IN PREPARAZIONE ALLA FESTA DI CRISTO RE
I martiri Anacleto González Flores e i 7 compagni,
come anche José Trinidad Rangel, Andrés Solá Molist, Leonardo Pérez,
Darío Acosta Zurita e José Sánchez del Río,
hanno affrontato il martirio per difendere la loro fede cristiana.
In questa solennità di Cristo Re dell'Universo,
che essi hanno invocato nel momento supremo di donare la loro vita,
essi sono per noi un esempio permanente e uno stimolo
a dare una testimonianza coerente della fede nella società attuale.
Benedetto XVI
I FILM
CRISTIADA
(Sottotitolato e doppiato in spagnolo)
Video Clip:
Video Clip 1
Video Clip 2
Video Clip 3
Video Clip 4
Video Clip 5
Pressbook
Scheda Scuole
Foto Film (Movie Stills)
Poster
Articoli Usciti
E QUI ALTRI TRE FILM SUI CRISTEROS
(IN SPAGNOLO)
PADRE MIGUEL AUGUSTIN PRO
Il papà, che oltre ad essere un buon cristiano è anche ingegnere minerario, non lo alleva nella bambagia e fin da piccolo lo porta con sé a visitare le miniere, perché possa rendersi conto della dura vita di quei lavoratori. Così il bambino cresce affinando la sua sensibilità e con una sollecitudine particolare per i problemi sociali in genere che lo spinge ad entrare a 20 anni nella Compagnia di Gesù: perché da sacerdote potrà maggiormente essere vicino a chi è nel bisogno e predicare il vangelo di Cristo cercando di coniugare carità e giustizia. Nato nel 1891 a Guadalupe, terra di Maria, da novizio e da chierico studia e matura la sua vocazione – oltrechè in Messico – anche in Nicaragua, Spagna e Belgio e qui viene ordinato prete nel 1925. Ritorna nel suo Messico l’anno successivo, proprio nel bel mezzo della persecuzione che sta insanguinando la Chiesa. C’è tanto da fare per sostenere i cattolici perseguitati, aiutare i poveri, portare la sua assistenza a malati e moribondi. Lo fa con la sua carica di ottimismo e la sua vitalità ed anche con una buona dose di coraggio, ricorrendo a travestimenti più o meno seri che gli permettono di eludere i controlli della polizia e di svolgere il suo lavoro sacerdotale clandestino, celebrando in segreto l’Eucaristia e predicando di nascosto gli esercizi spirituali. Si calcola che in un giorno sia riuscito a distribuire anche 1500 comunioni. In compagnia della sua chitarra e facendosi aiutare dalle sue battute spiritose e dalla sua inimitabile mimica, cerca di sollevare il morale e di sostenere tutti quelli che incontra. Questo prete che sembra avere ottimismo da vendere, in realtà passa nel crogiolo della sofferenza e della depressione a causa della persecuzione, delle sofferenze che stanno patendo il suo popolo e la sua famiglia, dei problemi che gli sta dando la sua salute malferma. Il segreto per superare tutto questo e per essere di aiuto agli altri, nonostante tutto, lo trova nell’unione con Gesù, perché ha scoperto che non c’è “un mezzo più rapido ed efficace per vivere intensamente unito a Gesù che la santa messa”. Tenuto costantemente sotto controllo dalla polizia, viene alla fine arrestato con la falsa accusa di aver partecipato all’attentato contro un generale. Dopo un processo-farsa e in violazione dei più elementari diritti umani lo fucilano a Città del Messico il 23 novembre 1927: ha solo 36 anni di età e due di sacerdozio, ma così intenso e gioioso da valere una vita intera. Muore con il crocifisso in una mano e il rosario nell’altra, esclamando “Viva Cristo re”, tanto che ad un soldato del plotone di esecuzione, come al centurione ai piedi della croce, scappa di dire:” E’ così che muoiono i giusti”. Al suo funerale, sfidando la polizia e i divieti delle autorità, partecipano 20 mila persone, riconoscenti per quanto da lui ricevuto e certi che egli è un martire di Cristo. Dello stesso parere è anche la Chiesa, che per bocca di Giovanni Paolo II° il 25 settembre 1988 ha proclamato beato padre Michele Agostino Pro.
Anno 1935, Messico. E’ scoppiata ormai da diverso tempo una nuova Cristiada (la cosiddetta Segunda) a causa della politica anti-cattolica del Presidente Làzaro Càrdenas, culminata nel progetto di educazione socialista che ha provocato insurrezioni sparse in diverse aree del paese. Questa pellicola messicana (2011) del regista Matìas Meyer, ambientata appunto durante la Segunda, tratta delle vicissitudini di un piccolo gruppo di cristeros dello stato di Jalisco, capitanati da un anziano comandante che non vuole deporre le armi nonostante sia consapevole di combattere una guerra persa.
Con questo film dal taglio introspettivo, dal retrogusto di western di un’altra epoca condito con una punta di malinconia e con una forte dose di realismo, il giovane regista Matìas Meyer (figlio dello storico studioso della Cristiada Jean Meyer) ci propone un tragico spaccato di storia del Messico pressoché sconosciuto al di fuori dei suoi patri confini. Liberamente tratto dal romanzo Rescoldo. Los últimos cristeros del figlio di un comandante cristero Antonio Estrada, questo lungometraggio della durata di circa un’ora e mezza è incentrato soprattutto sul vissuto interiore dei protagonisti (la loro eroica compostezza, i loro dubbi, la loro volontà di combattere nonostante tutto…) e risulta essere molto diverso come impostazione dal più noto film americano Cristiada, pur tutto sommato eguagliandolo in termini di godibilità della pellicola. D’altronde nel film del Meyer abbiamo la trasposizione su cellulosa di una guerra prevalentemente spirituale combattuta nell’interiorità dei singoli protagonisti, aspetto che conseguentemente lascia poco spazio ad epiche scene di battaglia.
Magistrali sono inoltre le inquadrature (da segnalare a riguardo l’ottimo uso dei primi piani) e le tonalità dei colori, entrambe evidentemente atte ad evidenziare le emozioni dei personaggi e ad aumentare quel senso di drammaticità spesso trasudante dai grinzosi volti degli anziani cristeros o da quelli segnati e logorati dalla guerra dei più giovani.
Pur ovviamente poco conosciuto, questo film ha avuto un riscontro positivo nel pubblico e nella critica, con un 67% di approvazione su Rotten Tomatoes e con diversi premiazioni ottenute in Messico e all’estero, tra le quali meritano di essere menzionati il Premio SIGNIS al festival di L’Havana del 2011 e il fatto di essere stato ritenuto il miglior film messicano dell’anno al festival del cinema di Riviera Maya del 2012.
SUCEDIO' EN JALISCO - LOS CRISTEROS
Una nota di padre Fidel González MCCI, docente alla Pontificia Università Gregoriana
"La storia della Chiesa in Messico rappresenta un esempio di coraggio e resistenza, sottomessa a una violenta ostilità dal 1911 al 1940. Fu così aspra che Pio XI la paragonò a quella dei primi secoli cristiani. Il cattolicesimo messicano non fu reazionario nei confronti dei cambiamenti sociali. "I congressi" social-cattolici anteriori alla rivoluzioni, le numerose iniziative nel campo educativo, sociale e popolare, lo dimostrano ampiamente. Ma le forze liberali e massoniche trionfatrici nel 1917, rimasero nelle mani di uomini visceralmente nemici della Chiesa. Vollero cancellare per sempre l'uomo cattolico messicano. La spiegazione di una così forte intolleranza si deve ricercare nel carattere popolare del Cattolicesimo messicano, la cui diffusione fra la gente era così incomoda da dover essere soppressa con la forza. All'inizio, poiché era impossibile realizzarlo con le armi, si cercò di farlo con le leggi. Ma quando si dimostrarono inefficaci, si tornò ai plotoni di esecuzione. Nessuno dei Martiri fu sottomesso a un processo legale; nessuno fu condannato per crimini accertati dalla legge. Come nel caso di ogni persecuzione, il motivo della condanna fu la semplice appartenenza esplicitamente professata a Gesù Cristo, vivo oggi, confessato senza ambiguità con quel grido ripetuto mille volte da quei martiri prima di morire: Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Ai Martiri messicani si può applicare ciò che Sant'Efrem scriveva sui primi martiri: "Ecco la vita nelle ossa dei martiri: chi oserebbe dire che non sono vivi? Ecco i monumenti vivi, e chi ne può dubitare?" Ecco i monumenti vivi della presenza di Cristo, nei Martiri messicani, e nel "basso popolo cristiano", secondo l'espressione usata dai massoni e dai liberali riformisti di allora. Rimase fedele alla sua fede nonostante le ostilità della massoneria infiltrata nella borghesia economica e intellettuale "criolla", protagonista in parte dell'indipendenza e con frequenza protetta dai fratelli "del Nord" e dell'Europa. Lo studio attento dimostra il preciso progetto di smantellare le radici cattoliche e un dichiarato disprezzo non soltanto verso tutto ciò che era "spagnolo", ma anche verso tutto ciò che era "indio", nonostante l'apparente indigenismo di molti esponenti rivoluzionari. Molti sacerdoti sono morti mentre si recavano a celebrare la messa (nonostante la proibizione di farlo); alcuni muoiono addirittura con le specie consacrate in bocca, per difenderle dalla profanazione. I Martiri muoiono invocando la Vergine di Guadalupe. È anche la prova che Guadalupe non era un mito, né una fantasia religiosa scaturita da un sincretismo, ma un Evento che ha penetrato tutta la storia cattolica messicana e latinoamericana, come hanno detto i vescovi a Puebla nel 1989. Un altro aspetto dei Martiri è il loro impegno sociale. Li vediamo immersi in una grande attività nello sforzo di migliorare le condizioni della gente, per la giustizia sociale nei circoli operai, nella stampa, nella formazione di bambini e giovani. La vita non è separata dalla fede. I sacerdoti non rinunciano al loro ministero durante la persecuzione, e vivono nascosti, viaggiando di notte da rancho a rancho. Alcuni soldati si rifiutarono di sparare ai loro sacerdoti, e pagarono con la vita il loro gesto di gratitudine, di rispetto e di fede. Quei sacerdoti erano eroici nella fedeltà quotidiana al proprio sacerdozio, nelle circostanze difficili in cui si trovavano. Questi sono gli aspetti che metterei in evidenza come chiave di lettura della storia di un martirio, una delle storie più appassionanti e appassionate del 20° secolo".
Cristiada, apocalisse laicista
Quando è uscito nel 2012 è stato salutato come la più impegnativa produzione nella storia del cinema messicano. È stato promosso dalla critica liberal del New York Times a da Phil Boatwright, influente critico cinematografico del mondo evangelicalstatunitense, che la ho definito «un profondo omaggio alla libertà religiosa», un’opera che rimanda a lavori importanti del passato come El Cid di Anthony Mann e Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann. In Francia, dove è arrivato in sordina nelle sale a fine maggio, in poco più di due mesi ha raccolto ottantamila spettatori. Parliamo diCristiada, il film prodotto dal messicano Pablo José Barroso (munifico imprenditore convertito alla causa dell’evangelizzazione tramite il cinema) e dedicato a una vicenda tragica ed eroica, cruciale nella storia del Messico moderno: la persecuzione dei cattolici ad opera del regime liberal-massonico negli anni ’20, e la conseguente rivolta interclassista di migliaia di messicani bollati come cristeros.
Cristiada ha l’ambizione di riportare in primo piano una pagina di storia – storia di fede, oppressione e martirio –- ancora poco nota al grande pubblico e di farlo con un cast di primo livello. Alla regia Dean Wright, talento degli effetti speciali, noto soprattutto per il suo lavoro nel secondo e terzo episodio della trilogia del Signore degli anelli, fra gli attori Andy García nei panni del generale cristero Enrique Gorostieta, Eduardo Verástegui nel ruolo di Anacleto González Flores, l’avvocato difensore dei diritti civili dei cattolici, torturato e ucciso dagli uomini di Calles e beatificato nel 2005.
Poi Eva Longoria, Peter O’Toole, Oscar Isaac, Catalina Sandino. Con la colonna sonora affidata a James Horner (Braveheart, Titanic e Avatar).
La “Cristiada” ha il suo antefatto nelle leggi anticlericali varate a partire dal 1914 e la sua causa scatenante nell’elezione a presidente del Messico nel 1924 di Plutarco Elías Calles, che – come scrive Jean Meyer, il massimo storico della guerra cristera – è «animato da un odio mortale per la Chiesa» e cerca di combatterla con determinazione e piglio “apocalittici”. La situazione precipita e il popolo, religiosissimo, scende nelle piazze. Poi di fronte alla repressione, alle fucilazioni e alle impiccagioni dei renitenti al programma di rieducazione laicista, molti prendono le armi e ingaggiano uno scontro con le truppe federali che si protrae per tre anni. L’esercito cristero, che vede fianco a fianco proprietari terrieri e campesinos, arriva vicino alla vittoria, ma giunge da Roma l’ordine di deporre le armi.
La decisione getta le basi per un lento e difficile recupero del rapporto con le autorità statali, ma viene vissuta dai cristeros come un’ingiustizia accettata solo per obbedienza al Papa. Lascia infatti mano libera ai federali per un regolamento di conti, villaggio per villaggio, che sarà un bagno di sangue e continuerà fino alla fine degli anni ’30. Il film presenta quell’epopea attraverso vari personaggi, ma il perno narrativo è l’incrociarsi del generale cristero Gorostieta (Andy García), che accetta il comando della rivolta anche se lontano dalla fede e dalla Chiesa (saranno i fatti a spingerlo alla conversione) e un ragazzo, José Sánchez del Rio, che si unisce alla lotta per la sete di giustizia e per l’amore a Cristo Re: verrà ucciso dopo essere stato seviziato per non aver rinnegato la fede, a soli quindici anni (è stato beatificato da Benedetto XVI nel 2005).
«Le figure sono adattate alle esigenze del copione con alcune libertà – spiega lo storico e saggista Mario Iannaccone, profondo conoscitore dei cristeros, su cui ha firmato per Lindau la recente monografia Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico –, il film concede molto alla battaglia cappa e spada, più che alla puntuale ricostruzione degli avvenimenti, ma nel complesso rende bene il clima di quegli anni. Si coglie, in particolare, il fervore di quei contadini che combattevano non per fanatismo ideologico, bensì per non vedere profanate le loro chiese e per avere i sacramenti: non volevano morire senza, non volevano che i loro bambini nascessero senza.
Questo fu ciò che li spinse alla battaglia. Soprattutto, va sottolineato, furono aggrediti in modo brutale. Fu una guerra di difesa, non certo una jihad cristiana, come qualcuno ha tentato di farla passare. L’esercito poteva attirare con la paga che offriva, ma la forza della causa cristera portò a continue defezioni. Dal punto di vista delle violenza anti-cristiana fu anche una prova generale di quello che sarebbe successo in Spagna dieci anni dopo: stime sul numero dei morti è difficile farne, perché il Messico era un Paese in gran parte selvaggio e vi furono omicidi che vennero compiuti dai federali a guerra finita e che furono fatti passare per rapine o altri atti di criminalità comune; una cifra che viene fatta è di ottantamila morti su circa sette milioni di abitanti, ma probabilmente furono molti di più».
Intervista esclusiva al protagonista Andy Garcia: «Io, un cattolico a Hollywood»
Avventuratosi a Los Angeles nel 1979 per intraprendere la carriera di attore, Garcia ha subito dimostrato di avere un’identità molto forte. Il fascino era uno dei suoi punti di forza ma non amava spogliarsi. Così, quando durante uno dei suoi primi provini gli è stato chiesto di togliersi la camicia, se ne è andato sbattendo la porta senza pensarci troppo. La faccia da italo-americano e la voce profonda lo hanno reso perfetto per impersonare trafficanti di eroina, poliziotti e mafiosi. Ma anche all’apice del successo dopo la candidatura all’Oscar e l’azzeccata interpretazione in Ocean’s Eleven, non ha mai dimenticato le sue origini. «Io sono un esule cubano – dichiara in un’intervista esclusiva a Tempi in occasione della prima italiana del film Cristiada (For Greater Glory) – e sono cattolico. Queste cose fanno parte della mia vita e per me non è difficile viverle a Hollywood come in un qualunque altro posto».
Andy Garcia, il generale Enrique Gorostieta è un personaggio controverso e impegnativo. Perché ha accettato di interpretarlo?
Lo sviluppo emotivo di Gorostieta era davvero attraente per me come attore. Lui non è un uomo religioso ma crede nel diritto alla libertà religiosa, un diritto che tutto il mondo dovrebbe avere. Ci sono due motivi per cui decide di partecipare a una battaglia di cui inizialmente non condivide gli ideali: in parte lo fa su incoraggiamento della moglie, che era molto devota, e in parte per sé.
La storia di Cristiada è vera ma è praticamente sconosciuta a tutti, persino in Messico.
Abbiamo dovuto fare ricerche molto impegnative per realizzare questo film. Abbiamo capito che persino in Messico questa parte di storia è ancora un tabù e pochissimi la conoscono. Il produttore José Pablo Barroso è messicano e credo che abbia deciso di raccontarla proprio per renderla nota e per ricordare quelle persone che hanno dato la propria vita per la libertà (vedi anche l’intervista dello stesso Barroso a Tempi, ndr).
Cristiada uscirà in Italia il 15 ottobre, in un momento in cui la persecuzione religiosa dei cristiani è un tema di grande attualità.
Questo film è universale e anche se non era il suo obiettivo specifico, illumina tutti i casi attuali di persecuzione. Parla del Messico ma battersi per i propri diritti è un concetto valido a ogni latitudine. La libertà religiosa, come quella di parola, è un diritto fondamentale e noi siamo molto fortunati a poterne godere. Oggi non dovremmo prendere con leggerezza queste libertà perché ci sono molti paesi al mondo dove alla gente sono state portate via.
È difficile scegliere di recitare in un film come Cristiada? Oggi i cattolici non sono molto ben visti: non si rischia di essere etichettati a Hollywood?
Per me non è affatto complicato vivere rimanendo me stesso. Ho avuto una vita benedetta e non la trovo per niente difficile. Soprattutto quando penso alla gente della mia terra d’origine, mi rendo conto che la mia vita è un dono e ne sono cosciente in ogni momento. Essere un esule fa parte della mia esistenza, così come il cattolicesimo, la religione nella quale sono stato cresciuto. E per me non c’è niente di difficile nell’essere cattolico a Hollywood, come in qualsiasi altra parte del mondo. Questo almeno è quello che penso.
Tempi.it
Il film concentra la sua attenzione sulle truppe dei Cristeros, radunatesi dopo le dittatoriali leggi anticattoliche (1926) del primo ministro massone Plutarco Elias Calles. I fedeli messicani, visto il divieto persino del culto privato, defraudati di chiese e persino di sacerdoti, inizialmente mettono in atto una serie di reazioni pacifiche. Tra queste spiccano varie proposte di abrogazione delle leggi anti culto e un boicottaggio economico. Calles le ignora o persino le ostacola con repressioni sanguinolente. Così al grido di “Viva el Cristo Rey” (da cui il nome Cristeros) i fedeli cominciano la resistenza armata capitanati dal generale Gorostieta Velarde (A. Garcia) che però si professa ateo. È una guerra sanguinosa che miete un numero spropositato di vittime, ma i cattolici messicani non si arrendono, fino al riottenimento della libertà di culto.
Intervista esclusiva al protagonista Andy Garcia: «Io, un cattolico a Hollywood»
Sposato, quattro figli, esule dalla Cuba comunista di Castro, l’attore spiega perché ha deciso di recitare in un film “scomodo” come Cristiada. Intervista esclusiva in occasione della prima italiana.
Sposato dal 1982, quattro figli, esule cubano, critico del regime comunista instaurato da Fidel Castro. E cattolico. Quello di Andy Garcia non è il prototipo di curriculum che va forte a Hollywood, ma l’attore di 48 anni non ha mai avuto bisogno di venire a patti con le sue convinzioni per avere successo. Più che la recitazione, è la carriera sportiva che attirava Garcia da giovane e la pallacanestro è lo strumento che gli ha permesso di superare le difficoltà di ambientamento. Sbarcato a Miami a cinque anni nel 1961, senza sapere una parola di inglese, a scuola nessuno gli ha mai reso la vita facile. Il basket sarebbe potuto diventare il suo lavoro, se l’epatite e la mononucleosi non avessero stroncato la sua carriera alla fine delle scuole superiori. Senza quella malattia, però, Garcia non avrebbe mai cominciato a recitare e due registi come Brian De Palma e Francis Ford Coppola non lo avrebbero mai scritturato per una parte ne Gli intoccabili e Il padrino – Parte III.
Avventuratosi a Los Angeles nel 1979 per intraprendere la carriera di attore, Garcia ha subito dimostrato di avere un’identità molto forte. Il fascino era uno dei suoi punti di forza ma non amava spogliarsi. Così, quando durante uno dei suoi primi provini gli è stato chiesto di togliersi la camicia, se ne è andato sbattendo la porta senza pensarci troppo. La faccia da italo-americano e la voce profonda lo hanno reso perfetto per impersonare trafficanti di eroina, poliziotti e mafiosi. Ma anche all’apice del successo dopo la candidatura all’Oscar e l’azzeccata interpretazione in Ocean’s Eleven, non ha mai dimenticato le sue origini. «Io sono un esule cubano – dichiara in un’intervista esclusiva a Tempi in occasione della prima italiana del film Cristiada (For Greater Glory) – e sono cattolico. Queste cose fanno parte della mia vita e per me non è difficile viverle a Hollywood come in un qualunque altro posto».
Garcia non è di molte parole ma per lui parlano i fatti: quando avrebbe potuto consacrarsi con pellicole semplici e disimpegnate, ha deciso nel 2005 di mettersi dietro alla cinepresa per girare il suo primo lungometraggio, The Lost City, ambientato nella sua città natale, L’Avana, durante la rivoluzione castrista. Nel 2012, «affascinato da un momento della storia messicana di cui conoscevo molto poco», ha accettato di recitare in Cristiada, vestendo i panni del generale Enrique Gorostieta Velarde, il militare ateo che ha guidato la rivolta armata dei cristeros contro la persecuzione religiosa del governo messicano negli anni Venti.
Andy Garcia, il generale Enrique Gorostieta è un personaggio controverso e impegnativo. Perché ha accettato di interpretarlo?
Lo sviluppo emotivo di Gorostieta era davvero attraente per me come attore. Lui non è un uomo religioso ma crede nel diritto alla libertà religiosa, un diritto che tutto il mondo dovrebbe avere. Ci sono due motivi per cui decide di partecipare a una battaglia di cui inizialmente non condivide gli ideali: in parte lo fa su incoraggiamento della moglie, che era molto devota, e in parte per sé.
Prima di entrare in guerra dalla parte dei cristeros, Gorostieta confida a un amico in divisa: «Un uomo che vive di ricordi è già morto».
È esattamente questo. Il mio personaggio è un militare e accettare la proposta dei cristeros gli conviene perché è un modo per tornare sul campo di battaglia e rientrare in un mondo che si era lasciato alle spalle. Gorostieta aveva infatti una storia personale di grande successo, soprattutto nella guerra contro il politico e rivoluzionario Zapata.
È esattamente questo. Il mio personaggio è un militare e accettare la proposta dei cristeros gli conviene perché è un modo per tornare sul campo di battaglia e rientrare in un mondo che si era lasciato alle spalle. Gorostieta aveva infatti una storia personale di grande successo, soprattutto nella guerra contro il politico e rivoluzionario Zapata.
