αποφθεγμα Apoftegma
Io temo che il nemico renda inquieti alcuni di voialtri,
proponendovi cose ardue e grandi per il servizio di Dio
e che fareste se vi trovaste in altre parti da quelle dove ora state.
Pertanto ognuno di voi, nei luoghi ove si trova,
s'impegni molto per trarre profitto prima per sé
e poi per gli altri,
avendo per sicuro che in nessun'altra parte può servire tanto Dio
come laddove uno si trova per obbedienza,
confidando in Dio nostro Signore
In questa maniera farete progressi nelle vostre anime
vivendo confortati e utilizzando bene il tempo
che è una cosa tanto preziosa,
pur senza essere conosciuta da molti,
dato che sapete quale stretto conto
dovrete rendere di esso a Dio nostro Signore.
Infatti, dato che non rendete alcun frutto
poiché non state nei luoghi dove desiderereste trovarvi,
cosi, allo stesso modo, nei luoghi dove ora state
non trarrete alcun profitto né per voi né per gli altri,
avendo i pensieri e i desideri occupati altrove.
Inoltre coloro che si ritengono qualcosa,
facendo assegnamento su loro stessi più di quanto non valgano,
disprezzando le cose umili
senza essersi molto esercitati e avvantaggiati vincendosi in esse,
sono più deboli durante i grandi pericoli e travagli perché,
non portando a termine quello che avevano cominciato,
perdono il coraggio per le piccole cose
allo stesso modo con cui lo avevano perduto per le grandi.
San Francesco Saverio, Lettera 90
San Francesco Saverio, Lettera 90
COMMENTO CATECHETICO
L'ANNUNCIO |
Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;
le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;
le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.
Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono.
A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!
Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.
E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.
Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.
Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!
Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
Approfittando di ogni occasione per amare
Il cristianesimo è una cosa seria, non è sentimentalismo e amore sdolcinato. E' una missione, e chi è chiamato ad essere cristiano, deve sapere che diventarlo significa essere trasformati in sale, luce e lievito del mondo, offrendo se stesso per salvezza di ogni uomo. Le "dieci vergini" erano delle damigelle di onore allo sposo che, secondo la tradizione ebraica, dovevano accompagnare alla casa della sposa e da qui alla sala del banchetto. Loro compito era tenere accese le lampade nel momento in cui lo Sposo tornava dalle spesso lunghe trattative pre-matrimoniali, e per questo avevano anche un "piccolo vaso" che conteneva l'olio di riserva. Esse rappresentano i chiamati ad essere cristiani ai quali è stata donata la primogenitura: i cristiani sono chiamati a fare da corona allo Sposo quando tornerà, a sedere sui troni accanto a Lui e a giudicare le Nazioni. Essi sono promessi a un unico sposo, per essere presentati quali vergini caste a Cristo (cfr. 2 Cor. 11,2). E San Paolo sta parlando del battesimo. Durante la "Veglia" Pasquale, dopo essere scesi nel fonte battesimale e aver ricevuto l'unzione con l'olio crismale (la cresima), colmi dello Spirito Santo i neofiti attendevano lo Sposo per entrare con Lui al banchetto. Erano "vergini", cioè rinnovati e senza peccato originale, e "nei piccoli vasi" avevano l'olio dello Spirito Santo che aveva compiuto in loro segni e prodigi durante l'iniziazione cristiana conducendoli alla statura adulta della fede. Avevano "vigilato" e ora, con i loro piccoli vasi colmi del crisma, erano pronti ad accendere le "fiaccole" con la luce delle opere sante e soprannaturali che rivelavano in essi la nuova natura ricevuta. E proprio nel cuore della notte di Pasqua, un grido li destava: "ecco lo sposo!", è risorto, "andategli incontro". Allora essi si alzavano dal sonno, andavano ad accogliere il Signore che li conduceva con Lui al banchetto dell'Eucarestia, culmine e fonte della liturgia. Anche per noi, la chiamata che abbiamo accolto