αποφθεγμα Apoftegma
Chi riconosce i propri peccati …
è più grande di chi fa risuscitare i morti con la preghiera.
Chi piange un’ora sulla sua anima
è più grande di chi abbraccia il mondo intero con la contemplazione.
Colui a cui è dato di vedere la verità su se stesso
è più grande di colui a cui è stato concesso di vedere gli angeli.
S. Isacco della Stella
L'INTIMITA' CON CRISTO NELLA CHIESA CI GUARISCE DAL DEMONE DELL'IPOCRISIA
C'è qualcuno che non ama farsi riconoscere per ciò che crede di essere? O qualcuno a cui non piace essere stimato per quello che è diventato, a prezzo di studi, sacrifici, sofferenze? Nessuno. Un prete? Ma per favore. Magari non cerca di essere chiamato padre o Rabbì, che letteralmente significa monsignore. Ma è autentica umiltà? Perché si tratta, come al solito, di un'attitudine del cuore, al di là dei titoli.
Un prete può anche dire che no, non vuole essere chiamato padre, che lui è l'ultimo, il più piccolo, che deve imparare dai fedeli; e giù voce bassa, sguardo spento, poche iniziative, il minimo sindacale, e poi, fate voi, largo ai laici, io sto dietro, per servire... Bene. Vediamo però se è vera umiltà o, se per caso non è affettazione. E questo vale per tutti, preti, suore, padri e madri, professori o responsabili delle fotocopie in ufficio. Tutti sappiamo usare la carta dell'umiltà, quando quella dell'arroganza non paga...
Vediamo, dunque, l'attitudine che ci sgorga dal cuore di fronte all'umiliazione vera; vera, non quella che ci appiccichiamo da soli e che non fa mai male, essendo pura apparenza. Vediamo quando non ti prendono in considerazione, non perché tu, spontaneamente, hai fatto un passo indietro; no, quando gli altri non ti vedono proprio, e ti accorgi di essere irrilevante.
Vediamo quando non sanno che farsene della tua opinione, o, se te la chiedono, è pura scena, visto che hanno già deciso tutto senza di te. Vediamo quando la storia ti fa scendere all'ultimo posto, tuo malgrado... Non sale, indomito, un fremito dal profondo del cuore, e ti senti soffocare in un'ingiustizia che non puoi sopportare?
Ma come, io sono un prete da anni, capito? Da anni ho "allungato le frange e allargato i filatteri", messe in ogni dove e a qualunque ora, e chilometri per consolare, aiutare, mamma mia quanto zelo profuso... e ora? I giovani sbarbatelli e senza esperienza mi passano avanti.
Sono sempre stato dolce e disponibile per farmi "salutare" sulle piazze; ho aiutato tanti, ho fatto elemosine e regalato denaro, ho invitato tanti a casa mia per avere da loro i "primi posti nei loro banchetti"; ho sudato la gavetta in seminario, e poi nel ministero, per arrivare a "un posto d'onore" nella parrocchia e nella missione, e ora eccomi qui dove nessuno mi consulta... Insomma chi sono diventato?
Forse stai solo scoprendo di essere quello che sei sempre stato... Hai così pervertito l'elezione e il ministero da usare per te le Grazie e i segni che ti sono stati dati per ricordare la gratuità e la misericordia nelle quali fosti chiamato: "perché sei ambizioso e allarghi queste cose? Forse è una tua opera buona? Dio non richiede che si allunghino o allarghino queste cose, ma che si ricordino le sue opere prodigiose" (S. Giovanni Crisostomo). Ti sei appropriato dell'opera di Dio attribuendola a te, per pura vanagloria, esibendola, ricordandola a tutti, facendola pesare, mentre avrebbe dovuto umiliarti e aprirti alla lode e alla gratitudine.
Ma per favore! Guarda che mi sono umiliato abbastanza, sapessi a quante idee e criteri ho rinunciato... Ma questa indifferenza, questa ingratitudine, che cos'è? Questo "posto" non è il mio, non mi si addice, è troppo indietro, è troppo nascosto, qui accanto alla porta di "servizio"...
