Vedere cose più grandi
Per salvarsi e conoscere verità e felicità bisogna "incontrare" Gesù. E Dio si è fatto carne proprio per “incontrare” l’umanità, cominciando dalla “Galilea delle genti”. Essendo l’ultima propaggine di Israele sul confine con le terre pagane, essa era un po’ dogana e un po’ terra di nessuno; era appoggiata sulla “via del mare” come su una spina dorsale, la sostenevano traffici e commerci. Era quindi terra di contraddizioni, immagine dell’incoerenza dei coerenti, della carne debole che vanifica Legge e moralismi. Per questo, la Galilea è la nostra vita, una primogenitura che fatica a restare a galla tra i marosi del mondo. Galilea è questo momento dell’esistenza di tuo figlio, come la storia e i luoghi di ogni uomo. Non c’era terra migliore dove iniziare la missione, e per questo Gesù ha “stabilito di andarci”, facendo della Galilea la profezia di ogni luogo dove chi lo “cerca” lo può “trovare”, e chi non lo cerca può essere trovato. Come è accaduto ai primi cinque “discepoli”. Cinque era, infatti, il numero minimo di discepoli che doveva avere un rabbino; ma cinque sono anche i libri della Torah, come i sensi dell’uomo: quei cinque discepoli erano la primizia della Chiesa, l’assemblea santa radunata da Gesù nella quale la Torah si sarebbe fatta carne e sensi, perché l’uomo finalmente potesse vivere secondo l’immagine e la somiglianza del suo Creatore, al servizio cioè dell’amore. Erano Andrea, Giovanni, Pietro e poi Filippo e Natanaele. Filippo, era stato “incontrato” da Gesù che lo aveva “chiamato”: "seguimi", che letteralmente significa “metti i tuoi passi nei miei passi”. Nessun discepolo, infatti, si appartiene, ma è il frutto benedetto dell’incontro con il Maestro. Incontrato per incontrare, amato per amare, un discepolo è carne della carne di Gesù, ogni suo pensiero, sguardo, parola e gesto è un passo deposto nel suo passo. Per questo Gesù potrà dire a Natanaele di “averlo visto sotto il fico prima che Filippo lo chiamasse”. Era Lui che lo aveva “incontrato” guardandolo negli occhi di Filippo perché lo “aveva visto prima” che la carne lo inducesse a dubitare che il Messia potesse venire da una città mai nominata dalla Scrittura. Filippo stesso era la prova di quell’amore che andava al di là di ogni obiezione; si trovava lì perché lui per primo era un frutto della misericordia di Dio che perdona il peccato trasformando il cuore. Non a caso, infatti, sulle labbra di Filippo sorgevano le stesse parole che Gesù aveva detto ad Andrea e a Giovanni: “vieni e vedi”. E Natanaele ascolta e obbedisce, perché si è sentito “cercato” e amato da Filippo “sotto il fico” dove i saggi scrutavano le Scritture, accogliendo anche i suoi dubbi, senza moralismi. E seguendo Filippo ha potuto "incontrare" il Messia: nessuno aveva “conosciuto” il suo intimo “privo di malizia”, neanche lui stesso. Perché nessuno lo poteva aver “visto” già perdonato! Gesù sì, e per questo era il Messia: aveva “visto” la “ricerca” di Natanaele uguale a quella di ogni uomo. Non gli importava dei suoi dubbi, gli importava il suo desiderio di Lui. Lo stesso che vede oggi in te e in me: dove sei seduto cercando la felicità? Forse sei già nella Chiesa, e preghi e cerchi di capire come Natanaele. O forse sei in Galilea, commerciando affetti e stima, sperando dal mondo verniciato di religione un briciolo di pace e di gioia. O forse sei completamente in terra pagana, schiavo di qualche concupiscenza, al guinzaglio di qualche peccato. Non importa, non oggi! Gesù sa "vedere prima" dei nostri peccati il desiderio del suo amore che c'è nel nostro cuore. Sa che "da Nazaret non poteva venire niente di buono", ma vi è sceso per trasformare in buono ciò che non lo è. Come ha fatto con Natanaele, trasformando il suo dubbio in una splendida professione di fede: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!"; ogni attesa messianica si coagulava in quell'uomo venuto da Nazaret. Sì, c'è "falsità" in noi: il nostro cuore trama sempre gettando "esche" perché gli altri abbocchino, secondo il senso originale del termine reso con "falsità". Noi "incontriamo" gli altri per farne delle prede con cui saziarci. Ma Gesù ha il potere di estirpare questo veleno e farci liberi per amare. Ci vede, infatti, come ha visto Giacobbe, stanco e claudicante; e ci appare oggi sulla Croce per donarsi, chiamandoci a salirvi per contemplare "cose più grandi" anche dell'essere amati così come siamo. E che cosa c'è di "più grande" di questo? Amare così come siamo amati. "Salire e scendere" come "angeli" (messaggeri) con Cristo sulla "scala" della Croce per incontrare i peccatori, annunciargli il Vangelo, e condurli in Cielo. Vivere così è la "cosa più grande" che ci sia: aprire il Cielo sugli uomini ai quali il demonio lo ha chiuso, gettandoli nella disperazione e nei peccati. Vivere la vita del Messia "figlio di Giuseppe", il servo sofferente della tradizione ebraica, che ha offerto se stesso per strappare gli uomini alla morte.