nelle diverse circostanze, ha inaugurato un cammino attraverso la storia reale e concreta di ciascuno per giungere alla maturità della fede. Creati a sua immagine dobbiamo crescere in esso perché, al giungere dello Sposo, al termine del nostro catecumenato come poi alla fine del mondo, Egli possa "riconoscerci" quali suoi fratelli, chiamarci, destarci e farci nascere alla vita che non muore. Per questo, le nozze eterne si preparano durante tutta la vita. Un fidanzamento, un matrimonio, il ministero presbiterale, la consacrazione religiosa, la maternità e la paternità, anche un'amicizia, non sono cose di un momento, non sono avventure e passioni, roba da grandi quanto effimeri entusiasmi. Tutto si costruisce passo dopo passo, attraverso la fedeltà nelle piccole cose: "afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario" (Card. Van Thuan). La saggezza è questa fedeltà paziente e semplice; la stoltezza è la superficialità che disprezza il sacrificio quotidiano aspettando il grande slancio, le emozioni forti. La "sapienza" è l'umiltà fondata nella verità. La "stoltezza" è la superbia radicata nella menzogna. La vita è molto seria, e quella eterna ce la giochiamo qui, come ogni uomo; per questo il cristianesimo è quanto di più serio vi sia. Solo percorrendo un serio cammino di conversione potremo ascoltare il grido che annuncerà l'arrivo dello Sposo e trovarci pronti per entrare con Lui nelle nozze. I "piccoli vasi" indicano le orme che precedono i nostri passi: essi sono immagine delle piccole occasioni che Dio ci offre nella nostra storia; è in esse che occorre essere fedeli, pronti, colmi di olio. Per questo la vera saggezza è procurarsi l'olio dello Spirito Santo, rinnovare ad ogni evento della vita l'Alleanza che ci fa primogeniti. Ci si può addormentare, siamo deboli, ma è proprio nella debolezza che si manifesta la potenza di Dio. Anche Adamo si è addormentato, e fu vita tratta dalla sua stessa carne. Anche Abramo fu preso da un torpore, e fu l'Alleanza incorruttibile. Anche i discepoli cedettero agli occhi appesantiti, e fu il compimento definitivo della Volontà di Dio. In comune tutti hanno la propria debolezza e il potere di Dio: è Lui che fa tutto, perché Dio dona il pane ai suoi amici nel sonno: mentre dormiamo pulsa la vita autentica, ed è il mistero a cui siamo chiamati, la vita nella morte. La primogenitura è, essenzialmente, vivere senza timore nel sonno della morte che ogni giorno prende le nostre vite, tenendo desto il cuore colmo di Spirito Santo. E ciò accade se camminiamo nella Chiesa, se alimentiamo i piccoli vasi con l'ascolto della Parola di Dio, con i sacramenti, con la frequenza alle liturgie; nel seno della Chiesa, infatti, impariamo a nutrire l'uomo nuovo che vi è gestato: e ogni gravidanza inizia con un "ritardo"... Per questo il ritardo del Signore è fecondo, perché in esso si cela il suo mistero di Pasqua, di vita che distrugge la morte. Gli stessi verbi utilizzati da Matteo rimandano a questo significato: le vergini si "destano" come il Signore si "desta" dalla morte! Il ritardo è l'occasione per crescere nell'amore, per prepararsi all'incontro con lo Sposo, per assomigliare a Lui in tutto. Così ogni ritardo nella nostra vita, quello della moglie nello stirare la camicia e del marito nel comprendere le esigenze della sposa, quello dei figli nell'obbedire e dei genitori nell'ascoltare i figli, quello del corpo che non ce la fa a guarire, quello del datore di lavoro nel promuoverci o nel darci le ferie o lo stipendio; tutto ciò che ritarda il compimento dei nostri desideri e delle nostre speranze costituisce l'occasione per vivere come primogeniti che hanno i nomi iscritti nei cieli, pronti al sacrificio, a crocifiggere la propria carne con le sue passioni, e a vivere la vita nuova secondo lo Spirito. Essere "vigilanti" è, secondo il grande esegeta H. Schlier, essere sobrii, che "significa vedere e prendere le cose così come esse sono». Prenderle anche quando richiedono un sacrificio, che è l'unico polo capace di attrarre l'attesa e tenerla desta orientandola verso la bellezza.
