26 Gennaio. Santi Timoteo e Tito



San Paolo e San Timoteo



“La messe è abbondante” ci annuncia oggi il Signore. Ma potremmo rispondergli: scusa Gesù, non metto in dubbio che tu sia Dio per carità, prego e vado a messa per questo, ma forse dall’alto dei Cieli dove sei asceso non si vede troppo bene. Qui di abbondante c’è solo il fallimento. Le chiese si svuotano, il mondo è indifferente e sempre più ostile. La Chiesa non l’ascolta più nessuno. Mio figlio ad esempio, ha fatto le sue scelte, e ha deciso che con lui Gesù Cristo c’entra solo la notte di Natale.

L’altro giorno ho ascoltato per radio una domanda ripetuta poi come un mantra: “va bene tutto quello che dice il Papa, fantastica la misericordia di Dio, ma spiegatemi che c’entra Lui, e di conseguenza i preti, con un aggeggio di lattice da infilare mentre faccio l’amore”. E non c’era verso, più il prete presente in trasmissione cercava di spiegare, molto bene, che Dio c’entra con tutto, più il conduttore non capiva, difendendo la sua libertà di decidere come e cosa fare.

Non nascondiamoci, pochi di noi credono che il mondo – per dire tuo cugino eh, mica i tagliagole dello stato islamico – sia una messe abbondante. Pochissimi nella Chiesa purtroppo; per questo tanti preti sono così stanchi, sfiniti nell’inventare iniziative che sappiano sedurre i pochi che ancora frequentano, cercando di conservare il gregge sempre più esiguo che rimane.

Per questo Gesù ci invita a “pregare”, che è un modo per convertirci: a smettere di guardare la realtà con gli occhi della carne, statistiche impietose alla mano e fallimenti nel cuore, e alzare lo sguardo proprio al Cielo, da dove Lui vede tutto eccome, solo in modo diametralmente opposto dal nostro…

Gesù, infatti, guarda ogni uomo dal posto che ha preparato per lui. C’è un destino che spetta a tutti, per questo "la messe è abbondante", comprende tutti gli uomini di ogni generazione. C’è anche il tuo posto, lo sai? Oggi tu vivi qui sulla terra, andrai a lavorare, accompagnerai i bimbi a scuola, starai in fila per le analisi, magari tamponerai la macchina davanti, e perderai la giornata tra vigili urbani, denunce all’assicurazione, carro attrezzi e officine. E sarai nervoso e nessuno potrà rivolgerti la parola, e forse lo sconteranno moglie e figli stasera.

Ma contemporaneamente tu hai un destino eterno, così come sei. La tua vita non inizia e non finisce qui, la “pace” vera non si perde per un tamponamento. Neanche per un licenziamento, neppure se scopri di avere un cancro. Perché la “pace” che i “settantadue” discepoli sono inviati ad annunciare è il pegno qui sulla terra della vita celeste. E’ il frammento di Paradiso che Cristo risorto ha consegnato alla sua Chiesa. E’ la sua firma vergata con il sangue sul contratto che ti costituisce erede di un “posto” nella casa del Padre. Il tuo che nessuno potrà occupare e dal quale mai nessuno ti sfratterà.

Un Agnello, infatti, offrendosi muto in sacrificio lo ha conquistato per te. Non ha vinto il male, non l'ingiustizia, non la menzogna del demonio. Ha vinto Gesù, per sempre, “il leone che si è fatto agnello per soffrire” (S. Vittorino di Pettau), perché la sofferenza non ci allontani più da Lui. Sarebbe stato più facile restare Leone tra i leoni e distruggere con la sua forza infinitamente più grande l’orgoglio del demonio. Ma Dio ci ama, non aveva bisogno di dimostrare la sua onnipotenza, ma il potere della sua misericordia.