La verità è che, come accadde al giovane ricco, anche se apparentemente abbiamo fatto tutto secondo il manuale del bravo e zelante uomo di Dio, non abbiamo fatto nulla con amore, ma tutto per saziare la nostra concupiscenza, per seguire i desideri e gli appetiti della carne, celati sotto una camicia nera con colletto bianco. Così come ogni ipocrita nella propria vita, che ha usato l'essere genitore, o coniuge, lavoratore, amico, fidanzata per riempire il vuoto del cuore, dilaniato dalla schizofrenia di dover pensare e decidere da Dio mentre si è povere e inermi creature.
L'identità che supponiamo di avere, infatti, non è questione di titoli. La portiamo dentro, laddove il demonio l'ha deposta avvolta nella bellezza falsa e accattivante della lusinga e della adulazione. Noi l'abbiamo accolta e coccolata durante tutta una vita. Forse anche i genitori hanno pensato di lucidarla e gonfiarla con altre menzogne, del tipo: "puoi fare di più, impegnati...". Ma chi l'ha detto? Tuo figlio ha fatto quello che il suo cuore pigro, indolente ed egoista è capace; ha fatto quello perché non sa soffrire e sacrificarsi: il demonio lo ha ingannato e non può salire sulla Croce.
E tu che fai? Lo illudi, massaggi l'orgoglio e la vanagloria pensando che così si impegnerà di più? Che stolto sei... L'unica salvezza è la Verità. Quella che Gesù ha annunciato circa gli scribi e i farisei; quindi anche su tuo figlio e su di te, padre ipocrita, e su di me, prete moralista.
Ingannati dal demonio "facciamo tutto per essere ammirati", cioè non facciamo nulla gratuitamente, perché non abbiamo ancora conosciuto la gratuità. Viviamo nella legge della menzogna, per questo tutto ciò che diciamo e facciamo è artificiale; le relazioni, anche quelle più intime, soffrono la superficialità e l'estemporaneità delle passioni, dei sentimenti, e non hanno radici solide.
Non siamo "maestri", né "padri" e nemmeno "guide" perché non abbiamo l'esperienza dell'essere discepoli, figli e parte di un popolo che ha bisogno di un Pastore buono che lo conduca! Pensiamo ancora di aver scelto noi Dio, non abbiamo la consapevolezza di essere stati scelti da Lui gratuitamente e immeritatamente. Per questo è tutto uno sforzo, pieno di nevrosi, crisi, stanchezza. Sino a che non accetteremo questa realtà, galleggeremo sui giorni senza lasciare traccia, come maschere obbligate a recitare a soggetto.
Ingannati dal demonio sulla nostra identità, su Dio e sulla nostra storia, come gli scribi e i farisei, "leghiamo pesanti fardelli, difficili da portare, e li poniamo sulle spalle della gente": dobbiamo fare i "maestri", i "padri" e le "guide"; ma è tutta apparenza, perché chi lo è ha sperimentato per primo quello che trasmette, e non impone nulla! Imponiamo e obblighiamo noi che esigiamo d'essere obbediti, e quindi considerati per quello che ci illudiamo di essere. Infatti, i pesi che carichiamo sugli altri, "non vogliamo muoverli neppure con un dito".
Sì, ci siamo "seduti sulla cattedra" dell'uomo più umile della terra, profanandola con la nostra arroganza. Mosé non diceva una parola una che fosse sua; ascoltava e trasmetteva le parole che Dio gli annunciava, restando uno del Popolo, considerandosi l'ultimo di tutti, il peggiore; era, infatti, un fuggitivo, un assassino, e lo sapeva bene. E' la stessa verità che tutti ci definisce, quella che il demonio ci ha occultato, incatenandoci alla schiavitù e alla paura.
Ma oggi Cristo viene di nuovo a liberarci! Coraggio, sei un ipocrita, ma io ti amo. Hai vissuto come una sanguisuga parassita, succhiando vita laddove non ce n'era; non sei riuscito a rianimare l'uomo vecchio, corrotto e moribondo dalla nascita. Ora sei umiliato, e non lo sopporti vero? Bene, è il momento favorevole! Convertiti, convertiamoci! Non siamo Dio, tanto meno "maestri, padri e guide".