Cosa la colpisce di questo personaggio?
Mi piace perché mentre combatte la sua guerra per la libertà religiosa, si lascia ispirare e impressionare dalla passione dei cristeros, che sono veri credenti. La sua vita viene cambiata soprattutto da un bambino di 14 anni, José (beatificato da Benedetto XVI nel 2005, ndr), che sacrifica la vita per la fede e che gli fa sperimentare una specie di epifania religiosa durante il corso del film.
Mi piace perché mentre combatte la sua guerra per la libertà religiosa, si lascia ispirare e impressionare dalla passione dei cristeros, che sono veri credenti. La sua vita viene cambiata soprattutto da un bambino di 14 anni, José (beatificato da Benedetto XVI nel 2005, ndr), che sacrifica la vita per la fede e che gli fa sperimentare una specie di epifania religiosa durante il corso del film.
La storia di Cristiada è vera ma è praticamente sconosciuta a tutti, persino in Messico.
Abbiamo dovuto fare ricerche molto impegnative per realizzare questo film. Abbiamo capito che persino in Messico questa parte di storia è ancora un tabù e pochissimi la conoscono. Il produttore José Pablo Barroso è messicano e credo che abbia deciso di raccontarla proprio per renderla nota e per ricordare quelle persone che hanno dato la propria vita per la libertà (vedi anche l’intervista dello stesso Barroso a Tempi, ndr).
La persecuzione dei cattolici non è un tema molto in voga. Eppure dovunque sia stato distribuito il film ha riscosso un grande successo. Come mai?
In Messico il film è stato un successo strepitoso e ha sempre fatto registrare il tutto esaurito. Negli altri paesi forse è stato un po’ boicottato ma è andato ugualmente benissimo e non mi sorprende. Il film ha una struttura classica e ricalca quella di molte storie epiche dove viene inscenata la lotta per la libertà. I valori e le immagini della pellicola sono molto forti e credo che la gente sia sempre curiosa verso i drammi della storia. Questo film, inoltre, è stato girato in modo eccellente, è godibile da vedere, è interpretato da ottimi attori. Insomma, penso che quando si realizza un buon film la gente accorre sempre.
In Messico il film è stato un successo strepitoso e ha sempre fatto registrare il tutto esaurito. Negli altri paesi forse è stato un po’ boicottato ma è andato ugualmente benissimo e non mi sorprende. Il film ha una struttura classica e ricalca quella di molte storie epiche dove viene inscenata la lotta per la libertà. I valori e le immagini della pellicola sono molto forti e credo che la gente sia sempre curiosa verso i drammi della storia. Questo film, inoltre, è stato girato in modo eccellente, è godibile da vedere, è interpretato da ottimi attori. Insomma, penso che quando si realizza un buon film la gente accorre sempre.
Che effetto le ha fatto “guidare” un esercito pronto a dare la vita per la libertà religiosa?
La storia ci ha mostrato tante volte delle persone disposte a sacrificare tutto. In questo caso si parla di libertà religiosa, che è un valore ancora più grande degli altri perché quando non c’è la libertà religiosa non può esistere nessun altro tipo di libertà. A volte però il prezzo da pagare è drastico. Questo è il tema del film.
La storia ci ha mostrato tante volte delle persone disposte a sacrificare tutto. In questo caso si parla di libertà religiosa, che è un valore ancora più grande degli altri perché quando non c’è la libertà religiosa non può esistere nessun altro tipo di libertà. A volte però il prezzo da pagare è drastico. Questo è il tema del film.
Cristiada uscirà in Italia il 15 ottobre, in un momento in cui la persecuzione religiosa dei cristiani è un tema di grande attualità.
Questo film è universale e anche se non era il suo obiettivo specifico, illumina tutti i casi attuali di persecuzione. Parla del Messico ma battersi per i propri diritti è un concetto valido a ogni latitudine. La libertà religiosa, come quella di parola, è un diritto fondamentale e noi siamo molto fortunati a poterne godere. Oggi non dovremmo prendere con leggerezza queste libertà perché ci sono molti paesi al mondo dove alla gente sono state portate via.
Parla della sua terra d’origine?
Io vengo da Cuba e la mia è una famiglia di esuli. Quando penso al mio paese, che vive sotto un regime e non gode di nessuna libertà, provo un grande dolore e un’immensa tristezza. Nel mio cuore c’è sempre una ferita, il mio legame spirituale con Cuba non potrà mai spezzarsi perché conosco bene le sofferenze che la mia gente patisce da cinquant’anni. Spero e prego che presto o tardi possa tornare libera.
Io vengo da Cuba e la mia è una famiglia di esuli. Quando penso al mio paese, che vive sotto un regime e non gode di nessuna libertà, provo un grande dolore e un’immensa tristezza. Nel mio cuore c’è sempre una ferita, il mio legame spirituale con Cuba non potrà mai spezzarsi perché conosco bene le sofferenze che la mia gente patisce da cinquant’anni. Spero e prego che presto o tardi possa tornare libera.
È difficile scegliere di recitare in un film come Cristiada? Oggi i cattolici non sono molto ben visti: non si rischia di essere etichettati a Hollywood?
Per me non è affatto complicato vivere rimanendo me stesso. Ho avuto una vita benedetta e non la trovo per niente difficile. Soprattutto quando penso alla gente della mia terra d’origine, mi rendo conto che la mia vita è un dono e ne sono cosciente in ogni momento. Essere un esule fa parte della mia esistenza, così come il cattolicesimo, la religione nella quale sono stato cresciuto. E per me non c’è niente di difficile nell’essere cattolico a Hollywood, come in qualsiasi altra parte del mondo. Questo almeno è quello che penso.
Tempi.it
L’aurora della libertà: Cristiada
Ci sono scene che, indelebili, segnano una generazione di uomini. Qualcuno ricorda meglio di me un uomo a Piazza Tien Ammen che, senza paura, fronteggia un carro armato e gli blocca la strada.
Qualcun altro forse avrà ancora in mente i terribili attentati dell’undici settembre. La corsa coraggiosa di quei vigili del fuoco che si precipitarono fin sotto le Torri Gemelle in fiamme, nel disperato tentativo di salvare vite di innocenti persone che si erano recate in ufficio.
Anche io ho visto una scena che non dimenticherò. Un piccolo bambino messicano rifiuta di abiurare la propria fede. Per questo viene appeso ad un albero. Poi torturato crudelmente. Quindi, di fronte ai suoi genitori, pugnalato e infine brutalmente ucciso con un colpo di fucile.
Anche io ho visto una scena che non dimenticherò. Un piccolo bambino messicano rifiuta di abiurare la propria fede. Per questo viene appeso ad un albero. Poi torturato crudelmente. Quindi, di fronte ai suoi genitori, pugnalato e infine brutalmente ucciso con un colpo di fucile.
La scena è la ricostruzione del vero martirio del piccolo Josè Del Rio, nel 2005 proclamato beato. La scena è ricostruita con veridicità e commozione nel film Cristiada.
Il film concentra la sua attenzione sulle truppe dei Cristeros, radunatesi dopo le dittatoriali leggi anticattoliche (1926) del primo ministro massone Plutarco Elias Calles. I fedeli messicani, visto il divieto persino del culto privato, defraudati di chiese e persino di sacerdoti, inizialmente mettono in atto una serie di reazioni pacifiche. Tra queste spiccano varie proposte di abrogazione delle leggi anti culto e un boicottaggio economico. Calles le ignora o persino le ostacola con repressioni sanguinolente. Così al grido di “Viva el Cristo Rey” (da cui il nome Cristeros) i fedeli cominciano la resistenza armata capitanati dal generale Gorostieta Velarde (A. Garcia) che però si professa ateo. È una guerra sanguinosa che miete un numero spropositato di vittime, ma i cattolici messicani non si arrendono, fino al riottenimento della libertà di culto.
Il film non è un b–movie come si potrebbe troppo facilmente evincere dal fatto che il mercato cinematografico internazionale lo ha velocemente gettato nel dimenticatoio. Tutt’altro. Basti pensare che il protagonista principale è interpretato da un indomito e carismatico Andy Garcia. Nel cast sono presenti nomi d’eccezione: uno su tutti è Peter O’ Toole, nei panni di un sacerdote irlandese martire, padre Christoper. Segnaliamo anche lo splendido montaggio e la fotografia. La colonna sonora è curata da James Horner (già premio oscar per le musiche di Titanic) e accompagna splendidamente le scene di guerra e di dialogo che si alternano. C’è qualche scena di sparatoria che molto amabilmente ricorda gli spaghetti western secondo il modello di Sergio Leone. Ciò rende ancora più amabile la sceneggiatura e la scelta delle inquadrature.
Il generale Gorostieta si definiva ateo. Pur tuttavia combatté e perse la vita per la libertà di culto, che in primis colpiva anche la sua famiglia. Molto spesso all’interno del film Gorostieta guarda con sguardo d’amore le foto della moglie e delle due figlie. Questo deve lasciarci pensare.
Agli inizi del secolo scorso c’è stato chi ha combattuto per la libertà di poter esprimere le proprie idee religiose. C’è stata una guerra Cristera. Prima ancora, ricordiamo le sanguinose rivolte della Vandea antigiacobina, nel pieno della rivoluzione francese. La storia dei cattolici messicani ci aiuta a ricordare che la libertà di culto tuttoggi non è rispettata. È, in alcuni stati del mondo, in pericolo. Non smettiamo mai di tenere attiva la coscienza. La storia della Cristiada non va dimenticata. Né in America Latina, né in nessun altro luogo del mondo. Non cadiamo nella tentazione di perdere la memoria. Tentazione molto vicina a noi: nel continente sudamericano la pellicola ha spopolato, mentre è stata dimenticata in Europa. Basti pensare che il film è uscito nel 2012 e solo dopo due anni è finalmente arrivato in Italia.
Non smettiamo mai di ricordare che la libertà di culto è espressione del foro interno. È espressione della persona. Non possiamo e non dobbiamo estirparla in nessun modo.
La libertà di culto è espressione stessa dell’uomo che risponde alle domande filosofiche per eccellenza. Dell’uomo che trova risposta alle domande di senso. “Chi sono? Cosa posso fare? In cosa mi è lecito sperare?”
La libertà di culto è espressione stessa dell’uomo che risponde alle domande filosofiche per eccellenza. Dell’uomo che trova risposta alle domande di senso. “Chi sono? Cosa posso fare? In cosa mi è lecito sperare?”
Le risposte vengono quando la domanda e la pratica di fede è possibile. Non buttiamo via la ricerca su Dio, perché sarebbe buttare via prima di tutto l’uomo.
Gesù dolce, Gesù amore
Fr. Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.
Lo sterminio dei Cristeros
Antonio GASPARI
tratto da: Avvenire, 17.2.2000.
La persecuzione dei credenti in Messico e la protesta armata contro il governo negli anni Venti.
Nei manuali storici così come nei dizionari enciclopedici italiani la storia della persecuzione religiosa che la Chiesa cattolica ha subito in Messico dalla metà degli anni ‘20 fino al 1930 è sconosciuta. I fatti accaduti in quel periodo della storia sembrano inesistenti. E quando si fa cenno alla guerra che si scatenò tra il presidente, generale Plutarco Elias Calles, e le formazioni irregolari dei contadini, si tende ad identificare la Chiesa con il movimento di guerriglia armata dei Cristeros. In realtà la gerarchia cattolica, anche quando i prelati e sacerdoti erano d’accordo a resistere alle leggi inique che erano state varate contro la Chiesa, ordinò di astenersi dalla difesa armata. Nonostante l’atteggiamento generalmente pacifico la Chiesa subì gravi perdite, centinaia di sacerdoti vennero uccisi, il 90% dei parroci fu costretto ad abbandonare le parrocchie per nascondersi, migliaia di cattolici trovarono la morte.
Scrisse in una lettera pastorale datata 6 marzo 1926, Josè Manriquez e Zárate, primo vescovo di Huejutla: “L’intenzione di Calles è di porre fine, una volta per tutte, alla religione cattolica in Messico. Il giacobinismo messicano ha decretato la morte della Chiesa cattolica nel nostro paese, lo sradicamento dalla società messicana e se fosse possibile, del pensiero cattolico”.
In ricordo di queste vittime il 22 novembre del 1992 la Chiesa ha beatificato un primo gruppo di 25 martiri messicani, 22 sacerdoti e tre laici dell’Azione Cattolica. Per fornire un contributo alla ricerca storica e soprattutto per ricordare il sacrificio di quei martiri l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” ha organizzato per oggi a Roma un convegno dal titolo “Persecuzione religiosa in Messico”. Tra i relatori vi sarà anche il professor Jean Meyer, considerato il maggior esperto mondiale sul tema. “Lo scoppio della crisi - dice Mayer in un’intervista al nostro giornale - avvenne quando il quotidiano ‘El Universal’ riportò le dichiarazioni dell’arcivescovo di Città del Messico Josè Mora y del Rio secondo cui si censuravano gli articoli 2, 5, 7 e 30 della Costituzione. L’intervista fu l’occasione per giustificare la chiusura della scuole cattoliche e dei conventi, l’espulsione dei sacerdoti stranieri e la limitazione del numero dei sacerdoti”.
La cosiddetta legge Calles divenne con il nome di "articolo 130" parte della Costituzione messicana. Essa prevedeva pesanti sanzioni a carico di coloro che avessero infranto quegli articoli della Costituzione che colpivano direttamente la Chiesa, alla quale veniva definitivamente impedito di esercitare qualsiasi attività senza il controllo diretto delle autorità civili. Nonostante l’esitazione di parte del governo e i tentativi di mediazione dei vescovi, Calles lanciò un ultimatum, affermando che il 31 di luglio 1926 la legge sarebbe entrata in vigore “costi quel che costi”.
Secondo la relazione fatta dal diplomatico francese Ernest Lagarde, Calles affrontava la questione religiosa con uno spirito apocalittico. A suo modo di vedere non si trattava di un conflitto locale tra la Chiesa e lo Stato, ma una lotta senza quartiere tra l’idea religiosa e quella laica, tra la reazione ed il progresso, tra la luce e le tenebre. Per questo motivo non ci doveva essere concessione alcuna per gli avversari, la legge considerava il sacerdozio come una professione il cui esercizio era soggetto a regolamentazione perché in realtà era immorale e nefasta.
Meyer precisa che “in questo contesto la battaglia contro il clericalismo era decisiva per Calles. I suoi seguaci erano fortemente nazionalisti. Essi erano convinti che il clero rappresentava la più grande minaccia all’indipendenza messicana perché i cattolici in quanto legati al Papa erano a servizio di una potenza straniera. Lo slogan "Fuori gli stranieri, il Messico ai messicani" era rivolto soprattutto ai cattolici. I callisti parlavano di un "complotto clericale" antirivoluzionario che avrebbe voluto vedere la bandiera del Vaticano sventolare sopra quella messicana”.
“In realtà -ci dice ancora Meyer- il gruppo degli anticlericali era una minoranza, che riuscì a prendere le leve del potere in un momento in cui lo Stato sembrava vulnerabile e in fase di mutazione. Così l’anticlericalismo, da convinzione personale divenne politica militante”.
I governativi più moderati con a capo Alvaro Obregón, presidente del Messico tra il 1920 ed il 1924, rieletto nel 1928, ma ucciso in un attentato dopo pochi giorni, sostenevano che Calles si era inventato un conflitto con la Chiesa come pretesto per dominare il popolo. Secondo costoro la legge Calles equivaleva ad uno schiaffo alla Chiesa e questo era pericoloso perché i vescovi avrebbero potuto lanciare una mobilitazione denunciando l’ingiustizia della legge, incitare alla resistenza e giustificare la ribellione. Una valutazione, quella dei moderati, condivisa anche dalla Liga Nacional Campesina che nel suo congresso del novembre del 1926 negò l’appoggio al governo. “Sia tra i moderati che nel popolo -dice Meyer- era chiaro che la legge Calles era dettata dall’ira e dalla volontà di rappresaglia per tener la Chiesa schiava di uno Stato tirannico”.
La persecuzione dei credenti in Messico e la protesta armata contro il governo negli anni Venti.
Nei manuali storici così come nei dizionari enciclopedici italiani la storia della persecuzione religiosa che la Chiesa cattolica ha subito in Messico dalla metà degli anni ‘20 fino al 1930 è sconosciuta. I fatti accaduti in quel periodo della storia sembrano inesistenti. E quando si fa cenno alla guerra che si scatenò tra il presidente, generale Plutarco Elias Calles, e le formazioni irregolari dei contadini, si tende ad identificare la Chiesa con il movimento di guerriglia armata dei Cristeros. In realtà la gerarchia cattolica, anche quando i prelati e sacerdoti erano d’accordo a resistere alle leggi inique che erano state varate contro la Chiesa, ordinò di astenersi dalla difesa armata. Nonostante l’atteggiamento generalmente pacifico la Chiesa subì gravi perdite, centinaia di sacerdoti vennero uccisi, il 90% dei parroci fu costretto ad abbandonare le parrocchie per nascondersi, migliaia di cattolici trovarono la morte.
Scrisse in una lettera pastorale datata 6 marzo 1926, Josè Manriquez e Zárate, primo vescovo di Huejutla: “L’intenzione di Calles è di porre fine, una volta per tutte, alla religione cattolica in Messico. Il giacobinismo messicano ha decretato la morte della Chiesa cattolica nel nostro paese, lo sradicamento dalla società messicana e se fosse possibile, del pensiero cattolico”.
In ricordo di queste vittime il 22 novembre del 1992 la Chiesa ha beatificato un primo gruppo di 25 martiri messicani, 22 sacerdoti e tre laici dell’Azione Cattolica. Per fornire un contributo alla ricerca storica e soprattutto per ricordare il sacrificio di quei martiri l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” ha organizzato per oggi a Roma un convegno dal titolo “Persecuzione religiosa in Messico”. Tra i relatori vi sarà anche il professor Jean Meyer, considerato il maggior esperto mondiale sul tema. “Lo scoppio della crisi - dice Mayer in un’intervista al nostro giornale - avvenne quando il quotidiano ‘El Universal’ riportò le dichiarazioni dell’arcivescovo di Città del Messico Josè Mora y del Rio secondo cui si censuravano gli articoli 2, 5, 7 e 30 della Costituzione. L’intervista fu l’occasione per giustificare la chiusura della scuole cattoliche e dei conventi, l’espulsione dei sacerdoti stranieri e la limitazione del numero dei sacerdoti”.
La cosiddetta legge Calles divenne con il nome di "articolo 130" parte della Costituzione messicana. Essa prevedeva pesanti sanzioni a carico di coloro che avessero infranto quegli articoli della Costituzione che colpivano direttamente la Chiesa, alla quale veniva definitivamente impedito di esercitare qualsiasi attività senza il controllo diretto delle autorità civili. Nonostante l’esitazione di parte del governo e i tentativi di mediazione dei vescovi, Calles lanciò un ultimatum, affermando che il 31 di luglio 1926 la legge sarebbe entrata in vigore “costi quel che costi”.
Secondo la relazione fatta dal diplomatico francese Ernest Lagarde, Calles affrontava la questione religiosa con uno spirito apocalittico. A suo modo di vedere non si trattava di un conflitto locale tra la Chiesa e lo Stato, ma una lotta senza quartiere tra l’idea religiosa e quella laica, tra la reazione ed il progresso, tra la luce e le tenebre. Per questo motivo non ci doveva essere concessione alcuna per gli avversari, la legge considerava il sacerdozio come una professione il cui esercizio era soggetto a regolamentazione perché in realtà era immorale e nefasta.
Meyer precisa che “in questo contesto la battaglia contro il clericalismo era decisiva per Calles. I suoi seguaci erano fortemente nazionalisti. Essi erano convinti che il clero rappresentava la più grande minaccia all’indipendenza messicana perché i cattolici in quanto legati al Papa erano a servizio di una potenza straniera. Lo slogan "Fuori gli stranieri, il Messico ai messicani" era rivolto soprattutto ai cattolici. I callisti parlavano di un "complotto clericale" antirivoluzionario che avrebbe voluto vedere la bandiera del Vaticano sventolare sopra quella messicana”.
“In realtà -ci dice ancora Meyer- il gruppo degli anticlericali era una minoranza, che riuscì a prendere le leve del potere in un momento in cui lo Stato sembrava vulnerabile e in fase di mutazione. Così l’anticlericalismo, da convinzione personale divenne politica militante”.
I governativi più moderati con a capo Alvaro Obregón, presidente del Messico tra il 1920 ed il 1924, rieletto nel 1928, ma ucciso in un attentato dopo pochi giorni, sostenevano che Calles si era inventato un conflitto con la Chiesa come pretesto per dominare il popolo. Secondo costoro la legge Calles equivaleva ad uno schiaffo alla Chiesa e questo era pericoloso perché i vescovi avrebbero potuto lanciare una mobilitazione denunciando l’ingiustizia della legge, incitare alla resistenza e giustificare la ribellione. Una valutazione, quella dei moderati, condivisa anche dalla Liga Nacional Campesina che nel suo congresso del novembre del 1926 negò l’appoggio al governo. “Sia tra i moderati che nel popolo -dice Meyer- era chiaro che la legge Calles era dettata dall’ira e dalla volontà di rappresaglia per tener la Chiesa schiava di uno Stato tirannico”.
Nonostante questa resistenza interna, a partire da luglio i cattolici, ed i vescovi in particolare, dovettero ricorrere a tutti gli strumenti legali contro la riforma della Costituzione per difendersi da una aggressione che stava già facendo le prime vittime. Durante l’inverno del 1926 il popolo cominciò ad occupare la scena mentre i vescovi e la Santa Sede provavano a trattare con il governo. I prelati sempre più preoccupati per come si stava evolvendo la situazione accettarono i buoni uffici degli amici cattolici di Calles, tra cui il banchiere Augustin Legorreta, direttore del Banco Nacional de Mexico, monsignor Sanz di Samper maggiordomo del Papa, il procuratore di Giustizia Romero Ortega, e Eduardo Mestre presidente dell’Assistenza pubblica. Ma anche questa iniziativa fallì per l’intransigenza di Calles.
“I vescovi -afferma Meyer- cercarono in tutti i modi di trovare una soluzione pacifica. In qualità di cittadini messicani, il 7 di settembre presentarono una petizione al Congresso per riformare la legge Calles. Il 22 di settembre ci fu la votazione ma la petizione fu respinta per 160 voti contro uno con il pretesto che non avendo riconosciuto la Costituzione i vescovi avevano perso la qualifica di cittadini messicani e quindi la petizione non era valida. Nella risposta del Congresso è scritto che "la petizione di riforma si respinge perché inaccettabile". Da parte sua la «Liga defensora de la libertad religiosa», un movimento di laici che aveva promosso il boicottaggio economico del governo Calles, decise di fare un ultimo sforzo che era quello di raccogliere le firme per sollecitare un referendum per la riforma costituzionale. Vennero raccolte circa due milioni di firme in un paese con meno di 15 milioni di abitanti. Ma il tentativo fu vano perché lo scontro degenerò in drammaticamente in conflitto. Furono tre anni di guerra civile”.
“Paradossalmente -conclude Meyer- gli accordi che vennero firmati nel giugno del 1929 furono fatti sulla medesima base di quelli proposti dai vescovi nell’agosto del 1926. Alla fine la ragione aveva trionfato sugli imperativi categorici, ma quanto sangue era stato versato”.