L'ANNUNCIO |
Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.
Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret».
Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».
Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».
Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!».
Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».
(Dal Vangelo secondo Giovanni 1, 43-51)
Per salvarsi e conoscere verità e felicità bisogna "incontrare" Gesù. Per questo Dio si è fatto carne iniziando una storia di salvezza incontrando Abramo; e poi ha continuato a ricamarla come un arazzo, intessendola di incontri sul cammino degli uomini, tra speranze e fallimenti, slanci eroici e peccati. Sino a quei giorni nei quali il “tempo” ha “incontrato” la sua “pienezza” perché finalmente Dio era sceso di persona ad “incontrare” l’umanità; cominciando dalla Galilea.
“Galilea delle genti” era
chiamata, essendo l’ultima propaggine di Israele sul confine con le terre
pagane, un po’ dogana e un po’ terra di nessuno; appoggiata alla “via del mare”
come su una spina dorsale, la sostenevano traffici e commerci. Era quindi terra di contraddizioni, idolatrie
miste a desideri di purezza e sincerità. Galilea, ovvero l’incoerenza dei coerenti, la carne debole che vanifica Legge e
moralismi.
Perché la Galilea è la nostra vita, una primogenitura che fatica a restare
a galla tra i marosi del mondo. Galilea è questo momento dell’esistenza di tuo
figlio, ma è anche il bar all’angolo dove fai colazione ogni giorno, il banco
di frutta del mercato, i locali della parrucchiera e del barbiere, l’ufficio e
la scuola.
Non c’era terra migliore dove iniziare la missione, e per questo
Gesù ha “stabilito di andarci”, facendo della Galilea la profezia di ogni luogo
dove chi lo “cerca” lo può “trovare”, e chi non lo cerca possa essere trovato.
Come è accaduto ai primi cinque “discepoli”.
Cinque era, infatti, il numero minimo di discepoli che doveva
avere un rabbino; ma cinque sono
anche i libri della Torah, come i sensi dell’uomo: quei cinque discepoli erano la
primizia della Chiesa, l’assemblea santa radunata da Gesù nella quale la Torah si sarebbe
fatta carne, perché l’uomo finalmente potesse vivere secondo l’immagine e la
somiglianza del suo Creatore, al servizio cioè dell’amore.
Erano Andrea e Giovanni, che avevano
“cercato” l’Agnello di Dio annunciato dal Battista seguendolo fin dentro la sua dimora. E
una volta “trovatolo” erano corsi ad “incontrare” Pietro, il fratello di
Andrea, per annunciargli di aver “trovato” il Messia e “condurlo” da Lui.
E
Filippo, “incontrato” e “chiamato” da Gesù a “seguirlo”, “akuluseymoi” che letteralmente significa “metti i tuoi passi nei miei passi”. E
proprio per averlo fatto Filippo ha “incontrato” Natanaele per annunciargli
l’”incontro” che gli aveva cambiato la vita.
Nessun discepolo, infatti, si appartiene, ma è il frutto benedetto dell’incontro
con il Maestro. Incontrato per
incontrare, amato per amare, un
discepolo è carne della carne di Gesù,
ogni suo pensiero, sguardo, parola e gesto è un passo deposto nel suo passo.
Per questo Gesù potrà dire a Natanaele di “averlo visto sotto il fico prima che
Filippo lo chiamasse”. Era Lui che lo aveva “incontrato” guardandolo negli
occhi di Filippo; era Lui che si incarnava nell’annuncio di quel suo
“discepolo”: “abbiamo incontrato colui di cui ha scritto Mosè nella Legge, come
pure i profeti. Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”.
Filippo era lì a posare
lo sguardo di Gesù su Natanaele perché lo “aveva visto prima” che la carne lo inducesse a dubitare che il Messia
potesse venire da una città mai nominata dalla Scrittura. Filippo era la prova di quell’amore che andava al di
là di ogni obiezione; si trovava lì
perché lui per primo era un frutto della misericordia di Dio che perdona il
peccato trasformando il cuore e la mente.
Non a caso, infatti, sulle labbra
di Filippo sorgevano le stesse parole
che Gesù aveva detto
ad Andrea e a Giovanni: “vieni e vedi”. E Natanaele ascolta e obbedisce. Forse perché Filippo è stato convincente? No, non gli
ha risposto con chissà quale discorso. Gli
ha semplicemente annunciato la sua esperienza, invitandolo a farla anche lui.