Accettiamolo, e iniziamo, una volta per tutte, a seguire davvero il Signore; impariamo ad essere "discepoli, figli e pecore del suo gregge". Così ha fatto Mosè, che sapeva d'essere indegno e inadeguato per la missione che gli era affidata, e proprio per questo ha visto Dio con occhio puro e ha ricevuto dalle sue mani la Parola di vita.
L'umiltà di chi sa di essere l'ultimo peccatore apre il Cielo: infatti, "colui a cui è dato di vedere la verità su se stesso è più grande di colui a cui è stato concesso di vedere gli angeli" (Isacco della Stella).
Nella Chiesa ci è proprio dato di vedere chi siamo e chi è Dio! In essa possiamo così riposare finalmente da tanta fatica per dimostrare quello che non siamo. Camminando in essa possiamo scendere dalle nuvole e dalle cattedre dove abbiamo usurpato il posto di Dio, e ascoltare per imparare, mettendoci a fianco, anzi dietro a tutti quelli che abbiamo fatto soffrire con i nostri moralismi, con le leggi, le regole, gli schemi, i lacci e i ricatti affettivi.
Dietro, all'ultimo posto, l'unico adeguato a te e a me: nascosto, vicino allo sgabuzzino, così è più facile prendere gli attrezzi e cominciare a "servire" quelli a cui abbiamo fatto tanto male... Anche quelli che non conosciamo, ma che con l'orgoglio demoniaco, abbiamo scandalizzato e allontanato da Dio. Non ha fatto così Cristo con te e con me? Non ci ha "serviti" per strapparci all'arroganza? Non si è inginocchiato davanti a noi per lavare ogni peccato, e guarire con l'umiltà la superbia originale?
La verità è che non avremmo diritto neanche all'ultimo posto... E' già una grazia immensa, perché significa comunque fare parte dei suoi discepoli, camminare dietro a Cristo, e non essere scartati. Anzi, è il posto migliore, quello della libertà, della verità, della pace, del bambino che tutto lo deve ricevere, perché di nulla è capace.
E' il posto dove Mosé ha ascoltato la voce di Dio che gli parlava dal roveto ardente; si è tolto i sandali, segno di impurezza, perché era un luogo santo.
L'ultimo posto dell'umiliazione, infatti, è l'unico puro, dove dobbiamo toglierci i sandali della superbia che vuol dirigere la propria vita; qui, nel silenzio del mondo, nell'irrilevanza umana, parla Dio. E rivela la verità della sua identità: Io sono colui che sono; e tu sei solo perché io sono. Io sono Dio, tu no.
E qui, dinanzi a quel roveto che non si consuma, potremo sperimentare la vita autentica, che non muore, quella che viene da Dio, preparata per noi. Qui, all'ultimo posto, è gestata la missione, cioè il senso della nostra vita che nasce dall'esperienza della gratuità dell'amore di Dio.
Allora potremo essere autentici, e andare, balbettando come Mosè, ad annunciare quello che abbiamo visto, ovvero la risurrezione di Cristo, e mostrare quello che abbiamo sperimentato, ovvero la vita eterna nel seno verginale di Maria nostra Madre, la Chiesa che ci accompagna e ci aiuta a scendere e a restare nella verità, all'ultimo posto.
Solo da qui si può seguire il Signore con semplicità e purezza di cuore, senza doppie intenzioni di successo e prestigio. Seguirlo solo perché Lui mi ama, e questo è tutto. Seguirlo perché mi ha perdonato, salvato, ricreato, e dove andare lontano da Lui?
Sì, siamo figli dell'unico Padre che non delude mai; siamo "discepoli" dell'unico "Maestro" che insegna consegnando la propria vita gratuitamente; siamo "pecore" ritrovate del gregge - la Chiesa, la nostra comunità concreta - che l'unico Pastore "guida" ai pascoli della vita eterna.
Riposa, e lasciati amare! Riposa e vedrai che ritroveranno in te la speranza tutti quelli che, a causa dei tuoi ipocriti moralismi, l'avevano perduta. Riposa e fai la volontà di Dio come Mosè, obbedendo alla sua Parola e stringendo il bastone della Croce. Allora vedrai il mare aprirsi dinanzi a te, e potrai condurre alla libertà la tua famiglia, e tutte le persone che Dio ha legato al tuo ultimo posto, al tuo "servizio" di annunciatore e testimone del suo amore.
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