αποφθεγμα Apoftegma
Il dono totale di sé offerto da Cristo sulla croce sia per voi principio,
stimolo e forza per una fede che opera nella carità.
La vostra missione nella Chiesa e nel mondo
sia sempre e solo «in Cristo», risponda alla sua logica e non a quella del mondo,
sia illuminata dalla fede e animata dalla carità
che provengono a noi dalla Croce gloriosa del Signore.
Benedetto XVI
Benedetto XVI
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 17,26-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”. Allora i discepoli gli chiesero: “Dove, Signore?”. Ed egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi”.
CHIAMATI A OBBEDIRE PERCHE' NEL DESERTO DELLA STORIA L'ARCA DELLA CHIESA SIA IL SEGNO DI CONTRADDIZIONE CHE DESTA OGNI UOMO ALLA CONVERSIONE
Anche oggi ci siamo alzati, lavati, vestiti, abbiamo fatto colazione e siamo saliti in macchina o in metropolitana diretti verso le cose di ogni giorno; forse qualche novità, un esame all'università, un appuntamento importante, comunque una giornata come le altre, sino all’istante in cui spegneremo la luce per addormentarci. Ma se su questo giorno si stendesse, improvvisa, la coltre della “notte” e dovessimo morire? Sarebbe tutto perduto, finito? Moriremmo con la vita troncata a metà, affamati come se ci avessero scacciato da un banchetto dove abbiamo potuto “mangiare” solo qualche antipasto e “bere” appena un paio di aperitivi? Ci sentiremmo frustrati dopo aver faticato invano per “comprare” affetti, delusi per non aver fatto in tempo a “costruirci” la carriera, basiti con i semi di un amore appena “piantati” e non ancora fioriti, sorpresi a cercare di “vendere” di nuovo e in un altro modo la nostra immagine? Salperemmo con l’ira di chi si crede vittima di una colossale ingiustizia? Eppure è quello che sperimenteremo proprio oggi. Ogni giorno, infatti, puntuali arrivano parole impreviste che ci umiliano, altri sono pronti a prendere decisioni inaspettate che stravolgono i nostri piani, le incomprensioni e i giudizi graffiano all’improvviso le relazioni a cui più teniamo; e, pur ribellandoci e lottando, coliamo a picco, perché non ci rendiamo conto che anche oggi, come sarà quello della morte per ciascun uomo e l’ultimo per il mondo, è il “giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà”.
Il Signore, infatti, invia ogni giorno “Noè” a preparare davanti a tutti un’arca sulla terra ferma quando sembra splendere il sole, mentre Lot, accanto a noi, è in fuga da tutto quello che ci rapisce cuore e mente. E’ la Chiesa, posta nel mondo come un segno di contraddizione. I suoi figli, come Noè, sono stati scelti per restare ogni istante nell’ “arca” della vita nuova, in attesa del Signore; come Lot, fuggono dall’ipocrisia del mondo vivendo nella verità e nella libertà ogni rapporto. Non temono la morte, perché hanno dentro la vita che non muore. Nulla li sorprende, perché nulla è improvviso per chi ha la certezza che neanche la più grande sofferenza, il fallimento più atroce, potrà separarli dall’amore di Dio “rivelato” in Cristo Gesù. Non dobbiamo far nulla di speciale, solo ci è chiesto di obbedire come il Popolo di Israele nella “notte” di Pasqua: abbandonare in fretta le “nostre cose”, le zavorre affettive e gli idoli che non ci hanno saziato, senza “voltarci indietro” come la moglie di Lot, con il cuore ancora a Sodoma, perché ne resteremmo di nuovo intrappolati. E lasciarci umilmente liberare dal sangue di Cristo, ungendo con il suo perdono gli stipiti della nostra vita, perché nella “notte” che arriva, il peccato e la morte non ci lascino prede degli “avvoltoi”. Anche oggi, infatti, “due” uomini e “due” donne faranno le stesse cose, quelle di ogni giorno; uno “perdendo la vita” e l’altro “cercando di salvarla”, uno, secondo il significato dei termini greci originali, “offrendo la vita” e l’altro restandovi “attaccato”.
COMMENTO COMPLETO
Spesso la superficialità costituisce la maggior parte della topografia delle nostre anime. Per questo il Vangelo è terribilmente serio. Senza vie di fuga. I nostri giorni, e le cose con le quali li riempiamo, e quelle che ci son date per darne un senso, sono tutte, indistintamente, le tavole con le quali ci trastulliamo a fare surf sulla vita. E' triste, ma è così. Tutto scivola, non inganniamoci, anche quando sembrano serie le cose, importanti gli impegni, oneste le faccende. Ma dov'è il nostro cuore?
