Nel mare aperto della Verità
Che cosa penseresti se chi credi che ti ami di più ti costringesse ad entrare in una barca in piena notte e con il mare minaccioso? Che lo fa per amore? Se tuo padre ti obbligasse a passare da una cima all'altra del Gran Canyon camminando su un filo, non dubiteresti del suo amore? Chi ama veramente non fa queste cose, ma protegge, difende, non lascia mai solo l'altro. Ecco, questo è quello che noi pensiamo, ancora, di Dio. Che è meraviglioso quando si tratta di miracoli, ma poi, durante i giorni e le ore, è assente. Belle le liturgie, le feste, la predicazione, i ritiri spirituali, i pellegrinaggi. Stupendo anche quando Dio ha moltiplicato i pani e i pesci nella mia vita: ha guarito mio figlio, mi ha riconciliato con mio marito, mi ha regalato un lavoro. Ma oggi, perché mi sta "costringendo" ad entrare in questa barca e in questo mare senza di Lui? Perché questa relazione è così pesante? Perché devo obbedire a questi superiori che mi chiedono l'impossibile? Perché il buio della notte? Gesù non era venuto per portare la luce? Niente, non riusciamo proprio a "comprendere", a prendere con noi la storia perché il nostro cuore è "pietrificato". Non ama, e quindi non riesce a vedere l'amore di Dio in nulla. Neanche un miracolo ci ha aperto gli occhi! Siamo induriti perché schiavi della paura della morte. Ci abbiamo provato ad amare, ma al primo urto con la diversità dell'altro, alla prima delusione ci siamo chiusi terrorizzati. Chi ha assaporato l'amaro della morte non ne vuol più sapere. Per questo abbiamo paura a donarci veramente, rischiando noi stessi. Ci interessa solo avere ogni giorno il pane per saziarci, quello moltiplicato da Gesù per carità; ma lo confondiamo con l'affetto e la stima di chi ci è accanto, e chi se ne importa se appoggiamo le relazioni sull'inconsistenza dei sentimenti. Mille volte meglio l'ipocrisia del compromesso che il mare aperto della verità. Per questo il Signore, appena compiuto il segno dei pani, “costringe” i discepoli a salire sulla "barca" e a precederlo all’altra riva. Li obbliga ad entrare insieme alla comunità nella verità di caos che è nel loro cuore. Li spinge a sbattere contro la durezza del loro cuore, altrimenti non avrebbe potuto guarirli. Noi pensiamo che siano gli eventi a trascinarci nell’angoscia e nella paura, ma non è così. Il Vangelo ci dice che già prima di salpare i discepoli avevano il cuore indurito. In mezzo al mare in tempesta e al vento che soffia contrario si svela la schiavitù che indurisce il cuore: la paura del soffio di disprezzo delle parole e degli atteggiamenti degli altri, il terrore delle onde di invidia e odio che ci seppelliscono nell’insignificanza e nell'oblio. I miracoli che abbiamo visto non bastano, perché a un cuore indurito non appaiono come segni dell'amore di Dio, ma solo aiuti dovuti a chi è in credito con Lui. Tutti abbiamo bisogno del miracolo definitivo, che cioè l’Autore stesso del miracolo prenda dimora dentro di noi. Per questo, Gesù ha "compreso" ciascuno di noi, ha preso con sé la nostra carne e il nostro sangue e ci ha attraversato la morte; con questo nostro corpo ha camminato sul mare, “passando oltre” la nostra paura per attirarci con Lui, e ridurre all’impotenza l’autore d’ogni indurimento. Coraggio allora, perché Lui ci vede anche oggi affaticati tra le onde, e per questo ci viene incontro con amore per raccogliere la nostra paura e distruggere l’orgoglio che ci tiene schiavi. No, "non è un fantasma", è Lui vivo nella nostra notte, nel nostro matrimonio, in ogni dolore e fallimento. Ascolta, ti dice: “Sono Io”, ti ho "costretto" ad entrare nella Croce per amore, perché questo lo puoi sperimentare gratuito e disinteressato solo al limite delle capacità umane, dove sei solo con la tua debolezza, l'incoerenza, i tradimenti e i peccati, e nulla di questo ti serve per sfuggire all'esercito del faraone. "Sono Io" e ti amo aprendo il mare per te, senza che tu possa fare nulla. Per questo, chi ha sperimentato il mio amore, si fida di me e segue le mie orme. Ama come è stato amato, quindi "comprende" la storia, la assume e sa addirittura "costringere" l'altro, il marito, la moglie, i figli, i parrocchiani ad entrare nel mare aperto della libertà. Ha capito che non era solo nella tempesta, perché Gesù gli era sempre vicino mentre pregava per lui. E così un cristiano sa tagliare i legami carnali e restare a pregare per l'altro mentre lo spinge ad incontrarsi con Cristo. Perché un cristiano è passato dalla morte alla vita con Cristo, e il miracolo lo porta nella sua carne. Può donarsi sino alla fine.