Per questo ha inviato il Figlio “come un agnello in mezzo ai lupi”, una follia che l’avrebbe consegnato alla loro furia, ad essere sbranato senza combattere. Ma proprio così ha vinto il demonio, perché la sua vera sconfitta è perdere le prede che tiene in schiavitù attraverso il suo inganno. Solo un Leone che si fa agnello poteva annunciare e testimoniare a me e a te che Dio ci ama sino alla fine, dove nessuno potrebbe amarci. Sino a morire sotto i denti affilati dei nostri peccati, senza resistere, per unirci a Lui.

Non lo sai? Non lo hai ancora capito? E’ così che ci ha sposato, strappandoci all’abbraccio mortale del demonio. Prendendo su di sé i nostri peccati, attirando sulla sua carne la nostra infettata dal male. Peccavamo? E lui ci stringeva a sé? Lo rifiutavamo? E Lui accoglieva il rifiuto per trasformarlo in amore. Giorno dopo giorno, peccato dopo peccato, Lui era lì, “sul legno per essere nostro sposo”.

Anche oggi quando ti adirerai, e tradirai chi ti è accanto vendendo ad altro e ad altri il tempo, le cure e le attenzioni che gli spettano, Gesù come un agnello condotto al sacrificio offrirà se stesso e “discenderà negli inferi in cerca di te, pecora perduta. E con te salirà di nuovo al Cielo, per farti entrare nella casa del Padre” (cfr. S. Vittorino di Pettau).

E’ vero, non c’entra nulla Gesù Cristo con le nostre giornate, come con la società, i talk-shows, le discoteche e le banche, le aule parlamentari e i consigli di amministrazione delle multinazionali, gli ospedali dove si praticano aborti ed eutanasia, i campi di guerra e le tane di mafiosi e terroristi. Non c’entra nulla con il mondo che lo rifiuta e lo perseguita. E’ proprio come un “agnello in mezzo ai lupi”, come un partigiano in mezzo a un plotone delle SS.

Eppure proprio per essere il più indifeso, l’ultimo e il più disprezzato, vilipeso, insultato, aggredito, torturato e ucciso può compiere il miracolo che trasforma l’uomo da Leone superbo in figlio mansueto di Dio. Proprio per essere un agnellino in tutti i suoi fratelli più piccoli, nei martiri di ogni generazione, quelli che versano il sangue e quelli che nel segreto vivono la sua vita controcorrente, può riportare a casa la pecora perduta diventata lupo feroce.

Per questo Gesù chiede a tutti noi di “pregare perché il padrone della messe mandi operai nella sua messe”. Ogni uomo gli appartiene, e per strapparlo al demonio ha bisogno di operai, di un popolo che compia la sua opera; dei cristiani che in ogni luogo e ogni generazione estendano l’opera di Gesù perché giunga a tutti. Ha bisogno di te e di me, e per questo occorre pregare perché ci apriamo ad accogliere l’Agnello che ci faccia agnelli.  

Pregare che significa camminare sulla terra fissando il Cielo, per non dimenticare il destino che ci attende e che attende chi ci è accanto.

Pregare, che è convertirsi nella Chiesa, di cui sono immagine i settantadue discepoli inviati da Gesù, rappresentanti dalle Nazioni pagane secondo il computo del Libro della Genesi (Cap. 10), le primizie di ogni popolo radunate nell’Assemblea Santa.

Pregare che è lasciare che il Signore faccia di noi dei testimoni credibili del Cielo, agnelli che non hanno nulla e nessuno che li difenda, che possono offrire la propria vita perché, come Lui, ne hanno di sovrabbondante dentro. Infinita, eterna, da distribuire, da donare ancor prima che venga tolta.

Non siamo, infatti, inviati a benedire l’esistente, le situazioni di peccato e menzogna, ma a caricarcene inchiodati alla realtà, sino a che il peccato dell’altro giunga alla nostra carne e al nostro intimo, perché solo così potremo annientarlo nel potere di Gesù Cristo risorto.

La nostra vita “senza borsa”, ovvero senza pane e denaro, “senza sandali” di scorta caso mai accada qualcosa, è l’unica fabbrica dove si produce pace autentica. Senza la carne, la mente e il cuore dei cristiani che amano con tutto se stessi Dio e il prossimo non può apparire nel mondo per essere accolta e creduta.