Una nota tratta dal libro "I Santi Militari" di Rino Cammileri
"Tra il 1915 e il 1929 le condizioni della Chiesa in Messico furono terribili. Una minoranza liberal-massonica sostenuta dagli Stati Uniti aveva preso il potere e inaugurato una politica ferocemente anticlericale. La Costituzione del 1917 (tuttora valida) era dichiaratamente antireligiosa e diversi sacerdoti vennero uccisi in odio alla fede (la Chiesa ha dichiarato recentemente il primo Beato della persecuzione, il gesuita padre Humberto Pro). Ancora oggi in Messico è vietato l’abito ecclesiatico in pubblico e il Papa è stato accolto come “signor Woytila”.
"Tra il 1915 e il 1929 le condizioni della Chiesa in Messico furono terribili. Una minoranza liberal-massonica sostenuta dagli Stati Uniti aveva preso il potere e inaugurato una politica ferocemente anticlericale. La Costituzione del 1917 (tuttora valida) era dichiaratamente antireligiosa e diversi sacerdoti vennero uccisi in odio alla fede (la Chiesa ha dichiarato recentemente il primo Beato della persecuzione, il gesuita padre Humberto Pro). Ancora oggi in Messico è vietato l’abito ecclesiatico in pubblico e il Papa è stato accolto come “signor Woytila”.
Il governo, sulla scia della rivoluzione sovietica, aveva avviato il «socialismo» nelle campagne e svenduto le poche industrie del Paese agli americani. Il cattolicesimo era fuorilegge e bande di desfanatizadores percorrevano il territorio per assicurarsi che gli ordini fossero eseguiti. Chiese profanate, ateismo insegnato obbligatoriamente a scuola, gente fucilata perché trovata con la medaglietta della Madonna di Guadalupe addosso.
Dapprima i cattolici si organizzarono in associazioni che boicottavano tutti i prodotti dello Stato, smettendo perfino di prendere il treno e di fumare. Queste misure, tuttavia, provocarono l’appoggio degli americani, lesi nei loro interessi economici, ai federali. Il presidente Plutarco Elias Calles (fondatore del Partito Rivoluzionario Istituzionale, ancora oggi al potere) rispose con una recrudescenza da persecuzioni.
Pio XI nel 1926 protestò fermamente con l’enciclica “Iniquis afflictisque” e i vescovi del Messico decisero di sospendere il culto pubblico. Ma quindici milioni di messicani si precipitarono a tenere le chiese aperte, in lunghissime code ai santuari, sfidando i governativi alla luce del sole.
Dopo una nuova ondata di fucilazioni il popolo insorse. Armati di machete, di vecchi fucili da caccia e soprattutto di armi prese al nemico, i Cristeros al canto del “Christus vincit” si batterono per quattro anni contro l’esercito regolare, che andava all’assalto spiegando un vessillo nero con teschio e tibie, urlando “Viva el demonio!”, e riuscirono in breve tempo a controllare quasi tutto il Paese.
I governativi incendiavano i villaggi, violentavano le donne (specialmente quelle giovanissime delle Brigate Femminili Santa Giovanna D’Arco, che assicuravano i servizi logistici agli insorti), torturavano e impiccavano bambini, fucilavano gli ostaggi davanti ai familiari obbligati ad assistere, dopo aver tagliato loro la lingua per impedire che gridassero “Viva Cristo Rey!”.
I ribelli, tutti del popolo (i ceti superiori rifiutarono perfino di contribuire finanziariamente), combattevano con le armi che riuscivano a prendere, non imponevano alcuna requisizione e liberavano tutti i prigionieri.
Nel 1929, con la mediazione degli USA, la Chiesa stipulò un modus vivendi col Messico e i Cristeros, all’ordine di Roma, si arresero. Era stata una vera epopea: banditi da strada si convertivano e si univano agli insorti, imitati da decine di migliaia di disertori dell’esercito; un generale massone passò con i Cristeros e ne divenne comandante in capo, finendo ucciso a soli trentadue anni. Cristeros era un insulto, ma il nome fu adottato con orgoglio da quegli umili campesinos che andavano a morire sotto la bandiera che recava il Sacro Cuore e la Vergine di Guadalupe.
I patti non vennero rispettati dal governo, che si diede subito a feroci rappresaglie: cadaveri di preti crocifissi e di suore violentate si vedevano un po’ dovunque, tutti i combattenti arresisi furono passati per le armi e la vendetta durò ancora per anni.
Roma aveva chiesto l’amnistia e i vescovi locali avevano minacciato di scomunica chi non avesse deposto le armi. Ma l’amnistia non venne mai e perfino quelli che erano riusciti a fuggire in America furono riconsegnati ai federali e fucilati. Ancora una volta il papa protestò vanamente. Non gli rimase che ripetere la concessione ai caduti dell’indulgenza plenaria in “articulo mortis”, come già aveva fatto nel 1927."
“Cristiada”. La vera storia della resistenza cattolica alla crociata dei massoni per scristianizzare il Messico
Mario Arturo Iannaccone racconta in un saggio pubblicato da Lindau l’insurrezione popolare dei cattolici messicani contro il governo anti-cristiano di Calles negli anni ’20
Scritto da Mario Arturo Iannaccone, Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico (Lindau) è un saggio sull’insurrezione popolare dei cattolici messicani contro il governo anti-cristiano nella seconda metà degli anni ’20.
CATTOLICI IN MESSICO. L’autore spiega come «il fermento cattolico» in Messico, agli inizi del ‘900, avesse iniziato a preoccupare «non poco liberali, radicali, socialisti e massoni». Fu per contrastare ascesa e rivendicazioni di un temibile concorrente politico, che i governi anticlericali messicani che si succedettero negli anni ‘20 iniziarono a varare leggi per impedire alla Chiesa di avere un peso nella vita politica del paese. Gli “uomini di Sonora”, che allora controllavano il Messico, erano preoccupati dall’ascendente della Chiesa sul popolo. Affrontando le emergenze del paese, «degli agrari, dei nativi, dei lavoratori sottopagati, del lavoro minorile e femminile» e appoggiando riforme economiche fondate su «dottrina sociale e cattolicesimo tedesco», la Chiesa sfidava i rivoluzionari sul loro terreno.
LA PERSECUZIONE. Per far fuori una forza non controllabile che minacciava il proprio potere, racconta Iannaccone, il governo promosse campagne di persecuzione e denigrazione degli attivisti cattolici e mise al bando ogni organizzazione politica, sociale, culturale cattolica: il Partito Catolico Nacional, il sindacato cattolico e molte associazioni studentesche. Poiché neanche impedendogli di partecipare alla vita pubblica il “problema” dei cattolici sembrò risolversi, il presidente Plutarco Elias Calles, feroce politico anticlericale, soprannominato “el turco”, nel 1925 aumentò la repressione varando una legge che, nei fatti, avrebbe eliminato la Chiesa in Messico: il clero fu espulso, ogni cerimonia e rito cancellati; chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità, furono chiusi o confiscati. Fu così che «il governo federale» messicano «tentò per la seconda volta nella storia della repubblica, dopo l’indipendenza ottenuta nel secolo precedente, di scristianizzare il paese».
RIVOLTA DEI CRISTEROS. Elencando con precisione tutti gli sforzi per eliminare la Chiesa da parte di Calles e dei suoi uomini, il saggio di Iannaccone narra le storie dei più illustri messicani che decisero di abbandonare le proprie vite per darsi alla macchia e combattere il governo, isolati dal mondo e lasciati soli dalle altre nazioni (grazie all’astuzia diplomatica del presidente). Mentre i governativi pensavano di poter sconfiggere i “cristeros” in breve tempo, i cattolici armati, guidati dal generale ateo ed eroe di guerra Enrique Gorostieta, riuscirono a resistere per oltre quattro anni lottando per poter ritornare a pregare, battezzarsi e confessarsi liberamente.
Tempi.it
Cristiada e i Cristeros perseguitati. «È la storia del mio popolo e della mia famiglia»
Padre Francisco Elizalde spiega cosa accadde in Messico ai cattolici perseguitati dal governo massone. E come questa storia abbia dato frutti
Cristiada è il film che ha fatto discutere perché, sebbene sia girato con attori famosi come Andy Garcia, non è stato diffuso e nemmeno tradotto in molte lingue. La pellicola racconta degli 85 mila cattolici, detti Cristeros, che combatterono contro il governo anti-cristiano per difendere la loro fede in Cristo Re.
La storia alla base del film è poco conosciuta. Nel 1926 il dittatore Plutarco Elias Calles adottò misure repressive che arrivarono fino ad impedire l’accesso ai sacramenti ai fedeli. La popolazione cominciò così una protesta non violenta, ma la totale assenza di libertà religiosa fece impugnare le armi ad alcuni, sostenuti dal popolo e dai sacerdoti. La violentissima persecuzione durò tre anni e alla tregua non seguì la piena libertà. Il martirio prima e le prove successive poi hanno rinforzato la fede del popolo messicano e generato moltissime vocazioni. «La mia stessa famiglia che fa parte di quella storia ne è segno», così padre Francisco Elizalde, missionario messicano e direttore generale del Fondazione Villaggio dei Ragazzi di Caserta, racconta quanto avvenne.
All’inizio i cattolici messicani reagirono alle persecuzioni comprando il minimo indispensabile e non vendendo nulla.
La forza della fede del popolo riuscì a portare il paese in recessione, facendo fallire la Banca di Tampico e la Banca inglese, così da fare inferocire il governo di Calles, un vero e proprio dittatore. Ai cristiani, più che il proprio benessere, importava la propria libertà di culto e religiosa, quella che il regime impediva.
La forza della fede del popolo riuscì a portare il paese in recessione, facendo fallire la Banca di Tampico e la Banca inglese, così da fare inferocire il governo di Calles, un vero e proprio dittatore. Ai cristiani, più che il proprio benessere, importava la propria libertà di culto e religiosa, quella che il regime impediva.
Perché si arrivò ad usare la violenza?
Il governo di Calles non volle mai trattare. Prima si percorsero vie diplomatiche e pacifiche, ma, poi, visto che era tutto inutile, il popolo dovette impugnare le armi. Fu l’exstrema ratio. E fu necessaria, perché un cristiano non può vivere senza i sacramenti. Tanto che, se non li appoggiò ufficialmente, la Chiesa non condannò mai l’azione dei Cristeros.
Perché Calles non volle trattare?
Calles era un massone anticlericale, applicò la costituzione del 1917, identica a quella francese e ostile alla Chiesa. Aveva paura della libertà che dà il cattolicesimo. La cosa che ci deve far pensare, che è anche la più grande contraddizione, è che tutto ciò avvenne con una popolazione al 95 per cento fortemente cattolica: gli anticlericali erano una minoranza, ma, raggiunto il potere, riuscirono a instaurare un regime di una violenza indicibile, che non rappresentava il popolo. Così l’esercito cominciò a entrare nelle chiese, uccidendo la gente che partecipava alla Messa, profanando il Santissimo Sacramento. I sacerdoti furono uccisi, la gente, ragazzini compresi, fu torturata, impiccata e appesa ai pali della luce così che tutti vedessero. Molti preti non messicani e alcuni vescovi furono invece cacciati dal paese.
Calles era un massone anticlericale, applicò la costituzione del 1917, identica a quella francese e ostile alla Chiesa. Aveva paura della libertà che dà il cattolicesimo. La cosa che ci deve far pensare, che è anche la più grande contraddizione, è che tutto ciò avvenne con una popolazione al 95 per cento fortemente cattolica: gli anticlericali erano una minoranza, ma, raggiunto il potere, riuscirono a instaurare un regime di una violenza indicibile, che non rappresentava il popolo. Così l’esercito cominciò a entrare nelle chiese, uccidendo la gente che partecipava alla Messa, profanando il Santissimo Sacramento. I sacerdoti furono uccisi, la gente, ragazzini compresi, fu torturata, impiccata e appesa ai pali della luce così che tutti vedessero. Molti preti non messicani e alcuni vescovi furono invece cacciati dal paese.
Perché la Chiesa firmò gli accordi di pace quando i Cristeros stavano ormai per vincere?
I Cristeros stavano vincendo, l’unico dubbio è se il movimento, che lottava sopratutto nel centro del Paese, sarebbe diventato nazionale. Ma non sapremo mai quello che sarebbe successo se questo non fosse accaduto. Detto ciò, la gente come me conosce la storia dai propri padri e sa che i Cristeros non volevano firmare gli accordi. Tutti i messicani sanno che, come si vede nel film, i Cristeros sapevano che il governo non avrebbe mai smesso di perseguitarli. Ma la scelta fu presa e loro, per obbedienza alla madre Chiesa, depositarono le armi sapendo bene che questo avrebbe voluto dire la loro condanna a morte. E infatti molti morirono anche se il presidente aveva assicurato il contrario.
I Cristeros stavano vincendo, l’unico dubbio è se il movimento, che lottava sopratutto nel centro del Paese, sarebbe diventato nazionale. Ma non sapremo mai quello che sarebbe successo se questo non fosse accaduto. Detto ciò, la gente come me conosce la storia dai propri padri e sa che i Cristeros non volevano firmare gli accordi. Tutti i messicani sanno che, come si vede nel film, i Cristeros sapevano che il governo non avrebbe mai smesso di perseguitarli. Ma la scelta fu presa e loro, per obbedienza alla madre Chiesa, depositarono le armi sapendo bene che questo avrebbe voluto dire la loro condanna a morte. E infatti molti morirono anche se il presidente aveva assicurato il contrario.
Come mai papa Pio XI, che non appoggiò mai ma nemmeno condannò la rivolta, prese questa decisione?
Non so se fu mal consigliato sulla vittoria imminente dei Cristeros o se preferì la resa, sperando così di arginare i massacri.
Non so se fu mal consigliato sulla vittoria imminente dei Cristeros o se preferì la resa, sperando così di arginare i massacri.
Cosa accadde in seguito?
Che i preti, ed è così ancora oggi, non potevano girare con gli abiti religiosi, che non c’era libertà di educazione, religiosa, di espressione. C’erano ancora sequestri, torture e persecuzioni per tutti coloro che difendevano la libertà di pensiero. Mio nonno, Octavio Elizalde, visse quel periodo di guerra fredda sotto minaccia: si occupava di diffondere clandestinamente riviste, articoli. Era un avvocato quindi contribuiva a difendere la fede con la penna. Fu minacciato anche prima, quando aiutava il beato Miguel Agustín Pro, che clandestinamente diceva Messa distribuendo migliaia di comunioni, e che morì ucciso gridando: «Viva Cristo Re!». Durante la rivolta dei Cristeros veniva in casa dei nonni travestito da panettiere o da giornalaio per farsi aiutare dal nonno. Una figura che lasciò un segno profondissimo in tutta la mia famiglia.
Che i preti, ed è così ancora oggi, non potevano girare con gli abiti religiosi, che non c’era libertà di educazione, religiosa, di espressione. C’erano ancora sequestri, torture e persecuzioni per tutti coloro che difendevano la libertà di pensiero. Mio nonno, Octavio Elizalde, visse quel periodo di guerra fredda sotto minaccia: si occupava di diffondere clandestinamente riviste, articoli. Era un avvocato quindi contribuiva a difendere la fede con la penna. Fu minacciato anche prima, quando aiutava il beato Miguel Agustín Pro, che clandestinamente diceva Messa distribuendo migliaia di comunioni, e che morì ucciso gridando: «Viva Cristo Re!». Durante la rivolta dei Cristeros veniva in casa dei nonni travestito da panettiere o da giornalaio per farsi aiutare dal nonno. Una figura che lasciò un segno profondissimo in tutta la mia famiglia.
Scandalizza che alcuni preti fossero nelle fila del movimento.
La domanda sull’uso lecito delle armi ritorna al discorso dell’estrema ratio: per difendere la libertà di culto non c’erano più altre vie. Tanto che molti Cristeros poi sono stati beatificati e pure molti preti che si sono presi cura di loro, non quelli che hanno impugnato direttamente le armi. Nel film appare il piccolo José Sánchez del Rio, giovane Cristeros beatificato nel 2005 da Benedetto XVI. Morì testimoniando la forza di Cristo: sotto tortura, per costringerlo ad abiurare, urlò: «Cristo dammi la forza!», mentre in prigione chiese l’eucarestia di nascosto. Scrisse alla madre che non era mai stato così facile guadagnarsi il cielo. Questo ci fa chiedere chi sia Colui che dà a un ragazzino la forza di amare fino a dare la vita chiedendo perdono per i suoi carnefici e urlando «Viva cristo Re!».
La domanda sull’uso lecito delle armi ritorna al discorso dell’estrema ratio: per difendere la libertà di culto non c’erano più altre vie. Tanto che molti Cristeros poi sono stati beatificati e pure molti preti che si sono presi cura di loro, non quelli che hanno impugnato direttamente le armi. Nel film appare il piccolo José Sánchez del Rio, giovane Cristeros beatificato nel 2005 da Benedetto XVI. Morì testimoniando la forza di Cristo: sotto tortura, per costringerlo ad abiurare, urlò: «Cristo dammi la forza!», mentre in prigione chiese l’eucarestia di nascosto. Scrisse alla madre che non era mai stato così facile guadagnarsi il cielo. Questo ci fa chiedere chi sia Colui che dà a un ragazzino la forza di amare fino a dare la vita chiedendo perdono per i suoi carnefici e urlando «Viva cristo Re!».
Oggi ci sono ancora delle misure restrittive. Uno spargimento di sangue inutile?
Quando ho rifatto il passaporto, sette anni fa, mi hanno impedito di fare le foto con l’abito. Ma anche se la lotta dei Cristeros non ha portato alla piena libertà religiosa, il frutto di quegli anni dolorosi e del sangue dei martiri io lo vivo nella mia carne. Tertulliano diceva che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani, e, aggiungo io, anche delle vocazioni. La mia famiglia, che ha avuto la possibilità di ospitare in casa un testimone della fede come il beato Miguel Agustín Pro, si è radicata nella fede profonda in Dio. Perché non si può morire per un’idea, ma solo per una persona che si ama più di se stessi. Io ho respirato questo, la mia fede è cresciuta così. Tanto che io e mio fratello siamo entrati in seminario, mentre ho due zii sacerdoti gesuiti e una zia suora. È un fatto poi che nella città di Guadalajara, la più perseguitata, oggi c’è il più grande seminario del mondo con oltre 700 seminaristi.
Quando ho rifatto il passaporto, sette anni fa, mi hanno impedito di fare le foto con l’abito. Ma anche se la lotta dei Cristeros non ha portato alla piena libertà religiosa, il frutto di quegli anni dolorosi e del sangue dei martiri io lo vivo nella mia carne. Tertulliano diceva che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani, e, aggiungo io, anche delle vocazioni. La mia famiglia, che ha avuto la possibilità di ospitare in casa un testimone della fede come il beato Miguel Agustín Pro, si è radicata nella fede profonda in Dio. Perché non si può morire per un’idea, ma solo per una persona che si ama più di se stessi. Io ho respirato questo, la mia fede è cresciuta così. Tanto che io e mio fratello siamo entrati in seminario, mentre ho due zii sacerdoti gesuiti e una zia suora. È un fatto poi che nella città di Guadalajara, la più perseguitata, oggi c’è il più grande seminario del mondo con oltre 700 seminaristi.
Tempi.it
I "cristeros" messicani (1926-1929)
di Oscar Sanguinetti
1. Per una civiltà cattolica iberoamericana
La rivolta dei cristeros inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente, nel 1929. E cristeros deriva da Cristos Reyes, i "Cristi-Re", come gli avversari definivano con intento spregiativo gli insorti cattolici che combattevano al grido di "Viva Cristo Re!", riprendendo il tema della regalità di Cristo, all'epoca molto popolare e in sintonia con l'enciclica sull'istituzione della festa di Cristo Re Quas primas, pubblicata nel 1925 da Papa Pio XI (1922-1939).
Nel Messico, nei secoli seguenti la scoperta e la conquista dell'America, era avvenuta una feconda fusione fra cattolicesimo e cultura indigena. La civiltà iberoamericana, una miscela di elementi senza eguali nel tempo e nello spazio, vi aveva dato frutti di grande originalità in tutti i campi, compresi quelli delle arti figurative e della musica. All'inizio del secolo XX questa cultura, con una religiosità luminosa, pubblica, sopravvive ancora, anche se allo stato residuale e subalterno, nei ceti popolari e rurali, mentre le classi alte e il ceto politico e intellettuale hanno ampiamente assorbito le idee illuministiche e liberali. Dagli inizi del secolo alla guida della repubblica presidenziale federale messicana, per lo più a seguito di colpi di Stato e di guerre civili, si era avvicendata una serie di generali o di despoti, espressione della fazione di volta in volta vincente all'interno dell'unico e intoccabile establishment massonico e laicista, prevalso nella seconda metà dell'Ottocento. Quando scoppia l'insurrezione cattolica è al potere un generale, Plutarco Elías Calles (1877-1945), che pratica una politica rigidamente "modernizzatrice" - il suo partito si autodefinisce "rivoluzionario istituzionale" -, filostatunitense e con simpatie per il nascente socialismo latinoamericano. Questa politica porta il governo messicano a inasprire la lotta contro la Chiesa, vista non solo come centro sovranazionale di diffusione dell'"oppio del popolo" - secondo il cliché laicista - ma pure come bastione della conservazione e come ostacolo al latente totalitarismo statale. Il regime di Calles si differenzia dai precedenti per lo stile, il pugno di ferro, lo spirito da scontro epocale che egli ostenta, anche personalmente, nel realizzare la sua politica e che gli varrà, fra i cattolici, il nomignolo di "Nerone".
2. Il conflitto fra Stato e Chiesa
Nel 1917 il governo di Venustiano Carranza (1859-1920) vara una costituzione fortemente laicistica, che però non viene mai applicata. Nel 1926 il Governo Calles ordina ai governatori dei diversi Stati di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina dei culti. Essi prevedevano, di fatto, la radicale separazione fra Chiesa e Stato, la completa scristianizzazione dei luoghi pubblici - tribunali, scuole, e così via -, l'esproprio totale degli edifici di culto e dei seminari, la proibizione dei voti e degli ordini religiosi, la trasformazione del clero in un corpo di funzionari statali e il "numero chiuso" per lo stesso clero, che doveva essere messicano di nascita, sancendo così l'espulsione dei missionari stranieri. Nel 1925 il Governo, mentre favorisce la diffusione delle missioni protestanti nordamericane, tenta anche - ma invano, a causa della reazione dei cattolici -, di dar vita a una Chiesa Nazionale separata da Roma. Le violenze poliziesche seguenti il tentativo di applicare la nuova disciplina antiecclesiastica, in vigore dal 31 luglio 1926, generano immediatamente la reazione del mondo cattolico, che dà vita a una Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa. L'episcopato messicano, in sintonia con la Segreteria di Stato vaticana, retta dal card. Pietro Gasparri (1852-1934), dopo diversi tentativi, falliti, di resistenza legale non violenta - scioperi, boicottaggi e petizioni popolari -, ritiene di reagire alla escalation del terrorismo governativo con un provvedimento inusitato e clamoroso: in segno di protesta sospende completamente l'esercizio del culto pubblico. L'atto, senz'altro legittimo, si rivela però imprudente perché non teneva conto della determinazione degli ambienti governativi di andare fino in fondo nell'affermare il proprio controllo sulla Chiesa - anche se prove in questo senso non erano mancate negli anni precedenti - e, soprattutto, sottovalutava l'impatto che la sospensione del culto avrebbe avuto sul vissuto popolare quotidiano, specialmente dei più umili. Infatti, la cultura del popolo, profondamente nutrita di Bibbia e di leggende religiose, caratterizzata da una forte tensione escatologica, vivacizzata da un'intensa e diffusa pratica devozionale, interpretava consuetamente gli avvenimenti all'interno di categorie che si potrebbero definire "mistiche" e "apocalittiche". Anche la persecuzione di Calles viene dunque letta come l'abbattersi di un flagello biblico, e con altrettanto spirito apocalittico nasce nel popolo la convinzione che occorra reagire, come i fratelli Maccabei, impugnando le armi per ripristinare la giustizia violata.
