui nei tanti sepolcri che si aprono dinanzi ai nostri passi. E passare all’altra riva. Verso il Cielo, il riposo, l’unico, anticipato qui ed ora nell’amore Suo, nel perdono, nella Sua presenza dentro la nostra vita. A volte consolante, a volte oscura e impalpabile.
Seguirlo sulle orme di Pasqua. La nostra chiamata ad essere vivi passati nella morte. Con la caparra del riposo nel cuore, e lo sguardo fisso sul Cielo. Come Giacobbe che posò il capo su di una pietra, nel luogo di Dio, alle porte del Cielo. “Rabbì Berekhiah dice in nome di Rabbì Levi: Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, freschezza e asprezza, il passaggio dalla morte alla vita. Non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, per questo non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento. Un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo segue, ovunque. Era il desiderio dello Scriba, come è il nostro desiderio, il frutto dell’esser passati all’altra riva. L’esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo. Seguire il Signore ci rende come il vento, che non sai di dove venga o dove vada, solo se ne apprezza la presenza. Nessuna sicurezza se non Lui. La precarietà che denuda e svuota d’ogni appoggio e schiavitù. Sul mare passa il cammino del Signore e le orme ne restano invisibili. Lui. E in Lui tutto. Lo sguardo nel Suo sguardo, senza fughe all’indietro a cercare di seppellire il passato, le cose lasciate in sospeso, che sembra sempre di non aver risolto, sistemato, spiegato, compreso. Seguirlo è lasciare che il passato seppellisca il passato, per non diventare come la moglie di Lot, una statua di sale fissata in uno sguardo di rimpianto. Seguirlo all’altra riva, la vita rinnovata istante dopo istante, libera, bella, vera.
Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Omelie sui Numeri, n° 17 ; SC 29, 348
Balaam aveva profetizzato: «Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele,» (Nm 24,5). Qui Giacobbe simboleggia gli uomini perfetti nelle azioni e nelle opere, e Israele i ricercatori della sapienza e della conoscenza... Di colui che ha compiuto tutto il suo dovere ed è giunto alla perfezione delle opere, si dice che questa perfezione delle opere è la casa, la sua bella casa. Invece non c'è limite agli sforzi di coloro che lavorano alla sapienza e alla conoscenza – dove sarà infatti il limite della sapienza di Dio? Quanto più se ne avvicinerà, tanto più ne scoprirà la profondità; quanto più si la scruterà, tanto meglio si capirà il suo carattere ineffabile e incomprensibile; infatti la sapienza di Dio è incomprensibile e inestimabile. Balaam dunque non vanta le case di coloro che avanzano sulla strada della sapienza di Dio, perché non hanno raggiunto il termine del viaggio, invece ammira le tende con le quali si spostano sempre e avanzano sempre.
Chiunque ha fatto qualche progresso nella conoscenza delle cose di Dio e ha acquisito qualche esperienza in questo campo lo sa benissimo: raggiunto qualche squarcio, qualche comprensione dei misteri spirituali, l'anima vi soggiorna come sotto una tenda; e avendo esplorato altre regioni a partire di questa prima scoperta..., piegata la tenda, in un certo senso, protende verso un luogo più alto, e là pianta per un momento la dimora del suo spirito... Così, sempre «protesa verso il futuro» (Fil 3,13), va avanti come i nomadi con le loro tende. Non viene mai il momento in cui l'anima infiammata dal fuoco della conoscenza di Dio può darsi del tempo per riposare; è sempre rimessa in moto dal bene verso il meglio e da questo meglio verso luoghi più alti.
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