Giovanni Battista, il Giordano e la salvezza di Israele


di Hartmut Stegemann
I brani sono tratti da H. Stegemann, Gli Esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù. Una monografia, trad. it. EDB, Bologna 1995, pp. 305-318. I titoli dei paragrafi sono redazionali.

Battesimo di Gesù (a sinistra, il fiume Giordano; a destra, Giovanni Battista). Battistero degli Ariani, Ravenna.
Secondo il racconto di Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 18,116-119; cf. Mc 6,17-29; Mt 14,3-12; Lc 3,19-20), il tetrarca ebreo Erode Antipa, che dal 4 a.C. al suo esilio a Lione nel 39 d.C. governò sulla Galilea e la Perea quali parti del regno di suo padre Erode il Grande, fece giustiziare Giovanni Battista nella sua fortezza di Macheronte, situata in alto sulle montagne, a oriente del Mar Morto. La fortezza era situata all’estremità meridionale della Perea, una lunga striscia di terra situata interamente sulla sponda orientale del Giordano. Circa a metà della Perea, di fronte a Gerico, si trovava il luogo nel deserto dove Giovanni era solito battezzare «al di là del Giordano» (Gv 1,28; 10,40).
Lo scenario della predicazione
Il nome della località che si trova in Gv 1,28 (Betania, «casa delle barche») era dovuto all’intenso traffico di barche che traghettavano persone e merci da una sponda all’altra del Giordano. Ritenendo che quel nome fosse un errato uso del nome di località Betania («casa dei malati») che nel Nuovo Testamento viene sempre usato per indicare un villaggio sito sul Monte degli Ulivi vicino a Gerusalemme (Mc 11,1.11; 14,3; Mt 21,17; 26,6; Lc 19,29; 24,50; Gv 11,1.18; 12,1), certi testi posteriori lo hanno sostituito con il nome di una località (Bet-Abara, «luogo della traversata») situata 7 km più a sud della «casa delle barche», che altri hanno poi a loro volta sostituito con il nome di una località (Bet-Araba, «casa del deserto», Gs 15,6.61) sul confine giudaico-beniaminita, situata a 5 km a occidente del luogo del battesimo in direzione di Gerico. Entrambe queste località sono oggettivamente inadatte.

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Il territorio sulla sponda orientale del luogo di attraversamento è stato chiamato, a causa della ricchezza delle sue sorgenti, anche Enon («territorio dalle molte sorgenti»). Poiché quest’indicazione di località faceva chiaramente concorrenza a Betania (Gv 1,28), già il Vangelo di Giovanni ha erroneamente considerato come ulteriore luogo di battesimo di Giovanni un altro luogo dello stesso nome presso Salim, nel territorio della Decapoli a occidente del Giordano, corrispondente alla provincia di Samaria (Gv 3,23.26).
Infine, per le folle di pellegrini che cominciarono a visitare nel IV sec. d.C. il luogo dove Giovanni battezzava divenne sempre più difficile, anzi addirittura pericoloso a causa dei raid beduini, raggiungere questa regione sulla sponda orientale del Giordano. I luoghi di culto cristiani della venerazione del Battista vennero quindi spostati da allora in poi sulla sponda occidentale opposta del Giordano. È lì che sono indicati già sulla più antica carta geografica della Palestina, il pavimento musivo di una chiesa di Madaba a oriente del Giordano realizzato verso il 565 d.C. Ma, in realtà, Giovanni Battista non ha mai operato a occidente del Giordano.
Del resto, anche l’Enon ricco di sorgenti presso Betania apparteneva già al deserto. Infatti il termine ebraico midbar, reso abitualmente con «deserto», non indica una regione sabbiosa e sassosa priva di piante, ma unicamente quelle parti del territorio che sono poco adatte alla coltivazione e che vengono di conseguenza usate normalmente come pascoli.
In ogni caso, se Erode Antipa ha potuto far arrestare e giustiziare il Battista che si era posto contro di lui senza incontrare alcuna opposizione da altre parti era solo perché il luogo dove Giovanni battezzava si trovava sulla sponda orientale del Giordano in Perea, quindi nel territorio della sua giurisdizione. Su questo dato geografico non possono sussistere dubbi. Esso è anche il punto di partenza più importante per comprendere tutta l’opera di Giovanni Battista.