San Paolo, dopo aver ricordato ai Galati che “il tempo è breve”, conclude dicendo: “Dunque, fino a quando abbiamo tempo, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede!”. Operare il bene che lo Spirito Santo ispira e compie attraverso di noi, nei fatti e con le persone di ogni giorno: il lavoro con le sue difficoltà, le occasioni per prendere su di sé le pratiche dei colleghi e, per amore, rinunciare al proprio prestigio; il fidanzamento ancorato alla speranza di veder compiuto il desiderio di amare, attraverso il combattimento per la castità, per il rispetto, per la libertà dell'altro, imparando nei piccoli frammenti di vita a rinunciare a se stessi; il matrimonio aperto alla vita, alla volontà di Dio, nelle occasioni di fedeltà che si presentano ogni giorno, nella pazienza e nel dono del proprio tempo, dei propri gusti, accompagnando il coniuge, in tutto, verso l'obbedienza a Cristo; i genitori a cui obbedire anche nelle cose più banali, come lavare i piatti, rifare il letto e lavarsi i denti; la scuola nella quale approfittare per imparare a fare anche ciò che non piace, rinunciando alle più allettanti e gratificanti per compiere la volontà di Dio; la vita religiosa nella quale cogliere l'occasione per obbedire ai superiori, che ci appaiono così spesso meno perspicaci e illuminati di noi, per imparare ad ancorare la vita in Cristo e non negli uomini attraverso i quali Egli ci parla. Tutto quello che ci è dato di vivere è un'occasione per crescere e prepararsi all'ultima opportunità, quella che ci attende sulla soglia del banchetto escatologico. Solo gli stolti si lasciano scappare i kairos pieni di amore, i fatti e le persone che Dio ci invia ogni giorno perché siano vissuti cristianamente, intrisi cioè nell'unzione del Crisma profetico, sacerdotale e regale. In tutto come profeti del Cielo, re della carne e dei suoi desideri, sacerdoti che intercedono per ogni uomo. Le vergini stolte sono, infatti, immagine di chi non persevera nelle opere di Cristo, preferendo, per sciatteria e superficialità, le proprie. Dormono ma il loro cuore non veglia. Ogni relazione, ogni esperienza è per loro come quella di un corpo addormentato dopo un'ubriacatura, preda di sogni e passioni, ma incapace di cogliere la realtà nella sua essenza. Vivono tutto addormentate nel sonno drogato della carne, con il cuore assente e vuoto, come i loro piccoli vasi. Non possono colmare d'amore le occasioni che Dio dona loro. Fanno, disfano e non resta nulla: opere morte, opere addormentate. Così è di tanti matrimoni, di tanti fidanzamenti, di tante amicizie: "Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci è davanti, e così uno lancia le braccia - secondo il paragone dell'Eneide - e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente" (Mons. Luigi Giussani). Sono stolte perché nemmeno si rendono conto di essere state chiamate ad accompagnare lo Sposo, ad esserne le damigelle d'onore; hanno dimenticato l'abito nuziale, l'olio per le lampade, la primogenitura: sono stolte perché senza memoria. Hanno, come tanti di noi, partecipato al memoriale della Pasqua del Signore, sorgente e compimento della vocazione, ma non hanno mai rinnovato nulla, non hanno mai accolto davvero la Grazia offerta dalla Chiesa: sacramenti, preghiere, riunioni, forse anche buone opere, ma tutto come vasi forati, incapaci di trattenere lo Spirito Santo. Stolte come chi pensa di poterla comunque sfangare alla fine, anche