Lunedì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario



αποφθεγμα Apoftegma

Si trovano l’uno di fronte all’altro:
Dio con la sua volontà di guarire
e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito.
Due libertà, due volontà convergenti:
"Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore.
"Che io riabbia la vista!", risponde il cieco.
"Va’, la tua fede ti ha salvato".
Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo.
Benedetto XVI




ALTRI COMMENTI









L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 18,35-43
Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!». Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: «Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio. 



MENDICANTI DELL'AMORE AUTENTICO CHE DISCHIUDE GLI OCCHI SUL VOLTO DI CRISTO INCARNATO NEI FRATELLI


"Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava" (Gs. 5,13). Qui giaceva la vita del cieco, inchiodata come la nostra dinanzi alle barriere che si ergono nelle relazioni e ci spingono a “mendicare” un po’ di affetto, stima e considerazione; quelle mura, infatti, ci impediscono di vedere nel fratello la Terra che ci è stata promessa, il “tu” a cui donarci ed essere felici. Hai mai pensato a tua moglie o a tuo marito, ai tuoi figli o ai tuoi genitori, alla tua fidanzata o fidanzato, ai tuoi amici e colleghi come a Gerico? Cambierebbero radicalmente i rapporti. Gerico, infatti, con le sue mura è immagine delle differenze di carattere, del modo di pensare e di fare, dei difetti e anche e soprattutto dei peccati che impediscono la vera comunione, il passare l'uno all'altro in un amore gratuito. Ma Gerico non è un caso o un ghigno crudele del destino, un'ingiustizia o sfortuna. Come aveva fatto con Israele, il Signore ha condotto anche noi dinanzi a questa città fortificata: “Al popolo Giosuè aveva ordinato: «Non urlate, non fate neppur sentire la voce e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò: Lanciate il grido di guerra, allora griderete». Come il popolo, così anche il cieco era rimasto  silenzioso, sino al passaggio di Gesù. Egli è l’immagine dell'uomo ferito dal peccato di orgoglio, incapace di tutto eppure spinto a superare il limite imposto da quegli occhi chiusi sul mondo. La sua mano è tesa come la nostra: proprio “mendicando” e cedendo a compromessi grossolani, essa esprime balbettando il desiderio della pienezza di vita per la quale siamo nati, quella che il suo cuore "vedeva" prima del peccato, e che poi aveva smarrito. Non a caso, infatti, prima di conquistarla, i sacerdoti e il popolo girano per sei giorni intorno a Gerico portando con sé l’Arca dell’Alleanza, il segno della presenza di Dio. Sei giorni, come la ferialità della nostra vita passata a “mendicare”, senza però che il Signore abbia smesso un istante di alimentare e sostenere in noi il desiderio del settimo giorno. Per questo il fallimento e la meschinità dove è precipitata la nostra esistenza sono già un'opera divina: ci umiliano, preparandoci a ricevere la stessa Grazia donata al cieco, quella di trovarsi in quel luogo, in quel momento, dentro a quell'appuntamento che lui non aveva fissato. 

E giunge oggi il settimo giorno, “passa Gesù il Nazareno”, ce lo annunciano quelli che "camminano avanti", il Popolo in procinto di entrare in Gerico. E’ arrivata la Pasqua della Vita e del perdono, dove prorompere in grida altissime capaci di far cadere le mura della città. Ma spesso, nella Chiesa come dentro di noi, i sensi di colpa, il moralismo e il legalismo vorrebbero intimarci il silenzio. Invece il cieco continua, prende forza dalla sua debolezza e dalla fede accolta attraverso l'ascolto della predicazione, e grida "ancora più forte". Ha scoperto che tutto è Grazia, perfino quel suo stare là come l’ultimo della città... E' bastato il passaggio di Gesù ad accendere la fede e a decodificarla in un grido, a professarla con semplici parole: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Abbi pietà “tu” di me: anche la nostra mano può trovare oggi la “pietà” vera, non importa se cercata come può poveramente un cieco, spesso nei peccati... E quel grido ferma Gesù. Occorre che Egli "si accorga" di lui e si fermi, che la scintilla della fede lo raggiunga e sciolga la sua “commozione”. Perché l'appuntamento cui siamo destinati si traduca in un avvenimento reale, è necessario dare del "tu" a Gesù, consegnandogli l'”autorità” per compiere la volontà del Padre in noi. Cristo stesso, infatti, “mendica” da noi l’amen che gli permetta di offrire la pietà mendicata. "Che vuoi che io faccia per te?": questa domanda è oggi rivolta a ciascuno di noi. Possiamo riacquistare la vista per contemplare il volto di Cristo, e scoprire che, da sempre, era impresso in noi e nella nostra storia. Da questo incontro nasce un discepolo ebbro di “gioia” e di “lode”, che non smette però di "mendicare": segue Cristo perché sa a Chi chiedere, in un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per imparare ad entrare ogni giorno nella Terra della libertà e donarsi ad ogni "tu" nel quale vedrà il Signore.