Nel luogo dove Giovanni battezzava il fiume era attraversato da un’antica strada commerciale che raggiungeva da Gerusalemme i territori a oriente del Giordano passando per Gerico. Con l’acqua bassa a guado, altrimenti su barche, qui si svolgeva ogni giorno un intenso traffico di persone e merci, analogo a quello che si ha oggi fra la Giordania e la sponda occidentale del Giordano sul ponte Allenby, situato nelle immediate vicinanze verso nord. Qui Giovanni poteva inveire con forza contro gli ebrei che sorprendeva impegnati in giorno di sabato nei loro viaggi commerciali, contro i doganieri che pretendevano al passaggio del confine più di quanto era loro dovuto o contro i soldati avidi di accrescere le loro fortune personali con azioni militari nel territorio del vicino (cf. Lc 3,10-14).
Nella sua critica Giovanni non risparmiò neppure il proprio sovrano, Erode Antipa, attaccando apertamente il suo matrimonio con una parente in violazione delle disposizioni della Torah e sottoscrivendo così indirettamente la propria condanna a morte (Mc 6,17-29; Mt 14,3-12; Lc 3,19-20). La critica di Giovanni ai suoi contemporanei ebrei religiosamente impuri raggiunse il suo acme nell’espressione «razza di vipere» da lui usata in modo generalizzato nei loro confronti: Dio avrebbe reso «figli di Abramo» le pietre disseminate nella regione piuttosto che permettere che simili «figli del diavolo» profittassero nell’imminente giudizio finale del ricco tesoro di benedizione del patriarca Abramo (Mt 3,7-9; Lc 3,7-8). Se non si fossero «convertiti» in tempo sarebbero andati incontro a un’imminente eterna dannazione.
La scelta del luogo da cui lanciare il proprio appello alla «conversione» non fu dettata naturalmente in primo luogo dalla possibilità di incontrarvi molta gente su cui esercitare il proprio influsso. Se si fosse trattato solo di questo, Giovanni avrebbe potuto scegliere anche la sponda occidentale di quel passaggio del fiume, dove sarebbe stato anche più protetto nei confronti dell’azione degli sgherri di Erode Antipa che egli andava criticando. Avrebbe potuto raggiungere un maggior numero di ascoltatori ebrei meritevoli a suo avviso delle sue critiche nei cortili del tempio di Gerusalemme e anche a ogni angolo di strada di Gerusalemme o di altre città palestinesi, spostandosi di luogo in luogo, o lungo le strade commerciali che giungevano al Mediterraneo e attraversavano tutto il paese.
Se il problema fosse stato semplicemente quello di disporre di acqua sufficiente per i propri battesimi, Giovanni avrebbe avuto innumerevoli possibilità sul Lago di Tiberiade, nei territori alle fonti del Giordano e nei molti corsi d’acqua presenti su tutto il territorio e forniti di acqua durante tutto l’anno. Infine, anche a Gerusalemme e nella ricca città di Gerico vi erano sufficienti bagni privati e pubblici nei quali avrebbe potuto battezzare in condizioni certamente meno sfibranti di quelle della torrida calura estiva del Giordano. Perché dunque Giovanni battezzava proprio «nel fiume Giordano» (Mc 1,5-9; Mt 3,6; cf. Lc 3,3; Gv 1,28; 10,40)? Perché battezzava non in una popolosa città, ma «nel deserto»?
Il vero motivo di fondo per la scelta di quel particolare luogo da parte di Giovanni è indicato unicamente dalla tradizione biblica. Infatti, come luogo della sua entrata in scena ufficiale Giovanni scelse proprio quel luogo di fronte a Gerico dove un giorno Giosuè aveva introdotto il popolo di Israele nella Terra Santa attraverso il Giordano (Gs 4,13.19). La scelta della sponda orientale del Giordano come luogo della sua azione corrispondeva quindi all’antica condizione di Israele prima del passaggio del fiume. L’entrata in scena del Battista era perciò analoga all’esistenza di Israele nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto e prima dell’ingresso nella Terra Santa, dove solo successivamente si sarebbe realizzato ciò che già al Sinai Dio aveva promesso al suo popolo eletto attraverso Mosè.