3. L'insurrezione
Fin dai giorni immediatamente seguenti la sospensione del culto, in più di uno Stato, iniziano ad accendersi focolai di sollevazione. La Santa Sede si oppone alla rivolta armata, l'episcopato non la promuove né l'appoggia. Il mondo cattolico ufficiale - la Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa - persiste nell'azione di resistenza legale, che viene repressa con ancora maggiore asprezza: i federali non fanno distinzioni troppo sottili fra cristeros e circoli di Azione Cattolica, il che provoca innumerevoli martiri, particolarmente fra il clero. Il più noto è il sacerdote gesuita Miguel Agustín Pro (1891-1927), beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 settembre 1988.
Dall'agosto del 1926 i focolai di rivolta diventano un incendio che divampa in quasi tutti gli Stati della federazione. Comunità intere si sollevano in massa. Clan familiari e confraternite laicali si danno alla macchia sulle montagne, da dove attaccano le truppe federali e le formazioni irregolari filogovernative, i cosiddetti "agraristi". Lo scontro è fin da subito violentissimo. Contro i ribelli - che gli avversari disprezzano come esseri subumani -, numerosi ma male armati e privi d'inquadramento militare, il Governo mobilita le truppe migliori dell'esercito nazionale, inclusa l'aviazione. Cionostante, i cristeros, forti dell'appoggio popolare e praticando la guerriglia, infliggono gravi perdite ai federali e aumentano, passando a controllare e ad amministrare aree sempre più vaste del territorio nazionale, in particolare nella parte centro-meridionale del paese, negli Stati di Durango, Morelia, Jalisco, Zacatecas, Michoacan, Veracruz, Colima e Oaxaca. Un salto di qualità si ha quando, nel 1927, la guida dell'esercito cristero - che conta circa ventimila uomini - viene presa dall'ex generale federale Enrique Gorostieta Velarde (1891-1929), che aderisce inizialmente alla rivolta più per spirito anticonformista che per convinzione religiosa, ma che maturerà in consapevolezza, prima di essere ucciso a tradimento, in combattimento, il 2 giugno del 1929. Fra il 1927 e il 1928 gli insorti sono in grado di affrontare l'esercito federale in vere e proprie battaglie campali, con impiego dell'artiglieria e della cavalleria. Gli aiuti ai combattenti provengono dalla rete creata dalle famiglie, dalle confraternite e dalle organizzazioni di soccorso. In questa sanguinosa guerra clandestina si distinguono le brigate paramilitari femminili, intitolate a santa Giovanna d'Arco (1412-1431). Il clero - i vescovi, tranne due o tre, sono fuggiti all'estero e i sacerdoti vivono nella clandestinità - è pressoché assente fra i combattenti, che devono supplire alla mancanza dei sacramenti con la preghiera, soprattutto con la recita del rosario e dei salmi e con la devozione ai santi patroni. Alla fine del 1928 per i federali comincia a profilarsi il fantasma di una sconfitta sul campo: non riescono più a sostenere il peso della guerra civile su tanti fronti e, soprattutto, sembrano stanchi del terrore su vasta scala, che hanno scatenato contro il loro stesso popolo. Grandi battaglie hanno luogo agli inizi del 1929 - la maggiore è quella di Tepatitlán, nello Stato di Jalisco, il 19 aprile - e il movimento cristero, che conta circa cinquantamila combattenti, è molto vicino alla vittoria.
4. Gli "Arreglos" e la "Segunda"
Davanti alle crescenti difficoltà di domare l'insorgenza, il Governo fa balenare la possibilità di una tregua e i vertici cattolici, che non comprendono la guerra dei cristeros e sono sempre rimasti in spasmodica attesa di un segno di buona volontà da parte dell'avversario, raccolgono subito il segnale e accordi, del tutto informali, gli Arreglos, vengono frettolosamente sottoscritti il 22 giugno 1929, con l'attenta e determinante regìa della Segreteria di Stato vaticana, e il culto pubblico riprende. Per la Chiesa e per la popolazione questo costituisce un indubbio sollievo, ma per la sollevazione armata significa la fine.
Venuto meno il generale consenso popolare, costretti a cedere le armi e a tornare ai propri villaggi, i cristeros si trovano immediatamente esposti alla vendetta, anche privata, dei federali, dal momento che gli Arreglos non contenevano nessuna garanzia a salvaguardia dei combattenti. Mentre la Chiesa non ricupera la sua libertà e, anzi, continua a essere perseguitata, la repressione nei confronti dei combattenti cristiani - soprattutto dei capi e dei quadri -, per lo più contadini, continua ininterrottamente, almeno fino agli anni 1940. Così i cristeros, dopo una ripresa disperata della rivolta fra il 1934 e il 1938 - la cosiddetta Segunda -, quasi scompaiono, talora fisicamente, dalla storia del paese: restano ancora oggi, indomiti, alcuni piccoli nuclei di reduci che pubblicano un periodico, David. Nonostante l'oggettivo appeasement, fra Stato e Chiesa permangono strascichi latenti di quella guerra mai vinta e mai persa, fra i quali può forse venire inquadrata la "misteriosa" uccisione, il 24 maggio del 1993, del card. Juan Jésus Posadas Ocampo (1926-1993), arcivescovo di Guadalajara.
La guerra dei cristeros, gloriosa e sfortunata, costata dalle settanta alle ottantacinquemila vite umane, sembra essere considerata tanto dalla Chiesa quanto dallo Stato messicani un malaugurato incidente di percorso nel processo di ralliement fra Chiesa e mondo moderno, sì che ricerche storiche, come quella fondamentale dello storico e sociologo francese Jean Meyer, negli anni 1960, hanno incontrato non pochi ostacoli. In realtà, si tratta di una pagina di storia complessa e ancora non del tutto chiarita - a proposito della quale le animosità, soprattutto laicistiche, non si sono ancora placate -, ma altamente significativa. Sul piano storico, siamo di fronte a un episodio dello scontro plurisecolare, nella sua versione armata e popolare, fra la Modernità, con i suoi processi di secolarizzazione delle culture e delle istituzioni politiche a fondamento religioso, e tali culture, pur residualmente di stampo sacrale tradizionale. Sul piano politico, la "lezione messicana" contribuisce all'elaborazione di una nuova strategia della Rivoluzione nei confronti dei cattolici, quella della "mano tesa".
Cristiada: l’esercito di Cristo Re
di P. Angelomaria Lozzer
Grazie al recente film “Cristiada”, scritto da Michael James Love e diretto da Dean Wright, dichiarato uno fra i colossal più belli realizzati negli ultimi anni, con un cast di eccezione (Andy Garcia, Peter O’ Toole, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac), si è rimessa in luce una delle pagine del novecento più raccapriccianti e in un certo senso più gloriose per la testimonianza eroica di fede di tanti martiri. Uno squarcio di storia che continua ad essere taciuta e occultata, ma che in questo anno della fede speriamo risplenda a testimonianza ed esempio per cristiani oggi così superficiali e tiepidi.
Per comprendere bene la storia della Cristiada o della rivoluzione dei Cristeros, come la chiamavano con disprezzo i nemici della Chiesa, occorre dare uno sguardo alla storia del Messico a partire dai tempi dei moti rivoluzionari per l’indipendenza del Paese, iniziati nel secolo XIX.
I primi due tentativi di ribellione al dominio spagnolo furono portati avanti da due sacerdoti sospesi poi a divinis dai loro rispettivi vescovi: Miguel Hidalgo y Costilla, frequentatore tra l’altro di logge massoniche e Josè Morelos. Nel settembre del 1820 l’ufficiale e proprietario terriero Augustin de Iturbide riusciva a entrare trionfalmente in Città del Messico proclamandosi primo imperatore della Nuova Spagna. Nelle intenzioni, Iturbide voleva garantire l’indipendenza del paese, l’unione e la pace interne, nonché la salvaguardia della religione cattolica. La Spagna di quegli anni in effetti aveva assunto toni sempre più liberali, come del resto gran parte del mondo occidentale, e la Chiesa stessa, conforme ai propri principi, vi si era sempre più estraniata. Pur appoggiando gli indipendentisti però l’Episcopato si trovò subito in contrasto con Iturbide, in quanto quest’ultimo voleva conservati i diritti di patronato di cui privilegiava la vecchia Spagna, mentre i Vescovi vertevano ormai per una separazione tra Stato e Chiesa. Iturbide comunque rimase poco tempo al potere perché ben presto, come accadde poi sovente anche nella storia successiva, venne estromesso da ex amici. Così salì al potere il massone Antonio Lopez de Santa Anna. Santa Anna sapendo di non poter sostenere una guerra aperta contro la Chiesa, ma anzi di averne bisogno per fronteggiare la guerra contro gli Stati Uniti, cercò una certa collaborazione con l’Episcopato. Se da una parte però le stringeva la mano con l’altra cercava di portare avanti riforme di stampo liberale. La guerra con gli Stati Uniti (1846-1848) portò inevitabilmente il paese al crollo finanziario e Santa Anna si vide costretto a vendere per dieci milioni di dollari agli Stati Uniti la Valle di Mesilla. Questo scatenò in Messico la reazione. I liberali allora ne approfittarono per conquistare Città del Messico deponendo Santa Anna. Il 4 ottobre del 1855 si costituì così al governo una giunta liberale di massoni e anticlericali che diede alla storia del Paese una svolta decisiva che avrebbe posto le basi a quello che per la Chiesa si sarebbe trasformato in un lungo calvario.
Il nuovo governo emanò tre leggi dette “preparatorias”, condannate poi aspramente da Pio IX nel dicembre del 1856. In breve esse sottraevano la giurisdizione sui matrimoni, nascite, decessi alla Chiesa; vietavano la riscossione forzata delle competenze parrocchiali e riducevano la tariffa sulle cerimonie religiose (che garantivano il sostentamento del clero); mettevano in vendita i beni delle corporazioni, tra le quali era inclusa la Chiesa. Nel 1857 vennero varate altre leggi ancora più dirette, tra cui il divieto di portare l’abito religioso e manifestazioni religiose in pubblico, vietavano l’acquisto di beni e terreni, l’accettazione di eredità e lasciti da parte della Chiesa. L’uso delle chiese doveva essere disciplinato dalle autorità statali e la chiesa veniva sempre più pubblicizzata come la nemica numero uno della Nazione.
La reazione dei conservatori, (a cui appartenevano le categorie vicine all’esercito, alla Chiesa e ai proprietari terrieri) contro i liberali (creoli, meticci, intellettuali) non tardò a farsi sentire. Il generale Felix Maria Zuloaga il 19 dicembre del 1857 dichiarò guerra al governo dando l’avvio a quella che si sarebbe trasformata nella più spaventosa guerra civile del secolo. I liberali, grazie al sostegno dagli Stati Uniti, ne uscirono vincitori. In questi tre anni di atrocità molti preti vennero uccisi anche solo per aver negato i sacramenti ai liberali e la politica antiecclesiastica di quegli anni divenne sempre più insostenibile. Vennero distrutte chiese, trasformati conventi in alberghi, soppressi gli ordini religiosi, incamerati i beni ecclesiastici.
Napoleone III allora approfittando dell’indebolimento estremo in cui era precipitato il Messico con la guerra civile e desideroso di estendere il suo potere nelle Americhe, il 7 giugno 1863 inviava le sue truppe a Città del Messico. Le forze militari francesi varcavano la capitale trionfanti, stabilendovi la monarchia costituzionale e incoronandovi sovrano Massimiliano D’Austria. Il nuovo sovrano in quel clima liberale e massonico, venne subito salutato dai conservatori come un liberatore, ma ben presto si rivelò anch’egli una delusione. Conservò, infatti, la legislazione precedente con pochissime modifiche. Dietro l’apparenza del cattolico, Massimiliano nascondeva la sua appartenenza alla massoneria, tanto che gli venne offerta persino la presidenza del Supremo Consiglio delle Logge che rifiutò solo per accettare quella di “protettore dell’ordine”. La sua reggenza però fu di pochi anni, perché il ritiro dell’esercito francese nel 1866 portava nuovamente il governo ai liberali. Iniziava così per la Chiesa un nuovo periodo di acerbe persecuzioni. Il governo diede impulso alla diffusione del protestantesimo allo scopo di soppiantare l’odiato cattolicesimo. Fu in questo tempo che sorsero gli antesignani dei Cristeros, ossia i Religioneros, che diedero il via a moti di insurrezione armati contro il governo. I vescovi però preoccupati della stabilità del paese chiesero ai propri fedeli sottomissione all’autorità. Tuttavia la situazione che si era creata era tale che diede occasione a Porfirio Diaz di dichiarare nel 1877 guerra al governo e di uscirne vincitore. Pur promettendo rispetto nei confronti della Costituzione, non la applicò in quelle leggi ostili alla Chiesa, instaurando una collaborazione con l’episcopato. Diaz non era di certo un uomo di fede, anzi era anch’egli massone come i suoi predecessori, ma sapeva però per esperienza personale quanto una lotta aperta contro la Chiesa poteva minare la stabilità del governo, e dare il via ad un nuovo dittatore di turno. Diaz diceva: “Non ci sono ricchezze considerevoli nelle mani della Chiesa e ci sono rivolte popolari solo quando il popolo è ferito nelle sue tradizioni più radicate, nella legittima libertà di coscienza. La persecuzione alla Chiesa, che riguardi o no il clero, significa la guerra e la guerra tale che il governo, per vincerla, ha bisogno dell’aiuto umiliante e dispotico, degli Stati Uniti d’America. Senza la sua religione il Messico è perduto senza rimedio”. Negli anni della dittatura di Diaz (1877-1911) la chiesa poté riprendere vita ed estendersi. Nacquero, infatti, nuovi seminari, sorsero nuove diocesi, si formò un partito cattolico e altre varie iniziative di ispirazione cristiana tese a favorire la nascita di piccole proprietà terriere, casse di risparmio e cooperative di consumo a beneficio di quella popolazione contadina che spesso era costretta a ritmi lavorativi da schiavi. Il lungo periodo di dittatura di Diaz, se da una parte segnò un periodo di pace per la Chiesa e di progresso tecnico del paese sotto l’influsso della cultura positivista francese, dall’altra presentò anche notevoli squilibri sociali. Dopo la rielezione di Diaz nel 1910, iniziarono sul territorio numerose rivolte, fazioni e lotte, passate poi sotto il nome di “caudillaje”, dove capi banda, con l’aiuto degli USA, attaccavano ponti, linee ferroviarie e telegrafiche, conquistando i centri minori del paese. Diaz nel maggio del 1911 si vide costretto a dimettersi e ad abbandonare il Paese. Lo succedette Madero, ma per breve tempo perché già nel 1913 veniva spodestato e ucciso dal suo generale Victoriano Huerta. Quest’ultimo, più benevolo verso la Chiesa, venne di li a poco, con l’aiuto dell’America e della Massoneria, abbattuto e vinto da Carranza, Obregon, Villa e Zapata, che cercarono tra loro un accordo. Le loro visioni politiche però erano in contrasto tra loro al punto che ne nacque un’altra guerra civile, e per intervento ancora una volta degli USA ebbe la meglio la parte più liberale e anticlericale capeggiata da Carranza e Obregon, i quali pianificarono un vero e proprio attacco alla Chiesa. Basti pensare che solo nel febbraio del 1915 vennero uccisi in Messico 160 sacerdoti.
Mr. Charles Hughes, segretario di Stato alla Casa Bianca, in un discorso dell’agosto del 1920 dichiarava che: “la condotta del Governo di Wilson verso il Messico è un capitolo di intrighi e di contraddizioni. Si abbandonò Huerta, riconosciuto dalle Potenze Europee, perché non ci serviva troppo, per sostenere invece Carranza che si era messo ai nostri ordini”. D’altra parte il Messico era un paese ricchissimo di minerali, come oro, argento, platino, mercurio, rame, piombo, zolfo, ferro, carbone ed anche di petrolio. Il suolo era poi fertilissimo, con boschi immensi di legnami vari e pregiati. Non stupisce quindi che gli Stati Uniti e la massoneria americana abbiano continuamente messo gli occhi e le mani su questo ricchissimo paese che rischiava di diventare un potente rivale, tanto più forte e unito in quanto cattolico, sostenendo di volta in volta chi gli tornava più comodo. Il presidente Roosevelt aveva detto: “L’assorbimento dell’America Latina è molto difficile finché sarà cattolica”. Lo storico Ziliani commentava: “la dottrina di Monroe: l’America per gli americani ha avuto ora una nuova interpretazione elastica con questa formula: tutta l’America e tutto il mondo per la massoneria”.
Il primo maggio 1917 entrava in vigore, votata dall’Assemblea di Querétaro, la Costituzione, che stipulava nuove leggi oppressive per la Chiesa. Era negata la possibilità dell’insegnamento ai religiosi, vietata la stampa cattolica, proibiti i voti religiosi e gli ordini monastici, i luoghi di culto dovevano passare alla nazione, e alla Chiesa era disdetto il diritto di proprietà e di organizzazione di opere caritative, mentre il culto diventava competenza dello Stato. All’Assemblea parteciparono, guarda a caso, anche i rappresentanti di Wilson. Tale Costituzione intendeva unire sotto un’unica bandiera lo schieramento liberale, formato da vari schieramenti e fazioni, spingendo tutti verso un nemico comune, un unico bersaglio su cui focalizzare l’attenzione. Obregon e Carranza si trovarono però ben presto in diverbio. Nel 1920 Obregon con l’aiuto dei due generali Calles e De la Huerta, riuscì a prendere il potere. Egli vagheggiava di ricondurre la Nazione al tempo precolombiano, quando l’annuncio del Vangelo non aveva, come diceva lui, ancora avvelenato le menti dei messicani. Volendo astenersi nel frattempo da una vera e propria guerra aperta alla Chiesa, che non giudicava ancora matura. Obregon, allora, per attaccare la Chiesa si servì dei marxisti leninisti della CROM, che proteggeva legalmente nelle loro razzie, giustificandoli giuridicamente di volta in volta. Nel 1921 inviò anche un suo impiegato personale al Santuario di Guadalupe con una bomba nascosta in un vaso di fiori, allo scopo di far saltare in aria l’icona della Madonna, ma essa miracolosamente restò illesa. L’11 gennaio del 1923 Obregon espulse anche il nunzio apostolico, monsignor Filippi, con il crimine di aver benedetto e posato la prima pietra di un nuovo monumento in onore di Cristo Re, mentre il monumento venne fatto esplodere.
Per fronteggiare questa minaccia costituzionale nei confronti della Chiesa, il 14 marzo 1925 nasceva la Lega per la difesa della libertà religiosa. Formata in principio solo da avvocati che si impegnavano a tutelare la Chiesa dall’offensiva giuridica del governo, la Lega divenne col passare del tempo l’organo omnicomprensivo della resistenza cattolica, assicurando la difesa delle chiese e delle sedi cattoliche dagli attacchi della teppaglia, radunando attorno a sé le varie associazioni cattoliche del paese, come la Società dei Cavalieri di Colombo, della Gioventù Messicana, dell’Azione Cattolica, etc., costituendo su tutto il territorio una rete compatta di intenti e azioni.
Nel 1924 Obregon designò come suo successore Calles, votato solo dal 2 per cento della popolazione, uomo spietato e senza scrupoli, che si meritò ben presto l’appellativo di “Nerone”. Cacciato di casa e diseredato dal padre per la sua violenza e cattiveria, Calles sin dalla sua giovinezza si era mostrato di indole crudele. Datosi al brigantaggio aveva seminato con la sua banda sanguinaria il terrore ovunque passava. Catturato dai soldati federali, se non fosse stato per l’intervento influente di un amico (poi dallo stesso Calles per “riconoscenza” fatto impiccare), era stato sul punto di essere fucilato. Ottenuta la grazia, parteggiò per l’uno o per l’altro contendente al governo secondo l’opportunità, ottenendo infine da Obregon la nomina a governatore dello stato di Sonora. Lì si era distinto subito per la sua ferocia, tanto da vantarsi nel febbraio del 1928 dinanzi al corrispondente di Daily Express di Londra di aver assassinato, ai tempi del suo governatorato, di propria mano non meno di 50 sacerdoti e di non aver lasciato nemmeno una chiesa aperta e un sacerdote in tutto lo Stato di Sonora. Tutto questo gli aveva attirato la simpatia di Obregon, al punto tale che lo aveva promosso come suo intimo collaboratore nella capitale. Obregon, infine, gli aveva ceduto la Presidenza con l’obbligo di restituirgliela a mandato concluso. Se ci si vuole fare un’idea ancora più chiara della crudeltà di Calles, basti pensare che il numero dei preti, durante gli anni del suo mandato politico, passò da circa 4.500 prima del 1926, a soli 334 nel 1934. Nel 1935 ben 17 stati messicani non contavano nemmeno un prete nel loro territorio.
Calles eletto quindi presidente nel novembre del 1924, iniziò il suo mandato fondando una nuova chiesa, detta “chiesa patriottica messicana”, nominando patriarca di tale chiesa Joaquin Perez, un ex prete massone che sostituì nella celebrazione della Messa il vino con il mescal, una bevanda alcolica ottenuta dalla distillazione del succo di agave. A Perez succedette un altro massone del trentatreesimo grado, che non era nemmeno sacerdote di nome Edoardo Davila, ma il popolo messicano ben radicato nella fede cattolica non simpatizzò per nessuno dei due e il governo stesso si vide costretto a sopprimerla. Nonostante il fallimento, Calles si meritò la Medaglia al merito massonico, che gli venne consegnata dal Gran Commendatore del Rito Scozzese il 28 maggio 1926. Il 12 luglio dello stesso anno apparve sulla stampa internazionale il seguente comunicato: “La massoneria internazionale si assume la responsabilità per tutto ciò che sta accadendo in Messico, e si prepara a mobilitare tutte le sue forze per la metodica, ed integrale applicazione del programma concordato per questo paese”.
Calles, difatti, già all’inizio del suo mandato aveva dato ordine a tutti i governatori degli Stati federali di emettere decreti che assicurassero il rispetto integrale della costituzione in materia religiosa. Non pago di questo, il 3 luglio del 1926, lui stesso aveva fatto uscire una serie di leggi penali che rafforzavano e sanzionavano le leggi del 17: veniva abolita la libertà di insegnamento della fede cristiana e ogni sua espressione nelle parole, nei gesti e nei segni. Espressioni verbali come “Dio me ne scampi” o “Se Dio vuole” vennero multate. Erano puniti poi i genitori che avessero osato insegnare ai figli la dottrina cristiana. Alcune chiese vennero subito trasformate in stalle o in carceri, mentre ai preti vennero obbligati a registrarsi. Nello stato di Tabasco persino fu dato loro obbligo di sposarsi se volevano continuare nell’esercizio delle proprie funzioni e in molti altri casi dovettero anche giurare di non fare proselitismo.
Il 21 luglio, ancor prima dell’entrata in vigore della legge Calles, un negoziante di Puebla di 66 anni, di nome Josè Garcia Farfan, venne fucilato per il crimine di aver esposto il cartello “Viva Cristo Re”. Morì perdonando, mentre sul suo libro di preghiere si poteva leggere una frase scritta a penna: “Mio Dio aiutatemi a fare qualcosa per voi; io non ho fatto ancora niente”.
