III Domenica del Tempo di Avvento. Anno B






La gioia di un "no"


"Rallegrati" ci dice la Chiesa in questa III domenica di Avvento. Scusa, ma di che dovrei rallegrarmi? Qui va tutto a rotoli, la crisi, la famiglia, la politica. Per non parlare della mia vita: mi ero illuso di aver fatto qualcosa di buono, un nome rispettato e stimato, e invece non so più nemmeno io chi sono. Tanti sforzi per studiare, e ora, laureato, non riesco a trovare un lavoro neanche come cameriere. Tanti sacrifici per essere un buon marito e padre, e invece mia moglie mi ripete che l'ho delusa, e per i miei figli sono un soprammobile tra i tanti allineati in salotto. Una vita per gli altri, e ora che sono vecchia e ho bisogno io, nessuno che mi venga a trovare. Perfetto! Perché è proprio per questo che puoi rallegrarti! Finalmente hai scoperto quello che Giovanni Battista aveva confessato senza paura: no, non sei Dio! Non sei tu il salvatore di nessuno! Sei, siamo solo poveri peccatori, e per questo amati infinitamente da Dio. Al punto di "mandare" Giovanni a dare "voce" alla speranza, e il suo Figlio ad immergersi nella tua vita, per unirti a Lui e alla sua vittoria. Se oggi davvero puoi ripetere il "no" di Giovanni credendo per mezzo della "testimonianza" della Chiesa, allora la Luce della verità ti illuminerà e potrai aprirti alla gioia vera, che nessuno ti toglierà più. La gioia del "no" all'inganno del demonio. La gioia della libertà da noi stessi, dagli sforzi per essere all'altezza che non ci appartiene. La gioia di essere amati per amare. Coraggio, il Signore viene oggi nella tua Betania, nella comunità dove Giovanni ti sta annunciando il Vangelo, per rivestire la tua debolezza con "le vesti di salvezza". Accogli la predicazione, entra nell'acqua della penitenza accettando d'essere un peccatore senza diritti, un orgoglioso che ha fatto tutto per se stesso, anche se hai fatto intendere, a te e agli altri, che era per amore. Convertiti, e accogli il perdono dei tuoi peccati. Perché solo in esso c'è la vera gioia, quella dell'amico dello Sposo che gioisce nel vederlo unirsi alla sposa. Sei tu la sposa, lo sai? Tu fallito e solo, frustrato e irato. E oggi è il giorno delle nozze: entra con Lui nella gioia della misericordia, per divenire anche tu "voce" che prepara la venuta del Signore e attira la sua "Parola" perché si compia nella vita di chi ti è accanto. Per questo siamo nati, e non per gonfiare di ipocrisia il nostro nome. Per metterci di lato e restarci, come una mano tesa a indicare Lui, lo Sposo al centro di ogni pensiero e gesto. Come? Vivendo immersi nel suo amore, al punto di scomparire in Lui. 


QUI IL COMMENTO COMPLETO, GLI APPROFONDIMENTI E LE IMMAGINI






L'ANNUNCIO
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». 
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 1, 6-8. 19-28)




La “gioia” alla quale la Chiesa ci invita in questa III Domenica del Tempo di Avvento, detta appunto “Gaudete” (rallegratevi), nasce da un “no”. Un no netto, deciso, senza discussioni. Il “no” di Giovanni che prepara il “sì” a Gesù. Un “no” dell’amico che accompagna lo Sposo alla Sposa, perché siano uniti in un “si” indissolubile per l’eternità.

Pensate quanto sia stato fecondo il “no” di Giovanni. E quanto, invece, siano sterili e dannosi i nostri troppi “si”. Quelli frettolosamente pronunciati di fronte a chi ci chiede “chi sei? Che cosa dici di te stesso?”. I “si” per affermare un’identità che, invece, non ci appartiene.

E’ molto interessante capire il contesto del dialogo tra i “giudei” e il Battista. Nel Vangelo di Giovanni i “giudei” normalmente non definiscono il popolo di Israele, ma i loro capi. Che, infatti, mandano “sacerdoti e leviti” a Giovanni da “Gerusalemme”, il centro religioso e del potere.

E non per una chiacchierata tra amici; non sono mossi da una sincera curiosità. Sottopongono invece Giovanni a un vero e proprio processo, come testimoniano i termini tecnici impiegati dall’evangelista. Un processo, perché? Perché fiutavano il pericolo e avevano paura.