Coraggio fratelli, perché anche oggi il Signore ci invia come martiri nelle arene. Saremo presi per pazzi, perché siamo i pionieri della vita celeste, rappresentanti del “posto” che Gesù ha preparato per tutti in Cielo. E si sa, le novità fanno paura. Non ti stupire e scandalizzare, è normale la diffidenza che ti circonderà, come l’incredulità e le reazioni ostili.

Pensaci un attimo. Anche tu ti senti protetto dalle tue abitudini, e se qualcuno bussasse alla tua porta dicendoti che c’è un modo completamente diverso e di gran lunga migliore di vivere, avresti dei dubbi, no? E se l’annuncio penetrasse più a fondo, e si scontrasse con il tuo modo di pensare, con i criteri con cui discerni, e ancora più giù sino a contestare il tuo modo di amare, ti irriteresti eccome. E reagiresti non molto diversamente dai terroristi dell’Isis, tagliando sbrigativamente la testa di chi si è permesso di bombardare con un’altra ipotesi di vita la tua vita.


E' necessario dunque essere ben formati e saldi in una fede adulta, perché in noi si dia autenticamente e senza ipocrisie l’immagine dell’inquilino del condominio costruito per l’eternità nel Cielo. Dobbiamo "annunciare che il Regno di Dio si è avvicinato" proprio a chi non sa neanche che esiste, o lo ha cancellato dal cuore e dalla mente, o lo contesta e perseguita. 

Non possiamo fare distinzioni, ma siamo chiamati a vivere la vita di Cristo, che è sceso a mangiare dai peccatori senza temere di contaminarsi. Non aver paura di "mangiare quello che ti mette davanti" il prossimo, sei accanto a lui per questo, perché il cibo avariato di cui si nutre uccida te e salvi lui. Così si "curano i malati", preparandoli alla loro guarigione eterna che solo Cristo può compiere. 

Prendi quell'offesa, accetta l'umiliazione e l'ingiustizia, obbedisci a quella tonteria che ti comandano, lasciati derubare; muori come un agnello, perché tu hai la vita eterna dentro, e solo così i peccatori potranno vedere che essa esiste, in te che non ti difendi, che non perdi la pace, che sei sereno e felice perché la gioia di Cristo risorto non può toglierla nessuno. 

Non giudicare chi pecca ma caricati con il suo peccato. Forse non subito, forse nell'ultimo istante della sua vita, ma di certo, facendo sempre salvo il mistero intangibile della sua coscienza e della sua libertà, lo vedrai libero entrare nel suo "posto" nella casa del Padre. E' questa la "mercede" dell'operaio di Dio, nessun'altra: vedere tuo figlio divenire "figlio della pace" ed entrare nel Cielo, come il collega, il vicino, il nemico, l'assassino, il peggior peccatore, tutti con te nell'intimità eterna con Cristo, nella lode e nella Pace.


APPROFONDIMENTI

Bebedetto XVI. Timoteo e Tito

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver parlato a lungo del grande apostolo Paolo, prendiamo oggi in considerazione i suoi due collaboratori più stretti: Timoteo e Tito. Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito.

Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione, anche se Luca non ritiene di raccontarci tutto ciò che lo riguarda. L'Apostolo infatti lo incaricò di missioni importanti e vide in lui quasi un alter ego, come risulta dal grande elogio che ne traccia nellaLettera ai Filippesi: «Io non ho nessuno d'animo tanto uguale (isópsychon) come lui, che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre » (2,20).