L'ANNUNCIO |
[Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare.
Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.
Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò.
E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
(Dal Vangelo secondo Marco 6, 45-52)
Un “cuore indurito” non può vedere e riconoscere il Signore, “pensa sia un fantasma”, il frutto di un’allucinazione religiosa, l’oppio dei popoli. Chi ha il cuore pietrificato, secondo l’originale greco tradotto con “indurito”, non riesce a “mettere, prendere insieme” - com-prendere – i diversi aspetti della realtà.
Tutto resta frammentato, senza ordine, e anche l’amore di Dio scivola via tra i brandelli della vita. Per questo il Signore, appena compiuto il segno dei pani, “costringe” i discepoli a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva. Li spinge ad entrare nella notte e nel mare, immagini del caos, del nulla, del male e della morte che sono nel mondo ma anche nel cuore di ogni uomo.
Il compimento della sua opera, infatti, non è saziare la carne, ma strapparlo al disordine generato dal peccato e farlo partecipe della sua stessa vita. Il traguardo della sua incarnazione non è risolvere qualche problema e dare soddisfazione ai desideri che fioriscono dalle pulsazioni della carne. Lui mira molto più in alto: fare dei suoi discepoli il popolo della vita eterna.
Per questo la barca, immagine della Chiesa, deve passare attraverso il mare increspato dal vento contrario: senza Pasqua non si arriva al Cielo. Per questo Gesù conduce i cristiani nella realtà, ordinando di “precederlo sull’altra riva”, gettandoli così nella Pasqua: li invia in una traversata fin dentro la verità, che per loro era ancora oscura come la notte che li avvolgeva.
Egli però resta in preghiera, accompagnandoli così con la sua intercessione: il Signore non ci lascia un istante, anche quando ci sembra di essere soli di fronte alle avversità. E’ Lui che ci spinge ad entrare nel deserto di ogni giorno, perché nulla è frutto del caso, ma “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio e da Lui sono amati”.
Gesù è, infatti, il protagonista assoluto di questo episodio: costringe, prega, vede, va', cammina, e parla, e da ogni gesto e parola sgorga, benefico, il suo amore. Egli conosce il cuore dei discepoli, incapace di reggere l’urto del miracolo dei pani e dei pesci compiuto da Gesù attraverso la loro debolezza, paralizzato di fronte alla sovrabbondanza scaturita dalla loro pochezza.
Gesù conosce l’orgoglio che si cela nello stupore dei discepoli, che non ha nulla di umile, e così diverso da quello della Vergine Maria che la schiude, invece, alla fede e all’obbedienza. Come noi, i discepoli sono ancora prigionieri di se stessi, scandalizzati delle proprie debolezze e incapaci di accettarle; guardano a Gesù attraverso di esse, con diffidenza.
Per questo sono “costretti” ad entrare in quella notte e in quel mare che Gesù sapeva infido e prossimo alla tempesta. Per loro e per noi, per i nostri figli che così spesso vorremmo strappare alla realtà, è necessario lo stesso cammino che Dio ha fatto percorrere al Popolo di Israele per quarant'anni nel deserto.
Ma abbiamo paura, ed è perché non amiamo, non speriamo né desideriamo il bene dell'altro. Ci interessa solo avere ogni giorno il pane per saziarci, l'affetto e la stima di chi ci è accanto, non importa se appoggiamo le relazioni sull'inconsistenza dei compromessi. Mille volte meglio l'ipocrisia del compromesso che il mare aperto della verità.
Chi, invece, ha conosciuto l'amore di Cristo, sa per esperienza come bisogna essere amati. Si è visto prendere e buttare in mare, perché è solo al limite delle capacità umane, dove cioè non si può fingere e scappare, che si sperimenta l'amore gratuito e disinteressato di Dio.
Lui appare miracolosamente proprio dove sei solo con la tua debolezza, l'incoerenza, i tradimenti e i peccati, e nulla di questo ti serve per sfuggire all'esercito del faraone . Lui ti ama aprendo il mare per te, senza che tu possa fare nulla.
Per questo, chi lo ha sperimentato, si fida di Dio e segue le sue orme. Ama come è stato amato, quindi sa addirittura "costringere" l'amato (che cosa urticante, altro che politicamente corretto).
Sì, chi ama davvero nell'amore di Cristo sa riconoscere i momenti in cui spingerlo in mare aperto. Nel matrimonio ad esempio, sono quelli in cui vorremmo invece legare a noi il coniuge, piegarlo alle nostre opinioni, illudendoci di preservare così un brandello di affetto; o nell'educazione dei figli, proprio quando il cuore e la ragione ferita dalla carne ci indurrebbero a legarli a regole sicure.
Solo chi ama davvero sa discernere quando è il momento di "costringere" il prossimo a buttarsi nella libertà. Come Gesù ha fatto e fa anche oggi con ciascuno di noi: è il suo amore se ci ritroviamo affaticati a remare mentre il vento soffia contrario.