Come tutti i potenti, veri o presunti, i capi del popolo stavano sempre sulla difensiva, caso mai qualcuno tentasse di rubargli la “cattedra di Mosè” sulla quale si erano seduti. Erano l’altra faccia di Erode, anche lui ossessionato dal prestigio e dal titolo di re.

Come il mondo nel quale viviamo, quello di cui ci scandalizziamo quando un’inchiesta sale all’onore delle cronache svelando il malaffare mafioso che si nasconde nei centri del potere. Un mondo che, per quanto ci turbi e ci indigni, non è così lontano da noi.

Non segue il sistema di associazione mafiosa anche la nostra rete di relazioni? No, non sobbalzate sulla sedia, non vi scandalizzate, altrimenti non potrete gustare la gioia di questa domenica.

Sì, anche noi gestiamo un potere di stampo mafioso, proprio come appare nelle fiction e come, purtroppo, accade nella realtà. Anche noi ci leghiamo anima e corpo agli altri in patti che sono compromessi nei quali riduciamo in cenere la nostra autentica identità, come fanno gli appartenenti alle famiglie dell’onorata società quando bruciano il santino in segno di eterna fedeltà.

Solo pagando questo prezzo, infatti, abbiamo la speranza di diventare qualcuno, e comandare nei nostri “mandamenti” quotidiani. Ma forse non ci accorgiamo che siamo effettivamente “mandati”, cioè comandati, da qualcun altro, il padrino più potente, il capo dei capi. Il demonio che, balenandoci l’opportunità di diventare come Dio, si è preso la nostra vita.




"Tu sei Dio", ci ha detto stringendo il patto che ci ha fatti suoi “picciotti”, e sarai realizzato solo nella misura in cui il mondo ti riconoscerà tale. Ma che fatica quella di dover sempre ripetere che “sì”, siamo dio. Che sforzo e che stress dover essere sempre all’altezza del posto più in alto, mentre la storia reale di ogni giorno ci obbliga a strisciare, come il serpente.

Marito, moglie, figli, parrocchiani, lavoro, studio, salute, portafoglio, ogni frammento della nostra vita si incarica senza pietà di contestarci le false generalità che millantiamo con ogni espediente d'ipocrisia. Gli eventi e le persone ci presentano il tampone per imprimerci le impronte digitali, e, fatalmente, non c'è una volta che coincidano con quelle di Dio.

Spiacenti, ci dicono, ma anche un vescovo o un prete, per quanto di dedichino agli altri, e predichino “divinamente”, non sono Dio. Come non lo sono i papà e le mamme migliori di questo mondo. Come non lo siamo in nessun angolo del “mandamento” nel quale vorremmo comandare.

Non ci ascoltano accidenti, non fanno quello che diciamo, neanche quando, al colmo dell’ira, lo imponiamo con la forza. Qualcuno, per paura, ci farà credere di compiere i nostri dettami, ma il cuore è lontanissimo da noi, e questo ci ferisce più della stessa ribellione, perché ci apre gli occhi sulla solitudine che affligge tutti gli aspiranti Dio. Comanda il demonio, non noi. Ci ha illuso per tenerci al guinzaglio.

Proprio come facciamo noi con gli altri, ridotti a merce da comprare, usare e buttar via. Perché laddove non c’è un io con un’identità autentica non ci sarà mai un tu da contemplare, rispettare e amare. Piuttosto, quando ci si sentirà processati da chi ha il potere e lo deve difendere, da chi ci è accanto ed esige gli stessi diritti, si dovrà balbettare un improbabile “sì, sono dio”, tentando di salvarsi e mantenere il ruolo acquisito nella menzogna.

Non è proprio così che va la nostra vita? Non è uno sforzo sovrumano per dimostrare di essere quello che non siamo? Non passiamo le ore appese a un “sì” di menzogna che ha gettato tutta la nostra vita nell’ipocrisia? Se lo accettiamo allora possiamo aprirci alla “gioia”.

Siamo peccatori, e così dovremmo presentarci a tutti: "Piacere sono tal dei tali, non sono Dio. Sono solo un peccatore". Giovanni Battista lo ha fatto, e per questo Gesù dice di lui che era "il più grande tra i nati di donna". Il più grande perché il più umile, il più sincero, il più realista.




Figlio di un miracolo che aveva cambiato la sterilità della madre in fecondità, aveva esultato di gioia alla presenza di Dio fatto carne. Nel processo intentatogli dai "farisei" Giovanni afferma di non essere il Messia; nello scrutinio della storia non ha nulla da temere perché non ha millantato false generalità. 