ECCO LO SGUARDO DEL CIECO CHE, RIDIVENTATO BAMBINO, 
GUARDA STUPITO IL VOLTO DI CRISTO PER LA PRIMA VOLTA, 
VIVO DINANZI A LUI







COMMENTO COMPLETO


"Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava" (Gs. 5,13). Gerico, "città della luna", è la porta di accesso alla Terra Promessa. La sua conquista, narrata nel capitolo 6 del libro di Giosuè, appare come una liturgia con suoni di tromba e il grido assordante del popolo. Per comprendere il segno di Gesù descritto nel Vangelo, occorre rileggere l'episodio della conquista di Gerico: "Disse il Signore a Giosuè: «Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando  si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a sé»... Al popolo Giosuè aveva ordinato: « Non urlate, non fate neppur sentire la voce e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò: Lanciate il grido di guerra, allora griderete ». L’arca del Signore girò intorno alla città facendo il circuito una volta... Così fecero per sei giorni. Al settimo giorno si alzarono al sorgere dell’aurora e girarono intorno alla città in questo modo per sette volte; soltanto in quel giorno fecero sette volte il giro intorno alla città. Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato  alle trombe e Giosuè disse al popolo:  «Lanciate il grido di guerra perché il Signore vi dà in potere la città...». Allora il popolo lanciò il grido di guerra e si suonarono le trombe. Come  il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città crollarono; il popolo allora salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città". 

Sino al momento in cui passa Gesù, il cieco era rimasto a mendicare. Silenzioso, come intimato da Giosuè al Popolo. Come ciascuno di noi, forse inconsapevolmente, si trova a mendicare silenzioso, senza sussulti o grida, sulla strada dei giorni, dove scorrono le relazioni, le cose da fare, e i pensieri e le decisioni. Chiediamo, semplicemente, vita, felicità, affetto, dignità. Mendichiamo l'essere, chiediamo di entrare a prendere possesso della Terra che ci è stata promessa; tutti abbiamo dentro un desiderio inappagato che ci muove a mendicare: "L’uomo aspira ad una gioia senza fine, vuole godere oltre ogni limite, anela all’infinito" (J. Ratzinger, Luce del mondo, p. 95). 

Il Catechismo rintraccia il fondamento del desiderio: “Mediante la creazione Dio chiama ogni essere dal nulla all’esistenza… Anche dopo aver perduto la somiglianza con Dio a causa del peccato, l’uomo rimane ad immagine del suo CreatoreEgli conserva il desiderio di colui che lo chiama all’esistenza.” (n. 2566). Si tratta del desiderio che muove il cieco, immagine dell'uomo ferito dal peccato, incapace di tutto eppure spinto a superare la sua situazione, il limite imposto da quegli occhi chiusi sul mondo. Il suo mendicare ogni giorno lungo la strada definisce il suo desiderio. Malamente, accontentandosi forse, cedendo a compromessi grossolani, eppure, in quella mano tesa, si fa presente il gemito di un cuore che, custode del seme divino deposto dal Creatore, conserva il desiderio, balbetta la nostalgia della perfezione e pienezza di Colui che lo ha chiamato all'esistenza dal nulla. 

Il nostro mendicare di ogni giorno è la traccia di questa nostalgia fattasi desiderio. Per questo i sacerdoti ed il popolo girano per sei giorni intorno a Gerico: è l'immagine della nostra vita alle porte della Terra Promessa, della pienezza della vita, della corrispondenza unica e autentica al nostro desiderio. Sei giorni, la ferialità della vita trascorsa mendicando. Ma, conservata e custodita, al centro dei giorni, del lavoro, della famiglia, delle amicizie che sembrano tirate via elemosinando lo straccio di un senso, vi è l'Arca, la presenza di DioLa mendicanza è positiva, è già una liturgia! E' attesa, inconsapevole eppure struggente, di Lui, del suo passaggio risanatore. Ogni nostro giorno, anche se mendicante, è creativo, perché Dio, con amore, continua a creare dal nulla la nostra storia per farci felici. Dio crea durante i primi sei giorni "cose buone", in attesa della "cosa molto buona", dell'uomo a sua immagine. Così noi mendichiamo nell'attesa dello Shabbat, del giorno del Messia, di Cristo e della sua risurrezione, del riposo di chi, affaticato e oppresso, può trovare solo nella sua umiltà e mitezza. Mendichiamo, e in questo, Dio alimenta e sostiene il nostro desiderio, accompagnandoci, perdonandoci e tirandoci su quando, deboli e feriti, ci volgiamo a idoli e menzogne. 

