αποφθεγμα Apoftegma
Ho alzato le mani al cielo, verso la grazia del Signore.
Egli ha gettato lontano da me le mie catene.
Il mio protettore mi ha innalzato secondo la sua grazia e la sua salvezza.
Mi sono spogliato dell’oscurità e ho rivestito la luce ;
le mie membra non provano più né pena, né angoscia, né dolore.
Ero disprezzato e riprovato agli occhi della moltitudine.
Mi hai dato forza e soccorso.
Hai posto la luce alla mia destra e alla mia sinistra.
Tutto in me sia luce !
Ho rivestito l’abito del tuo Spirito,
e mi hai spogliato della tunica di pelli.
La tua destra mi ha innalzato e ha cacciato lontano da me la malattia.
La tua verità mi ha irrobustito e la tua giustizia mi ha santificato.
Sono stato giustificato dal tuo amore dolcissimo,
e il tuo riposo è per me nei secoli dei secoli !
Alleluia !
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45.
Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
LA NOSTRA VOLONTA' PIU' AUTENTICA E NASCOSTA NEL CUORE COINCIDE CON QUELLA DEL PADRE E RIVELATA DAL SUO FIGLIO
Reietto, impuro e impossibilitato ad avvicinarsi a chiunque perché considerato dai rabbini un “morto che respira”, il lebbroso aveva molto camminato nelle umiliazioni, nei fallimenti e nel dolore, sino ad arrivare a Cristo. Se non lo aveva scacciato, come secondo la Legge avrebbe dovuto, significava che quel Rabbino di Nazaret era l'unico che lo com-pativa, che cioè conosceva le sue sofferenze e le accoglieva, facendole sue. Come in un cammino di fede, la storia lo aveva condotto dinanzi all'uomo dei dolori, che conosce bene il patire reale di ogni uomo; e si conosce la sofferenza altrui solo avendone esperienza. Gesù infatti era sceso prima di lui in quel rantolo di vita dove il lebbroso deve averlo visto già sul Calvario, senza apparenze d'uomo, disprezzato, rifiuto di tutti, come uno davanti al quale ci si copre il volto. Lo vedeva come un altro se stesso, lebbroso e crocifisso. Per questo, con un’autentica professione di fede, ha potuto deporre in quell’Uomo il suo volere più intimo perché celato dietro le pustole: "Se vuoi puoi guarirmi". E qui ha scoperto quello che chiunque incontra davvero Cristo nella sua vita può sperimentare; la volontà di Dio coincide con quella più vera di ogni uomo, magari sepolta sotto un cumulo di peccati: "Sì, lo voglio, sii guarito!"; che è come dire: "sì, anche io voglio per te la stessa libertà di amare che vuoi tu". Questo stesso dialogo è è possibile nella Chiesa, dove il cammino di umiliazioni e solitudine di chi patisce la lebbra del cuore può finire tra le braccia della sua “compassione”, in greco "splanxnisthèis" (viscere che fremono), in ebraico "rahamin", che rimanda all'amore viscerale di una madre (da "rehem" = utero, seno materno). La compassione di Gesù che si rivela nel seno materno della Chiesa, da cui scaturisce il suo amore capace di accogliere, concepire e generare, dare alla luce, creare e ricreare. Perché essa è sulla terra la sua bocca che ci annuncia la volontà d'amore del Padre, e la sua mano, ovvero i sacramenti attraverso i quali ci tocca perché quella volontà si incarni in noi sanandoci. Il cortocircuito tra la volontà dell'uomo e quella di Dio innesca immediatamente il fuoco dello zelo, che si manifesta sempre con le parole della lode. Come quel lebbroso, anche ogni uomo sanato gratuitamente da Cristo porta la Buona Notizia nella propria carne: la pelle un tempo avvizzita diventa luce, sale e lievito. Le pustole di morte trasformate in stigmate di vita nella comunità, sono le stesse piaghe gloriose del Signore risorto da mostrare e offrire al mondo a testimonianza della sua vittoria sul peccato e la morte. Questa è la fede che si fa notizia nella storia dei cristiani, nei fatti concreti che rivelano le opere di amore prima impossibili, e che annunciano la vita eterna.