Sapeva che era nato per aprire il cammino alla Verità. Non poteva ingannarsi e ingannare nessuno; sapeva bene chi era perché, così vicino a Dio fatto uomo, amico intimo dello Sposo unico e vero, sapeva ancor meglio chi non era.

Per ogni carne debole e peccatrice “confessò e non negò” di non essere quello che il serpente aveva affermato. Per questo è la "voce" di ogni uomo nato da donna, secondo la carne e quindi figlio del peccato. E' la nostra "voce", che non abbiamo ancora "voce" per confessare di non essere Dio. E' "voce" che svela l'autenticità che abbiamo voluto camuffare con l'apparenza. E' la "voce" che ci insegna ad essere amici di Cristo, di vivere alla sua ombra, perché solo così potremo uscire dall'ipocrisia e restare saldi nell'umiltà. Solo nell'intimità della preghiera, nella frequenza assidua ai sacramenti, alle liturgie, alla Parola e vivendo uniti al suo corpo che è la comunità potremo essere sicuri di essere noi stessi, poveri e peccatori amati da Dio. La Parola non fa sconti, i fratelli che ci conoscono ci tirano giù dalle nuvole dove scappiamo, i sacramenti e la preghiera ci aiutano ad entrare nella storia reale, accettando anche le sofferenze.






Ma Giovanni è soprattutto la “voce che grida nel deserto” di ogni generazione, della tua e della mia vita. E' la "voce" che prepara la gioia vera in mezzo alla tristezza che genera la gioia falsa di cui il mondo si illude di saziarsi. Giovanni è "testimone" proprio perché "voce" e non Parola. Non a caso la liturgia unisce oggi due testi distinti del vangelo di Giovanni. La prima parte è tratta dal prologo, nel quale è protagonista il Logos, la seconda dall'episodio che culminerà con il battesimo di Gesù, che è la sua rivelazione. 

In mezzo, come un ponte tra Parola e rivelazione, c'è la "voce", Giovanni Battista. Quando dopo aver battezzato il Signore, completa la sua "testimonianza" affermando che neanche lui "conosceva" il Messia, affermava l'inafferrabilità del Mistero. Pur essendogli cugino, pur avendolo riconosciuto sin dal seno di sua madre, sapeva di "non conoscere" come Gesù si sarebbe rivelato. Lui stesso era un mistero a se stesso, e quindi per gli altri. Era sì il culmine dell'Antico Testamento, ma Dio lo aveva posto su una soglia che, mentre chiudeva al passato apriva su un avvenire sconosciuto. Questo era Giovanni, un "no" che rompe gli schemi: pur essendo un profeta, non si identifica e non si assimila a nessuno di quelli del passato. Anche il nome che i genitori gli hanno dato obbedendo alla volontà di Dio indica la novità verso la quale era orientato e alla quale avrebbe dovuto rendere testimonianza; nessuno della sua parentela, infatti, si chiamava Giovanni. Lui era lì, sul crinale decisivo della storia, e per starci e compiere la propria missione era necessaria una grande umiltà. 




Per questo Giovanni si era preparato ad essa nel deserto, in un catecumenato dell'umiltà e della verità, fatto di penitenza ed essenzialità. In esso aveva imparato ad essere se stesso, spogliandosi di tutto ciò che avrebbe potuto farlo apparire, creando confusione nei destinatari della sua missione. Nel deserto ha trovato l'acqua dove annegare il passato e la carne che, ferita dal peccato di superbia, avrebbe rischiato di oscurare il Messia, diventandogli antagonista. Nudo, dunque, per essere e restare "voce" e non Parola e "non recare danno alla Parola. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia" (S. Agostino). 

Formato nel deserto, poteva essere inviato nel deserto di ogni uomo a "battezzare con acqua perché l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo fosse fatto conoscere a Israele". Proprio quel battesimo era il luogo dell'appuntamento di Dio con il mondo, la soglia dove la novità veniva a compiere le promesse del passato. Giovanni vi era stato mandato per essere la "voce" che chiamasse il Messia a rivelarsi. La sua "voce" era lì, sulle rive del Giordano, quasi ad attirare la Parola che la doveva riempire, il Logos che desse a quella "voce" il linguaggio capace di scendere sino al cuore di ogni uomo. 


