αποφθεγμα Apoftegma
Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" (Gv 19, 28),
che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo,
è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore.
Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù,
era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa,
e la forza interiore che le faceva superare sé stessa
e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo
al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri
Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, Domenica 19 ottobre 2003
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50.
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
LA CROCE TAGLIA TUTTO QUELLO CHE CI FA INCIAMPARE NEL CAMMINO DI FEDE VERSO IL CIELO
La sete di Gesù è un desiderio d'amore e di salvezza per ogni uomo. "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e andare di fretta da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (S. Giovanni Paolo II). Il Signore parla a ciascuno di noi che siamo di Cristo, riscattati, comprati al caro prezzo della sua vita per la missione più grande, avvicinare a ogni uomo il Regno di Dio. Coloro che non lo conoscono hanno infatti il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Per questo basta un bicchiere d'acqua donato ai discepoli nel Nome di Cristo per non perdere la ricompensa che è Gesù stesso che, facendosi ricompensa in noi, lo diviene anche per le persone che aprono il cuore a Lui attraverso la nostra sete. Per questo San Paolo definisce gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto come spettacolo per il mondo. La Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, sono il sale nel quale ci sciogliamo per deporre la salvezza nel mondo. E come fece con il Signore, il demonio ci assedia ogni giorno per farci scendere dalla Croce, far perdere cioè il sapore al sale e diventare scandalo. I piccoli che hanno iniziato a credere nel vedere in un cristiano Colui che lo ha inviato e hanno iniziato a camminare nella Chiesa, sono ancora molto deboli nella fede. Possono subire scandali da coloro che, per superbia, non sono più di Cristo ma dell'avversario. Da te e da me... Ma Gesù conosce il nostro cuore, la fonte da dove nascono gli scandali, e ci mostra la via per combatterli: permanere nel suo amore, legati alla Croce, come Isacco sul Moria. Il timore di perdere la primogenitura e rendere vana la missione affidata spinge infatti i cristiani nella lotta quotidiana per dare morte alle membra che ancora appartengono alla terra: le mani, i piedi e gli occhi di cui parla Gesù, ovvero demonio, carne e mondo. E' il cammino di ogni giorno, il combattimento a volte cruento e doloroso così indispensabile ad ogni missione. Il cammino di Giacobbe che passa per il guado del Jabbok, tappa fondamentale nella sua formazione che lo preparava all'incontro pacificatore con il fratello Esaù, senza il quale non sarebbe potuto diventare il padre delle tribù di Israele. La scoperta e l'accettazione della propria debolezza rivelata da Dio per benedirla e accoglierla, ha permesso a Giacobbe di umiliarsi dinanzi al fratello che temeva per avergli sottratto la primogenitura. Così, appoggiandosi a Dio, ha potuto sperimentare il potere del suo Nome (presenza) nel quale ha visto compiersi l'impossibile della riconciliazione con Esaù, memoriale fondamentale per entrare con fiducia negli eventi dolorosi che lo aspettavano. Doveva infatti entrare nella notte di angoscia per la scomparsa del suo amato Giuseppe, prima che la Provvidenza glielo riconsegnasse come un segno profetico della vittoria di Dio sul peccato che si sarebbe compiuta con la liberazione dei suoi discendenti dalla schiavitù dell'Egitto. Per questo, quasi come un'eco delle parole di Gesù sulla violenza da fare alle proprie membra occasione di scandalo, Giacobbe è stato ferito ed è uscito zoppo dalla lotta con Dio. Meglio compiere la missione ed entrare nella vita e nel Regno zoppo che con due piedi; perché è meglio appoggiare a Dio la propria debolezza che fallire fondandosi su se stessi. Zoppo, cieco, monco, ma forte con Dio, ecco il mistero della debolezza feconda del discepolo. Quella dello Jabbok è immagine delle notti che anche noi incontriamo nella storia, grembo benedetto che ci plasma nell'umiltà con cui appoggiarci a Dio per vivere in pace con i fratelli e compiere, in essa, la missione che ci è affidata. Come Giacobbe divenuto Israele, anche il discepolo è un eletto, contrassegnato per una missione: per questo sarà schiacciato, ferito. Come fu per Santa Teresa di Calcutta, che nella notte oscura ha sperimentato la presenza di Cristo vivo in lei al di là del sentimento. Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, e un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e in modo particolare dei discepoli, è purificata da queste fiamme che divorano ogni scandalosa ipocrisia. La croce ne è lo strumento incandescente sulla quale Cristo ci attira per condurci a Gerusalemme, il destino al quale siamo chiamati ad accompagnare questa generazione. Per non fallire ed essere gettati fuori come un rifiuto nella Geènna, il Salmo dice che, piuttosto di dimenticare Gerusalemme, è meglio che si paralizzi la mano destra, tagliata direbbe Gesù. Accettiamo allora di essere deboli e di avere bisogno perfino di un bicchiere d'acqua: accogliamo cioè le difficoltà, le sofferenze e i combattimenti di ogni giorno come il fuoco del suo amore che ci fa umili per amare chi ci è accanto e non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, nello stesso tempo, come Giacobbe ad Esaù, offriremo a tutti, con il darci un semplice bicchiere d'acqua, l'occasione di darlo a Cristo, con il quale sulla croce sperimentiamo la sete della loro salvezza.