COMMENTO COMPLETO
Parole, guarigioni ed esorcismi avevano esteso la fama di Gesù al punto non poteva più entrare pubblicamente in una città, perché essa sgorgava dalla sua compassione. Questa parola traduce in italiano il greco "splanxnisthèis" (avente viscere che fremono) che traduce a sua volta l'ebraico "rahamin", che rimanda all'amore viscerale di una madre ("rehem" = utero, seno materno). La compassione svela dunque il cuore materno di Gesù, da cui scaturisce un amore capace di accogliere, concepire e generare, dare alla luce, creare e ricreare: la compassione che ha abbracciato il lebbroso. Reietto, impuro e impossibilitato ad avvicinarsi a chiunque, aveva molto camminato nelle umiliazioni, nei fallimenti e nel dolore, sino ad arrivare a Cristo, sceso prima di lui in quel rantolo di vita che era diventata la sua. Se non lo aveva scacciato significava che Gesù davvero era l'unico che lo com-pativa, che cioè conosceva le sue sofferenze e le accoglieva, facendole sue. Era come se in quel momento avesse visto Gesù già sulla via del Calvario, senza apparenze d'uomo, disprezzato, rifiuto degli uomini, come uno davanti al quale ci si copre il volto. Lo aveva visto come un altro se stesso, lebbroso e crocifisso. Sì, la storia di solitudine e umiliazioni lo aveva condotto dinanzi all'uomo dei dolori, che conosce bene il patire, il suo. Per questo, come una sincera professione di fede, è sgorgata dal suo cuore l'invocazione che appoggiava ogni suo desiderio su quel Rabbì: "Se vuoi puoi guarirmi". E qui il lebbroso ha scoperto quello che chiunque incontra davvero Cristo nella sua vita può sperimentare: la volontà di Dio coincide con quella più intima e nascosta di ogni uomo. "Sì, lo voglio, sii guarito!".
Questo dialogo è immagine di ogni incontro autentico con Cristo nella Chiesa, dove il cammino di umiliazioni e solitudine di chi patisce la lebbra del cuore può finire tra le braccia della sua compassione. Perché essa è, qui sulla terra, la sua bocca che ci annuncia la volontà d'amore del Padre, e la sua mano, ovvero i sacramenti attraverso i quali ci tocca perché quella volontà si incarni in noi sanandoci. Il cortocircuito tra la volontà dell'uomo e quella di Dio innesca immediatamente lo zelo, che si manifesta sempre con i ritmi e le parole della lode. La vita di quel lebbroso, come quella di ogni uomo sanato gratuitamente da Cristo, diviene così un segno di speranza. Il lebbroso, infatti, portava la Buona Notizia nella carne: la sua pelle un tempo avvizzita era diventata luce, sale e lievito. Laddove erano le pustole di morte, recava ora le stigmate di vita sgorgata dalla mano di Cristo. Era la sua vita a parlare, era la sua carne rigenerata a gridare la gioia. Le parole avrebbero solo spiegato, dato ragione di un fatto, un avvenimento incontrovertibile. Mentre prima era obbligato a camminare gridando «immondo, impuro!», indicando se stesso come persona dove abita la morte - i rabbini definivano i lebbrosi come i “morti che respirano” - ora poteva correre, libero, a proclamare e a divulgare il fatto. E' questa la missione della Chiesa e di ogni apostolo: mostrare al mondo la propria esistenza concreta risuscitata da Cristo nella comunità e offrirla in sacrificio per amore, “a testimonianza” per ogni uomo. E' la fede che si fa notizia nella storia dei cristiani, nella tua e nella mia, nei fatti concreti che rivelano le opere che prima ci erano impossibili, opere d'amore che annunciano la vita eterna.
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