Ogni nostro giorno è già lanciato alla presa di Gerico! Anche se ce ne stiamo seduti a mendicare, Dio sta preparando lo scrigno dove depositare la fede. Per questo anche quanto, nella nostra vita, ci sembra fallimentare, meschino e abietto ha un valore immenso. La stessa Grazia donata al  cieco: trovarsi in quel luogo, su quella strada alle porte di Gerico, in quel momento, a quell'ora. Quel suo mendicare protrattosi da non si sa quanto tempo, lo aveva condotto, misteriosamente, ad esser lìdentro a quell'appuntamento che, di certo, non aveva fissato lui. Così è per ciascuno di noi. Desideriamo e mendichiamo, e non ci rendiamo conto che tutta la storia spesa a stendere la mano, ci ha preparato e condotto ad essere puntuali ad un appuntamento che Lui ha preso, da sempre, con noi.

Il Vangelo di oggi ci annuncia dunque una buona e inaspettata notizia: ogni giornata della nostra storia, ogni evento, ogni persona, ci accompagnano ad entrare in possesso dell'oggetto autentico del nostro desiderio. Anche attraverso la debolezza e le cadute intrecciate al nostro povero mendicare. Anzi, proprio attraverso l'esperienza dell'estrema indigenza, Dio scrive, lettera dopo lettera, la sua dichiarazione d'amore, il suo invito all'appuntamento nel quale donarsi totalmente. Possiamo guardare con fiducia a questa nostra vita mendicante. Il Signore è in cammino, è vicino a noi, passa proprio accanto a quel metro quadro di strada che definisce la nostra vita di oggi. Esattamente in questo momentoGiunge il settimo giorno, la Pasqua della Vita e del perdono, nel quale prorompere in grida altissime. L'Arca è, da sempre, con noi. Le trombe dei sacerdoti, la preghiera incessante della Chiesa, lo zelo di chi ha a cuore la nostra sorte, hanno custodito la presenza di Dio in noi. Passa Gesù, è arrivato il Messia. Ce lo annunciano quelli che "camminano avanti", il Popolo in procinto di entrare in Gerico, coloro che vanno "ciascuno diritto davanti a sé". 

Certo, lo stupore è grande, come la tentazione di star zitto e non disturbare. Dentro e fuori di noi i pensieri, i consigli, il buon senso, il "religiosamente corretto", ci vogliono indurre a tacere. Un mendicante cieco è sempre, agli occhi legalistici e moralistici, un indegno: reca impresso nella sua cecità il segno del disordine del peccato; è un fallito, un pigro, preferisce starsene seduto aspettando da fuori l'aiuto che dovrebbe procurarsi da sé. Non si impegna, non si sforza, mendica.... E invece il cieco continua, "ancora più forte" del moralismo, dei sensi di colpa, dei rimorsi. Prende forza dalla sua debolezza e dalla fede accolta attraverso l'ascolto della predicazione - "Passa Gesù Nazareno!" - che innesca la scintilla capace di schiudergli la salvezza. Tutto è Grazia! Perfino quel suo stare là... E' bastato il passaggio di Gesù ad accendere la fede donata dalla predicazione, a decodificarla in un grido, a professarla con semplici parole, umili perché vere: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Abbi pietà tu di me: la mano tesa del mendicante, la nostra mano, ha trovato la pietà veracercata come la può cercare un cieco, nel matrimonio, nei figli, nel prestigio, nell'amicizia, nel lavoro; spesso nei peccati... 