se nella vita ha sempre schivato il sacrificio, le piccole occasioni, dissipando l'olio ricevuto senza provvederne dell'altro. La stoltezza è negare la Croce, ed è sempre opera dell'anticristo che nega l'incarnazione, le piccole occasioni dove incontrare il Signore. Ma, alla resa dei conti, la stoltezza si rivela per quello che è: zizzania cresciuta accanto al grano, buona solo per essere gettata fuori. Si muore come si è vissuti: benedicendo per chi ha benedetto; amando per chi ha amato. Per questo, come alla fine della vita, anche ogni giorno occorre pensare seriamente e saggiamente a se stessi. Vi sono cose che nessuno potrà mai fare per noi. Non è possibile distribuire l'olio destinato a ciascuno, perché non ne venga a mancare a tutti. Si può amare, pregare, offrire la propria vita, ma l'olio dello Spirito Santo capace di far compiere le opere per le quali siamo predestinati, quello è dono esclusivo di Dio. A Lui bisogna chiederlo al tempo opportuno. Non c'è sentimentalismo o pietismo che tenga: nulla possiamo anteporre a Cristo. Nulla all'obbedienza e all'intimità con Lui. Vi è sempre un ordine fondamentale, perduto il quale si inciampa e ci si perde: una madre non può trascurare il proprio rapporto con il Signore per tentare di aiutare suo figlio. Sarebbe assorbita dalle stesse sabbie mobili. Così per ogni relazione: quanti ragazzi distruggono la propria vita per tentare di salvare l'amico o la fidanzata drogata, perdendo il proprio olio e non offrendo nulla se non la propria indifesa debolezza. E' Cristo e solo Lui che scende nella morte, che perdona e risuscita: noi possiamo e siamo chiamati ad annunciarLo, a condurre al suo trono di misericordia chi amiamo, non a sostituirci a Lui. Per questo l'amore autentico agli altri sorge da un'intimità profonda con il Signore: spesso è meglio parlare a Dio delle persone che alle persone di Dio. La libertà è la firma di Dio nella vita di ciascuno e spesso ci procura dolore; la stoltezza di un figlio, di un amico, di una persona cara ci spezza il cuore, ma non possiamo sostituirci a lui. L'unico che è morto al posto di ciascuno di noi è Cristo! Amare autenticamente, saggiamente, è dunque curare il nostro cuore, tenerlo desto, ricevere e custodire lo Spirito Santo perché in noi ogni stolto possa incontrare Lui, e, se ancora in tempo, accogliere il suo amore.
QUI IL COMMENTO APPROFONDITO
La parabola di oggi descrive il Giudizio Finale che sarà riservato ai cristiani. Esso verterà, essenzialmente, sull'amore. Saremo cioè giudicati sulla "conoscenza" di Gesù. Ricordate? Anche in un altro momento Gesù ha detto, riguardo all'ultimo giorno che il Padre dirà "non vi conosco" a quelli che non hanno vissuto il Discorso della Montagna, a chi non avrà la luce dello Spirito Santo che ha compiuto, nella sua vita, le opere soprannaturali dell'amore divino descritte in esso.
Conoscere il Signore ed essere da Lui conosciuti: questa, infatti, è la vita eterna, la felicità, la pace, la beatitudine eterne. Nella Scrittura il verbo "conoscere" ha un senso molto profondo, che suppone un'intimità come quella che si dà tra due sposi. Per questo, non a caso, teatro della parabola è un banchetto di nozze. Lui ci conosce da sempre, ma per noi è proprio come in un fidanzamento e in un matrimonio nei quali si conosce l'atro poco a poco; è un cammino fatto di piccole grandi cose, i cui passi sono simboleggiati dai "piccoli vasi" nei quali versare l'olio.