COMMENTO COMPLETO
La sete di Gesù è un desiderio d'amore e di salvezza per ogni uomo. "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e andare di fretta da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (S. Giovanni Paolo II). Il Signore parla a ciascuno di noi che siamo di Cristo, riscattati, comprati al caro prezzo della sua vita per la missione più grande, avvicinare a ogni uomo il Regno di Dio. Coloro che non lo conoscono hanno infatti il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Per questo basta un bicchiere d'acqua donato ai discepoli nel Nome di Cristo per non perdere la ricompensa che è Gesù stesso che, facendosi ricompensa in noi, lo diviene anche per le persone che aprono il cuore a Lui attraverso la nostra sete. Per questo San Paolo definisce gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto come spettacolo per il mondo. La Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, sono il sale nel quale ci sciogliamo per deporre la salvezza nel mondo. E come fece con il Signore, il demonio ci assedia ogni giorno per farci scendere dalla Croce, far perdere cioè il sapore al sale e diventare scandalo. I piccoli che hanno iniziato a credere nel vedere in un cristiano Colui che lo ha inviato e hanno iniziato a camminare nella Chiesa, sono ancora molto deboli nella fede. Possono subire scandali da coloro che, per superbia, non sono più di Cristo ma dell'avversario. Da te e da me... Ma Gesù conosce il nostro cuore, la fonte da dove nascono gli scandali, e ci mostra la via per combatterli: permanere nel suo amore, legati alla Croce, come Isacco sul Moria. Il timore di perdere la primogenitura e rendere vana la missione affidata spinge infatti i cristiani nella lotta quotidiana per dare morte alle membra che ancora appartengono alla terra: le mani, i piedi e gli occhi di cui parla Gesù, ovvero demonio, carne e mondo. E' il cammino di ogni giorno, il combattimento a volte cruento e doloroso così indispensabile ad ogni missione. Il cammino di Giacobbe che passa per il guado del Jabbok, tappa fondamentale nella sua formazione che lo preparava all'incontro pacificatore con il fratello Esaù, senza il quale non sarebbe potuto diventare il padre delle tribù di Israele. La scoperta e l'accettazione della propria debolezza rivelata da Dio per benedirla e accoglierla, ha permesso a Giacobbe di umiliarsi dinanzi al fratello che temeva per avergli sottratto la primogenitura. Così, appoggiandosi a Dio, ha potuto sperimentare il potere del suo Nome (presenza) nel quale ha visto compiersi l'impossibile della riconciliazione con Esaù, memoriale fondamentale per entrare con fiducia negli eventi dolorosi che lo aspettavano. Doveva infatti entrare nella notte di angoscia per la scomparsa del suo amato Giuseppe, prima che la Provvidenza glielo riconsegnasse come un segno profetico della vittoria di Dio sul peccato che si sarebbe compiuta con la liberazione dei suoi discendenti dalla schiavitù dell'Egitto. Per questo, quasi come un'eco delle parole di Gesù sulla violenza da fare alle proprie membra occasione di scandalo, Giacobbe è stato ferito ed è uscito zoppo dalla lotta con Dio. Meglio compiere la missione ed entrare nella vita e nel Regno zoppo che con due piedi; perché è meglio appoggiare a Dio la propria debolezza che fallire fondandosi su se stessi. Zoppo, cieco, monco, ma forte con Dio, ecco il mistero della debolezza feconda del discepolo. Quella dello Jabbok è immagine delle notti che anche noi incontriamo nella storia, grembo benedetto che ci plasma nell'umiltà con cui appoggiarci a Dio per vivere in pace con i fratelli e compiere, in essa, la missione che ci è affidata. Come Giacobbe divenuto Israele, anche il discepolo è un eletto, contrassegnato per una missione: per questo sarà schiacciato, ferito. Come fu per Santa Teresa di Calcutta, che nella notte oscura ha sperimentato la presenza di Cristo vivo in lei al di là del sentimento. Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, e un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e in modo particolare dei discepoli, è purificata da queste fiamme che divorano ogni scandalosa ipocrisia. La croce ne è lo strumento incandescente sulla quale Cristo ci attira per condurci a Gerusalemme, il destino al quale siamo chiamati ad accompagnare questa generazione. Per non fallire ed essere gettati fuori come un rifiuto nella Geènna, il Salmo dice che, piuttosto di dimenticare Gerusalemme, è meglio che si paralizzi la mano destra, tagliata direbbe Gesù. Accettiamo allora di essere deboli e di avere bisogno perfino di un bicchiere d'acqua: accogliamo cioè le difficoltà, le sofferenze e i combattimenti di ogni giorno come il fuoco del suo amore che ci fa umili per amare chi ci è accanto e non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, nello stesso tempo, come Giacobbe ad Esaù, offriremo a tutti, con il darci un semplice bicchiere d'acqua, l'occasione di darlo a Cristo, con il quale sulla croce sperimentiamo la sete della loro salvezza.
COMMENTO COMPLETO
Gesù conosce il nostro cuore, la fonte da dove nascono gli scandali, e ci mostra la via per combatterli. Il cuore è affar suo, perché ai suoi intimi ha donato il suo cuore, il suo pensiero. Gesù ammonisce quanti hanno percorso, e stanno percorrendo con Lui, il cammino della Kenosis, dell'abbassamento, dell'umiliazione. Parla a chi è crocifisso con Lui. A loro compete il permanere nel suo amore, legati alla Croce, come Isacco sul Moria, il timore di vedere perduta la missione affidata, la lotta quotidiana per dare morte alle membra che ancora appartengono alla terra: mani, piedi, occhi. Demonio, carne, mondo. La cupidigia soprattutto, che è idolatria, liturgia offerta agli idoli, desideri mimetici con l'idolo di turno: sesso, potere, denaro e tutti gli altri. Crocifiggere le membra asservite alla cupidigia, la pleonexia, che significa, secondo l'etimologia, voler possedere, sempre di più, usurpando e rubando, l'esatto contrario dell'agape. Ecco allora il cammino di ogni giorno, il combattimento a volte cruento così indispensabile ad ogni missione. Il cammino di Giacobbe al guado del Jabbok, tappa obbligata verso la terra che aveva abbandonato. Una notte di lotta, le nostre notti che attraversano misteriosamente ogni nostro giorno. Le tentazioni, l'angoscia, ma anche il seno che gesta il giorno. Senza notte, senza combattimento, non si entra nel Regno, come fu la notte oscura per S. Giovanni della Croce e tanti altri santi. Come Israele, anche il discepolo è un eletto, contrassegnato per una missione: per questo sarà schiacciato, ferito. Per questo, quasi come un'eco delle parole di Gesù sulla violenza da fare alle proprie membra occasione di scandalo, Giacobbe sarà oggetto della violenza dell'angelo di Dio. E ne uscirà zoppo, per entrare nella terra. Meglio zoppo che con due piedi, meglio potersi appoggiare a Dio ed assolvere alla propria missione, che perdere la propria vita. Zoppo, cieco, monco, ma forte con Dio, ecco il mistero della debolezza del discepolo. San Paolo tratta duramente il proprio corpo, e lo riduce in schiavitù, e lo scrive in un contesto di missione, quando dice di far tutto per il Vangelo, d'essersi fatto tutto a tutti. Si tratta di sottomettere, nella Grazia di chi è "di Cristo", tutto ciò che si pone come scandalo, ostacolo al cammino verso Gerusalemme, la missione di Cristo, la missione dei suoi. "Essere discepolo senza rinunciare, senza soffrire, è una contraddizione tanto manifesta quanto un sale che ha perduto la sua qualità di sale. La qualità costitutiva del discepolo è inseparabile dal ruolo che egli deve compiere nel mondo... Si vede allora come colui che deve