E quel grido ferma il passaggio di Gesù. E' il potere della fede fatta preghiera. Attraverso di essa, cifra della libertà orientata alla Verità, l'appuntamento diviene realtà. La preghiera ha il potere di far compiere la volontà di Dio: il suo pensiero di bene circa quel cieco si realizza grazie a quel grido. Occorre che Gesù si accorga di lui e si fermi. Occorre che la scintilla della fede raggiunga Cristo, lo tocchi, scenda al suo cuore e "liberi"la sua commozione, la sua pietà. Come hanno fatto l'emoroissa, il centurione, il buon ladrone sulla croce. Perchè l'appuntamento cui siamo destinati si traduca in un avvenimento reale, è necessario dare del "tu" a Gesùla mia preghiera mendicante lo rende un "tu" per me, Qualcuno che ha relazione con me, con la mia vita. La preghiera gli consegna l'autorità per fare quello che ha pensato, per compiere la volontà del Padre in noi. "Si trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: "Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore. "Che io riabbia la vista!", risponde il cieco. "Va’, la tua fede ti ha salvato". Con queste parole si compie il miracoloGioia di Dio, gioia dell’uomo" (Benedetto XVI). 

Così la preghiera, a partire dall'umile riconoscimento della propria realtà di mendicante, divine la professione di fede più genuina: Sì, il cieco, in una frase condensa la fede della Chiesa. Il tu e l'io descritti nel suo grido, dicono tutto, professano la fede e attirano la salvezza. Io, mendicante bisognoso, Tu, Figlio di Davide, il Messia, l'unico Salvatore. E la pietà, la misericordia, la salvezza, Gerico, la Terra Promessa, il riposo, la vita piena ed eterna. Si comprende allora perché tutta la tradizione orientale abbia come fondamento la preghiera di questo cieco, la "preghiera di Gesù". Benedetto XVI sintetizza magistralmente tutto questo: "Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente" (Benedetto XVI, Catechesi nell'Udienza Generale dell' 11 maggio 2011).  

Il grido del cieco lo orienta verso quell'oltre al quale è chiamato da Gesù e condotto dai discepoli. Ora è "vicino" a Lui e si accorge che, come nella bellissima scena del film "Marcellino pane e vino", pur senza vederlo ancora, quell'Uomo era un mendicante come lui. Marcellino vede Cristo nudo, e pensa che abbia fame. Nella sua innocenza gli porta del pane. E quel pane gli aprirà il cuore di Cristo, che lo accoglierà nella sua intimità. E' Cristo che mendica la fede del cieco, il suo bisogno, come il nostro; come sulla Croce, ha sete del nostro abbandono, ha sete di donarci l'acqua viva; mendica il poter offrire la pietà mendicata. Diceva Mons. Giussani che "L’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo". "Che vuoi che io faccia per te?". 

Questa domanda è oggi rivolta a ciascuno di noi. Possiamo riacquistare la vista per vedere Lui, il "tu" che dà compimento ad ogni nostro desiderio. Crollano le mura di Gerico che impediscono l'ingresso alla Terra, si aprono gli occhi e si può, finalmente contemplare il volto di Cristo, e scoprire che, da sempre, era impresso in noi e nella nostra storia. E da questo incontro nasce un discepolo ebbro di gioia e di lode. Il cieco lascia quel lembo di terra sul quale ha passato la vita mendicando. Ma non smette di mendicare. E' afferrato in una relazione nuova e sorprendente, che lo attrae e lo seduce. Ora il cieco segue Cristo, con il cuore rivolto a Lui, origine e compimento di tutto: famiglia, lavoro, amicizie. Ora egli sa a Chi mendicare; lo seguirà in un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per imparare ad andare "diritto davanti a sé".






Sabato della XXXII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma


Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre. 
I discepoli sono fuggiti, ella non fugge.
Ella sta lì, con il coraggio della madre, 
con la fedeltà della madre, 
con la bontà della madre, 
e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: 
"E beata colei che ha creduto". 
"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.
 Sì, in questo momento Egli lo sa: troverà la fede. 
Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.

Benedetto XVI













L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.



LA PREGHIERA INSTANCABILE DELLA CHIESA CI DONA LA FEDE NELLA QUALE ATTENDERE IL RITORNO DELLO SPOSO


Sperare contro ogni speranza è il fondamento ultimo e primo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti ad un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato da ciascuno di noi, desidera ascoltare la nostra voce, ci chiama e ci invita a «pregare incessantemente». La «necessità di pregare sempre e senza stancarsi» è la necessità dell'amore, perché per amare Cristo, non abbiamo che l'»insistenza» delle lacrime e della preghiera. E come è necessario amare per vivere, così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, «troverà ancora la fede sulla terra», ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa e di ciascuno di noi. Quando tutto ci sembra congiurare contro, la preghiera è il «linguaggio» della fede adulta. Laddove non possono le ragioni umane, può l'»insistenza» spinta al limite della resistenza altrui, come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo. La «Giustizia» nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta; per questo «non si stanca» nel rivendicare la misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein» tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati». La vedova sa di avere un avversario e di rischiare la vita, non trascurare la preghiera, la supplica, l'amore. Chi invece ha perduto questa coscienza si stanca e comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita. 