Questo è il cuore dell’evangelizzazione: “vieni e vedi quello che io ho
sperimentato e ti ho annunciato”. L’iniziativa è sempre di Dio che mi viene a
“trovare” attraverso la predicazione
del Battista. Solo dopo anche io posso “incontrare” Dio fatto carne
nell’Agnello che toglie il peccato del mondo.
Ascoltare la Buona Notizia e lasciarsi amare è il primo vagito
della fede, ma è così dolce, speciale e unico, che mette addosso una fame da
lupi… Per questo, il secondo passo è seguire Gesù in un cammino di conversione per
giungere a dimorare presso di Lui.
Il
frutto della conversione, infatti, è entrare con Cristo nel Sabato (che inizia
proprio “verso le 4 del pomeriggio”…) preparato per ogni uomo, quello della Pasqua nella
quale, verso sera, era immolato
l’agnello. Ciò significa concretamente attingere alla Grazia del battesimo
attraverso i sacramenti; soprattutto quelli della penitenza e dell’eucarestia, per
lasciarsi risuscitare e così camminare in una vita nuova, non più schiava del
peccato.
La vita di Cristo operante nei discepoli, che li spinge ad uscire da se stessi per “incontrare” gli altri e
annunciargli il Vangelo, offrendo la propria carne - la propria esperienza - come
un antipasto per stimolare l’appetito…
Così è accaduto a Natanaele, che si è
sentito “cercato” e amato da Filippo “sotto il fico” dove i
saggi scrutavano le Scritture, accogliendo anche i suoi dubbi, senza moralismi.
Per questo Natanaele lo ha seguito e ha potuto ascoltare da Gesù l'annuncio capace di sedurlo nella misericordia.
Nessuno aveva “conosciuto” il suo intimo “privo di malizia”, neache lui stesso. Perché nessuno lo poteva aver “visto” già perdonato! Gesù sì: aveva “visto” la “ricerca” di Natanaele uguale a
quella di ogni uomo. Non gli importava dei suoi dubbi, gli importava il suo
desiderio di Lui. Era questo che Gesù aveva visto sotto il fico.
Come lo vede oggi in te e in me: dove sei seduto cercando la felicità? Qual'è il tuo albero? Forse sei già nella Chiesa, e preghi e cerchi di capire come Natanaele. O forse sei in Galilea, commerciando affetti e stima, sperando dal mondo verniciato di religione un briciolo di pace e di gioia. O forse sei completamente in terra pagana, schiavo di qualche concupiscenza, al guinzaglio di qualche peccato.
Non importa, non oggi! Gesù sa "vedere prima" dei nostri peccati il desiderio del suo amore che c'è nel nostro cuore. Lui sa che "da Nazaret non poteva venire niente di buono", perché anch'essa è in Galilea, come anche Cana, città di Natanaele. Ma Lui vi è sceso per trasformare in buono ciò che non lo è. Come ha fatto con Natanaele, trasformando il suo dubbio in una splendida professione di fede: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".
Sì, c'è "falsità" in noi: il nostro cuore trama sempre gettando "esche" perché gli altri abbocchino, secondo il senso originale del termine reso con "falsità". Noi "incontriamo" gli altri per farne delle prede con cui saziarci. Ma Gesù ha il potere di estirpare questo veleno e donarci il suo amore.
Per questo Lui ci vede oggi come ha visto Giacobbe stanco e claudicante, disteso per riposarsi un po'. E ci appare sulla Croce dove ha offerto se stesso. E ci chiama a salirvi per contemplare "cose più grandi" di qualsiasi immaginazione. "Più grandi" anche dell'essere amato così come sono. E che cosa c'è di "più grande" di questo? Amare così come siamo amati.
"Salire e scendere" come "angeli" (messaggeri) con Cristo sulla "scala" della Croce per incontrare i peccatori, annunciargli il Vangelo, e condurli in Cielo. Vivere così è la "cosa più grande" che ci sia: aprire il Cielo sugli uomini ai quali il demonio lo ha chiuso, gettandoli nella disperazione e nei peccati. Vivere la vita del Messia "figlio di Giuseppe", il servo sofferente della tradizione ebraica, che ha offerto se stesso per strappare gli uomini alla morte.
αποφθεγμα Apoftegma
Lo vide il Signore, del quale è stato detto:
“La luce si è levata per coloro che erano seduti all'ombra della morte” (Is 9, 2).
Che cosa è stato detto a Natanaele?
Tu chiedi a me, o Natanaele, dove ti ho conosciuto?
Tu parli ora con me, perché Filippo ti ha chiamato.
Ma, colui che il Signore chiamò per mezzo del suo apostolo,
costui già prima lo aveva visto appartenente alla sua Chiesa.
O tu Chiesa, o tu Israele, in cui non c'è finzione...,
hai già conosciuto Cristo per mezzo degli Apostoli,
come lo conobbe Natanaele per mezzo di Filippo.
Ma la sua misericordia ti vide prima che tu lo conoscessi,
quando ancora giacevi sotto il peso del peccato.
Sant'Agostino
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