I vescovi tentarono subito una mediazione con il governo, per fermare questa pazzia, ma Calles rispose loro ironicamente: “Non vi resta, se non volete sottomettervi, che due strade: il ricorso al Parlamento o il ricorso alle armi”. Nel frattempo i vescovi, dopo essersi consultati con Roma, decretarono la sospensione del culto e dei sacramenti che sarebbe entrata in vigore in contemporanea alla famigerata legge Calles il 31 del mese di luglio. D’altra parte alla Chiesa non restava altra strada se non si voleva assoggettare la fede al capriccio del governo. Le chiese in quei giorni vennero invase dal popolo desideroso di accostarsi per l’ultima volta ai sacramenti. Persino quelli che in chiesa non si vedevano mai non mancarono all’appello. Sembrava l’approssimarsi della fine del mondo! La risposta del governo fu ancora più spietata e la gran parte dei vescovi e dei sacerdoti si diede alla macchia o alla fuga.
La prima via proposta da Calles ai vescovi venne perseguita dalla Gioventù Cattolica con la raccolta di ben due milioni di firme, ma venne subito cestinata senza essere nemmeno presa in considerazione dal governo. Si formò allora una difesa sempre più organizzata dei cattolici per presiedere le chiese, onde evitare le profanazioni e proteggere la vita dei sacerdoti rimasti. I giovani dell’Azione cattolica si diedero il cambio giorno e notte tra sacrifici e pericoli per questa nobile causa, mentre la gran parte dei fedeli non cessava di innalzare al Cielo preghiere e penitenze per ottenere la fine a queste crudeltà, organizzando anche processioni in tutto il paese a piedi scalzi e coronati di spine. Furono promosse anche delle manifestazioni cattoliche soppresse nel sangue dall’esercito che sparò in più occasioni sulla folla. Si tentò allora la via del boicottaggio economico, che aveva già funzionato sotto Carranza, al fine di far recedere il governo dal suo intento. Non si doveva comperare se non il necessario, evitare l’uso dei mezzi di trasporto, non pagare le tasse, ne comperare benzina, tabacco,… La Lega poi dava disposizioni al popolo attraverso volantini, scritte sui muri…che venivano sparpagliati al vento o appesi alle vetrine dalle donne e dai giovani, tra mille pericoli. Tutto questo produsse nel popolo un tale fervore, che alcuni volantini suonavano così: “Grazie, signor Calles, voi ci state aiutando a convertire più anime che non i preti”. Un giorno la Capitale si trovò tutta tappezzata di striscioni “Viva Cristo Re” e un’altra volta vennero lanciati in aria 500 palloncini che scoppiando fecero piovere migliaia di volantini che inneggiavano al boicottaggio. La risposta di Calles, esasperato ed esacerbato dall’indomito coraggio dei cattolici, non si fece attendere. Vennero fatte chiudere le tipografie sospette, mobilitata la polizia nella ricerca dei colpevoli, riempite le carceri di donne e bambini. Maria Nieves Cuellar per esempio venne fucilata con due sacerdoti proprio per esser stata colta mentre divulgava i volantini del boicottaggio. Anche il fanciullo José Vargas di 13 anni catturato per lo stesso motivo, venne torturato dinanzi alla madre perché svelasse il nome degli altri complici, mentre la madre addolorata lo incoraggiava “Non dire nulla, figlio mio, pensa a Gesù e taci”. Infine, gli vennero tagliate le braccia e morì svenato. Le donne poi che uscivano dalle chiese erano rapite e violentate, allo scopo divulgativo di intimidire chiunque avesse voluto proseguire in quell’opera. Tuttavia la fede vinceva tutto, irrobustendo di una forza immane gli stessi bambini, tanto che lo stesso Santo Padre Pio XI poteva dire nel concistoro del 20 dicembre 1926: “Bambini e bambine nei primi albori della vita da alcuni mesi offrono uno spettacolo commovente, che strappa l’ammirazione di tutti quelli che pensano ed amano in terra, e degli stessi Angeli in Cielo”. Si pensi per esempio a Rosina Gomez di 12 anni, appartenente alla compagnia di S. Tarcisio e incaricata di portare la comunione ai carcerati e condannati a morte, che scoperta dai soldati federali arrivò a dire con audacia “non ho paura di voi, Gesù mi darà la forza”, mentre in un attimo inghiottiva le sacre particole e veniva assassinata. La classe più colpita fu però senz’altro il clero, giudicato come la vera causa di tutti i mali. Non si contano i sacerdoti assassinati per aver esercitato il loro ministero sacerdotale clandestino. Il vecchio parroco di Jalisco Francesco Vera venne fucilato con i paramenti sacri ancora addosso. Don David Uribe venne torturato al pari di S. Bartolomeo. Scorticato e grondante sangue da ogni parte continuava a gridare: “La morte, ma non l’apostasia. Che gioia! Morire piuttosto che rinnegare il Vicario di Cristo. Io amo il Papa! Viva il Papa! Io voglio morire per amore del Papa!”. Don Paolo Garcia scoperto mentre celebrava Messa in onore della vergine di Guadalupe nel giorno della sua festa venne torturato per 10 giorni. Gli furono tagliati gli orecchi, naso, lingua e cavati gli occhi perché rivelasse il nascondiglio dell’Arcivescovo, ma non ottenendo nulla venne finito a revolverate. Don Sabba Reyes, a cui i fedeli consigliarono di lasciare Tototlán mentre lui replicava: «Mi hanno lasciato qui e qui attendo. Vediamo che cosa dispone Iddio», venne invece legato a una colonna della chiesa in modo tale che i piedi non toccassero il suolo e lasciato in questa posizione per tre giorni. Nel frattempo senza cibo ne acqua venne punzecchiato con le punte delle baionette, gli vennero strappati i capelli e sputacchiato, e infine bruciate le mani. Condannato infine alla fucilazione e colpito dalla prima scarica, si rialzò in piedi con le forze che gli restavano per gridare per l’ultima volta “Viva Cristo Re”. Padre Gumersindo Sedano fu invece colpito da una scarica di fucile nell’atto di benedire. Coperto di fango e di sangue venne appeso ad un albero, denudato e squartato con un coltello, mentre il generale federale con gioia satanica avvisava Calles: “ho l’onore e il piacere d’informarla che questa mattina abbiamo ucciso il prete Sedano”. Ecco quali azioni ottenevano favori e promozioni! Don Josè Idael Flores dopo esser stato per tre volte impiccato senza successo, in quanto la corda si spezzava sempre, venne infine sgozzato con un coltello. Il francescano P. Giuseppe Perez venne invece legato al collo con una fune e trascinato con un autovettura in mezzo alle pietre per essere finito a revolverate. Don José Lezana venne colpito a bastonate per essersi opposto alla chiusura forzata della Chiesa e infine tagliato a pezzi con un accetta. Questi eroi e martiri non sono che un piccolo mazzo scelto dei fiori di un grande giardino. I preti poi che sopravvissero alle persecuzioni non passarono la vita di certo tra gli allori, ma in continue sofferenze, incertezze e paure. Si pensi al vecchio Vescovo di Colima, Mons. Amadore Velasco che a ottant’anni girava ancora con l’abito tutto rattoppato per le montagne condividendo la povertà, la fame e la sete, il freddo e i disagi del suo gregge.
Le guardie federali inscenavano parodie sacrileghe con vesti liturgiche, profanavano chiese, bruciavano i confessionali, mutilavano le statue e ne fucilavano le immagini sacre. Nella capitale il nuovo Ministro della Guerra tenne un discorso dal pulpito della chiesa di S. Gioacchino condito di bestemmie, seguito da un banchetto in cui vennero usati i calici sacri per bere e le pissidi come sputacchiere. Nella cattedrale di Tabasco vennero persino proiettati ai bambini immagini turpi e tenute conferenze oscene. A Queretaro il governatore Osornio arrivò a sedersi sulla cattedra vescovile facendo leggere alla sua figliola di 10 anni la poesia a satana: “Aiutaci, satana, colle tue legioni di ribelli. Se in questa lotta noi riusciremo a vincere Dio col tuo aiuto, ti promettiamo di adorarti. Il regno di Dio sarà tuo, o satana.” La massoneria non poteva che gioire! Il The new age riportò la seguente frase: “La chiesa cattolica ha pervertito i messicani per 400 anni. Il merito di Calles è di averlo liberato dall’ignoranza e dalla superstizione. Ecco perché questi può contare sulla nostra comprensione e sull’aiuto del Nord America”.
In questa situazione generale sopra descritta, si capisce che al popolo non restava che l’alternativa della ribellione armata, giacché la via pacifica perseguita nel cercare di portare Calles alla riflessione, poteva ben dirsi fallita. Tale guerra armata avrebbe dovuto moralmente inscriversi tra le guerre di legittima difesa. Essa doveva costringere il governo a retrocedere nella lotta alla Chiesa o a crollare. La storia del Messico d’altra parte insegnava che l’obbiettivo non era impossibile, e i mezzi erano proporzionati. Lo stesso Osservatore Romano, l’11 agosto 1926, dichiarò: “Né si dica che potrebbero i cattolici unirsi e organizzarsi e tentare una difesa per le vie legali; perché ad ogni associazione di fedeli per un tale fine è strettamente vietata dalla legge Calles, sicché non resta alle masse che non vogliono sottostare alla tirannia o non sono più frenate dalla pacifica predicazione del clero che la ribellione violenta”. Già il grande teologo S. Tommaso d’Aquino nella “Summa Teologica” aveva sentenziato: “Quando l’abuso dell’autorità contro la società è certo, gravissimo, permanente, quando sono esauriti ed inutili i mezzi pacifici per far rinsavire il tiranno, allora la resistenza attiva e armata non è ribellione, ma difesa lecita e legittima”, e noi potremmo aggiungere “doverosa”, giacché nel caso del Messico era in ballo la fede, e la fede non solo propria, ma anche dei propri figli e delle generazioni future.
Le prime rivolte locali della gente furono in realtà scoppi improvvisi della folla in difesa dei parroci o delle Chiese, come quando per esempio il generale Ortiz aveva inviato i suoi soldati ad arrestare i sacerdoti di Zacatecas e il sollevamento della folla glielo aveva impedito, o come quando a Cocula, la reazione della folla si era opposta alla commissione statale che cercava di impossessarsi della Chiesa del paese, linciando anche un giudice o ancora come quando il 3 agosto veniva attaccato il Santuario della Madonna di Guadalupe e 400 fedeli ne respingevano il primo attacco.
La ribellione però, grazie anche al lavoro indefesso della Lega per la libertà religiosa, prese pian piano consistenza e organizzazione assumendo i toni di un vera e propria offensiva militare.
L’origine della guerra armata è legata in qualche modo all’assassinio di Don Luigi Batis, avvenuto una quindicina di giorni dalla promulgazione della legge Calles. Don Batis, la sera del 14 agosto del 1926, aveva raccolto attorno al suo pianoforte un gruppetto esimio di giovani al fine di insegnar loro una canzone liturgica, quando i federali vi avevano fatto il loro improvviso ingresso sicuri di coglierlo in fallo. I soldati inviati dal governo perlustrarono tutta la casa, togliendo persino l’intonaco dai muri, nella ricerca furibonda di qualche foglietto che compromettesse il parroco, ma non trovando niente decisero di arrestarlo ugualmente. Chiuso con i suoi tre giovani in cantina venne torturato per tutta la notte. La mattina tutti e quattro vennero fatti salire su un carro e condotti alla fucilazione. Il popolo tentò allora di liberarli, ma i soldati aprirono il fuoco sulla folla. Don Batis chiese allora pietà per i tre giovani innocenti esclamando: “Per amore di Dio non fate male a questi giovani. Pensate che Lara e Roldan sono l’unico sostegno delle loro vecchie madri, e Manuel Morales ha moglie e tre figli”, ma essi stessi espressero subito il desiderio di morire martiri. Manuel Morales aggiunse anche: “I miei figli hanno un altro Padre nel Cielo. Io muoio, ma Iddio non muore”. L’ex colonnello dell’esercito Pedro Quintanar, nel frattempo, aveva radunato un gruppo di uomini armati allo scopo di tentare la liberazione di Don Batis con la forza, ma arrivò ad esecuzione già avvenuta. Allora occupò la città di Chalchihuites, impadronendosi delle casse municipali e decretò l’iniziò della ribellione armata. Subito si unì a lui anche il generale Aurelio Acevedo, e dopo di lui molti altri. Nello stato di Jalisco iniziava così la rivolta al grido di “Viva Cristo Re”.
Lo stato di Guanajuato non fu da meno. Il sindaco di Penjamo Luigi Navarro Origel terziario francescano, padre di cinque figli, e fervente propagatore dell’adorazione Eucaristica notturna, si poneva anch’egli a capo di un esercito. Cattolico tutto di un pezzo Origel aveva dato vita nel suo paese all’Ordine dei Cavalieri di Colombo, e a molte altre associazioni cattoliche. Si vantava di 4 cose: servire ogni giorno la Messa, ricevere la Comunione, fare la visita Eucaristica e recitare il Santo Rosario. Si era impegnato dapprima nella resistenza passiva al governo per poi passare a quella armata. Diceva: “Bisogna lavare i crimini della Patria col nostro sangue, ed io devo lasciare un nome onorato ai miei figli. Dio mio, fammi un Martire”. Agli uomini che lo avevano seguito in questa nobile causa ogni sera faceva recitare ad alta voce il Rosario, ed egli soleva firmarsi “soldato di Maria”. Ogni volta che il suo esercito conquistava un nuovo presidio, la Chiesa del paese veniva riaperta e la Messa ricelebrata tra il fervore di tutti. Un giorno scontratosi con i callisti in numero molto più elevato, si sacrificò per permettere la fuga ai suoi soldati. Coprendo loro le spalle col fuoco insieme a un piccolo gruppetto di compagni e tenendosi dietro le rocce, continuò a sparare finché venne colpito. Al fratello che lo soccorreva dava un ultimo bacio e quindi si spegneva con le ultime parole “Viva Cristo Re”. I suoi soldati accolsero la sua salma cantando il Te Deum come aveva lui stesso chiesto e desiderato.
I rappresentati della Lega nazionale in difesa della libertà religiosa si incontrarono allora per giudicare l’opportunità di un’azione armata e il 30 novembre proponeva ai Vescovi i seguenti punti: non condannare il movimento armato, sostenere un’unità di azione, formare una coscienza collettiva che approvasse la resistenza, nominare cappellani militari e patrocinare la raccolta di fondi per la lotta armata. I vescovi accolsero i primi 3 punti rifiutando gli altri. Riconoscevano legittima la resistenza dei cittadini nel difendere i loro diritti vitali, in quanto la via pacifica si era mostrata inutile, ma d’altra parte si astenevano dall’appoggiare personalmente la rivolta. Il vescovo Diaz y Berreto che unico tra i vescovi si espresse contrario alla resistenza armata subì una severa reprimenda da parte degli altri vescovi e fu obbligato a ritrattare. La commissione dei Vescovi ricordò che i fedeli lottavano e si sacrificavano per un nobile ideale e un giusto dovere.
Nel gennaio del 1927 insorse anche Jalisco e la guerra poté dirsi generalizzata. I combattenti marciavano in gruppi di centinaia cantando l’inno: “Tropas de Maria singan la bandera no desmaye nadie vamos a la guerra!”. I rivoltosi conquistarono villaggio per villaggio tutta la zona montuosa de Los Altos de Jalisco, diffondendo la rivolta ovunque. Il primo villaggio era stato San Julian insorto con appena 30 uomini armati, a cui si era aggiunto poi Victoriano Ramirez detto “El Catorce”, soprannominato così da quando, inseguito da 14 federali, era riuscito ad ucciderli tutti da solo. I ribelli, comprendenti contadini e allevatori, si mettevano sotto il comando di ex generali ed esperti nel campo della guerra. Tra i comandanti Cristeros più abili e decisi troviamo due sacerdoti: José Reges Vega e Aristeo Pedroza. Uno di discussa rettitudine e alquanto spietato, l’altro retto e integerrimo. Non c’è da meravigliarsi di questo, perché non esiste realtà umana giusta e santa che non abbia purtroppo a doversi confrontare con la libertà umana ed il peccato. La maggioranza però si batteva sinceramente per la fede, con coscienza e giustizia. Lo si capisce dallo stesso rito di accoglienza nell’esercito. La recluta doveva dichiarare sul crocifisso: “Io giuro solennemente per Cristo Re, per la SS. Vergine di Guadalupe, Regina del Messico, e per la salvezza della mia anima. Primo: mantenere assoluto segreto su tutto quello che può compromettere la santa causa che abbraccio. Secondo: difendere con le armi in mano la completa libertà religiosa nel Messico. Se osserverò questo giuramento, che Dio mi premi; se mancherò che Dio mi punisca”. Quindi doveva baciare la bandiera della Vergine di Guadalupe, dopodiché riceveva dal sacerdote l’imposizione del Crocifisso o dell’immagine della Madonna di Guadalupe (a seconda del grado militare), che l’avrebbe accompagnato nelle battaglie. Nel campo veniva celebrata quotidianamente la Messa, si facevano le processioni Eucaristiche, si recitava il Rosario e dove era possibile si stabiliva anche l’adorazione Eucaristica a turni di 15 minuti l’uno. Il loro saluto era: “Arrivederci in Paradiso”. I Cristeros di Jalisco dopo il Rosario recitavano insieme la preghiera composta dal martire Anacleto Gonzales: “Gesù misericordioso! I miei peccati sono più numerosi delle gocce di sangue che versasti per me. Non merito di appartenere all’esercito che difende i diritti della Tua Chiesa e che lotta per Te. Vorrei non aver mai peccato in modo tale che la mia vita sia un’offerta gradevole ai tuoi occhi. Lavami dalle mie iniquità e purificami dai miei peccati. Per la Tua santa Croce, per la mia Santissima Madre di Guadalupe, perdonami! Non ho saputo fare penitenza dei miei peccati; per questo motivo voglio ricevere la morte come una punizione meritata per essi. Non voglio combattere, né vivere né morire, se non per te e per la tua Chiesa. Madre Santa di Guadalupe, accompagna nella sua agonia questo povero peccatore. Concedimi che il mio ultimo grido sulla terra ed il mio primo cantico nel Cielo sia “Viva Cristo Re”!” In questo esercito entravano a far parte fra tanti sacrifici, tra il caldo cocente di giorno e il freddo pungente e gelido della notte, a volte senz’acqua né cibo, alla quota di tremila-quattromila metri, vecchi e giovani e persino donne. Armando Tellez Vargas, uno dei fondatori della Lega, abile oratore e scrittore, non abituato a questi disagi a motivo della sua costituzione delicata soleva incoraggiarsi con la giaculatoria: “Sempre avanti per Cristo Re”. Il vecchio Gabino Alcazar, all’età di ottant’anni prese in mano le armi esclamando: “Ho ancora poco tempo da vivere, e perché non posso spenderlo per Cristo Re? Tutti noi siamo suoi sudditi, ed abbiamo gli stessi doveri” e morì poco tempo dopo in battaglia gridando “Viva Cristo Re”. Il Beato José Sanchez, chiamato dai soldati Tarcisio per l’amore all’Eucaristia, invece, all’età di tredici anni chiese di essere ammesso come i suoi fratelli nell’esercito cristiano pregando il generale: “posso aiutare i soldati a togliersi gli speroni o a preparare le cavalcature; posso cuocere i fagioli, curare i cavalli o ingrassare le armi”. Condotto infine in battaglia come porta bandiera offrì il proprio cavallo al generale, che nel furore della battaglia ne era rimasto privo, affinché si mettesse in salvo. Quindi, coprendogli le spalle con il fuoco, sparò fino all’ultima cartuccia. Catturato vivo dai federali, venne interrogato allo scopo di estorcergli informazioni sui compagni: prima con promesse e lusinghe e poi con la violenza, ma egli si rifiutò sempre di parlare. Gli venne tagliata la pianta del piede e passata nel sale. Visto che tutto era inutile venne fatto camminare sul selciato fino al cimitero, tra continue percosse e con i piedi nudi tutti sanguinanti, mentre cantava “Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera”. Arrivati al luogo del supplizio, venne colpito con delle pugnalate, quindi stufi di sentirlo gridare: “Viva Cristo Re! Viva la Madonna di Guadalupe!”, venne finito con una revolverata alla testa. Opera importantissima fu svolta poi dalle Brigate femminili Santa Giovanna D’Arco che formarono una rete di distribuzione per provvedere alle munizioni, alle medicine, al cibo di cui i Cristeros avevano bisogno. Si trattava di un compito rischiosissimo che metteva a repentaglio la loro vita. Queste ragazze intrepide raggiunsero il numero di 17000. Tra esse, ricordiamo Faustina Alemida, Sara Flores e Angela Gutierrez, che morirono cantando “Andrò a vederla un dì”, mentre portavano le munizioni ai cristeros. Chi può enumerare l’eroismo delle donne messicane di quel tempo! Madri che erano disposte a perdere il marito e i figli per un nobile ideale, che si radunavano nelle case per pregare, che si flagellavano aspramente e si coronavano con spine per sostenere con il sacrificio i combattenti e ottenere per loro grazie celesti. La madre del giovane martire Gioacchino Silva fucilato con la corona del Rosario in mano, appresa la morte del figlio esclamò: “Signore, eccovi tutti i miei dodici figli per il vostro sicuro trionfo”. Così la moglie dell’avvocato Anacleto Gonzales Flores, indicando il cadavere sfigurato del marito al figlio le disse: “Guarda, questo è tuo padre. È morto in difesa della fede, promettimi sul suo corpo che farai lo stesso quando sarai più grande, se Dio te lo chiederà”. Alcune donne parteciparono persino attivamente alla battaglia, come la signorina Maria Caires che comandò un battaglione formato da donne per liberare l’Arcivescovo dal carcere, sfidando i soldati e disarmandoli. Infine catturata venne mutilata alle mani e i piedi mentre ella continuava a gridare fino alla morte “Viva Cristo Re”.
I primi mesi di lotta furono per lo più indirizzati a presidi isolati e ad azioni locali, da cui i Cristeros uscivano vittoriosi. Avevano però ancora da scontrarsi con il vero e proprio esercito federale. Quest’ultimo, dotato di mezzi maggiori e migliori, riforniti allo scopo dagli USA, passava bruciando ogni terreno e deportando villaggi interi, saccheggiando e commettendo ogni sorta di violenza, in modo tale da togliere agli insorti i mezzi per rifornirsi e nuove reclute al loro esercito, dal momento che gli uomini si vedevano costretti a rimanere nelle proprie abitazioni per salvare le proprie famiglie.