Anche noi abbiamo lo stesso «avversario», il demonio, che prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci trascina «accusandoci» davanti al Giudice. Ma è proprio da questo tribunale che possiamo elevare il grido della preghiera, i gemiti inesprimibili dello «Spirito Paraclito», il nostro «avvocato» presso il Padre, lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come «mallevadore». È Lui che, secondo il significato del termine, «impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio», presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato con i suoi stessi beni, con la sua vita. L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa «prontamente» garante per noi presso Dio e il Giudice non può che ascoltare altrettanto «prontamente» un Avvocato che garantisce mostrando le sue stesse piaghe segno della sua vita offerta in riscatto. Per questo chiediamo con insistenza il compimento in noi della Giustizia della Croce. Pur essendo schiaccianti le prove contro di noi e siamo senza attenuanti - la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). E' questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice; la «giustificazione» che fa di noi i testimoni, come Abramo, della «fede sulla terra», che crede contro ogni evidenza, avviandosi ogni giorno al Moria, sino al ritorno del Signore.  




 




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COMMENTO COMPLETO




Sperare contro ogni speranza, il fondamento ultimo e primo della preghiera. Vedova, con un avversario a stringerle la gola, e un giudice terribile da cui aspettarsi tutto meno che giustizia. Speranze umane praticamente nulle. Questa vedova si confonde nell' immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). Il rabbino Rashi è ancora più esplicito: "Questo è detto in riferimento al tempo che il Faraone e il suo esercito inseguirono e raggiunsero gli israeliti accampati presso il mare, e non c'era nessun posto dove fuggire di fronte a loro a causa del mare, né vi era posto per passare al lato a causa della bestie feroci". 

La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato dalla sposa, desidera ascoltare la sua voce, la chiama e la invita a pregare e a mostrare il suo volto. La preghiera è l'amore che spalanca il mare, che ci introduce nella Pasqua, e fa della nostra vita un esodo verso la libertà. 
Forse non abbiamo mai pensato che è proprio il Signore a desiderare il nostro grido, la nostra preghiera incessante. Anche quando sembra sparire dalla nostra vita, quando ci sentiamo come questa vedova, è Lui che ci ripete: "fammi udire la tua voce, mostrami le tue lacrime, dimmi quello che vi è al fondo del tuo cuore". 

Crediamo sforzarci per pregare, e a volte è così, ma la necessità di pregare sempre e senza stancarsi è la necessità dell'amorePrega con fede e senza stancarsi solo un cuore innamorato, raggiunto dalla voce del suo Amato. Pregare non è follia o rifugio alienante: "L’impegno della preghiera sembra, a tutta prima, un estraniarsi dalle lotte della vita. Sembra una rinuncia a combattere. Ma chi pensa così, non conosce la potenza della preghiera" (Giovanni Paolo II, Firenze, Omelia del 19 ottobre 1986). Pregare è sperare contro ogni evidenza, sospinti dall'impulso che sorge da un cuore ferito d'amore. Ancor prima di metterci a pregare, Lui conosce quello di cui abbiamo bisogno, e lo tiene già pronto per donarcelo, secondo la sua volontà; ma desidera ascoltare la nostra voce, che gli esprimiamo il nostro amore, perché solo chi ama è davvero felice, anche nelle difficoltà. 

Il nostro amore verso di Lui non può che essere il povero balbettio di una vedova che cerca giustizia; parole ripetute con insistenza al giudice, come le lacrime della peccatrice versate copiose sui piedi di Gesù, perchè ama molto solo colui al quale molto è stato perdonato. Sì, per amare Cristo, non abbiamo che l'insistenza delle lacrime e della preghiera. E' necessario amare per vivere, e chi ama davvero non si stanca mai; come in qualunque relazione, non mancano certo i momenti di difficoltà, ma è proprio allora che l'amore rivela la sua definitività e la sua autenticità. Amare è cosa di tutta una vita, e così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, troverà ancora la fede sulla terra, ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa sua amata.   