Questa parabola fa parte del così detto discorso escatologico. Le "dieci vergini" erano delle damigelle di onore dello sposo; secondo la tradizione ebraica, esse dovevano accompagnarlo sino alla casa della sposa, e da qui alla sala del banchetto. Loro compito era tenere accese le lampade per illuminare il corteo nuziale che si inaugurava quando lo Sposo tornava dalle spesso lunghe trattative pre-matrimoniali, e per questo avevano anche un "piccolo vaso" che conteneva l'olio di riserva. Esse sono immagine "simile" al "Regno di Dio"; rappresentano i chiamati ad essere cristiani, ai quali è stata donata la primogenitura: i cristiani sono chiamati, infatti, a fare da corona allo Sposo quando tornerà, a sedere sui troni accanto a Lui e a giudicare le Nazioni. "Sono" infatti "vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello" (Ap. 14, 4). Camminano in una comunità cristiana nella quale sono "promessi a un unico sposo, per essere presentati quali vergini caste a Cristo" (2 Cor. 11, 2). E San Paolo sta parlando del battesimo.
Durante la "Veglia" Pasquale, dopo essere scesi nel fonte battesimale e aver ricevuto l'unzione con l'olio crismale (la cresima), colmi dello Spirito Santo i neofiti attendevano lo Sposo per entrare con Lui al banchetto. Erano "vergini", cioè rinnovati e senza peccato originale, e "nei piccoli vasi" avevano l'olio dello Spirito Santo che aveva compiuto in loro segni e prodigi durante l'iniziazione cristiana conducendoli alla statura adulta della fede. Avevano "vigilato" e ora, con i loro piccoli vasi colmi del crisma, erano pronti ad accendere le "fiaccole" con la luce delle opere sante e soprannaturali che rivelavano in essi la nuova natura ricevuta. E proprio nel cuore della notte di Pasqua, un grido li destava: "ecco lo sposo!", è risorto, "andategli incontro". Allora essi si alzavano dal sonno, andavano ad accogliere il Signore che li conduceva con Lui al banchetto dell'Eucarestia, culmine e fonte della liturgia.
Ma durante questo cammino è previsto un "ritardo" dello Sposo, ed è provvidenziale. Attraverso di esso si sperimenta la fragilità e la debolezza che ci accomuna tutti: ci si "assopisce", perché l'attesa sembra non finire mai. Il ritardo è sempre gravido di vita, come possiamo imparare dalla natura della donna: quando essa ha "un ritardo" significa che è incinta. Durante la nostra vita, come nella storia dell'umanità, il tempo che ci separa dall'incontro con lo Sposo è proprio come un tempo di gravidanza e di doglie che preludono al parto. In essa il bimbo cresce prendendo forma da sua madre; nella gestazione, il figlio riceve tutti gli elementi che lo faranno somigliante ai suoi genitori. Il Dna ne connoterà la compatibilità, al punto che in caso di dubbio, si potrà ricorrere alla sua analisi per stabilire quel legame unico al mondo. Così è per ciascuno di noi, chiamato ad essere figlio nel Figlio, a prendere da Lui la somiglianza con il Padre. Creati a sua immagine dobbiamo crescere in essa perché, al giungere dello Sposo alla fine del mondo, Egli possa "riconoscerci" quali suoi fratelli, chiamarci, destarci e farci nascere alla vita che non muore. Per questo le nozze eterne si preparano durante tutta la vita. L' "olio" è segno della consacrazione, dell'elezione: sigilla la primogenitura. I cristiani sono unti dello stesso crisma di Cristo, e ciò significa che gli appartengono; in quest'olio, immagine dello Spirito Santo, essi crescono nella conformazione e nella somiglianza con il Signore. Unti ma non ancora giunti a perfezione. Consacrati ma non per questo con il visto per il Paradiso già in tasca. Se così non fosse, la nostra vita sarebbe un tragico e beffardo teatrino di burattini, affidato al caso e agli umori di un sinistro burattinaio.