Anche oggi ci siamo alzati, lavati, vestiti, abbiamo fatto colazione e siamo saliti in macchina o in metropolitana diretti verso le cose di ogni giorno; forse qualche novità, un esame all'università, un appuntamento importante, comunque una giornata come le altre, sino all’istante in cui spegneremo la luce per addormentarci. Ma se su questo giorno si stendesse, improvvisa, la coltre della “notte” e dovessimo morire? Sarebbe tutto perduto, finito? Moriremmo con la vita troncata a metà, affamati come se ci avessero scacciato da un banchetto dove abbiamo potuto “mangiare” solo qualche antipasto e “bere” appena un paio di aperitivi?
Ci sentiremmo frustrati dopo aver faticato invano per “comprare” affetti, delusi per non aver fatto in tempo a “costruirci” la carriera, basiti con i semi di un amore appena “piantati” e non ancora fioriti, sorpresi a cercare di “vendere” di nuovo e in un altro modo la nostra immagine? Salperemmo con l’ira di chi si crede vittima di una colossale ingiustizia? Eppure è quello che sperimenteremo proprio oggi. Ogni giorno, infatti, puntuali arrivano parole impreviste che ci umiliano, altri sono pronti a prendere decisioni inaspettate che stravolgono i nostri piani, le incomprensioni e i giudizi graffiano all’improvviso le relazioni a cui più teniamo; e, pur ribellandoci e lottando, coliamo a picco, perché non ci rendiamo conto che anche oggi, come sarà quello della morte per ciascun uomo e l’ultimo per il mondo, è il “giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà”.
Ma ne abbiamo le prove, inconfutabili. Il Signore, infatti, invia ogni giorno “Noè” a preparare davanti a tutti un’arca sulla terra ferma quando sembra splendere il sole, mentre Lot, accanto a noi, è in fuga da tutto quello che ci rapisce cuore e mente. E’ la Chiesa, posta nel mondo come un segno di contraddizione. I suoi figli, come Noè, sono stati scelti per restare ogni istante nell’ “arca” della vita nuova, in attesa del Signore; come Lot, fuggono dall’ipocrisia del mondo vivendo nella verità e nella libertà ogni rapporto. Hanno sperimentato che dietro ad ogni evento e ad ogni persona vi è il Signore risorto che li cerca per donarsi a loro.
Non temono la morte, perché hanno dentro la vita che non muore. Nulla li sorprende, perché nulla è improvviso per chi ha la certezza che neanche la più grande sofferenza, il fallimento più atroce, potrà separarli dall’amore di Dio “rivelato” in Cristo Gesù. La presenza di tanti fratelli nei quali risplende la vittoria di Cristo sulla morte è la garanzia che anche oggi Lui verrà, perché “i giorni del Figlio dell’uomo” sono “come avvenne al tempo di Noè e di Lot”, come questo giorno che il Signore ci dona.
La Chiesa è il segno dell’amore di Dio per ogni uomo, la sua testimonianza ci chiama ad aprire gli occhi e a riconoscere nella storia l’avvento del Signore. Non dobbiamo far nulla di speciale, solo ci è chiesto di obbedire come il Popolo di Israele nella “notte” di Pasqua: abbandonare in fretta le “nostre cose”, le zavorre affettive e gli idoli che non ci hanno saziato, senza “voltarci indietro” con il pericolo di lasciare il cuore a Sodoma, perché ne resteremmo di nuovo intrappolati. E lasciarci umilmente liberare dal sangue di Cristo, ungendo con il suo perdono gli stipiti della nostra vita, perché nella “notte” che arriva, il peccato e la morte non ci lascino prede degli “avvoltoi”.
Anche oggi, infatti, “due” uomini e “due” donne faranno le stesse cose, quelle di ogni giorno; uno “perdendo la vita” e l’altro “cercando di salvarla”, uno, secondo il significato dei termini greci originali, “offrendo la vita” e l’altro restandovi “attaccato”. Il Signore passa anche oggi e viene a “prenderci” nella sua intimità per fare di noi i Noè e i Lot per chi ci è accanto. Basta solo “offrirci a Lui”, così come siamo, schiavi e poveri, perché alla luce della Pasqua, “perdere la vita” è semplicemente consegnarla a Colui che ci ha donato la sua, la vera, l’eterna.
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