Spesso dunque la fede deve accompagnarci nel deserto, come la vedova del Vangelo; radicata in altre passate esperienze, accese per Grazia dallo Spirito Santo ad illuminare la ragione incastrata nel dubbio e nell'incomprensibilità, la fede muove il cuore a pregare e ad amare nonostante l'aridità e la tentazione. Quando tutto sembra congiurare contro di noi, sul lavoro, in casa, la salute, i soldi che non bastano mai, quando siamo con la lingua di fuori, stremati dagli insuccessi e accerchiati dal nemico, la fede è sperare al di là di ogni ragionevolezza. La preghiera è il "linguaggio" della fede adulta di chi ha fondato la propria vita sull'amore di Dio, sperimentato e conosciuto. "E’ chiaro infatti che la preghiera dev’essere espressione di fede, altrimenti non è vera preghiera. Se uno non crede nella bontà di Dio, non può pregare in modo veramente adeguato. La fede è essenziale come base dell’atteggiamento della preghiera (Benedetto XVI, Omelia del 17 ottobre 2010).

La fede è questa speranza, la preghiera d'una vedova che non ha nessuno, niente altro che la propria insistenza. Giorno e notte senza stancarsi. L'insistenza dell'amore, mossa dalla certezza di essere esaudita; questa vedova sa che l'unica arma per scardinare la porta blindata del giudice è la sua insistenza. Laddove non potrebbero le ragioni umane, neppure i migliori avvocati - e comunque la vedova non ne ha - può l'insistenza spinta al limite della resistenza altrui; molestare e prendere il giudice per sfinimento.

Come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo: non c'è nulla da fare, si piantano accanto alla madre, e chiedono e piangono e non smettono sino a quando, esausta, non esaudisce i suoi desideri. Il bambino sa che quella è la chiave, la sua furbizia dettata dall'esperienza e neanche troppo ragionata, lo muove a fare così. Il figlio è certo della "vittoria", perchè i suoi capricci, la sua insistenza petulante, hanno sempre avuto ragione dei primi dinieghi dei genitori. Così è per questa vedova: con l'insistenza sfianca il giudice, il quale, pur di non averla più tra i piedi, le accorda giustizia. E non era assolutamente scontato, visto che in quella società, nonostante quanto prescritto dalla Torah, la vedova contava ben poco, e meno contro un avversario potente in mezzi e avvocati. 

La vedova sa che le è stata fatta un'ingiustizia dall'avversario. Ha coscienza di aver subito un'ingiustizia, che qualcuno ha turbato l'equilibrio della sua vita, prendendola tra il Faraone e il mare, tra il falco e il serpente. Si è dovuta ingiustamente rifugiare nella cavità di una roccia, è già in prigione, ha perduto la propria libertà. E per questo, accesa dall'amore, certa di essere esaudita, affamata di giustiziainsiste senza stancarsi. Il verbo enkakein tradotto con "senza stancarsi", ha il significato di cominciare a trascurare qualcosa o tralasciare un impegno a cui si è obbligati. La coscienza di avere un avversario le impedisce di trascurare la preghiera, la supplica, l'amore. 

Chi invece ha perduto questa coscienza e non si rende più conto di avere un avversario che gli sta facendo un ingiustizia si stanca, comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita. Solo chi ha conosciuto la Giustizia misericordiosa di Dio ha coscienza dell'avversario, ha timore di perdere per sempre la giustizia vera, e di precipitare in una vita mutilata, a metà, come è quella di una vedova. 

La Giustizia nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità di cui parla spesso S. Giovanni. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta. E' l'attacco più grave, non può stancarsi nel chiedere che le sia riconosciuto, protetto o ridato il diritto di vivere nella giustizia, nella comunione con il suo Sposo. La vedova rivendica la misura di vita che le corrisponde; vuole che essa sia piena, traboccante come le spetta per diritto, e implora che le sia versata in grembo. Insiste perchè vuole vivere secondo giustizia, la giusta misura di verità, amore, pace e letizia che corrisponde alla sposa di Cristo! 



