Guardate figlie mie,
ciò che Dio ha dato al Figlio suo che egli amava al di sopra di tutto;
in questo potrete riconoscere quale sia la sua volontà.
Sì, tali sono proprio i beni che egli fa a noi in questo mondo.
Dà in proporzione all'amore che nutre per ognuno di noi.
Santa Teresa d'Avila
Mt 6, 7-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
Il commento
Si può vivere da orfani o da figli. Schiavi o liberi. Infelici o
felici. Chiediamoci oggi se viviamo da figli liberi; o se siamo schiavi di
un sorriso, di un'attenzione, di un affetto. Oggi più che mai il mondo ci offre
gadget da orfani, kit di sopravvivenza per anime prosciugate di senso e
sostanza. Li abbiamo visti i nostri figli? Sembrano automi, la mano si infila in automatico nella tasca ogni tre –
quattro minuti per tirar fuori lo smartphone, e lo sguardo inebetito a fissarne
lo schermo, sperando un commento, un post, qualcosa che riempia il vuoto
pneumatico di un tempo che ha il solo compito di scivolare via come una
parentesi tra un messaggio e l’altro. Ma forse anche noi, padri e madri, siamo
incapsulati nella stessa nevrosi che fa della vita
un pedaggio da pagare per entrare nelle grazie degli altri, “sprecata” come
quella dei nostri figli.
Allo stesso modo, una preghiera piena di parole “sprecate” è il sintomo di chi si sente
tradito, inutile, disprezzato, dimenticato ai bordi della storia che conta,
delle scelte importanti, e tenta, con le parole, di farsi notare e di essere importante.
Come noi, spesso orfani che cercano di costruirsi un’identità che non sia
ignorata. Le “tante parole” della preghiera, come i post gettati
parossisticamente nei social networks, segnano una vita in ginocchio davanti
agli uomini e alle cose, perché prostrata dinanzi a sé stessi; “come i pagani”:
molti dei, nessun Padre. Conoscere Lui, infatti, è la vita eterna, è sapere
d’essere amati, ora, così come siamo, senza condizioni.
I rabbini raccontavano questa breve parabola: "Il figlio di un re
aveva preso una cattiva strada. Il re gli inviò il suo precettore con
questo messaggio: “Ritorna figlio mio!”. Ma il figlio gli fece rispondere: “Con
che faccia posso tornare? Mi vergogno a comparirti dinanzi”. Il padre
allora gli mandò a dire: “Può un figlio vergognarsi di tornare da suo padre? E se tu
torni, non torni da tuo padre?" (Dt R. 2,24). Chi ha
conosciuto il Padre ha la libertà di ritornare sempre alla fonte e all'origine
del proprio essere, di gettarsi tra le sue braccia con semplicità schietta,
fiducia filiale, umile audacia, nella certezza di essere accolti con
misericordia: “La consapevolezza che abbiamo della nostra condizione di
schiavi ci farebbe sprofondare sotto terra, il nostro essere di terra si
scioglierebbe in polvere se l’autorità dello stesso nostro Padre e lo
Spirito del Figlio suo non ci spingessero a proferire questo grido: “Abbà,
Padre!”. Quando la debolezza di un mortale oserebbe chiamare Dio suo Padre se
non soltanto allorché l’intimo dell’uomo è animato dalla potenza dall’alto?” (S.
Pietro Crisologo, Ser. 71).
Chi ha “una stanza” dove
ritirarsi e sfogare le proprie angosce, confessare i propri peccati, piangere e
stringersi al petto di suo Padre, non ha più bisogno di prostrarsi agli idoli,
e la sofferenza procurata dai rifiuti, dalle incomprensioni, dai fallimenti,
non ha il potere di strappargli la speranza e la pace. Conoscere il Padre
nell’'esperienza del suo amore presente in ogni evento della nostra vita, ci
sazia e ci fa persone, ci rende la dignità che ci spetta, l’attenzione, la
stima, l’amore. Chi attinge al cuore del Padre sa amare gli altri di un amore
libero, sganciato dalle rincorse affannate e deluse, sfugge ai
compromessi, lotta per la castità, vive nella luce della verità, dona la sua
vita senza appropriarsi di quella altrui: "Chi va verso Dio non si
allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino"
(Benedetto XVI, Deus caritas est, 42).
L'incontro con Dio mio Padre fa scaturire
il Padre nostro nel quale vivere ogni istante. Nell'intima
preghiera che si abbandona totalmente a Lui, ritroviamo anche tutti
gli altri uomini. In mio Padre nessuno mi è più
estraneo, e ogni relazione assume i contorni della libertà e della
verità. Come fu per Gesù nel Getsemani, l'Abbà che sgorga dal cuore attira a
Dio, misteriosamente, schiere di uomini. Il Padre nostro è la prima
missione che ci è affidata: avere nel cuore ogni figlio di nostro Padre, ogni
nostro fratello. Per loro - perduti, dispersi, sofferenti - è la nostra
vita di figli, ritmata e accompagnata dalle parole della preghiera: esse invocano il “Nome di Dio santificato”
nelle nostre esistenze, perché si veda “il Cielo in terra” nelle opere che Dio
compie in ciascuno, opere sante, ovvero separate
e diverse da quelle del mondo ma ben presenti nella sua storia; implorano “l'avvento
del Regno” nel quale vivere come figli del Re, regnando sul denaro
e sugli idoli mondani, per dischiudere a tutti le porte sul destino che
attende ogni uomo; desiderano il “compimento della volontà di Dio” che è "umiltà
nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle
azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità... non fare
dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare
Dio con tutto il cuore... nulla assolutamente anteporre a Cristo,
poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare
inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con
coraggio e forza" (S. Cipriano, Trattato «Sul Padre nostro»);
sono le parole di chi è affamato del “pane quotidiano”, l’unico che alimenta la
vita divina, il cibo di cui si è alimentato Gesù, la Croce che ci attende ogni
“oggi”; parole che sperano la “libertà” dal demonio e “il male”, che desiderano
“il perdono” sul quale infrangere l'odio e il rancore. Il Padre Nostro è il
respiro interiore dei figli che hanno perduto la propria vita per amore.
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