Oggi, il
primo giorno di vita del Signore, ci consegna il primo frutto della
sua venuta nella carne. "Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può toccare Dio
e accarezzarlo" (Benedetto XVI). Ma in quel Bambino, Dio può essere anche
ferito, lapidato, ucciso.
Ha scelto, infatti,
di entrare nel mondo dalla porta di servizio. E’ stato come se Dio avesse voluto dimenticare d'essere Dio. Non
ha difeso gelosamente la sua dignità, si è confuso tra le carni sporche di
peccato, celando l'immacolatezza della sua per puro, unico e incredibile amore.
Se gli uomini avevano reso semplice il copione al demonio, Dio lo ha reso ancor più facile per spingerlo alla disfatta: si è fatto il più piccolo, perché il maligno lo potesse afferrare e uccidere più facilmente, e nella morte del Figlio trovasse la sua morte.
Così ha cercato il
limite estremo della libertà dell'uomo, sul confine tra la comunione con il
Creatore e il nulla, dove tutti abbiamo toccato e mangiato del
frutto che ci era stato precluso.
Attraverso le mani
pure e sante di Maria, Dio sì è fatto deporre su quel fronte insanguinato,
facendosi carne da toccare come quel frutto. Nella grotta di Betlemme fu un
nuovo ed eterno Principio: una mangiatoia, un Bambino e una Madre, come nell’Eden
furono un albero, un frutto e una donna. A Betlemme fu toccare, mangiare
e nascere, per rovesciare il toccare, mangiare e morire che ci condannò tutti in Adamo.
Il Mistero del
Natale, infatti, come raccontano le icone dell'Oriente, si svela nel Mistero di
Pasqua. Il segno indicato dagli angeli era un bimbo adagiato nella
mangiatoia come in un sepolcro, perché la vita fosse seminata nella morte.
Maria, la Nuova Eva
madre di ogni vivente, è l’immagine della Chiesa che depone su ogni centimetro
della terra il suo Bambino indifeso perché sia toccato e mangiato, offrendo
così a tutti un’altra possibilità: come abbiamo allungato la mano per prendere
il frutto amaro del peccato, ora possiamo distenderla per accogliere in dono il
frutto dolce del perdono.
Così si fondono le
notti di Natale e di Pasqua, le notti del Salvatore. Identiche a quella che ha
ingoiato Stefano, deposto con Cristo nella mangiatoia offerta al mondo. Per
questo era “diacono”, ovvero immagine compiuta del Servo di Yahwè; nella sua
carne era nascosto un frammento della passione di Gesù, perché essa giungesse
ai peccatori, reale, visibile, toccabile, afferrabile.
Sotto la sassaiola
che lo uccideva, Stefano protomartire
diveniva il primo sacramento di Cristo,
il “segno” offerto al mondo per salvarsi, come la notte di Natale, come la
mattina di Pasqua. Stefano, il primo angelo della misericordia, dal quel martirio come un letto d’amore che lo univa a Cristo, risplendeva della luce celeste, perché un suo raggio filtrasse come un’alba di speranza nella notte della disperazione.
Verità e
Misericordia si abbracciavano in lui, che annunciava parole di fuoco
in un volto d'angelo. Come la moltitudine immensa dei martiri che da
duemila anni incarnano il Bambino
sepolto in una mangiatoia perché
ogni adulto sepolto nella morte possa ridiventare bambino ed entrare nel
Paradiso. Come accadde a San Paolo, complice del martirio di
Stefano, divenuto martire come lui.
Uno dopo l’altro,
scorrono oggi i volti d’angelo dei testimoni di Cristo, come quello del beato
Martín Martínez Pascual (il sacerdote martire ritratto nella foto): i
suoi occhi planavano direttamente dal Cielo per abbracciare gli assassini con
le parole dette prima di morire fucilato, identiche a quelle di Gesù e di
Stefano: "Io non voglio altro che darvi la mia benedizione affinché Dio
non vi prenda in considerazione la pazzia che commettete".
Guardatelo bene
anche voi quell’uomo, lasciatevi attirare nel suo sguardo di pace
soprannaturale. Era già nei Cieli aperti per lui, e da lì, non dal terrore per
la morte, che fissava gli uomini che lo stavano uccidendo. Per questo li vedeva
già salvi entrare nello stesso Cielo
con le vesti rese bianche nel sangue del suo Signore che stava per essere
versato nel suo.
Perché il mondo ha
bisogno di agnellini così, che si lascino “consegnare ai tribunali” delle sue
ideologie e dei suoi pensieri; e “flagellare” dai giudizi, dalle gelosie, dai
rancori e dalle invidie.
Agnellini “odiati
da tutti a causa del Nome” nel quale sono rinati a vita nuova, perché in tutti –
marito o moglie, padre o madre, figlio o fratello, amico o fidanzata, ricchi o
poveri, padroni o colleghi, potenti di turno o intellettuali - scorre il veleno
del serpente antico che odia Cristo.
Esso lo cerca avido
nei cristiani, e non c’è nulla che possa evitare neanche l’“insorgere” della propria
carne contro se stessa. Se un padre è cristiano e il figlio ha scelto d’essere
pagano, questi lo “farà morire”. Magari con una vita dissoluta con cui umiliarlo
pubblicamente.
E cosa farà quel
padre? Cosa farà una moglie tradita da suo marito? Cosa farà un cristiano che
ha subito un’ingiustizia? Cosa farà la Chiesa di fronte al mondo che attacca la
vita, la famiglia, e che la vuole togliere di mezzo?
Si lascerà deporre
nella mangiatoia e si farà mangiare. Seguirà le orme del suo Signore, il “Messia,
leone per vincere, che si è fatto agnello per soffrire” (S. Vittorino di
Pettau).
Per questo non c’è
da “preoccuparci” se la storia ci “consegna” ogni giorno “nelle mani” del
mondo. E’ per salvarlo, annunciando il Vangelo della Verità come ha fatto
Stefano, e offrendo noi stessi per “dare testimonianza” a Cristo.
Per farlo, dobbiamo
"guardarci dagli uomini" ma non smettere di guardarli con gli
occhi di Cristo perché essi, fissando i cristiani, vedano il loro volto
“come quello di un angelo”, di un messaggero del Cielo. Ciò significa “guardarsi”
dai compromessi e i legami carnali, per essere liberi di amare nella Verità
ogni uomo.
E’ difficile, anzi
impossibile. Ma come è accaduto in Maria, nella Chiesa, dove impariamo ad essere angeli che contemplano il Cielo per rifletterlo in terra, scende anche su di noi
“lo Spirito del Padre nostro” che “parlerà” in noi: nel nostro sguardo, nelle
nostre parole, nei gemiti di dolore sotto la pioggia dei peccati del mondo.
E dirà: "Padre
perdonali, non imputare loro questo peccato", sono qui con offrendomi con il tuo Figlio,
perché coloro che mi stanno uccidendo contemplino per sempre il tuo volto. Come
accade a me ora, perché è quando si muore a se stessi che si vede il Cielo
aperto.
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