Così in Giovanni Battista è profetizzata la missione della Chiesa, il senso profondo della vita di ogni comunità e di ciascun cristiano: andare nel mondo che non conosce Gesù e la sua vittoria sulla morte perché Egli si riveli. Il Signore è già "in mezzo a voi", ma ha bisogno di una "voce" che "gridi nel deserto" di ogni generazione; di "testimoni" che lo attirino nei luoghi dove sono mandati a preparare la sua venuta: i cristiani nelle loro famiglie e nei condomini, nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle città e nei paesi, negli ospedali e nei mercati, sui bus e sulle metropolitane. 

Siamo, infatti, inviati per dare "testimonianza" alla Luce, un dito puntato su Cristo che viene, senza pretendere di cambiare gli altri secondo i nostri fallaci criteri. Come un'indicazione stradale siamo deposti ogni giorno all'incrocio decisivo della vita di molte persone. E' certo importante un cartello, ma nessuno si ferma sotto di esso pensando che sia lì la meta. Lo si guarda e subito si gira verso la destinazione. Solo, un cartello deve essere ben visibile e scritto in modo chiaro, orientato nella direzione giusta. Per questo la storia ci colloca su un monte alto, crocifissi con Cristo. 

Nulla è a caso nella nostra vita. Oggi incontrerai quella persona per essere "voce che grida" nella sua storia: "voce" che annuncia la verità, innanzitutto con la propria testimonianza umile di chi, crocifisso e abbandonato completamente a Dio, sa di non essere il salvatore di nessuno. "Voce" libera che prepara l'avvento di Gesù chiamando "ad un cambiamento interiore, a partire dal riconoscimento e dalla confessione del proprio peccato" (Benedetto XVI). "Voce" che annuncia a tutti il perdono dei peccati, perché il cuore dell'Avvento è l'evangelizzazione! La venuta del Signore si prepara come l'ha preparata Giovanni", dando "voce" al Vangelo perché si compia in chi ascolta! 


Quando la Chiesa evangelizza con lo stile del Battista, quando non si guarda allo specchio ma diminuisce perché cresca Cristo in lei, quando è in conversione, sa indicare Cristo a tutti, svelandolo prossimo alla vita di ogni persona, anche di chi è più compromesso con il peccato. Sì, Gesù è già "in mezzo" ai peccatori perché la nostra stessa vita, con le debolezze e anche i peccati, è il segno che ne rivela l'amore infinito. Basta un po' di umiltà, la Grazia donata a Giovanni di essere quello che era, e nulla di più.

Una "voce" importante come la nostra, ma pur sempre la voce dell'amico dello sposo, non quella dello sposo. "Voce" che illumina le strade tortuose del figlio, del coniuge, del collega, ma solo per preparare il battesimo dell'Agnello di Dio nelle loro vite. "Voce" senza giudizio, che attira il perdono dei peccati laddove fa udire il suo grido. 





Questo è il senso più profondo della nostra vita. Esso coincide con la libertà nella quale si compie la missione che ci è affidata ogni giorno. Sei padre? Allora "testimonia" innanzitutto a tuo figlio che "non sei tu il Signore"; non fingere, non illuderlo, non temere di apparire per quello che sei, debole e peccatore come lui; sii umile e ripetigli con Giovanni che neanche tu "conosci" il Signore, perché non sai come e quando opererà in lui. Ma annunciagli il Vangelo, dicendogli che sei sicuro, per esperienza, che Gesù sta venendo a battezzarsi nella sua vita, proprio nel punto più in basso dove è caduto. Per questo aiutalo a riconoscersi peccatore, "gridando" con amore nel suo "deserto", per digli che la strada su cui cammina è storta e lo sta conducendo alla morte. "Grida" senza moralismi e legalismi, come ha gridato Gesù in Croce, perché la parola "perdonali" da Lui pronunciata mentre offriva tutto se stesso, possa bussare alla sua porta.

Solo così potremo indurre i cuori ad aprirsi di fronte alle opere che Dio va compiendo, al Dio delle sorprese come ripete spesso Papa Francesco. Che ne sai di che cosa Dio farà con tuo figlio. Che ne sa un prete di come Dio salverà quella persona. Sappiamo solo che Gesù verrà a farsi battezzare, e noi dobbiamo essere là, ad indicarlo alle persone. Ma nulla di più. Chi lo fa cela l'orgoglio di volersi appropriare degli altri. Ancora una volta, neanche il Papa è Dio... Per questo "bisogna resistere alla tentazione di sostituirsi alla libertà delle persone e a dirigerle senza attendere che maturino realmente. Ogni persona ha il suo tempo, cammina a modo suo e dobbiamo accompagnare questo cammino. Un progresso morale o spirituale ottenuto facendo leva sull’immaturità della gente è un successo apparente, destinato a naufragare. Il Signore ha pazienza con noi! la pazienza è la sola via per amare davvero e portare le persone a una relazione sincera col Signore" (Papa Francesco).