In una sorta di azione profetica simbolica Giovanni poneva così il popolo di Israele davanti al passaggio nel futuro tempo della salvezza in corrispondenza con quella generazione del deserto di Israele cui era senza dubbio già stata promessa la salvezza, ma i cui membri sarebbero dovuti morire prima che i loro figli potessero raggiungere la meta della salvezza. La semplice appartenenza alla discendenza di Abramo, Isacco e Giacobbe, dunque al popolo eletto, non aveva assolutamente assicurato loro la partecipazione personale alla salvezza (cf. anche 1Cor 10,1-13; Eb 3,1-4.13; Gv 6,30-35.47-51). A ciò corrisponde il titolo di «figli del diavolo» eternamente dannati dato da Giovanni a tutti gli ebrei impuri del suo tempo.
Il Battista pretendeva da ciascuno un’immediata «conversione» alla volontà di Dio un tempo rivelata al Sinai, la radicale rinuncia allo stile di vita praticato fino ad allora. Ciò che poteva salvare il singolo dalla distruzione imminente non era la disponibilità all’assoluta osservanza da quel momento in poi di tutte le norme della Torah, ma un corrispondente stile di vita, ivi compresi le preghiere, i digiuni e le opere di carità nei riguardi del prossimo bisognoso che erano prescritti dalla Legge (cf. Mc 2,18; Mt 9,14; Lc 3,11; 5,33; 11,1; anche il discorso della montagna di Gesù in Mt 6,1-18).
L’elemento peculiare della concezione del Battista consisteva nel fatto che mentre per la generazione del deserto di Israele nessuno dei suoi membri originari era potuto entrare nella Terra Santa a eccezione di Giosuè e Caleb, per l’Israele del tempo di Giovanni, ugualmente carico di peccati e peccatore, vi doveva essere ancora una possibilità di salvezza. Dal punto di vista della storia della religione questa possibilità di salvezza ha trovato un posto fondamentale anche presso i cristiani, i mandei e i musulmani. Per Giovanni si trattava anzitutto del compito profetico affidatogli da Dio, il quale lo aveva chiamato nel deserto a oriente del Giordano e lo aveva fatto comparire sulla scena come ultima occasione favorevole per tutto Israele prima della distruzione incombente nel futuro giudizio finale.
La figura profetica di Giovanni, nuovo Elia
Giovanni Battista simboleggiava l’analogia fra il presente di Israele e la situazione dell’antica generazione del deserto già con il suo aspetto personale. Quale tipico abitante del deserto egli portava, secondo lo stile dei beduini, un mantello di peli di cammello con una cintura di cuoio ai fianchi e si nutriva di cavallette e miele selvatico (Mc 1,6; Mt 3,4). Questo stile di vita non aveva naturalmente nulla a che vedere con un comportamento ascetico in grado di contrapporlo ai gaudenti «mangioni e beoni» del tempo di Gesù e distinguerlo da essi (Mt 11,18-19; Lc 7,33-34). Le cavallette fritte nell’olio di oliva avevano un sapore simile a quello delle patatine fritte. Come anche il miele selvatico, esse erano considerate un’autentica leccornia. Solo gli abitanti del deserto potevano permetterseli con tanta abbondanza, così come altri potevano permettersi il pane quotidiano, l’alimento fondamentale degli agricoltori e dei cittadini fatto con i cereali dei loro campi coltivati. Mentre gli abitanti dei villaggi e delle città portavano normalmente abiti fatti con lino o lana, Giovanni simboleggiava la condizione della peregrinazione di Israele nel deserto grazie al suo non meno fine mantello di peli di cammello, la cui cintura di cuoio non aveva nulla da invidiare alle sciarpe di stoffa degli altri […].