L’11 gennaio del 1927 si ebbe la prima vittoria vera e propria in campo aperto. 1200 Cristeros riuscirono sotto il comando di Porfirio Mallorquin Valente Acevedo a sbaragliare 2000 federali. Seguì in febbraio un’altra vittoria a San Francisco del Rincòn. In marzo i Cristeros si incontrarono senza prevederlo con il 78° reggimento di cavalleria, comandato dal generale Rodriguez. La battaglia durò tutto il giorno. I Cristeros comandati da El Catorce resistettero fino all’arrivo dei soccorsi guidati da Hernandez che colpendo i federali alle spalle riportarono una schiacciante vittoria su quello che era uno dei reparti migliori dell’esercito federale. Ormai i Cristeros erano saliti a 12000 e i federali erano in difficoltà. Proprio allora però si verificò un fatto che squalificò moralmente i cristeros agli occhi di molti cattolici e degli stessi Pastori. Padre Vegas, di cui si era già parlato prima, in aprile dopo aver appreso il martirio di Anacleto Gonzales, furibondo prese all’assalto un treno pieno di denaro. Nello scontro il fratello venne ucciso e P. Vegas ancora più esacerbato e irato fece cospargere di benzina il treno con sopra ancora 51 passeggeri innocenti e gli diede fuoco. A questo fatto si erano aggiunti altri problemi morali all’interno dell’esercito cristero, come rappresaglie, uccisioni dei prigionieri, uccisioni anche di quei civili che ostacolavano la strada. Inoltre l’aumento crescente delle sofferenze nel popolo, schiacciato dal governo sempre più inferocito, portarono l’episcopato a dividersi riguardo al giudizio morale della resistenza cristera. Alcuni vescovi finirono per condannare apertamente il ricorso alle armi e molti sacerdoti si tennero contrari alla rivolta. Tutto questo ebbe effetti chiaramente deleteri sulla gran parte dell’esercito cristero che combatteva nient’altro che per la fede e in piena fedeltà alla Chiesa. Tuttavia le continue vittorie di Victoriano Ramirez (El Catorce) tanto temuto dall’esercito federale e che poteva dirsi più un bandito che un vero cristero, spinsero la Lega per la libertà religiosa a convincersi di una possibilità di riuscita e anche della necessità di continuare lo scontro. Per dare unità e forza al movimento venne allora ingaggiato un ex generale dell’esercito, Enrique Gorostieta y Velarde, abile e veterano in fatto di guerre civili. Sebbene massone di 33 grado Gorostieta accettò la proposta sia per motivi di ambizione personale e di rivincita nei confronti di Calles che lo aveva messo da parte, sia per lo stipendio elevato che gli era stato proposto e cioè il doppio di un generale federale (3000 pesos al mese). Il suo reclutaggio tra i Cristeros fu veramente provvidenziale perché seppe dare al movimento non solo unità, ma soprattutto disciplina e ordine morale.
Alla fine del 1927 l’esercito Cristero salì a 25000 unità, di cui 18000 bene inquadrati e gli altri dispersi in bande. Nel febbraio del 1928 la guerriglia ormai era accesa ovunque e il governo non era più in grado di fermarla. In marzo padre Aristeo Pedroza con 300 uomini attaccò forze due volte superiori e le sbaragliò. Ciò che si stava verificando sapeva del miracoloso, tanto più che le perdite che si registrarono nelle battaglie erano 1 Cristeros su 50 o addirittura 100 federali. Avvennero anche veri e propri prodigi celesti, come la moltiplicazione del cibo per l’esercito affamato, o l’elevazione prodigiosa dell’Ostia durante la celebrazione della Messa che produsse la conversione del generale federale e dei suoi uomini già pronti a sparare sui Cristeros inermi e ignari dell’imboscata. Una spia cristera catturata si sentì dire dai federali: “Essi sono stregoni, e chi li comanda è un generale molto valoroso su un cavallo bianco ed è accompagnato da una donna. Quando abbiamo aperto il fuoco contro di loro, questo non ha avuto alcun effetto, e quando si avvicinavano a noi non eravamo in grado di fare nulla per respingerli. Questi maledetti Cristeros governano le foschie per nascondervisi dentro”. La spia allora rispose: “Non ci sono cavalli bianchi e non c’è nessuna donna accanto al nostro generale. In verità noi abbiamo la piena fiducia che la Beata Vergine ci accompagni sempre in battaglia assieme a san Giacomo, noi non possiamo vederla con i nostri occhi soltanto perché non ne siamo degni”.
In luglio Obregon, l’ultimo grande generale della Rivoluzione, venne assassinato da un giovane di nome José de Leon Toral. Per comprendere il suo gesto conviene prima riportare quanto sintetizza lo storico Zuliani sulla dottrina di S. Tommaso d’Aquino e del teologo Suarez al riguardo: “contro il tiranno ingiusto e aggressore il diritto di difesa della società oppressa, depauperata, assassinata nella vita, nelle sostanze a nella libertà, compete ad ogni singolo membro”. Obregon era stato appena eletto presidente e aveva già dato il suo discorso di neo eletto dichiarando ai microfoni della radio: “Quando una formica ci morde, noi non andiamo a cercare quella che ci ha morso, ma prendiamo un secchio di acqua bollente, ed uccidiamo tutte le formiche che troviamo, e quelle che tentano di fuggire le pestiamo coi piedi. Così farò dei cattolici, anche se questi rigori importassero la distruzione della razza messicana, e facessero un deserto del Messico”. Ora, mentre stava lautamente banchettando nel ristorante della capitale “La Bombilla” con i suoi al ristorante sotto lo striscione “Obregon padre della Patria”, Toral, deciso a sacrificare la sua vita per ottenere al popolo la fine delle persecuzioni, si presentò al convito disegnando schizzi e caricature, guadagnandosi sempre più la stima dei convitati. Dando uno schizzo simpatico di Obregon venne invitato a presentarglielo, e appena gli fu dietro le spalle estrasse di nascosto la pistola automatica colpendolo con 4 colpi alla testa. Gli invitati presi dalla confusione e anche saturi di vino iniziarono a spararsi a vicenda o a fuggire, mentre il giovane Toral non si mosse dal suo posto. Non tentò la fuga, ne utilizzò gli altri due colpi ancora a disposizione, ma aspettò intrepido l’arresto. Interrogato immediatamente da Calles riguardo a chi lo avesse spinto a questa azione, dichiarò: “giuro sulla mia anima che io ho agito da solo. Io ho fatto questo perché Cristo regni nel Messico”. Per cercare di farlo confessare e affermare che era stata la Chiesa a inviarlo, venne denudato e legato con una cordicella ai pollici delle mani e dei piedi, mentre gli venivano dati scossoni facendolo ciondolare nel vuoto e slogandogli le dita. Temendo che morisse nelle torture gli aguzzini gli misuravano di tanto in tanto il polso. Dopo avergli dato cinque minuti di tregua venne appeso al soffitto per le ascelle. Un poliziotto gli si attacco di peso slogandole tutte le giunture. Non ottenendo niente gli promisero la commutazione della pena della fucilazione con la prigione, al patto che avesse confessato il mandante, ma egli dichiarò: “non è la morte che temo, anzi è la fucilazione che desidero. Possa il mio sangue essere l’ultimo. Sappiate però che ho agito da solo e non ci sono complici”. Dichiarò anche: “i miei fratelli stavano combattendo nelle montagne privi di tutto, contro un nemico feroce e ben agguerrito. E qui in città la solita vita della crapula e dell’orgia di pochi in contrasto con le sofferenze dei molti. Il pericolo per la Religione diveniva sempre più grave; i Crociati erano isolati; stavano morendo di fame e di sete. Allora presi anch’io il mio posto di combattimento. Mi disposi al sacrificio desiderando che fosse l’ultimo sangue versato. Vidi la mia sposa vedova e i miei figli orfani; ma vidi anche altre vedove e altri orfani dei miei compagni crociati; e allora preferii la morte di Obregon e la mia morte. Per finire la guerra ho ucciso il capo nemico”. Gli ultimi giorni in carcere li passò in preghiera come scrisse egli stesso: “io passo il tempo, a fare meditazione sul Santo Rosario… Di solito recito il Rosario ravvivando la mia fede, fino quasi a sentire la dolce presenza di Maria SS.ma, di Gesù e del mio Angelo custode”. Morì fucilato offrendo la sua vita per i suoi stessi persecutori e per il Messico.
La morte di Obregon in effetti segnò una grande confusione in Messico. Calles ormai si trovava come l’unico vero leader della rivoluzione messicana.
Nel 1929 i cristeros contavano ormai 50000 unità. In marzo padre Vegas in modo magistrale conduceva con 3000 uomini una delle battaglie più importanti della storia cristera nella città di Tepatitlàn, restandone però ferito e ucciso. In effetti, non tutte le azioni dell’esercito cristero andavano al meglio, per il fatto che molti generali sentendosi in dovere di combattere in testa al loro esercito, rimanevano così linciati e uccisi nel furore delle battaglie. In quell’anno, tra l’altro, Victoriano Ramirez entrava anche in dissidio con un altro generale, e il famoso “Catorce” veniva condannato per motivi disciplinari dal padre Aristeo Pedroza e fucilato.
Il governo comunque era in evidente difficoltà nel fronteggiare la lotta, e per questo cercò subito, per interesse anche dell’ambasciatore statunitense Morrow, di venire in accordo con la Chiesa. Il 1 maggio 1929 il nuovo presidente Portes Gil, guidato dal suo maestro Calles, dichiarò in un intervista che il culto cattolico avrebbe potuto riprendere in Messico al patto che la Chiesa garantiva il rispetto delle leggi dello Stato. Si avviarono allora le trattative del governo con l’Episcopato, anche se per i Cristeros questo appariva come tradimento o per lo meno un pericolo. Gorostieta protestò: “Ogni volta che la stampa ci dice che un vescovo fa da parlamentare coi “callisti”, sentiamo come uno schiaffo in piena faccia, tanto doloroso in quanto viene da coloro nei quali speriamo di trovare conforto, una parola che dia respiro alla nostra lotta”. D’altra parte però l’episcopato cercava il modo di porre fine ad una guerra di cui si conosceva l’inizio ma non la fine, ne il prezzo che si sarebbe dovuto versare per ultimarla. D’altra parte quali garanzie poteva avere la Chiesa in caso di vittoria da parte dell’esercito cristero che non sarebbe più salito al governo nessun altro massone approfittatore della situazione?
Nel frattempo, il 2 giugno, il supremo generale cristero Gorostieta venne colto di sorpresa da un gruppo di federali e circondato. Gorostieta accortosene in tempo tentò la fuga, ma il cavallo venne abbattuto. Tornò allora di corsa nell’haiacenda stringendo per l’ultima volta le mani al crocifisso che teneva sul petto. Lo contemplò, pregando per l’ultima volta. Tentò allora una seconda fuga con un altro cavallo, ma una pallottola lo buttò di sella. Raggiunto da un soldato federale venne finito a revolverate mentre cercava di rialzarsi. Dopo aver recuperato la fede, cadeva così il generale supremo dei cristeros. Quello stesso giorno il delegato apostolico Ruiz y Flores scriveva al Segretario generale della Lega che la lotta armata doveva cessare perché provocava più danni di quelli che voleva evitare. La Lega però si rifiutò di obbedire. La richiesta dell’episcopato non solo buttava all’aria un piano nel momento più favorevole e vicino alla vittoria, ma metteva anche i cristeros in condizione di essere perseguitati e uccisi. Le trattative con il governo, vennero portate avanti da Portes Gil con l’astuzia e l’inganno. I due plenipotenziari dell’episcopato, Mons. Flores e il suo segretario Barreto, furono separati da tutti i contatti con l’esterno e con il resto dell’episcopato. Chiusi prima in un vagone ferroviario, poi nella casa di un banchiere, finirono il 21 giugno per firmare il concordato. La legislazione antiecclesiastica sarebbe rimasta sulla carta delle leggi di stato, ma il governo si impegnava a non applicarla. La libertà di insegnamento di religione era garantita all’interno delle Chiese (non nelle scuole), la Chiesa poteva continuare a conservare i propri beni e si assicurava ad essa il diritto di petizione al governo per cambiare la legge vigente. Lo stato prometteva inoltre l’armistizio con i cristeros, ma solo a voce. Il 27 giugno le chiese vennero riaperte, ma per i cristeros iniziò l’epoca della caccia all’uomo. Decine di capi cristeros vennero catturati e fucilati o impiccati ai pali del telegrafo. Su 50000 cristeros solo 14000 consegnarono le armi perché gli altri sapevano che ne avrebbero avuto bisogno per difendersi. Tuttavia nessuno di loro continuò la battaglia o si diede al brigantaggio come in genere avviene in questi casi, a dimostrazione della lealtà e della fedeltà all’ideale per il quale erano scesi in battaglia, ossia la fede. In agosto il generale Jesus Degollado che era succeduto a Gorostieta diffuse il seguente messaggio: “La Guardia nazionale scompare, non tanto perché vinta dai nostri nemici, quanto perché abbandonata, in realtà, da coloro che dovevano beneficiare, per primi, del frutto prezioso dei suoi sacrifici e della sua abnegazione. Ave Cristo! Per te andiamo verso l’umiliazione, l’esilio, forse a una morte gloriosa, vittime dei nostri nemici, con il nostro amore più fervente, ti salutiamo e ti acclamiamo ancora una volta, Re della patria nostra. Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe! Dio, Patria e Libertà!”. Quando Pio XI lesse il testo delle arreglos, ossia degli accordi tra episcopato e governo, scoppio in lacrime al pensiero di quello che i cristeros avrebbero dovuto subire da un governo menzognero e farabutto. “L’ho veduto piangere” ha detto il Cardinal Tommaso Pio Boggiani al vicepresidente della Lega. Il pianto del papa fu un vero presagio di rovina perché negli anni seguenti furono uccisi 1500 cristeros. Continuarono anche gli attentati dinamitardi e le persecuzioni verso il clero, con l’uccisione di parecchi sacerdoti. Nel 1932 il papa fece nuovamente riudire la sua voce di condanna contro la violazione dei patti con l’enciclica “Acerbi animi”. Due anni dopo Calles reintroduceva l’applicazione dell’art. 3 della Costituzione sulla libertà di educazione dicendo: “Dobbiamo impadronirci delle menti dei bambini e della gioventù perché essi appartengono alla Rivoluzione”. Canabal con le sue “camice rosse” assaliva in dicembre i fedeli che uscivano dalla chiesa di Coyoacan uccidendone cinque. Canabal venne esiliato, ma lungo il paese le persecuzioni continuarono con l’assassinio di un centinaio di maestri cristiani. Nonostante la scomunica posta dai Vescovi, preoccupati di non creare nuovamente situazioni tragiche, a chiunque avrebbe preso in mano le armi, 7500 Cristeros esacerbati ricostituivano l’Esercito di liberazione popolare, dando inizio alla cosiddetta “Secunda”. Calles d’altronde cercava proprio di conservare il potere con queste situazioni d’emergenza, ma anche per lui scoccò il tempo della giustizia e dovette di lì a poco prendere la via dell’esilio con il vecchio capo della CROM, Luis Morones, mentre Lazaro Cardenas assumeva i pieni poteri del governo messicano. Iniziava per la Chiesa un periodo più vivibile, ma non certo privo di soprusi e violenze. Basti pensare all’assassinio del Beato Pedro Maldonado avvenuto nel 1937 nella presidenza municipale del suo paese per opera della polizia. Solo nel 1940 con l’elezione di Manuel Avila Camacho, il primo cattolico a salire al governo dopo la serie interminabile di massoni e nemici della Chiesa, la Chiesa poteva trarre un sospiro di sollievo. Durante il suo mandato anche gli ultimi cristeros deposero le armi e la “Cristiada” poteva dirsi ormai conclusa per sempre.
Le leggi discriminatorie nei confronti dei cristiani, come il divieto di pubbliche manifestazioni di culto, rimasero in vigore fino al 1992 quando fu modificata in parte la Costituzione. C’è da sperare che il sangue versato in Messico possa ora espandere sulla terra grazie di fedeltà e santità per tutta l’America Latina e il mondo e dare ai molti cristiani all’acqua di rose una testimonianza di generosità e forza.
Fonte: Settimanale di p. Pio
Il Beato Josè Luis Sanchez del Rio e la guerra cristera
Nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, Michoacán, José era il terzo dei quattro figli di Macario Sánchez Sánchez e María del Río.
Quando scoppiò "la Cristiada", i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, si schierarono in difesa della libertà religiosa nella regione di Sahuayo, mentre José non fu ammesso per la sua giovane età.
Durante un pellegrinaggio compiuto da José sulla tomba di Anacleto González, anch'egli beatificato questa domenica, chiese per sua intercessione la grazia del martirio. In seguito continuò a cercare di schierarsi con le forze "cristeras". Sua madre si opponeva, ma José le rispose: "Mamma, mai come ora è facile guadagnarsi il Cielo".
Si recò a Cotija - nel suo Stato natale - per incontrare il generale "cristero" Prudencio Mendoza. Gli disse che se non aveva abbastanza forza per caricare il fucile poteva comunque aiutare i soldati a prepararsi, lubrificare le armi, preparare i pasti e prendersi cura dei cavalli. Il generale lo accettò.
Oltre a servire la truppa, José ne divenne presto il trombettiere e portabandiera. In seguito, poiché il Governo perseguitava i familiari dei "cristeros", al fine di proteggere la sua famiglia che era conosciuta e benestante, fece sì che tutti i suoi compagni lo chiamassero José Luis.
In uno scontro con i federali, il 6 febbraio 1928, fu quasi arrestato il generale Guízar Morfín, al quale uccisero il cavallo; José, però, scese dal suo e glielo offrì dicendo: "Mio generale, prenda lei il mio cavallo e si salvi; lei è più necessario e serve di più alla causa di me". Il generale riuscì a fuggire, ma i federali arrestarono José e lo portarono nel carcere di Cotija, dove scrisse a sua madre, che in qualche modo riuscì a ricevere la lettera.
Il giorno dopo, il 7 febbraio, fu trasferito a Sahuayo e messo a disposizione del deputato federale Rafael Picazo Sánchez, che gli assegnò come carcere la parrocchia.
Picazo gli presentò varie possibilità di mettersi in salvo: gli offrì del denaro perché se ne andasse all'estero, e poi propose di mandarlo al Collegio Militare. José rifiutò senza esitazioni.
Picazo sapeva che i Sánchez del Río erano benestanti perché era stato loro vicino, per cui chiese loro cinquemila pesos in oro per riscattare José. Macario Sánchez cercò subito di racimolare la somma, ma quando José lo seppe chiese alla famiglia di non pagare il riscatto perché aveva già offerto la propria vita a Dio.
Quella prima notte di prigione nella parrocchia vide come il tempio veniva profanato: i soldati si macchiavano di peccati di ogni sorta, la chiesa fungeva da stalla per il cavallo di Picazo e il presbiterio era il recinto per i suoi galli da combattimento. José riuscì a liberarsi, uccise i galli, accecò il cavallo e tornò nel suo cantuccio.
Il giorno successivo Picazo affrontò José, che gli rispose: "La casa di Dio è un luogo in cui venire a pregare, non un rifugio di animali". Dopo essere stato minacciato, José rispose: "Sono disposto a tutto. Mi fucili, perché io sia subito davanti a Nostro Signore e gli chieda di confonderla!". Di fronte a questa risposta, uno degli aiutanti colpì José alla bocca rompendogli i denti.
Venerdì 10 febbraio venne trasferito al Mesón del Refugio, dove gli annunciarono che sarebbe stato ucciso. Scrisse a sua zia Magdalena perché gli portasse il Viatico. Alle undici di sera gli spellarono i piedi con un coltello, lo portarono via e lo costrinsero a camminare fino al cimitero. I vicini lo sentivano gridare lungo la strada "Viva Cristo Re!".
Una volta nel cimitero, il capo della scorta ordinò di pugnalarlo. Ad ogni ferita José continuava a gridare "Viva Cristo Re!". Per crudeltà gli chiesero se voleva inviare un messaggio a suo padre. José rispose: "Ci vedremo in Cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!". Per farlo tacere, il capo tirò fuori la pistola e gli sparò in testa. José cadde in una pozza di sangue. Erano le undici e mezza di sera di venerdì 10 febbraio 1928.
Una delle testimonianze del martirio è la lettera che José inviò a sua madre il 6 febbraio, in cui scrisse: "Mia cara mamma: oggi sono stato fatto prigioniero in combattimento. Credo che morirò, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; muoio molto contento perché muoio al fianco di Nostro Signore. Non ti affliggere per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Dì ai miei fratelli di seguire l'esempio del più piccolo, e tu fai la volontà del nostro Dio. Sii forte e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l'ultima volta e ricevi il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e desiderava vederti prima di morire".
Beato José Luís Sánchez del Rio
di Felipe Lecaros Concha
di Felipe Lecaros Concha
Correva l'anno 1926 e, se non fosse stato per la crescente ostilità del governo di Plutarco Elías Calles contro la Chiesa, si sarebbe detto, che nello Stato di Michoacán, in Messico, il tempo si fosse fermato. Questa zona agricola, situata tra grandi montagne e laghi, è stata segnata dalla infaticabile opera di evangelizzazione dei missionari francescani, agostiniani e di altri ordini religiosi cosa che, alleata col temperamento rude dei suoi abitanti, avvezzi all'inclemenza del clima, e alla relativa lontananza dalle grandi città, aveva dato vita a una delle regioni più cattoliche del Messico e forse dell'America.
Il Bajío - cioè l'insieme formato dagli Stati di Jalisco, Aguas Calientes, Guanajuato, Querétaroy e Michoacán - è la zona che più martiri ha dato alla Chiesa Cattolica nell'America del secolo XX e rimane ancor oggi un vivaio di vocazioni religiose.
Uno di questi esempi di santità è quello che ora vi voglio raccontare.
"E anche i bambini possono essere martiri?"
Sahuayo era un piccolo villaggio dello stato di Michoacán. Dopo il lavoro quotidiano, i suoi abitanti si riunivano all'ora dell'Angelus nella Chiesa di San Giacomo Apostolo, per ringraziare la buonissima Madre di Guadalupe per le grazie e i favori che aveva loro concesso nella giornata. Insieme al loro amato parroco, recitavano il rosario senza mai dimenticarsi di pregare per il Messico, affinché cessasse quanto prima l'impietosa persecuzione del governo contro i cattolici.
Tra tutti i bambini della parrocchia, uno si distingueva per la devozione con cui pregava. Era José Luis Sánchez del Río, di appena 13 anni, birichino come tutti quelli della sua età; egli aveva in mente un'idea fissa. Idea che gli era venuta una notte d'inverno quando il parroco, invitato a cena dai suoi genitori, aveva raccontato che la persecuzione religiosa stava portando molti martiri messicani in Cielo.
- Come può succedere questo, padre? - Sì, mio piccolo José, sono cattolici che, davanti all'ordine di rinnegare la nostra religione, preferiscono dare la propria vita e morire fucilati. Ma il Signore li riceve vicino alla nostra Madre di Guadalupe, in Cielo.
- E anche i bambini possono essere martiri, padre? - Ecco... insomma... se Dio così volesse, certo, lo possono essere, come i Santi Innocenti che celebriamo nella nostra parrocchia durante il mese di dicembre. José Luis sentì nel suo cuore un ardore che non era altro se non una grazia di Dio, una preparazione per i gravi avvenimenti che si sarebbero svolti, poco tempo dopo, nella tranquilla Sahuayo.
Mai è stato così facile guadagnarsi il Cielo!
In effetti, nell'agosto del 1926 giunse nel piccolo villaggio la notizia che era proibito il culto cattolico pubblico. La famiglia Sanchez Del Rio si riunì costernata e, mentre i figli più piccoli si stavano preparando ad andare ad aiutare il loro papà nei lavori agricoli, Miguel, il più vecchio, decise di prendere le armi, con dei suoi amici, i fratelli Gálvez, per difendere Cristo e la sua Chiesa.
Vedendo questo, José chiese il permesso ai suoi genitori di arruolarsi anche lui nell'Esercito "Cristiano", che si era formato al comando del generale Prudêncio Mendoza. Sua madre, tuttavia, si oppose. - Figlio mio, un ragazzo della tua età va più ad intralciare che ad aiutare l'esercito. - Ma, mamma, non è mai stato tanto facile guadagnarsi il Cielo come in questo momento! Non voglio perdere quest'occasione.