Questa insistenza si manifesta, essenzialmente, attraverso i gemiti inesprimibili dello Spirito Santo che gridano dentro ciascuno di noi. Non sappiamo quello che dobbiamo domandare, solo sappiamo, come la vedova, che c'è una giustizia, una misura alta di vita per la quale siamo stati creati ed eletti! Come, quando e dove essa si compirà è affare dello Spirito Santo. Esso attesta al nostro intimo che siamo figli, coeredi di Cristo di una vita giusta, secondo la volontà di Dio, che non possiamo trascurare

Per questo è necessario pregare sempre, ne va della nostra felicità. Non possiamo abbassare la guardia, c'è l'avversario. Questo termine indica il demonio, l'accusatore che ci accusa giorno e notte davanti a Dio, come già fece con Giobbe, e poi con gli eletti di Dio. Sbandiera i nostri peccati e ci vuole condannati. E quante volte sentiamo queste accuse penetrarci dentro, tramortirci, e gettarci nello sconforto, nel vederci sempre uguali, sempre gli stessi peccati... Le accuse di colui che prima ci ha ingannati, sedotti e spinti a peccare, e poi ci trascina davanti al Giudice. 

E' l'esperienza che, ad esempio, facciamo in famiglia, quando discutiamo con il coniuge, con i figli o con i genitori, e ci alteriamo e, alla fine, vomitiamo ingiurie che non avremmo mai voluto pronunciare. E ci ritroviamo come questa vedova, che non può appellarsi né alla giustizia umana - il giudice non ha riguardo di nessuno - né al sentimento religioso - il giudice non teme Dio - Soli con i nostri peccati, soli con i rimorsi e quell'orgoglio ferito che ci fa impazzire. L'avversario ci ha resi vedovi, ci ha strappato lo Sposo. Per i nostri peccati, per il male che si abbatte su di noi, l'avversario ci ha tolto ingiustamente lo Sposo, e non lo vediamo più, e la vita s'e spezzata, perde di senso, scivola via privata della gioia. 



"Ma ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù; miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio" (Gb. 16,19-20). E' proprio dall'abisso nel quale siamo precipitati che possiamo elevare il grido, lasciare che lo Spirito Santo elevi i gemiti che siano i nostri avvocati presso Dio. I lamenti dello Spirito Paraclito, l'avvocato presso il Padre che perora la nostra causa. Lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come mallevadore ed è ora alla destra di Dio: Lui che, secondo il significato del termine, impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio, presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato in solido, con i suoi stessi beni, con la sua vita. L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa prontamente garante per noi presso Dio. Il Giudice non può non ascoltare prontamente dinanzi ad un Avvocato che garantisce mostrando al Padre le sue stesse piaghe, la sua vita offerta in riscatto. 

Per questo possiamo insistere, pregare senza stancarci: quello che chiediamo non è altro che il compimento in noi della Giustizia della Croce, il perdono dei nostri peccati, poter lavare e rendere candide le nostre vesti, le nostre anime, nel sangue dell'Agnello, per vivere la vita giusta, il matrimonio giusto, l'amicizia giusta, il lavoro giusto. Siamo chiamati a vivere ogni istante implorando la Giustizia che smaschera la menzogna dell'avversario e il suo impianto accusatorio; pur essendo schiaccianti le prove contro di noi - abbiamo trascurato e siamo stati infedeli, quel giorno a quell'ora in quel posto, non ci sono attenuanti: la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). 

E' questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice, colei alla quale è stato ridonato lo Sposo sottratto, per vivere con Lui una vita autentica. Con fede occorre saper riconoscere i nostri avversari, i pensieri e la mediocrità che ci appare la via più semplice alla felicità, le concupiscenze d'ogni genere. La grandezza e la bellezza della vita alla quale siamo chiamati ci svelano i pericoli che si nascondono dietro l'angolo, gli avversari che attentano alla nostra vocazione. Abbiamo bisogno della fede che, senza stancarsi, ci spinge a lottare e cercare prima di ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia, la nostra vera patria già su questa terra. 

La fede è il fondamento delle cose che si sperano, la certezza della "pronta" Giustizia di Dio, nel tempo necessario che si rivelerà breve un fulmine, se sarà colmato con l'attesa, il grido, la preghiera, l'amore. S. Basilio Magno afferma che "chi prega, ha le mani sul timone della storia". Si tratta della preghiera che sussurra senza posa il dolce Nome di Gesù, secondo l'interpretazione che la Chiesa Orientale ha dato al versetto sulla necessità di pregare senza stancarsi. Il Pellegrino russo ha imparato che la "preghiera del cuore" recitata al ritmo dei respiri e dei battiti del cuore, è l'unica cosa necessaria nella vita. 