E' l'amore che ci svela a noi stessi, per farvi discendere la fede che si abbandona alla fedeltà di Dio. Come accadde al Popolo di Israele durante il cammino nel deserto, la traversata nel buio, il vento e le onde che incontriamo nella nostra vita ci umiliano e mettono alla prova, per sapere quello che abbiamo nel cuore e se possiamo osservare o no la Parola di Dio.
E' l'amore che ci svela a noi stessi, per farvi discendere la fede che si abbandona alla fedeltà di Dio. Come accadde al Popolo di Israele durante il cammino nel deserto, la traversata nel buio, il vento e le onde che incontriamo nella nostra vita ci umiliano e mettono alla prova, per sapere quello che abbiamo nel cuore e se possiamo osservare o no la Parola di Dio.
Siamo nati per amore, lo stesso che ha sospinto i discepoli nella barca; la vita, infatti, è il passaggio all’altra riva, il compimento della Pasqua che ci farà approdare sulle sponde del Regno dei Cieli, la terra che ci è stata promessa sin dal concepimento.
E così è di ogni giorno, sulla cui soglia il Signore ci accoglie ripetendoci che “sta per farti entrare in un paese fertile… dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla... Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio… Quando avrai mangiato e ti sarai saziato… e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze” (cfr. Dt 8).
La nostra vita è quindi una traversata della memoria, fondata sull’esperienza umiliante della propria debolezza “guardata” e raggiunta da Gesù con infinita misericordia. Il vento, infatti, aveva solo svelato quello che in realtà i discepoli avevano nel cuore. Noi pensiamo che siano gli eventi a trascinarci nell’angoscia e nella paura, ma non è così. Vi è in noi qualcosa di più profondo e latente. Il Vangelo ci dice che già prima di salpare i discepoli avevano il cuore indurito, ed è un’istantanea sulla condizione esistenziale dell’uomo.
La Lettera agli Ebrei così la descrive: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb. 2,14-15). Su quella barca, come nella nostra storia, si svela la schiavitù che ci indurisce il cuore, la paura delle onde del disprezzo, dell’insignificanza, della sofferenza della morte.
Il cuore dell’uomo è pietrificato e incapace di perdonare e amare perché schiavo di colui che della morte ha potere, il diavolo. E’ lui che ha fatto del nostro cuore un callo duro e impenetrabile, depositandovi, come in Adamo ed Eva, la menzogna primordiale. Il miracolo dei pani e dei pesci aveva scosso i discepoli, come i tanti disseminati nella nostra vita scuotono noi; ma il cuore ha bisogno d’altro ancora. Occorre il miracolo definitivo, è necessario che l’Autore stesso del miracolo prenda dimora dentro di noi.
Per questo, Gesù ha preso la nostra carne e il nostro sangue, e con questo nostro corpo ha camminato sul mare, ha attraversato la morte “passando oltre” la nostra paura per attirarci con Lui, e ridurre all’impotenza l’autore d’ogni indurimento.
Gesù ci vede anche oggi, in famiglia, in ufficio, all’università, affaticati tra le onde di cui non riusciamo ad avere ragione. Ci conosce e per questo ci capisce e ci viene incontro con amore per raccogliere la nostra paura e distruggere l’orgoglio che ci tiene schiavi.
“Sono Io”, sono Dio ora nella tua vita; “non aver paura”, ho vinto la morte e il peccato e sono qui per entrare con te nella barca. Insieme attraverseremo questa tempesta per giungere alla pienezza della vita. Solo chi ha la vita eterna di Gesù con sé dentro la barca, sperimenta, il dono di un cuore nuovo e capace di amare, e occhi e mente trasfigurati che sanno com-prendere ogni frammento della vita come tessere di un mosaico che Dio ha creato colmo di bellezza, bontà e verità.
Ora si com-prende anche la missione affidata ai discepoli: “Date voi stessi loro da mangiare”. Di fronte a questo erano induriti nella paura che rendeva impossibile il dono di se stessi. Ma Gesù, con quelle parole, aveva profetizzato loro quello che oggi profetizza a ciascuno di noi: voi stessi diventerete cibo capace di saziare questa generazione.
APPROFONDIMENTI
Benedetto XVI. Gesù calma le acque del mare
Benedetto XVI. San Pio da Petralcina ha lottato con Cristo contro le onde della morte
Raniero Cantalamessa. La Tempesta sedata
Gianfranco Ravasi. «È un fantasma!»
San Pietro Crisologo. Subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti
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αποφθεγμα Apoftegma
C'è però un'altra forza - una forza positiva - che muove il mondo,
capace di trasformare e rinnovare le creature:
la forza dell'amore di Cristo.
Nel mistero pasquale,
Gesù è passato attraverso l'abisso della morte,
poiché Dio ha voluto così rinnovare l'universo:
mediante la morte e risurrezione del suo Figlio "morto per tutti",
perché tutti possano vivere "per colui che è morto e risorto per loro",
e non vivano solo per se stessi.
Benedetto XVI
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