Così ha sempre agito la Chiesa, così siamo chiamati ad agire nel matrimonio, con i figli, nel fidanzamento. Per farlo abbiamo bisogno anche noi, come Giovanni, di prepararci ed essere continuamente formati. Per questo “viene” anche questa domenica “un uomo mandato da Dio, il cui nome è Giovanni” per annunciarci che “Dio è misericordia”, secondo il significato del suo nome. Viene a noi che anche questa settimana abbiamo smesso d’essere uomini ad immagine e somiglianza di Dio. 





Abbiamo bisogno continuamente che Giovanni, immagine dei pastori e dei catechisti, sia "voce" nel nostro "deserto". Per ascoltarla, non c'è altro posto che la Chiesa, dove Giovanni “viene a rendere testimonianza alla luce, perché possiamo credere per mezzo di lui” all’amore infinito di Dio che non ci abbandona alle nostre mafie, ma vuole “santificarci interamente”, per ridonarci in lui l’identità perduta.

Non ci allontaniamo in questo Avvento dalle rive del Giordano che scorrono nelle nostre comunità. Immergiamoci in esse pentendoci sinceramente; camminiamo umilmente con il nostro Dio, dando morte a tutto ciò che di noi appartiene ancora alla terra. E rinneghiamo noi stessi, cioè l'identità dell'uomo vecchio che intende la vita e la missione come uno sforzo per essere come Dio, e porsi a modello dettando regole e principi da far rispettare. 


Solo chi ha compreso di non essere lui lo Sposo destinato alla sposa, può annunciarne l'avvento senza ipocrisia e gelosia, libero per desiderare solo il bene dell'altro. Giovanni afferma di sé di "non essere degno di slacciare il legaccio del sandalo", riferendosi alla pratica del levirato, per cui colui che aveva diritto di sposare una donna gettava un sandalo per affermarlo davanti alla comunità.




Così ogni profeta e testimone, sia padre o madre, sia prete o religioso, è autentico solo quando non si appropria delle persone che appartengono a Cristo; quando distoglie l'attenzione da se stesso per orientarla verso Cristo, l'unico Sposo a cui moglie e marito, figli e colleghi, parrocchiani e lontani sono promessi sin da prima dalla creazione del mondo. 

E' qui la fonte della gioia! Quella di un padre che ha condotto il figlio a Cristo, accettando di tagliare con lui i legami morbosi. La gioia che nasce, purissima, quando Cristo perdona i suoi peccati e lo risuscita perché cammini in una vita nuova. Allora vedrà scendere su suo figlio lo Spirito Santo e la sua gioia sarà compiuta. Come per ogni apostolo, che la gusta come Giovanni, l'amico dello Sposo, che scompare e diminuisce quando arriva Cristo per unirsi alla sua sposa. 


La “gioia" che siamo chiamati a sperimentare "pienamente nel Signore” anche questa Domenica perché è preparato per noi gratuitamente il banchetto dove celebreremo le nozze che ci uniscono a Cristo. Riposiamoci e gioiamo, perché nell’eucarestia ci è donata la verità che ci fa liberi. In essa fa tutto Dio, a noi è riservata la gratitudine che scaturisce dal contemplare e sperimentare il suo amore. Vi entriamo poveri e feriti, come il figlio prodigo, e Lui ci “riveste delle vesti battesimali di salvezza e con il mantello della giustizia”. 

Solo intorno all'altare dove si consuma il sacrificio che ci salva, partecipando immeritatamente al banchetto che ci passare dalla morte alla vita, impariamo ad essere "sempre lieti, a pregare ininterrottamente, e a rendere grazie in ogni cosa". Perché "questa, infatti, è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi"E così, radicati nella verità, non temeremo più nulla, perché “degno di fede è Colui che ci chiama, e farà tutto questo”.





APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma




Preparazione è l'evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. 
Esse comunicano all'umanità al conoscenza della salvezza di Dio.

Eusebio di Cesarea





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