Attraverso di essa si imprimono il desiderio di giustizia e perdono, della vita piena e santa, il grido, l'abbandono, l'amore e la fede su ogni passo posato nella storia. La preghiera della vedova che trasferisce tutta intera la propria vicenda umana ai piedi del Trono di misericordia del Padre. Forse nulla cambierà secondo i nostri umani desideri, ma sarà mutato il nostro sguardo sui fatti e le persone, la vera Giustizia che giudica tutto trapassando le apparenze e giungendo diritto al cuore d'ogni cosa, l'amore infinito di Dio che avvolge e impregna tutto di una dolcissima misericordia. 

"Il Signore è giudice e non v'è presso di lui preferenza di persone. Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? La preghiera dell'umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità. Il Signore non tarderà... finché non abbia fatto giustizia al suo popolo e non lo abbia allietato con la sua misericordia. Bella è la misericordia al tempo dell'afflizione, come le nubi apportatrici di pioggia in tempo di siccità" (Sir. 35,2ss). 

La bellezza risplendente in Maria, che è rimasta ferma nella fede nel tempo del dolore, anche dinanzi al Figlio Crocifisso, contemplando in Lui la Giustizia che Ella stessa - Figlia di Sion e Madre della Chiesa, vedova sola senza nessun avvocato, abbandonata come Gesù anche dagli amici - implorava per noi suoi figli, per ogni uomo. in Lei, come scriveva Benedetto XVI, Gesù troverà la fede sulla terra, nella Chiesa radicata in essa, ai piedi della Giustizia crocifissa e per questo eterna e capace di salvare i peccatori. La Giustizia che il mondo non conosce e che ha diritto di conoscere. 



Per questo il Signore conclude la Parabola chiedendo se "il Figlio dell'Uomo quando tornerà, troverà la fede sulla terra?" L'esperienza della Giustizia misericordiosa di Dio non può che farsi annuncio, evangelizzazione. La missione della Chiesa infatti è quella della Vedova che ha trovato prontamente giustizia. Il mondo chiede giustizia, i tribunali sono pieni, la politica si gioca nelle aule giudiziarie, da sempre nel mondo si cerca un capro espiatorio per le proprie pene, per i fallimenti, le ingiustizie, i peccati. Tutti cercano giustizia ma nel posto e nel modo sbagliati. E' missione unica e irrinunciabile della Chiesa illuminare il mondo e annunciargli la vera Giustizia; per questo occorre custodire la fede e camminare in essa.

La fede che il Figlio "spera" di trovare alla fine dei tempi, e nel suo quotidiano ritorno incamminato alla nostra ricerca sulle strade di questa terra, è il nostro abbandono tra le sue braccia; la fede di Abramo, la "fede sulla terra" come canta un midrash sul sacrificio di Isacco, che ha sperato contro ogni speranza nella sterilità prima, e salendo il Moria poi, sommerso dai flutti di disperazione di una morte incipiente, nella quale ha "visto" il giorno di Cristo, la risurrezione impensabile, la Giustizia della Croce. Solo questa fede incarnata nella vedova può schiudere le labbra alla predicazione, all'annuncio del Vangelo. Così la domanda del Signore può anche essere letta: "Il Figlio dell'Uomo quando tornerà, troverà chi annunci il Vangelo? Chi mostri al mondo che sul Monte il Signore provvede? Chi custodisca e trasmetta la fede?". 



Diceva infatti San Giovanni Paolo II: "Le parole pronunziate da Cristo in questa sua domanda, contengono una specie disfida alla Chiesa di tutti i tempi. E questa sfida ha un carattere missionarioSe il Figlio dell’uomo alla sua venuta definitiva deve trovare “la fede sulla terra”, è necessario che tutta la Chiesa sia costantemente missionaria (“in statu missionis”), così come è stato sottolineato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa è missionaria, quando accoglie con fede, con speranza e con carità, la parola di Dio: questa Parola che è “viva, efficace, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12). La Chiesa vive nella luce di questa Parola. Vive e si rinnova nella sua potenza. La potenza della parola di Dio si fonda sulla Verità, sulla Verità definitiva, perché è anche la prima. Sulla Verità assoluta, cioè tale per cui in essa “si risolvono” tutte le verità che ne derivano, le verità umane. Sulla verità perciò, assolutamente semplice e limpida, che è accessibile ai “piccoli”, che si rivela a tutti gli uomini “puri di cuore” e di buona volontà, come Gesù ci ha insegnato nel suo Vangelo. La potenza della parola di Dio è nella verità ed è nella missione!" (Giovanni Paolo II, Omelia del 19 ottobre 1986).