Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario. Commento completo





Ci stiamo avviando ormai al tempo di Avvento e il Vangelo oggi ci parla del discernimento. Ciò che distingue i cristiani è avere discernimento, ovvero uno sguardo celeste sul mondo. Saper leggere i segni dei tempi e non restare imbrigliati nei fatti della storia, sia quella che andrà a finire nei libri, sia quella che invece resterà per sempre racchiusa nel perimetro della nostra semplice e "apparentemente" marginale esistenza. Non lasciarsi inghiottire dal fluire spesso burrascoso degli eventi lasciando che la "vulgata" popolare, il "pensiero unico dominante", ci imbavagli mente, occhi e cuore, imponendoci le "ovvie" e assolutamente "corrette" conclusioni e interpretazioni.

Discernere è saper leggere i segni dei tempi con “attenzione” per “non lasciarsi ingannare” dal pensiero del mondo che, infiltrandosi spesso anche nella Chiesa, pretende di parlare “nel nome” del Signore; esso legge il “tempo” che viviamo come “prossimo” a chissà quali “rivoluzioni” morali e “guerre” culturali, destinate ad inaugurare un mondo nuovo di pace e tolleranza. “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo”, ammoniva l’allora Card. Ratzinger. 

Chi è stato riscattato dal Signore e vive ormai “crocifisso con Lui” è entrato nella “libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo” (Benedetto XVI). Per questo non siamo “terrorizzati” davanti alla storia, e non ci lasciamo “prendere dal panico” per la violenza culturale con cui il demonio vuol lavare il cervello a questa generazione; non rispondiamo con la stessa strategia mediatica a chi sta imponendo la distruzione della famiglia, della sessualità e della vita; non cadiamo nelle trappole affabulatorie per “seguire” la menzogna dei falsi profeti.

Vi è una chiave che "apre" all'intelligenza delle cose, ed è lo Spirito Santo. E' lo Spirito che attesta a San Paolo che in ogni città lo attendono le catene, la sofferenza e infine il martirio. E' lo stesso Spirito che illumina il Signore sul Suo cammino, che lo dirige e lo educa a poco a poco nella coscienza che c'è un "dover" andare a Gerusalemme, un "dover" essere riprovato, tradito e condannato. 

E' lo Spirito che sigilla nel cuore e nella mente del Signore la certezza dell'importanza assoluta e decisiva della Croce che lo attende, della tomba già preparata. Ed è lo Spirito che attesta al cuore di Gesù e della Vergine Maria l'unicità della Risurrezione, che nessuno capirà sino a che non ne sarà coinvolto personalmente per mezzo dello stesso Spirito.

Vi è come una linea di "dovere" nella vita del Signore, come nella storia di ciascun uomo, di ciascun popolo. Ed essa corre diritta verso la Croce e la Risurrezione, perché la storia reca in sé il seme del Mistero Pasquale del Signore. Satana non la pensa così, non ha il "pensiero" di Cristo, lo Spirito di Dio. Anche se a parlare e a sbraitare contro la Croce è Pietro: a lui Gesù griderà di retrocedere e di porsi alla sua sequela piuttosto di tentare di guidarne il cammino, perché ogni pensiero contrario alla Croce è di satana. Ed è un criterio fondamentale in me, come dentro i grandi eventi del mondo. Questa è la chiave, l'unica, capace di svelare il mistero della storia. In Medio Oriente come in Italia, in Giappone come in Spagna, nel mio ufficio, nella mia famiglia, nel mio intimo: la Croce gloriosa del Signore.


Sappiamo, per esperienza, di vivere nel “prima” dove Dio parla e agisce con i “segni” della Croce che, come un aratro, dissoda il terreno della storia perché vi sia seminata la salvezza. In essa il Signore ci abbraccia e ci “inchioda” alla “sua amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità” (Benedetto XVI), nella certezza che in ogni secondo è racchiuso il destino dell'umanità. Nella vita dell’unico “Io sono” - il nome con cui Gesù si rivela come Dio - vi è una linea rossa che, con “segni” concreti, gli rivela la “necessità” di “visitare” ogni Zaccheo “perduto”, perché la “salvezza entri nella casa” di tutti. Quando Dio visita un uomo addormentato e seduto sulla propria anima “è necessario che accadano” gli sconvolgimenti nella sua vita: non scandalizzatevi, i “terremoti, le carestie e le pestilenze” sono frutti del disordine di morte recati dal peccato, ma Dio non vi si oppone proprio perché ci ama e vuole svegliarci.