Timoteo era nato a Listra (circa 200 km a nord-ovest di Tarso) da madre giudea e padre pagano (cfr At 16,1). Il fatto che la madre avesse contratto un matrimonio misto e non avesse fatto circoncidere il figlio lascia pensare che Timoteo sia cresciuto in una famiglia non strettamente osservante, anche se è detto che conosceva le Scritture fin dall’infanzia (cfr 2 Tm3,15). Ci è stato trasmesso il nome della madre, Eunice, ed anche quello della nonna, Loide (cfr 2 Tm 1,5). Quando Paolo passò per Listra all'inizio del secondo viaggio missionario, scelse Timoteo come compagno, poiché «egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio» (At 16,2), ma lo fece circoncidere «per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni» (At 16,3). Insieme con Paolo e Sila, Timoteo attraversò l'Asia Minore fino a Troade, da dove passò in Macedonia. Siamo inoltre informati che a Filippi, dove Paolo e Sila furono coinvolti nell'accusa di disturbatori dell’ordine pubblico e vennero imprigionati per essersi opposti allo sfruttamento di una giovane ragazza come indovina da parte di alcuni individui senza scrupoli (cfr At 16,16-40), Timoteo fu risparmiato. Quando poi Paolo fu costretto a proseguire fino ad Atene, Timoteo lo raggiunse in quella città e da lì venne inviato alla giovane Chiesa di Tessalonica per avere notizie e per confermarla nella fede (cfr 1 Ts 3,1-2). Si ricongiunse poi con l'Apostolo a Corinto, portandogli buone notizie sui Tessalonicesi e collaborando con lui nell’evangelizzazione di quella città (cfr 2 Cor 1,19).

Ritroviamo Timoteo a Efeso durante il terzo viaggio missionario di Paolo. Da lì probabilmente l’Apostolo scrisse a Filemone e ai Filippesi, e in entrambe le lettere Timoteo risulta co-mittente (cfr Fm 1; Fil 1,1). Da Efeso Paolo lo inviò in Macedonia insieme a un certo Erasto (cfr At 19,22) e poi anche a Corinto con l'incarico di recarvi una lettera, nella quale raccomandava ai Corinzi di fargli buona accoglienza (cfr 1 Cor 4,17; 16,10-11). Lo ritroviamo ancora come co-mittente della Seconda Lettera ai Corinzi, e quando da Corinto Paolo scrive la Lettera ai Romani vi unisce, insieme a quelli degli altri, i saluti di Timoteo (cfr Rm 16,21). Da Corinto il discepolo ripartì per raggiungere Troade sulla sponda asiatica del Mar Egeo e là attendere l'Apostolo diretto verso Gerusalemme a conclusione del terzo viaggio missionario (cfr At 20,4). Da quel momento sulla biografia di Timoteo le fonti antiche non ci riservano che un accenno nella Lettera agli Ebrei, dove si legge: «Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui» (13,23). In conclusione, possiamo dire che la figura di Timoteo campeggia come quella di un pastore di grande rilievo. Secondo la posteriore Storia ecclesiastica di Eusebio, Timoteo fu il primo Vescovo di Efeso (cfr 3,4). 

Alcune sue reliquie si trovano dal 1239 in Italia nella Cattedrale di Termoli nel Molise, provenienti da Costantinopoli.
Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Gal 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo libero dai condizionamenti della legge mosaica. Nella Lettera a lui indirizzata, l'Apostolo lo elogia definendolo «mio vero figlio nella fede comune» (Tt 1,4). Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all’obbedienza. Tito riportò la pace tra la Chiesa di Corinto e l’Apostolo, che ad essa scrisse in questi termini: «Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito, e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me... A questa nostra consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito, poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi» (2 Cor 7,6-7.13). A Corinto Tito fu poi ancora rimandato da Paolo - che lo qualifica come «mio compagno e collaboratore» (2 Cor 8,23) - per organizzarvi la conclusione delle collette a favore dei cristiani di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8,6). Ulteriori notizie provenienti dalle Lettere Pastorali lo qualificano come Vescovo di Creta (cfr Tt 1,5), da dove su invito di Paolo raggiunse l'Apostolo a Nicopoli in Epiro (cfr Tt 3,12). In seguito andò anche in Dalmazia (cfr 2 Tm 4,10). Siamo sprovvisti di altre informazioni sugli spostamenti successivi di Tito e sulla sua morte.

Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l'apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole, e proprio in questo tempo di Avvento essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.






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