Udendo questa risposta, sua madre gli diede il permesso, ma pose come condizione che egli stesso scrivesse al generale Prudenzio Mendoza, chiedendo se lo accettava. La risposta di costui fu negativa. Senza perdersi di coraggio, José scrisse una nuova lettera, chiedendo al generale di essere ricevuto, se non come combattente, almeno come soldato ausiliare della truppa: lui avrebbe potuto prendersi cura dei cavalli, cucinare e prestare altri servizi ai soldati.
Vedendo la grandezza d'animo e l'entusiasmo di quest'adolescente, il generale gli rispose che lo avrebbe accettato. Così, con la benedizione della sua mamma cattolica, egli partì per l'accampamento "cristiano", molto contento di poter lottare per Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe.
Combattente eroico
Nell'accampamento, in poco tempo, l'ultimogenito della famiglia Sanchez del Río conquistò l'affetto e la fiducia dei "cristiani", che lo soprannominarono Tarcisio. La sua allegria contagiava tutti, e fin dall'inizio egli ebbe l'incarico di guidare la truppa nella preghiera del rosario, alla fine di ogni giornata. Grazie al suo valore e buon comportamento, il generale gli affidò l'incarico di attaccante del distaccamento. Poco dopo, con la promozione a porta-bandiera, José Sánchez del Rio vedeva realizzarsi il suo più ardente desiderio: essere nel campo di battaglia, come soldato di Cristo.
Nel febbraio del 1928, un anno e cinque mesi dopo il suo inserimento nell'esercito "cristiano", ingaggiò un combattimento nelle vicinanze della città di Cotija. Dopo varie ore di accannita lotta, il giovane porta-bandiera vide il cavallo del generale cadere ucciso da un colpo di pallottola. Raggiunto il posto immediatamente, disse con risoluzione: - Generale, ecco il mio cavallo, si metta in salvo. Se io muoio, non si farà sentire la mia mancanza, ma se lei muore, sì.
Gli consegnò il suo cavallo, afferrò un fucile e combattè con coraggio. Quando cessarono i tiri, avanzò contro il nemico, baionetta in resta. Fu fatto prigioniero e condotto dal generale nemico, che lo rimproverò per il fatto di lottare contro il governo. - Generale, sappia che io sono caduto prigioniero, non perché mi sia arreso, ma perché sono terminate le mie pallottole, perció, se ne avessi avute di più , avrei continuato a lottare.
Prigioniero indomabile
Vedendo tanta decisione e ardore, il generale lo invitò ad unirsi alle truppe del governo, dicendogli: - Sei un ragazzino valoroso, vieni con noi e starai molto meglio che con i "cristiani". - Mai, mai! Preferisco morire! Mai mi unirò ai nemici di Cristo Re! Mi faccia fucilare! Il generale lo fece rinchiudere nel carcere di Cotija. In mezzo a poca luce, cattivo odore, e attorniato da delinquenti, riuscì a scrivere una lettera: Cotija, 6 febbraio 1928 Mia cara mamma, Sono caduto prigioniero durante il combattimento di oggi. Credo che sarò fucilato, ma non importa, mamma.
Ti devi rassegnare alla volontà di Dio. Non preoccuparti della mia morte, che è ciò che mi lascia inquieto; al contrario, di' ai miei due fratelli che seguano l'esempio dato dal loro fratello più piccolo. Tu devi fare la volontà di Dio, abbi forza e mandami la tua benedizione, insieme a quella di mio padre. Salutami tutti, per l'ultima volta. Ricevi il cuore di questo figlio che ti vuole tanto bene e che desiderava vederti prima di morire. - José Sánchez del Río.
Intanto, invece di essere fucilato il giorno dopo, come immaginava, fu portato, insieme ad un piccolo amico anche lui imprigionato di nome Lazzaro, alla chiesa di Sahuayo, che le truppe del generale Calles avevano trasformato in scuderie. La sacrestia era occupata dai galli da combattimento del deputato anticattolico Rafael Picazo, che lì realizzava frequentemente orge con i suoi amici.
Nel vedere la sua nuova prigione, José rimase indignato. Era la stessa chiesa che, poco tempo prima, egli frequentava con la sua famiglia per pregare l'angelus e il rosario. Era quella la medesima sacrestia dove lui era solito andare, dopo la messa, per chiedere ritagli di ostia al vecchio parroco. L'avevano trasformata in un antro di banditi! Quando si vide solo nella penombra, il giovane soldato del Cristo Re riuscì a sciogliere la corda che lo legava, si diresse alle gabbie dove stavano i galli da combattimento del deputato e gli tagliò il collo. Poi dormì serenamente.
Il giorno dopo, non appena venne a conoscenza dell'accaduto, il deputato Picazo corse alla sacrestiaprigione, dove, pieno di indignazione, interrogò il giovane prigioniero. "La casa di Dio è un luogo per pregare, non per far da deposito di animali", gli rispose costui. Pieno di collera, Picazo, lo minacciò di morte ma ricevette questa serena risposta: "Da quando ho preso le armi, sono disposto a tutto. Mi faccia fucilare!"
Una croce tracciata col proprio sangue
Il venerdì, giorno 10, verso le sei del pomeriggio, una scorta lo portò, di nuovo, alla caserma. Lì, saputa la sua condanna a morte, scrisse ad una delle sue zie, la quale era riuscita a portargli la Comunione di nascosto, l'ultima lettera della sua vita; Sahuayo, 10 febbraio Cara zia, Sono condannato a morte, alle otto e mezza di questa sera arriverà il momento che ho tanto desiderato. Ti ringrazio per tutto quanto tu e Maddalena mi avete fatto.
Non sono in condizione di scrivere alla mamma. (...) Porta i miei saluti a tutti e ricevi, come sempre e per l'ultima volta, il cuore di questo nipote che ti vuole molto bene e desidera vederti. Cristo vive, Cristo regna, Cristo impera! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe! - José Sánchez del Rio, che è morto in difesa della fede. Non fare a meno di venire.
Addio.
Alle undici della sera giunse il momento tanto atteso. L'odio dei nemici della Chiesa era tale che, con un coltello affilatissimo, gli strapparono la pelle della pianta dei piedi e lo obbligarono a camminare dalla caserma fino al cimitero, calpestando pietre e terra. Nessun lamento uscì dalle labbra in mezzo a tanta tortura. Arrivò al cimitero cantando inni religiosi.
Portato fin sull'orlo di una fossa che in breve sarebbe stata la sua, alcuni soldati gli diedero alcune pugnalate non mortali, per vedere se egli rinnegava la sua fede con questo supplizio. In tono di scherno e con l'intenzione di distruggere psicologicamente l'eroe della fede, il capitano comandante della scorta gli chiese se aveva un messaggio per i suoi genitori. Egli rispose: "Sì, dica loro che ci rivedremo in Cielo". In seguito, chiese al capitano di essere fucilato con le braccia in croce. Come unica risposta, costui estrasse la pistola e gli sparò un colpo alla tempia.
Sentendosi ferito a morte, José raccolse con la sua mano destra un po' di sangue che gli scorreva abbondantemente sul collo, tracciò con questo una croce sulla terra e vi si prostrò sopra, in segno di adorazione. Così, nell'ultima ora della notte del 10 febbraio 1928, la sua anima salì al Cielo e fu ricevuta con giubilo dal suo amato Cristo Re e dalla sua amatissima Madre, la Vergine di Guadalupe.
(Rivista Araldi del Vangelo, Gennaio/2006, n. 25, p. 23 - 25)
José, il piccolo martire dei cristeros oggi è beato
A ottant'anni dalla fine della guerra cristera
ZENIT.org - lunedì, 19 ottobre 2009
Parla il sacerdote Juan González Morfín
di Jaime Septién
Parla il sacerdote Juan González Morfín
di Jaime Septién
QUERÉTARO - A 80 anni dalla fine ufficiale della cosiddetta “guerra cristera” in Messico (1926-1929), padre Juan González Morfín, laureato presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma e docente all'Università Panamericana di Città del Messico, ha scritto un vibrante saggio sulla liceità morale della sollevazione cristera.
Saggio pioniere nel suo genere, “La guerra cristera y su licitud moral” (Porrúa, 2009) diverrà un riferimento obbligatorio per chiunque voglia addentrarsi nello studio di questa epoca difficile per il Messico, in questa guerra motivata dall'intransigenza del Governo del generale Plutarco Elías Calles (1924-1928) e del suo successore, Emilio Portes Gil (1928-1930), riguardo alla libertà religiosa e alla libertà dei fedeli.
In questa intervista, padre González Morfín parla di questo importante anniversario.
Saggio pioniere nel suo genere, “La guerra cristera y su licitud moral” (Porrúa, 2009) diverrà un riferimento obbligatorio per chiunque voglia addentrarsi nello studio di questa epoca difficile per il Messico, in questa guerra motivata dall'intransigenza del Governo del generale Plutarco Elías Calles (1924-1928) e del suo successore, Emilio Portes Gil (1928-1930), riguardo alla libertà religiosa e alla libertà dei fedeli.
In questa intervista, padre González Morfín parla di questo importante anniversario.
Cosa dicono il Magistero, la dottrina e la tradizione del pensiero cristiano su un'azione armata come la guerra cristera in Messico, terminata 80 anni fa?
P. Juan González Morfín: Nel momento in cui alcuni cattolici messicani optavano per la difesa armata per recuperare diritti che erano stati strappati loro, il Magistero della Chiesa era unanime nel condannare qualunque insurrezione armata contro il potere costituito per i mali maggiori al bene comune che sarebbero derivati. Non c'era ancora quella che si potrebbe definire una “dottrina cattolica sulla resistenza armata”. Ad ogni modo, in alcuni libri di morale si iniziava a proporre che, se si compivano le condizioni che facevano considerare giusta la difesa armata di un Paese contro un aggressore ingiusto, si poteva ritenere giusta la sollevazione di un popolo contro un Governo che si era trasformato in un ingiusto aggressore.
Era soprattutto una soluzione teorica e le condizioni segnalate erano andate evolvendosi nel corso di vari secoli, ma nella pratica c'erano molti problemi: come si poteva garantire che i mezzi pacifici fossero stati esauriti? Che tipo di aggressione, o che tipo di diritti dovevano essere coinvolti perché si considerasse necessario il ricorso alle armi? Chi poteva esortare alla sollevazione? Come si vede, la risposta non era così semplice. Ne “La guerra cristera y su licitud moral” presento un ampio studio sulla questione, che, tuttavia, non è né esaustivo né pretende di dire l'ultima parola.
Quale fu la base sociale del movimento cristero?
P. Juan González Morfín: La guerra cristera è stata una sollevazione popolare nel vero senso della parola: ha coinvolto tutte le fasce sociali, il che non vuol dire che tutti abbiano partecipato nella stessa proporzione. Le prime sollevazioni, a Zacatecas, sono state di contadini che, abituati a difendersi dalle bande di malviventi che li assalivano continuamente in quell'epoca di grande anarchia, videro la necessità di difendersi dal Governo che impediva loro di praticare la religione.
La causa scatenante della sollevazione del generale Pedro Quintanar fu un'aggressione dei soldati contro una folla di cattolici. Dopo pochi giorni si unì a lui il generale Aurelio Acevedo con alcune decine di persone che ritenevano necessario sollevarsi quanto prima perché le truppe governative stavano confiscando le armi con cui si difendevano abitualmente dalle bande di ex rivoluzionari e capivano che se se le lasciavano senza armi sarebbero rimaste indifese di fronte a qualsiasi arbitrio del Governo, che “aveva già chiuso le chiese”, per cui decisero di lottare in difesa della loro fede, senza avere una prospettiva chiara di ciò che avrebbe potuto ottenere un numero così esiguo di persone.
L'insurrezione del 1926 si estese rapidamente?
P. Juan González Morfín: Sollevazioni simili quanto ai motivi si verificarono in varie zone in quei mesi che seguirono la sospensione del culto, cioè dall'agosto 1926. Allo stesso tempo, iniziarono le azioni di persecuzione più ripugnanti contro la popolazione cattolica, per cui le sollevazioni aumentarono: in quei primi momenti troviamo già gente che non apparteneva più al ceto contadino, come i fratelli Navarro Origel, di Pénjamo, Guanajuato; Carlos Díez de Sollano, anch'egli a Guanajuato; i Guízar, nella zona di Cotija, Michoacán; una trentina di giovani delle famiglie ricche di Piedras Negras, Coahuila. Si potrebbero indicare molte altre persone di classe medio-alta e alta, così come molte altre della classe media, presenti fin dall'inizio della guerra cristera. Per ragioni semplicemente matematiche, la percentuale più elevata dei protagonisti della sollevazione era di origini contadine.
Cosa distingue quello cristero da altri movimenti cosiddetti “rivoluzionari”? Il fatto che non voleva sovvertire né l'ordine sociale né il potere, ma che aspirava a vedersi permesso il ritorno alle pratiche di fede?
P. Juan González Morfín: Gli stessi cristeros molte volte respinsero, come attacco, il fatto di essere definiti “rivoluzionari”. L'obiettivo della loro resistenza non era cambiare il regime politico attraverso le armi, ma vedersi restituire i diritti di cui erano stati privati; per questo, quando pensarono di riavere la possibilità di tornare a praticare la propria fede liberamente consegnarono le armi. In questo senso, è interessante la testimonianza del responsabile militare degli Stati Uniti al termine della guerra cristera: “Ci si aspettava che, terminata la guerra, un gran numero di cristeros si desse al banditismo. Ma non accadde”.
Che ruolo giocarono i Vescovi e i sacerdoti nella guerra cristera e negli “arreglos” (accordi) del 1929?
P. Juan González Morfín: Quando avevano iniziato a proliferare le sollevazioni dei cattolici che cercavano di difendere la propria fede con le armi, la Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, associazione civica laica fondata verso il 1925, volle guidare i vari movimenti per dar loro una certa organizzazione. In quel momento si chiese il sostegno dell'episcopato in vari sensi, ma l'unica cosa che si ottenne fu una specie di impegno a non condannare il movimento armato.
Per i quasi tre anni in cui durò la lotta armata, la maggior parte dei Vescovi rimase in esilio ed effettivamente non condannò mai la difesa armata. Uno di loro, l'Arcivescovo di Durango, monsignor José Ma. González y Valencia, si vide nella necessità di rispondere alla domanda esplicita di quanti si erano sollevati e il senso della sua risposta fu che, non avendo loro provocato l'aggressione, avendo poi esaurito tutti i mezzi pacifici e difendendo diritti veramente irrinunciabili per loro e per i loro figli, come il diritto di praticare la loro religione, coloro che si erano sollevati potevano avere la coscienza tranquilla. I sacerdoti in quell'epoca non tanto di guerra, ma di terribile persecuzione, si impegnarono a nascondersi.
Erano tempi molto difficili per il sacerdozio...
P. Juan González Morfín: Con il rischio di perdere la vita, come di fatto accadde a molti, in sacerdoti facevano fronte clandestinamente alle richieste dei fedeli. Alcuni di loro, meno di cinquanta, esercitavano il ministro tra gli insorti in qualità di cappellani castrensi. Pochi, meno di dieci, arrivarono anche a impugnare le armi.
E il ruolo dei Vescovi negli “arreglos”?
P. Juan González Morfín: Sugli “arreglos” la spiegazione non è così semplice, perché in genere si dà per scontato che i Vescovi intervennero per patteggiare la pace con il Governo senza tener conto degli insorti, ma non andò proprio così. E' un tema complesso e difficile da spiegare i poche parole, soprattutto in modo convincente. Alcuni dirigenti cristeros, tra cui lo stesso generale al comando, Enrique Gorostieta, confessavano nella loro corrispondenza privata la necessità di arrivare a un accordo di pace.
Ciò che i Vescovi patteggiarono con il Governo di Portes Gil fu soprattutto un contesto di applicazione delle leggi che permettesse loro di esercitare il ministero senza essere soggetti all'autorità civile in questioni di disciplina esterna, cioè si arrivò a un “arreglo” che permetteva loro di riprendere il culto. Le basi del congedo dei cristeros furono negoziate da colui che in quel momento era il generale capo dell'esercito cristero, Jesús Degollado Guízar, che in precedenza aveva concordato con il comitato di guerra della Lega un documento che accettò integralmente il Governo di Portes Gil. Quelle basi in un primo momento furono rispettate, ma poco tempo dopo iniziò la mattanza selettiva di tutti coloro che avevano occupato qualche incarico nel movimento armato. Insisto sul fatto che non è semplice da spiegare in poche parole.
E Roma?
P. Juan González Morfín: I Vescovi avevano chiesto al Papa l'autorizzazione a sospendere il culto; era logico che la chiedessero anche per ripristinarlo, soprattutto se le condizioni che avevano portato alla sospensione non solo non erano migliorate, ma anzi si erano estremamente aggravate. Per questo, per permettere il ripristino, si chiese l'autorizzazione della Santa Sede, che suggerì che qualsiasi accordo al quale si fosse arrivati rispettasse queste condizioni: a) una soluzione pacifica e laica; b) amnistia completa per Vescovi, sacerdoti e fedeli; c) restituzione di proprietà come chiese, seminari, case di Vescovi e sacerdoti; d) che la Sante Sede potesse avere relazioni senza alcuna restrizione con la Chiesa messicana.
Si può dire che i Vescovi, spinti dal bene che la pace avrebbe portato ai loro figli, da quasi tre anni privati dell'ausilio dei sacramenti, si rassegnarono ad accettare molto meno di ciò che la Santa Sede aveva indicato. Per farsi un'idea più completa dell'azione della Sede Apostolica nel conflitto, raccomando la lettura di “El conflicto religioso en México y Pío XI” (Minos, 2009), un libretto che ho pubblicato qualche mese fa.
Quali insegnamenti lascia la guerra cristera?
P. Juan González Morfín: Bisogna continuare a studiare questo tema, perché fino a pochissimo tempo fa era quasi proibito dalla storiografia – ufficiale e non –, forse per il tanto dolore che ha provocato. Vorrei cambiare un po' la domanda e rispondere, in un modo che forse io stesso dovrei correggere una volta approfondito il tema, parlando più che degli “insegnamenti” delle “conseguenze”; e in questo senso posso dire che la guerra cristera aiutò enormemente il rafforzamento della fede dei messicani. Nei territori del nostro Paese in cui si svolse, attualmente la pratica religiosa è più estesa e più consolidata. Il sangue di molta gente morta a causa della fede continua a dare frutti.
A suo avviso, la sollevazione cristera è stata lecita moralmente parlando?
P. Juan González Morfín: Papa Pio XI, in un'Enciclica scritta nel 1937, cioè otto anni dopo la fine della guerra cristera, diede ragione ai Vescovi che non condannarono l'insurrezione, spiegando che “non si vede come sarebbe stato possibile allora condannare il fatto che i cittadini si unissero per difendere la Nazione e difendere se stessi con mezzi leciti e appropriati contro coloro che si avvalevano del potere pubblico per portarla alla rovina”. Questo è in qualche modo una conferma a posteriori del fatto che la difesa armata intrapresa da alcuni cattolici messicani in difesa della libertà religiosa non si può condannare come un'azione immorale; ad ogni modo, con ciò non si vuol dire che tutte le azioni intraprese dai cristeros siano state moralmente lecite.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
È giusto per un cristiano imbracciare le armi per difendere la propria libertà religiosa?
Cristiada è un film che racconta la guerra civile messicana che vide contrapposti il governo laicista e i cristeros. Già presentato negli Stati Uniti e in Messico non ha ancora trovato un distributore italiano
di Franco Olearo tratto da ZENIT.org – Fra il 1926 e il 1929 si svolse in Messico una guerra civile che vide da una parte il governo laicista del presidente Plutarco Elia Callés e dall’altra i cosiddetti Cristeros, gruppi armati che cercarono di far abolire le leggi antireligiose in vigore. La guerra ebbe toni particolarmente violenti e in seguito alcuni dei più significativi protagonisti vennero proclamati beati o martiri.
Il film ricorda a tutti il valore della libertà religiosa, condizione indispensabile per una pacifica convivenza
For a greater glory, (nella versione in spagnolo: “Cristiada”) è un kolossal storico che ricostruisce la guerra civile che si svolse in Messico dal 1926 al 1929 fra il governo massonico e filo-sovietico del presidente Plutarco Elia Callés e i cosiddetti Cristeros, gruppi armati che cercarono di far abolire le leggi restrittive sul culto cattolico.
E’ giusto per un cristiano imbracciare le armi per difendere la propria libertà religiosa? Può un sacerdote prendere le armi e diventare un generale rivoluzionario? Fino a che punto e in che modo la Santa Sede può ritenersi rappresentante dei fedeli cattolici nei confronti di un paese avverso, rischiando possibili rappresaglie locali?
Sono queste le domande impegnative che scaturiscono dal film, che è al contempo un ricordo di tanti sacerdoti, intellettuali o semplici contadini che in quelle circostanze persero la vita come martiri per non ripudiare la loro fede.
Il film, necessariamente sintetico, inizia da quando nel 1926 il presidente Callés, sicuramente con scarso senso di opportunità politica nei confronti di una popolazione con radicate tradizioni cattoliche, decise di mettere in atto le misure restrittive sul culto già definite nella costituzione repubblicana del 1917 ma non ancora applicate.
In realtà il conflitto stato-chiesa si protraeva da anni: la posizione preminente delle istituzioni ecclesiastiche nell’istruzione e nella cultura, eredità del dominio spagnolo appariva, agli occhi dei rivoluzionari messicani, un ostacolo alla indipendenza nazionale e una minaccia proveniente da un potere straniero (il Vaticano). Appena un anno prima era stata posta una bomba davanti all’immagine della Madonna di Guadalupe, per fortuna senza danneggiarla.
I cattolici, riuniti nella Lega Nazionale per la libertà religiosa, iniziarono dapprima forme pacifiche di protesta (raccolta firme, boicottaggio economico) poi, di concerto con il Vaticano, decisero di attuare un gesto pacifico ma estremo: la sospensione di ogni servizio religioso a partire dal 1° agosto 1926.
Poco dopo, in data 18 novembre, con l’enciclica Iniquis Affictisque, il Papa Pio XI denunciò con forza la persecuzione in atto contro i cattolici da parte della “sfrenata tirannide degli avversari” e in particolare sottolineò che dopo quel 1° agosto si era toccato “il colmo dell’empietà, giacché vengono assaliti improvvisamente i sacerdoti quando celebrano, in casa propria o altrui; viene turpemente oltraggiatala santissima Eucaristia e gli stessi sacri ministri vengono condotti in prigione”.
La lettera enciclica non conteneva alcun messaggio esplicito che esortasse i cattolici messicani a rinunciare ad azioni violente.
L’effetto combinato di questi eventi portò alla decisione dei più che era giunto il momento di imbracciare le armi. Il governo ne approfittò per usare il pugno di ferro non solo contro i combattenti ma anche contro la popolazione è iniziò la macabra consuetudine di impiccare i cristeros ai pali della luce perché tutti potessero vederli. Ma anche i cristeros commisero degli errori: il maldestro generale-sacerdote José Reyes Vega non riuscì ad evitare che 51 passeggeri di un treno preso d’assalto finissero bruciati vivi.
Il film riesce a dominare bene la complessa materia narrativa e lo fa concentrandosi su pochi personaggi-chiave: il presidente messicano Callés, fanatico ma astuto; l’ambasciatore americano Morrow, che aveva l’obiettivo primario di conservare per il suo paese le concessioni per l’estrazione del petrolio ma al contempo si preoccupava di svolgere una funzione mediatrice nel conflitto; González Flores, che difese la causa cattolica come non combattente; infine il generale Gorostieta Velarde, interpretato da Andy Garcia, il personaggio più riuscito, esperto stratega, che svolse con impegno e professionalità il mestiere di comandante dell’esercito dei cristeros, senza essere cattolico ma cosciente dell’importanza della libertà di espressione religiosa.