S. Giovanni Battista, icona copta, XVI-XVII sec.
Al tempo stesso egli voleva ricordare con il suo abbigliamento quello del profeta Elia (2Re 1,8; cf. Zc 13,4). L’aspetto esteriore del profeta Giovanni mostrava chiaramente quali fossero i tratti tradizionali che confluivano nella sua entrata in scena.
Gesù stesso ha chiesto ai suoi contemporanei ebrei se fossero andati da Giovanni «nel deserto» semplicemente per ammirare una canna agitata dal vento o qualcuno vestito come i cortigiani che vivono nei palazzi dei re. Il riferimento antitetico delle due immagini allo stile di vita e all’aspetto del Battista sarebbe risultato ancor più evidente se si fossero citati come elementi di contrapposizione i «campi di messi ondeggianti» o il normale «abbigliamento degli abitanti delle città e dei villaggi» del luogo. Non v’è comunque alcun dubbio che le due domande retoriche richiedono una risposta negativa e servono in definitiva a preparare la terza domanda, che richiede invece una risposta positiva: «E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì (certamente un profeta, ma), vi dico, anche più di un profeta» (Mt 11,7-9; Lc 7,24-26).
A quel tempo veniva considerato profeta chi preannunciava qualcosa che sarebbe accaduto in futuro. Egli si dimostrava vero profeta se ciò che aveva preannunciato accadeva realmente. La particolare previsione del futuro del profeta Giovanni consisteva nel fatto di preannunciare come imminente il giudizio finale di Dio e l’inizio del tempo della salvezza per Israele. Nel linguaggio ricco di immagini del Battista la vicinanza di questi avvenimenti era comparabile alla situazione che viene a crearsi quando qualcuno è già pronto con la scure in mano per abbattere un albero o con il ventilabro in mano per separare il grano dalla pula di un mucchio di cereali che stanno lì davanti a lui (Mt 3,10.12; Lc 3,9.17). Il più potente di lui, al quale egli non era degno di rendere neppure l’infimo dei servizi resi dallo schiavo e che fra breve avrebbe battezzato «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11; Lc 3,16; cf. Mc 1,7-8; Gv 1,26-27.33), non era per il Battista storico né Gesù né alcun’altra figura messianica, ma Dio stesso, di cui egli si considerava l’annunciatore e colui che preparava la strada.
Si ritiene spesso che siano stati i cristiani ad attribuire per primi a Giovanni questa funzione di annunciatore e preparatore della strada, poiché nei Vangeli essa serve esclusivamente a degradare il Battista nei confronti di Gesù […]. Se tuttavia si legge l’ultimo capitolo dell’ultimo libro della raccolta biblica dei profeti ci si accorge facilmente che esso contiene da un capo all’altro quasi tutti i motivi che hanno caratterizzato e motivato l’entrata in scena e la predicazione del Battista. Dalla prospettiva temporale di Giovanni è possibile leggere questo capitolo come la storia della propria vocazione. Già qui si trovano i motivi del giudizio attraverso il fuoco e della conversione (Ml 3,2-3.7.19), addirittura i motivi fondamentali delle sue immagini della scure posta alla radice dell’albero e del ventilabro per la vagliatura del grano (Ml 3.19a.b). Anche la presa di distanza del Battista nei confronti del culto sacrificale del tempio di Gerusalemme trova qui la sua chiara corrispondenza (Ml 3,3-4.8-10; cf. ivi cc. 1-2). Infine, non sono stati i cristiani a fare di Giovanni il «messaggero dell’alleanza», ma già il suo chiaro «testo di vocazione» (Ml 3,1), il quale gli ha imposto al tempo stesso il ruolo di Elia quale ultimo sollecitatore immediatamente prima del grande e terribile giorno del giudizio finale che sarà presieduto da Dio stesso (Ml 3,23-24; cf. Mc 6,14-15; 8,28; 9,11-13; Mt 11,14; 16,14; 17,9-13; Lc 1,17; 9,19; Gv 1,21.25).