 Così i problemi e gli imprevisti in famiglia, al lavoro, a scuola; così la crisi del figlio e della fidanzata, la malattia e il licenziamento. Il male “deve” emergere “di luogo in luogo”, come il pus da una ferita, perché possa incontrare ancora e sempre il Medico che lo assuma trasformandolo in misericordia. Nelle “sollevazioni di popoli e regni” gli uni contro gli altri, appare la divisione seminata dal demonio, il peccato che ha reso nemici Adamo ed Eva, e poi, come un fiume in piena, tutti i loro figli, da Caino e Abele ad ogni generazione, sino a “distruggere” il vero Tempio, il corpo benedetto del Signore.

Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste. In ogni evento, in ogni persona è inscritto il Mistero Pasquale del Signore, perché tutto è stato creato in Lui e per mezzo di Lui, e nulla sussiste se non in Lui. Rinunciare a Lui, allontanarsi dal Signore, è condannarsi alla totale cecità, a non vedere, non capire nulla della storia e delle persone. Con le conseguenze più drammatiche.




Le parole di Gesù oggi ci chiamano alla vigilanza. A non seguire nessuno che non sia Lui. Chiunque ci consiglia di scappare dalla croce, dalla storia concreta che ci è data, nasconde la presenza del demonio. Ci troviamo già nel combattimento decisivo. I segni sono davanti ai nostri occhi. Ma non è ancora la fine! Siamo figli della luce, sappiamo che il demonio è il principe di questo mondo, e i suoi figli sono in guerra con il Signore. Ogni certezza umana, comprese quelle religiose divenute routine separata dalla fede che si fa vita, sono destinate alla distruzione. Anche il Tempio, con ogni sua ricchezza. 


Il discernimento della Chiesa sa che gli edifici, per quanto belli e testimoni della fede di chi li ha progettati e costruiti, sono precari. Non bisogna restare a specchiarcisi come Narciso: era un giovane molto bello, del quale si innamorò perdutamente Eco, una ragazza splendida ma troppo loquace. Gli dei vollero punire questo suo difetto e la resero muta. Era capace di ripetere solo le ultime parole che le rivolgevano. Narciso non resistette a questo difetto della sua innamorata. Non la ritenne degna di lui e si chiuse nel suo egoismo, decidendo che non le avrebbe mai rivolto le parole "ti amo". Per questo Eco morì di crepacuore. Gli dei, quando si accorsero del dramma, condannarono Narciso a chiudersi sempre più in se stesso, e a innamorarsi della sua immagine. Al punto che, vedendola specchiata in un laghetto, volendola abbracciare rimase annegato nel fondo dello specchio d'acqua. 

Esattamente come accade a noi quando restiamo attratti dal nostro ego, per esaltarci o deprimerci. Incantati davanti alla nostra immagine, passiamo il tempo a pensare a noi stessi, ai pregi o ai difetti, e dimentichiamo Dio, che ci ha creati belli e perdonati mille volte per annunciare la bellezza del suo amore. E cominciamo a disprezzare chi ci è accanto, come i farisei innamorati della loro pretesa giustizia, come il popolo di Israele che credeva di non soccombere davanti alle potenze straniere solo in virtù della presenza del Tempio. E così non sappiamo più dire a nessuno "ti amo", perché invece di abbeverarci alla fonte dell'amore che è Dio, ci specchiamo nel nostro nulla sino a morirci affogati tra depressioni e crisi esistenziali. Non può dire "ti amo" a nessuno chi non sa dirgli prima "Dio ti ama". Così un marito o una moglie, un genitore, un fidanzato, un amico. Così la Chiesa, non può amare davvero se, prigioniera di se stessa, dei suoi schemi e progetti, non può amare il povero, il peccatore, il lontano perché ha smarrito l'amore di Dio. Vive di se stessa, non del suo Sposo. 
Attenti allora, in qualunque momento possiamo perdere la Grazia e la bellezza di Cristo che rifulge in noi, come nelle nostre comunità. Quando, infatti, le costruzioni di pietre, comprese le liturgie e le preghiere, non esprimono più lo stesso contenuto di fede e i cristiani non escono per gettarsi sino agli estremi confini della terra ad annunciare il Vangelo, crollano miseramente. Una cattedrale costruita in tanti anni, può essere distrutta da un terremoto, o divenire un museo o auditorium per concerti... Come accade alle nostre parrocchie senza zelo preoccupate di gestire l'esistente dimenticando la pecora perduta, sempre più vuote; come succede ai seminari, trasformati in bred and breakfast... Il rumore sordo delle “pietre” che cadono le une sopra le altre, annuncia però il mistero Pasquale di Gesù che “distrugge” ogni “spelonca di ladri”, esteriormente “bella” e degna di “ammirazione”, ma “piena di rapina e iniquità” al suo interno. Quelle pietre devono cadere perché giunga la purificazione che strappi i cristiani all'ipocrisia per ricondurli alla verità di una vita accordata con la fede adulta. 
Quelle pietre ci ricordano la pietra grande deposta sul pozzo di Sichem, che impediva a Rachele di far abbeverare il suo gregge, pesante come quella che serrava il sepolcro del Signore. Un midrash ci racconta che "una rugiada di risurrezione discese dai cieli su Giacobbe rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenzarotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere". Con la stessa potenza il Signore è risorto dal sepolcro facendone rotolare via la pietra. 
Per questo, i cumuli di pietre in cui si riducono le opere delle mani dell’uomo sono i “segni” che decretano la “fine” di ogni sapienza della carne perché non sia più necessaria per attingere scampoli di felicità; ma annunciano contemporaneamente il fine della vita di ogni uomo, la vita eterna conquistataci da Cristo. Dietro ad ogni “fatto terrificante” e ai “segni grandi dal cielo” che sconvolgono la storia e la nostra vita, vi è il Signore "forte e coraggioso" che sta rovesciando di nuovo la pietra che ci tiene prigionieri nella tomba, per aprire un varco affinché la sua vittoria sulla morte giunga sino a noi e a chi Dio lega alla nostra vicenda, come acqua che "trabocca" di vita. E’ Lui che, a tutti noi assetati d’amore e verità, attraverso la forza dei fatti che per il mondo significano solo distruzione, rivela il potere del suo amore che dischiude, come fece Giacobbe innamorato di Rachele, il pozzo dove “dissetarci con gioia dell’acqua viva dello Spirito Santo che zampilla sino alla vita eterna”.