Il film appare come diviso in due parti. La prima racconta le fasi precedenti al conflitto, le discussioni animate su modo più giusto di reagire fra le diverse espressioni cattoliche (i governativi sono sempre schematizzati come cattivi) ed è la parte più avvincente, dai connotati realistici.
Nella seconda prende il sopravvento l’epica delle operazioni militari, il frasario acquisisce toni enfatici (Gorostieta si dichiara combattente per la difesa di tutte le libertà) e viene portata in primo piano la storia di José Sanchez del Rio, un ragazzo di quattordici anni che torturato dai governativi, invitato ad abiurare la sua fede anche davanti ai genitori, viene infine ucciso.
Il fatto è accaduto realmente (il ragazzo è stato beatificato da Benedetto XVI nel 2005 ) e non si può certo dire che ciò che viene messo in scena non corrisponda al vero ma le scene ripetute e insistite sulle sevizie subite dal povero ragazzo finiscono per alimentare nello spettatore più indignazione e odio verso i suoi carnefici che gioia per la gloria di un beato.
Il film è stato qualificato negli Stati Uniti come Restricted proprio per queste scene.
Il film si conclude con l’accordo di tregua stabilito nel 1929 fra la Santa Sede né entra in ulteriori dettagli. Nella realtà l’accordo venne percepito come un’ingiustizia da molti cristeros dal momento che la guerra stava volgendo a loro favore; inoltre gli accordi di immunità siglati dal governo non furono rispettati e molti cristeros, deposte le armi, furono catturati e uccisi. Anche molti sacerdoti di fatto non poterono tornare alle loro parrocchie.
Ciò provocò una seconda rivolta, di minori dimensioni, nel ’34; il Papa scrisse sul tema altre due encicliche, nel ’32 e nel ’37 ma a nulla valsero gli appelli a porre fine alle persecuzioni.
Il film mostra tutto il coraggio che è stato sicuramente necessario per ricordare questi avvenimenti gloriosi e tristi al contempo che sicuramente hanno fatto e fanno discutere ma ci consente di riflettere su come la libertà religiosa non sia una esigenza di “secondo livello” ma costituisce una aspirazione primaria dell’uomo.
Messico 1931. Il Vaticano e la “guerra giusta”
È lecito per un cristiano prendere le armi contro un governo che perseguita la Chiesa? A due anni dalla fine della guerra cristera in Messico, ne discutono in Segreteria di Stato i cardinali Pacelli, Gasparri e Boggiani
PAOLO VALVO*ROMA
Oggetto della riunione dei cardinali, che si svolge a pochi giorni di distanza dal IV centenario dell'apparizione della Virgen de Guadalupe, è la situazione della Chiesa messicana, che dopo decenni di persecuzione legale – ad opera del governo rivoluzionario laicista – e tre anni di guerra civile, ancora non trova pace. Gli accordi del 21 giugno 1929 tra il governo e l'episcopato (arreglos), raggiunti dopo una lunga e faticosa mediazione, se da una parte hanno posto fine alla guerra cristera che ha insanguinato il Paese dalla fine del 1926, dall'altra non hanno impedito nel 1931 la ripresa della persecuzione in numerosi Stati della federazione messicana.
A Veracruz, per esempio, il governatore Adalberto Tejeda impone la presenza di un solo sacerdote ogni 100.000 abitanti, forte dell'art. 130 della costituzione del 1917 che, tra le numerose disposizioni ostili alla Chiesa, affida ai governatori locali il compito di determinare il numero di sacerdoti legalmente autorizzati ad esercitare il proprio ministero, previa iscrizione in un apposito registro professionale. Proprio l'enforcement di questo articolo, disposto nel giugno del 1926 dal presidente Plutarco Elias Calles con un'apposita riforma del codice penale, aveva acceso la miccia che di lì a pochi mesi avrebbe fatto esplodere la rivolta armata di decine di migliaia di cattolici, chiamati dispregiativamente cristeros (dal motto «¡Viva Cristo Rey!» > cristosreyes > cristeros).
La Curia, allora, si era divisa tra chi come il segretario di Stato Gasparri cercava di unire la fermezza sui principi a un atteggiamento pragmatico nelle singole situazioni, e chi invece propendeva per una maggiore intransigenza nei confronti delle autorità civili: quest'ultima era la posizione, ad esempio, del cardinale Tommaso Pio Boggiani (Delegato apostolico in Messico dal 1912 al 1914). Una posizione che Pio XI avrebbe poi fatto propria, approvando nel luglio del 1926 la decisione dei vescovi messicani di sospendere il culto pubblico in tutto il Paese, in segno di protesta. Il protrarsi di questa sospensione per tutta la durata del conflitto cristero spinse d'altra parte la Santa Sede, in un secondo momento, ad accettare la mediazione offerta dall'ambasciatore statunitense in Messico Dwight Whitney Morrow (già socio del gruppo J.P. Morgan & Co.), il quale era convinto che solo la pacificazione religiosa avrebbe garantito al Messico la stabilità politica necessaria per assolvere i propri obblighi finanziari verso gli Stati Uniti.
Gli arreglos lasciarono tuttavia una ferita profonda nel cattolicesimo messicano, perché al tavolo dei negoziati, condotti dall'arcivescovo di Morelia Leopoldo Ruiz y Flores e dall'intraprendente vescovo di Tabasco Pascual Díaz y Barreto, i cristeros non furono in alcun modo rappresentati.
La ripresa del culto decisa dai vescovi il 21 giugno 1929 toglieva alla lotta armata dei cattolici un fattore di legittimazione decisivo, tale da spingere le milizie cristere ad autosciogliersi nel giro di un mese. Alle numerose prove di eroismo offerte in quasi tre anni di guerriglia, si aggiungeva così quella di deporre le armi contro la propria volontà, in spirito di obbedienza verso i vescovi e la Santa Sede. Un sacrificio a cui sarebbe seguito quello di centinaia dicristeros (in prevalenza capi), assassinati nei numerosi regolamenti di conti successivi agli arreglos, avvenuti nell'indifferenza del governo, che nel giugno del 1929 si era impegnato a garantire un salvacondotto a tutti i miliziani che avessero consegnato le armi.
Non può stupire, dunque, che ampi settori della Chiesa messicana si sentissero in qualche modo traditi dalla gerarchia, colpevole di quella che appariva a tutti gli effetti una resa verso uno Stato che Pio XI, nel febbraio del 1932, non esitò a definire «totalmente infeudato alla Massoneria». Con il modus vivendi del 1929, infatti, la Santa Sede non aveva ottenuto la riforma di quelle leggi anticlericali che, se applicate alla lettera, potevano letteralmente far sparire la Chiesa dal Paese, come sembrava dimostrare la ripresa della persecuzione nell'estate del 1931. Ruiz y Flores e Díaz – che in seguito agli arreglos erano divenuti rispettivamente Delegato apostolico e Arcivescovo di Città del Messico – furono così accusati dagli ambienti cattolici più radicali di aver ingannato la Santa Sede.
Un riflesso di queste lacerazioni si può cogliere nella riunione dei cardinali del 20 dicembre 1931, dove ancora una volta si fronteggiano Boggiani e Gasparri. Il primo, lodando la fermezza dimostrata dal vescovo di Veracruz Rafael Guizar y Valencia (canonizzato nel 2006), stigmatizza per altro verso «la debolezza di chi tiene le redini delle questioni ecclesiastiche» in Messico, ed evidenzia che non è facile privare i fedeli «del diritto naturale che hanno di difendere la fede». Sono in molti, infatti, a chiedersi se una ripresa della ribellione armata non sia l'unica strada percorribile, dato che – continua Boggiani – «il modus vivendi del 1929 è stato ridotto a un modus moriendi», che «dà occasione al Governo di andare avanti nel suo programma di scristianizzazione».
La risposta di Gasparri è categorica: nel cercare un rimedio a questa situazione «non si pensi neppure alla rivoluzione armata, non solamente perché la rivoluzione armata non avrebbe alcuna probabilità di riuscita e quindi sarebbe un vero disastro per la Chiesa ma anche e molto più perché la rivoluzione armata, fatta dai cattolici, come tali, e capitanata dal clero e dai Vescovi, sarebbe uno scandalo nella storia della Chiesa, la missione dell'episcopato e del clero non è di procurare armi e munizioni per promuovere la guerra civile, sia pure a scopo religioso, ma di educare il popolo nello spirito cristiano; e così ha fatto sempre la Chiesa anche nelle grandi persecuzioni dei primi secoli». Il nuovo segretario di Stato Eugenio Pacelli chiude la discussione facendo interamente sua la posizione suggeritagli poche ore prima dallo stesso Pio XI:
«la Santa Sede non può che benedire e incoraggiare tutti quelli che difendono i diritti di Dio e della Religione; però nelle condizioni attuali non può né autorizzare né incoraggiare la resistenza armata. Nelle condizioni attuali: perché, se vediamo la storia, i Pontefici hanno più volte non solo autorizzato, ma anche promosso le crociate esterne ed anche interne, come le guerre contro i Turchi, gli eretici. È vero che si difendeva anche la civiltà; ma Pio V, che ha vinto la battaglia di Lepanto, è quello che ha fatto per la guerra contro i Turchi quello che ha fatto Pio IV per il Concilio di Trento. Ma nelle condizioni attuali non può la Santa Sede né autorizzare né incoraggiare, non vogliamo dire disapprovare. Del resto unione, tutta l'unione possibile, nella varietà delle condizioni, e coltivare molto bene l'Azione Cattolica e usufruire bene l'Azione Cattolica, la quale invece di armare di spada e di moschetto, arma delle armi dell'apostolato».
L'Azione Cattolica come strada maestra per la presenza dei cattolici messicani nella società è l'oggetto principale delle istruzioni che furono impartite al Delegato apostolico Ruiz y Flores all'inizio del 1932, e che riprendevano buona parte dei contenuti del “voto” di Gasparri. Circa le polemiche sugli arreglos, le direttive della Santa Sede non lasciavano spazio a equivoci: «ogni discussione dovrà essere evitata, non solo perché è inutile riandare cose ormai passate, ma anche perché si verrebbero a confondere le idee sui vari motivi e sui mezzi con cui si deve lottare contro le leggi inique». Con questo, ai cattolici messicani si chiedeva l'ennesimo sacrificio. Forse il più gravoso di tutti.
* Scuola Superiore di Studi Storici – Università degli Studi della Repubblica di San Marino
MESSICO: I CRISTEROS ED IL PAPA PIO XI
Esasperato da un potere anticristiano insopportabile, il popolo messicano insorge per liberare la propria patria. Un sacrificio che non trova il consenso di molti vescovi e finisce tragicamente. Le encicliche di Pio XI che accompagnano il calvario del Messico nel secolo scorso.
di Alberto Leoni, da Il Timone (05/2009):
Se l’obiettivo è quello di comprendere, possiamo almeno tentare, nei limiti del possibile, di “fare storia”: tentare, cioè, di ricreare il momento culturale e politico del tempo in cui altre persone, non diverse da noi, più o meno dotate di coraggio e intelligenza, dovettero compiere scelte decisive e difficili. E questo non per tout comprendre et tout pardonner, non per essere indulgenti ad ogni costo ma per chiederci cosa avremmo fatto alloro posto, in modo da capire e prevedere come a potremmo essere giudicati noi, a nostra volo; ta, fra settant’anni.
Il pontificato di Pio XII (1939-1958) è fortemente legato a quello del suo predecessore, di cui fu il segretario di Stato e il collaboratore più stretto e capace. Di conseguenza, per comprendere le scelte di Pio XII è inevitabile guardare all’opera di Pio XI (1922-1939), e alla sua lunga battaglia contro le ideologie del tempo. Solitamente si dà risalto al conflitto contro fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, al prezzo, però, di dimenticare la lotta di papa Ratti contro nazionalismo, laicismo e massoneria. La visione eurocentrica degli storici e dei pubblicisti finisce per restringere il campo d’indagine e a non valutare nella sua importanza l’evento che diede più dolore a Pio XI e che lo vide impegnato per dieci anni, ossia la guerra dei “cristeros” in Messico. Non è un caso, infatti, che le encicliche su questo argomento siano ben tre ed esaminarne lo sviluppo può offrire più di una chiave interpretativa per gli avvenimenti degli anni ’40.
L’esperienza diplomatica del futuro papa Pio XI, Achille Ratti, ebbe un debutto infuocato come nunzio apostolico in Polonia nel 1918.
Coraggioso come sempre, Ratti non fuggì dalla Varsavia assediata dai bolscevichi ma vi rimase per vederne la disfatta nell’agosto del 1920, con il cosiddetto “miracolo della Vistola”, quando le truppe polacche fermarono alle porte della capitale l’Armata rossa, ben più numerosa del loro esercito. Eppure, per quanto gioisse di una vittoria così straordinaria e decisiva per le sorti dell’Occidente, Ratti non mancò di sottolineare come il nazionalismo polacco fosse dannoso e contagiasse anche il clero, distruggendo le possibilità di una pace duratura con la Germania. Un giusto patriottismo è sicuramente un bene morale da perseguire, ma non quando l’amore per la patria diventa “spirito di separazione”. «Un nazionalismo esagerato – dirà papa Ratti nel 1938 – non è cristiano, non è religioso e finisce col non essere neppure umano». E l’altro grave male morale è il laicismo, «la peste dell’età nostra”, come afferma nell’enciclica Quas primas (11 dicembre 1925). “Si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti: si negò alla Chiesa il diritto – che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo – di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso». In questa visione profetica dello scontro fra Chiesa e ideologie ha un valore fondamentale la festa di Cristo Re, istituita proprio con l’enciclica Quas primas.
La persecuzione
In Messico, la massoneria e il laicismo avevano sferrato un attacco alla Chiesa di straordinaria violenza quale di rado si è visto nella storia. Dopo la rivoluzione che aveva abbattuto la dittatura di Porfirio Diaz (1876-1911), nel 1917 era stata promulgata una nuova Costituzione che, in buona sostanza, legalizzava la persecuzione contro la Chiesa, impedendone la libertà. Vi erano stati poi atti clamorosi, come l’attentato dinamitardo del 1921 alla reliquia della vergine di Guadalupe, fallito in modo inspiegabile. Nel 1924 salì al potere Plutarco Elias Calles (1877-1945), così feroce da autonominarsi “nemico personale di Dio”. Il 12 febbraio 1925 Calles istituì una chiesa messicana che, tra le tante bestialità, sostituì il vino con l’acqua di mezquite per la Consacrazione. I cattolici protestarono civilmente e pacificamente mentre le violenze si estendevano e iniziavano a cadere i primi cattolici militanti. Il 2 luglio 1926 fu emanata una modifica della legge penale (Legge Calles) con cui si disponeva la consegna delle chiese a laici nominati dai sindaci. Il 25 luglio, l’episcopato rispose disponendo la sospensione del culto in tutte le chiese del Messico a partire dal 10 agosto. Ormai era la guerra e non soltanto di parole. Come reazione agli assassini di laici e religiosi scoppiarono ben 64 rivolte armate fra agosto e dicembre 1926 e Pio XI, che già aveva protestato con forza presso il governo messicano, diffuse l’enciclica Iniquis afflictisque il 18 novembre 1926. In essa il Papa paragonava i martiri messicani a quelli uccisi dalla Francia rivoluzionaria e lodava il loro eroismo indomito.
L’episcopato e la resistenza armata
Va notato come Pio XI non esprimesse parole di condanna o di approvazione per la resistenza armata. Da parte dei vescovi, invece, vi furono atteggiamenti contrastanti e, si badi, tutti basati sulla dottrina della Chiesa in materia di “guerra giusta”. Dei quattro requisiti previsti dalla Chiesa, era indubbio che sussistessero sia 1) la causa grave che 2) l’esaurimento di mezzi pacifici tesi a scongiurare lo scontro. Era assai dubbio, però, 3) un possibile esito positivo ed era quasi certo che 4) la lotta armata avrebbe portato più danni di quanti non intendeva evitarne.
In ogni caso, i vescovi appoggiarono la protesta, ma non la ribellione armata e furono pochi i sacerdoti che seguirono i Cristeros nella guerriglia. Il governo, dal canto suo, aveva pensato di poter avere la meglio con facilità sugli insorti ma, nel corso del 1927, apparve chiaro che il terrore scatenato dai federali non portava al controllo delle province ribelli. Nel 1928, grazie a una sempre migliore organizzazione, dovuta al comando del generale Enrique Gorostieta Y Velarde (1891-1929), le forze governative erano in crescenti difficoltà e, all’inizio del 1929, la stessa città di Guadalajara, una delle più importanti del paese, rischiava di cadere in mano ai Cristeros.
Le sofferenze inflitte alla popolazione dai governativi erano state, però, spaventose e i morti si contavano a centinaia di migliaia. Questa strategia del terrore, alla fine, pagò, e la Chiesa, per evitare ulteriori sofferenze, si dispose alla trattativa mentre i Cristeros erano vittoriosi in campo militare.
In effetti fu la stessa notizia della negoziazione in corso a demoralizzare gli insorti e Gorostieta protestò con veemenza contro l’episcopato: «Ogni volta – scrisse ai vescovi il 16 maggio 1929 – che la stampa ci dice che un vescovo fa da parlamentare coi “callisti”, sentiamo come uno schiaffo in piena faccia, tanto più doloroso in quanto viene da coloro nei quali speriamo di trovare conforto, una parola che dia respiro alla nostra lotta: una parola che, con rare eccezioni, non abbiamo mai ricevuto. Fino a quando (i vescovi) si sentiranno più vicini ai carnefici che alle vittime? Se i vescovi ritengono che la nostra Guardia Nazionale fosse l’unica strada che ci lasciava il despota dovranno consultarci… Se i vescovi ci disapprovano e non terranno conto di noi, se dimenticano i nostri morti… allora respingeremo tale atteggiamento come indegno e traditore».
Il 2 giugno 1929 il generale Gorostieta rimaneva ucciso in un agguato. Le trattative venivano concluse il 21 giugno 1929 e i monsignori delegati, Ruiz Flores e Pascual Diaz Barreto, furono isolati dal mondo esterno e raggirati, così che il governo messicano ottenne la riapertura delle chiese senza abrogare la legislazione antiecclesiastica. Men che meno si tenne conto dei Cristeros, per i quali non venne ottenuta la minima garanzia. Il generale Jesùs Degollado Guizar († 1957), che aveva preso il posto di Gorostieta, diffuse il seguente messaggio con cui veniva smobilitata la Guardia nazionale cristera: «La Guardia Nazionale scompare, non tanto perché vinta dai nostri nemici, quanto perché abbandonata, in realtà, da coloro che dovevano beneficiare, per primi, del frutto prezioso dei suoi sacrifici e della sua abnegazione. Ave Cristo! Per te andiamo verso l’umiliazione, l’esilio, forse a una morte gloriosa, vittime dei nostri nemici, con il nostro amore più fervente, ti salutiamo e ti acclamiamo ancora una volta, re della patria nostra. Viva Cristo Re! Viva Santa Maria de Guadalupe! Dio, Patria e Libertà!». Negli anni successivi centinaia di ufficiali Cristeros vennero sistematicamente assassinati.
La fine della guerra civile
A migliaia di chilometri di distanza il testo degli arreglos fu sottoposto all’attenzione del Papa quando ormai non era più possibile tornare indietro. Il cardinal Tommaso Boggiani, già nunzio in Messico, dal quale era stato espulso, disse di aver visto piangere il Pontefice di fronte a quella sconfitta così dolorosa: una sconfitta perché lasciava totalmente indifeso chi aveva lottato con tanta abnegazione e continuava a morire gridando “Viva Cristo Re!”. Il prezzo della libertà, o del suo fantasma, era stato altissimo: 250.000 morti, dei quali 30.000 erano federali e 15.000 Cristeros. Era una guerra che non si poteva continuare.
Da allora la politica dei Concordati con le diverse nazioni si accentuò, tanto che, nel pontificato di papa Ratti, ne furono stipulati ben ventinove con regimi di ogni… tendenza politica. Ma l’opposizione al totalitarismo, di qualunque segno o colore, divenne ancora più incrollabile, sempre mediata dalla diplomazia del cardinal Pacelli, al fine di non provocare altri martiri.
Così il 29 giugno 1931 il Papa diffondeva l’enciclica Non abbiamo bisogno contro i soprusi del governo fascista e il 29 settembre 1932 tornava a occuparsi del Messico con la Acerba animi. Era un’enciclica amara e commovente, in cui si sentiva tutta la delusione per i patti che erano stati violati dal governo ma nella quale, con carità pari all’energia si ammoniva chi «spinto più dall’ardore della difesa della propria fede che non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati… avesse supposto nei Vescovi intendimenti contraddittori» affinché «si persuada ora che tale accusa è del tutto infondata»: e se l’attuazione di tali direttive dovesse riuscire di scandalo ad alcuni fedeli essi sarebbero stati ritenuti «disobbedienti ed ostinati».
Il 13 giugno del 1933 viene pubblicata l’enciclica Dilectissima nobis sull’oppressione della Chiesa in Spagna, ben tre anni prima dell’inizio della guerra civile. Ma è nel marzo del 1937 che la combattività di un Papa già molto malato arriva al culmine quando vengono scritte e diffuse ben tre encicliche, la Mit brennender sorge (14 marzo) in cui «con viva ansia e stupore.. si denuncia il nazionalsocialismo come intrinsecamente malvagio; la Divini Redemptoris (19 marzo) contro il comunismo ateo e infine, ancora una volta, il Messico con la Firmissimam Constantiam del 28 marzo 1937 dove si auspica una partecipazione del laicato per risolvere gli immensi problemi nazionali.
Ciò che stupisce, in questo Magistero, è la costanza incrollabile, tesa a salvare la Chiesa da pericoli quali mai aveva dovuto affrontare in tutta la sua storia. La prudenza di Pio XI, continuata dal suo successore, dovette arrivare al punto di non poter impedire il martirio di chi aveva difeso la Chiesa con coraggio insuperato.
Ed è questa prudenza che, spesso, non viene compresa dai fedeli che non hanno le responsabilità dei vescovi.
RICORDA
«Lo giuro solennemente per Cristo e per la Santissima Vergine di Guadalupe Regina del Messico, per la salvezza della mia anima: 1) mantenere assoluto segreto su tutto quello che può compromettere la santa causa che abbraccio; 2) difendere con le armi in mano la completa libertà religiosa del Messico. Se osserverò questo giuramento, che Dio mi premi, se mancherò, che Dio mi punisca» (Giuramento dei Cristeros).
BIBLIOGRAFIA
Le encicliche di Pio XI in Enchiridion delle encicliche, voI. 5, Pio XI 1922-1939, EDB, 1999, 3 ed.
Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, 2007.
Achille Ratti – Papa Pio XI nel 1500 anniversario della nascita, a cura di Franco Cajani, I Quaderni della Brianza, gennaio-aprile 2008.
Si ringrazia per l’aiuto l’ing. Agostino Gavazzi di Desio, presidente del Comitato esecutivo de “I Quaderni della Brianza”.
Dossier L’insurrezione dei Cristeros messicani (1926-1929) in Nova Historica, n.25/2008.
Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-1929, Il Cerchio, 1999.
Associazione Culturale “Identità Europea” [a cura di], “Viva Cristo Re!”. Il Martirio del Messico, Mostra presentata al Meeting per l’amicizia fra i popoli (Rimini 1999), Itaca, 199
LE CANZONI
Nessun commento:
Posta un commento