Questo riferimento a Elia nel suo «testo di vocazione» aveva per Giovanni anche un altro autorevole significato. Infatti, secondo 2Re 2,1-18, il profeta Elia, partendo da Gerico, aveva attraversato a piedi asciutti il Giordano proprio in quel luogo dove un tempo il popolo di Israele sotto la guida di Giosuè era entrato in direzione opposta nella Terra Santa. Solo sulla sponda orientale del Giordano era comparso «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» sul quale Elia era salito e sul quale – senza essere morto – «era salito nel turbine verso il cielo» (2Re 2,11).
Ml 3,23 non nomina un luogo determinato nel quale Elia sarebbe ritornato, ma è plausibile attendere il suo ritorno nel luogo della sua ascesa al cielo. Così si spiega in ogni caso senza difficoltà il motivo per cui Giovanni, con il suo modo di vestire e di nutrirsi, evidenziava, oltre al simbolismo del deserto, anche particolarità tipiche di Elia. La sua entrata in scena era anche il promesso ritorno di Elia […].
Un messaggio escatologico
Se si considera il libro di Malachia, soprattutto il suo capitolo terzo, come testo di vocazione del profeta Giovanni – o in un modo del tutto neutro, come fondamento orientativo normativo per la sua entrata in scena – allora qui manca il motivo per lui così caratteristico del deserto. Ma esso dovrebbe essere stato presente fin dall’inizio, mediante la pretesa ben attestata per Giovanni di Is 40,3, quale fondamento decisivo per la comprensione di Ml 3,1 (cf. anche 3,22).
Diversamente stanno le cose solo per quanto riguarda il battesimo caratteristico di Giovanni. Non è possibile derivarlo né da Malachia né da alcun altro testo biblico. Naturalmente ci si potrebbe riferire al riguardo, come fa Paolo, alla nube e al passaggio attraverso il mare al momento dell’uscita di Israele dall’Egitto (1Cor 10,1-2), ma anche in questo caso si tratterebbe di un battesimo amministrato direttamente da Dio e non attraverso la figura di un battezzatore umano. Né serve l’amato riferimento alla guarigione del generale siriano Naaman grazie al suo bagno nel Giordano (2Re 5,1-19). A mandarvelo non era stato il profeta Elia ma il suo discepolo e successore Eliseo, il quale rimase comunque a casa propria e non svolse il ruolo di battezzatore di Naaman; del resto, anche la sua settuplice immersione non presentava in alcun modo un carattere di modello per il rito battesimale di Giovanni.
In realtà, fino al momento dell’entrata in scena di Giovanni non era mai accaduto né nel giudaismo né nel mondo circostante che qualcuno avesse battezzato altre persone. Esisteva certamente una grande quantità di riti di purificazione fino all’immersione di tutto il corpo, ma ognuno compiva questi riti autonomamente, senza il coinvolgimento di un battezzatore. Giovanni fu il primo a comportarsi in questo modo […].

Vasca per le immersioni rituali (mikveh), Qumran.
Come nel battesimo delle prime comunità cristiane, già in Giovanni la completa immersione del battezzando simboleggiava la morte e il suo riemergere dall’acqua la condizione della salvezza raggiunta. Il battezzante agiva come rappresentante di Dio, come fanno abitualmente i sacerdoti nel culto, per esempio quando impartiscono la benedizione durante le celebrazioni liturgiche.
Ma nel giudaismo non si può diventare sacerdoti, per esempio mediante l’acquisizione delle conoscenze relative alla professione, ma si è sacerdoti per nascita, precisamente in quanto figli di un padre della tribù di Levi o in quanto discendenti del fratello di Mosè, Aronne. Gli ebrei i cui cognomi oggi suonano Kohn, Kuhn, Cohen (= ebraico kohen, sacerdote), Katz (= abbreviazione medievale di kahen tzedek, vero sacerdote) o Levy discendono ancora normalmente dalle famiglie sacerdotali dell’antico Israele, che contavano al tempo di Gesù più di diecimila membri maschi.