avere il sale può egli stesso essere identificato con il sale. La stessa immagine... invita a prolungare la linea del senso del discorso della montagna: voi siete il sale della terra. Infatti da una parte il sale non ha ragion d'essere se non per la funzione che deve svolgere sulla terra. D'altra parte.... in Palestina si conosce un sale - sia che si tratti di un miscuglio depositato dal Mar Morto o delle piastre di sale utilizzate nei forni - del quale si può dire che deve rinchiudere la forza del sale, poichè in teoria si può perdere.... Così i discepoli che non sapranno sacrificare tutto potranno ancora chiamarsi discepoli, ma mancherà loro ciò che fa il discepolo" (O. Cullmann , La fede e il rito). Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, ed un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e, in modo particolare dei discepoli, di tutti noi, sarà dunque percorsa da queste fiamme che divorano ogni scoria, ogni scandalo. La croce ne sarà lo strumento incandescente. L'amore di Dio non permetterà la rivincita del demonio e le tenterà tutte per salvare quelli che sono di Cristo. La croce, la prova, la persecuzione, la sofferenza, i viatici che Dio ci dona per condurci a Gerusalemme, per non essere gettati fuori di essa, come un rifiuto nella Geenna. Il fuoco del suo amore per non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, come ogni sacrificio dell'antica alleanza, il discepolo deve essere salato con la croce, la porta stretta che si apre su Gerusalemme. Per entrare nel Regno e fuggire l'inferno è necessario andare a Gerusalemme, e ricevere il sale, salire con Cristo sulla la croce. Gerusalemme, la nostra vocazione, la nostra Patria, il nostro destino, alla cui dimenticanza è preferibile che si paralizzi la mano destra, che sia tagliata direbbe Gesù. Gerusalemme preziosa, nostra autentica dimora, per lei tutto il resto è nulla, spazzatura. Per Cristo, per essere trovato eternamente in Lui il discepolo lascia tutto, ed è una liberazione, non un'effettiva rinuncia. E' un lasciare qualcosa di effimero per Qualcuno che è tutto. Per Cristo. L'abbandono di ogni sicurezza che fa passare per la sofferenza purificatrice, le vampe di fuoco dell'amore geloso di Dio, è il nostro cammino d'ogni giorno. Per il discepolo, per ciascuno di noi come per Israele " la sofferenza è la mano di Dio sopra Israele, un segno che lo contraddistingue in modo indelebile. E' l'amore che crea la sofferenza" ( F. Manns, La Chiesa madre di Gerusalemme). La sofferenza, la sete, il sale, l'amore di Dio. Si tratta di aver sete, di desiderare il desiderio di Cristo, mendicare come Lui alle porte d'ogni uomo, come l'ultimo, come San Francesco. "Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell'amore: il diventare l'uno simile all'altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d'amore tra Dio e l'uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall'esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all'esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l'abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia" (Benedetto XVI, Deus caritas est). E' questo il sale con cui Gesù termina il suo discorso. Il pensiero di Cristo, la sua sapienza, i suoi sentimenti. Niente per rivalità, o per vanagloria, guardando i desideri degli altri, stimando ognuno superiore a sé. Il sale della sapienza della croce, il sale dell'amore crocifisso. E' questo il grembo della pace tra i fratelli, l'unità, la comunione che è il segno più concreto d Dio sulla terra. Un amore celeste, la vita celeste. Il sale, la croce attraverso la quale ogni giorno, il nome di Dio è santificato nei discepoli, nella Chiesa, in noi. Il Nome dolcissimo nel quale ogni uomo, con un semplice bicchiere d'acqua, vede schiudersi il Cielo.
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