Per questo Gesù ci ha annunciato che il Padre cerca adoratori in Spirito e Verità. La Chiesa è molto più degli edifici, anche di quelli magnifici che esprimono la fede di una generazione. La bellezza di una cattedrale gotica, o di un'icona del XIV secolo è nulla in confronto a un cristiano che offre la sua vita per il nemico. La bellezza che salverà il mondo brilla sul volto del Servo di Yahwè, incarnato nella sua Chiesa pellegrina nella storia. 

La chiesa è la comunione tra i fratelli, l'amore celeste che li unisce. Fratelli che si perdonano, che ricominciano ogni giorno in virtù della risurrezione del Signore: è questo il Tempio non costruito da mani di uomo, il corpo vivo di Cristo nella storia. Ammirarlo apre alla salvezza. Le chiese e l'arte hanno sempre espresso questo contenuto d'amore. Quando l'ammirazione si ferma alle pietre è vana. Se costruiamo templi perché siano ammirati li vedremmo ridotti un cumulo di pietre. 




Il ministero presbiterale, il matrimoni, lo studio, il lavoro, vissute in Cristo sono opere d'arte che mostrano il voto di Dio. Edificati per noi stessi, per vanagloria, si corrompono. Perché tutto ciò che non è edificato sulla Pietra scartata dai costruttori esprime il vuoto, per quanto esteticamente bello possa apparire. La sessualità ad esempio, se non esprime il contenuto di un amore fatto dono totale, è un tempio costruito per essere distrutto. Non resterà nulla di quell'amplesso che non sorge dall'amore autentico, sigillato dal sacramento, che fa dei due una carne sola. Laddove non vi è l'offerta di se stessi, nella mente e nel cuore prima ancora che nel corpo, nella conseguente apertura alla vita che Dio potrebbe donare, l'unione sessuale resta come un bel Tempio edificato per adorare se stessi. E non resterà nulla perché Dio distruggerà chi distrugge il suo Tempio che Cristo vivo in ogni uomo. 

Ma il Signore anche oggi passa nella nostra vita, Lui, il vero Tempio già ricostruito che cerca ciascuno di noi, anche nella nostra cecità, per ridonarci la vista, e con essa la vita. La vita in Lui dentro la storia di ogni giorno. La certezza che, come diceva San Francesco, è "morendo che si resuscita a vita nuova", con uno sguardo pieno di benedizione sul passato, di stupore sul presente, di speranza sul futuro. "Deve" morire il chicco per non restar solo, "devono" accadere tanti fatti "crocifissi" nella nostra vita, ma la speranza non delude, perché il suo amore è stato riversato nei nostri cuori. Perché Cristo ha sollevato la pietra di ogni nostro sepolcro.




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