Soprattutto nel caso di Giovanni Battista non vi è alcun dubbio dal punto di vista storico che egli discendesse da una famiglia sacerdotale, come risulta dalle descrizioni di suo padre Zaccaria e di sua madre Elisabetta fatte in Lc 1,5-25 e 1,39-79. Questa qualità sacerdotale di mediatore, derivante dalla sua nascita, era certamente in Giovanni la componente decisiva per il suo ruolo attivo nel battesimo, quella che lo ha reso battista come rappresentante rituale di Dio e che ha fatto del battesimo da lui amministrato un sacramento efficace. Nell’atto del battesimo Dio, attraverso il suo rappresentante sacerdotale, garantiva che avrebbe rinunciato a punire, in occasione del futuro giudizio finale, i peccati commessi fino a quel momento […].
Questi dati previ permettono di comprendere anche quale profondo contenuto simbolico avesse per Giovanni il battesimo amministrato proprio nel Giordano (Mc 1,5.9; Mt 3,6.16). Giovanni non guidava il popolo di Israele, come aveva fatto un tempo Giosuè, attraverso il Giordano nella Terra Santa (Gs 3-4), ma esattamente fino al limite di quel passaggio. Simbolicamente considerato, il futuro ambito di salvezza si trovava al di là di quel punto, sull’altra sponda. Il Giordano simboleggiava per Giovanni la barriera dell’imminente giudizio finale che era altrimenti non oltrepassabile e che poteva essere attraversata solo in futuro (cf. la cosiddetta riserva escatologica nella concezione del battesimo di Paolo, Rm 6,4). E tuttavia il battesimo «nel Giordano», come anticipazione simbolica della situazione del giudizio finale, era per i battezzati al tempo stesso anche il suo superamento e colui che battezzava si rendeva garante del futuro passaggio […].
Come ha detto lo stesso Gesù, nel caso di Giovanni si trattava di qualcosa di più della semplice profezia; si trattava sostanzialmente di un’efficace mediazione della salvezza. Il suo unico garante era per tutto l’Israele del tempo Giovanni Battista.
Spesso il Battista viene presentato come semplice profeta del giudizio, nel suo battesimo si vede unicamente il suo simbolismo di morte e il Giordano viene considerato semplicemente come un luogo naturalmente adatto per amministrare il battesimo. In realtà, per Giovanni il Giordano simboleggiava la situazione di passaggio, nell’evento battesimale dominava l’aspetto della vita e il Battista aveva ben presente non solo il giudizio finale ma anche il tempo della salvezza di Israele. La doppia affermazione del Battista che presenta Dio al tempo stesso come colui che battezza nello Spirito e nel fuoco (Mt 3,11; Lc 3,16) conferisce un’uguale importanza ai due aspetti; anzi nella valutazione positiva che Giuseppe Flavio fa di Giovanni domina addirittura l’aspetto del portatore della salvezza.
Il fatto che nel Nuovo Testamento si sia tramandato quasi esclusivamente l’aspetto del giudizio nell’annuncio del Battista si spiega se si pensa che in esso l’aspetto della salvezza viene posto essenzialmente in relazione con Gesù. In questo senso Gesù, in quanto colui che porta a compimento la condizione di salvezza annunciata da Giovanni, è stato volutamente contrapposto al Battista (Mt 11,2-6; Lc 7,18-23), ma, secondo la presentazione evangelica, il tempo della salvezza comincia nel momento in cui Gesù viene battezzato da Giovanni (Mc 1,9-11; Mt 3,13-17; Lc 3,21-22; cf. Gv 1,29-34), se non già nel momento della nascita del Salvatore (Mt 1-2; Lc 1-2).
A causa di questi interessi cristiani riguardo alla fede e alla sua presentazione, le nostre principali fonti neotestamentarie ci rinviano un’immagine piuttosto unilaterale di Giovanni Battista. Ma l’immagine contiene ancora sufficienti elementi per permetterci di riconoscere perlomeno nei suoi tratti principali il quadro globale del tempo. In base a questo quadro ilbattesimo sacramentale nel Giordano era il segno distintivo più importante di Giovanni, la duplicità del suo annuncio profetico del giudizio e della salvezza ciò che gli conferiva significato e la totalità dell’Israele del tempo la comunità alla quale egli si rivolgeva e alla quale il suo battesimo offriva l’unica porta di ingresso nella salvezza che ancora restasse.


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