Invece, con il Signore è come in un fidanzamento, un matrimonio, un'amicizia: non sono cose di un momento, non sono avventure e passioni, roba da grandi ed effimeri entusiasmi. Tutto si costruisce passo dopo passo, attraverso la fedeltà nelle piccole cose: "afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario" (Card. Van Thuan, Dal carcere). La "saggezza" è questa fedeltà paziente e semplice; la "stoltezza" è la superficialità che disprezza il sacrificio quotidiano aspettando il grande slancio, le emozioni forti. Sapienza è umiltà fondata nella verità. Stoltezza è superbia radicata nella menzogna. La vita è molto seria, un cammino tracciato dalle orme di Cristo. Sono orme semplici, piccole, quelle che attraversano la vita di ogni giorno. E' seguendole che si entra al banchetto. Sono le orme della "piccola via" percorsa da Santa Teresa di Lisieux, immagine limpida della vergine sapiente: "Sono sempre rimasta piccola, non avendo altra occupazione che quella di cogliere fiori, i fiori dell'amore e del sacrificio, e di offrirli al buon Dio per suo piacere... M'impegnavo soprattutto a praticare le virtù piccole, non avendo il destro per praticare le grandi, così mi piaceva ripiegare le cappe dimenticate dalle consorelle, e rendere a queste ultime tutti i piccoli servigi che potevo... Mi fu dato anche l'amore della mortificazione e fu tanto più grande in quanto niente mi era permesso per soddisfarlo... Quelle che mi permisero senza che io le chiedessi consistevano nel mortificare il mio amor proprio, ciò che mi procurava molto maggior vantaggio che non le penitenze corporali. Il refettorio, che fu il mio ufficio subito dopo la vestizione, mi offerse più d'una occasione per mettere il mio amor proprio al posto che gli spetta, cioè sotto i piedi... A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace divina, cioè l'abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura tra le braccia di suo Padre... Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola fra loro, l'anima della sua Teresa, non una dispererebbe d'arrivare alla vetta della montagna d'amore, poiché Gesù non chiede grandi azioni, bensì soltanto l'abbandono e la riconoscenza... Sì, Amato, la mia vita si consumerà così. Non ho altri mezzi per provarti il mio amore, se non gettar dei fiori, cioè non lasciar sfuggire alcun piccolo sacrificio, alcuna premura, alcuna parola, e profittare di tutte le cose piccole, e farlo per amore... Voglio soffrire per amore e perfino gioire per amore, così getterò fiori davanti al tuo trono; non ne incontrerò uno senza sfogliarlo per te... poi, gettando fiori, canterò anche quando dovrò cogliere i miei fiori in mezzo alle spine, e il canto sarà tanto più melodioso quanto più le spine saranno lunghe e pungenti" (S. Teresa di Lisieux, Storia di un'anima).
E' percorrendo un serio cammino di conversione che si potrà ascoltare il grido che annuncerà l'arrivo dello Sposo ed entrare con Lui nelle nozze. I "piccoli vasi" indicano proprio le orme che precedono i nostri passi, le piccole occasioni che Dio ci offre nella nostra storia: è in esse che occorre essere fedeli, pronti, colmi di olio. Per questo la vera saggezza è procurarsi l'olio dello Spirito Santo, e in esso rinnovare ad ogni evento della vita l'Alleanza che ci fa primogeniti. Scriveva Sant'Agostino: "Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore… Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore". (S. Agostino, Sermo 215, 1). Ci si può "addormentare", siamo tutti deboli come le dieci vergini che, tutte, si assopirono; non è questo il problema, perché proprio nella debolezza si manifesta la potenza di Dio. Il Vangelo di oggi ci invita piuttosto a tener desta l'attesa del cuore: "Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia»." (Ct. 5, 2). Il sonno delle vergini sagge illumina l'attitudine costante del cristiano: è debole, ma nell'intimo sa che anche il sonno è cifra dell'attesa. Il "ritardo" è colmo di vita, per questo il cuore veglia mentre si dorme, come il feto è vivo nel buio del seno materno, come le lampade sono lì, pronte, colme dell'olio necessario. Non vi è contraddizione tra il sonno e l'attesa, perché Dio guarda al cuore non all'aspetto: tutte e dieci "dormivano", ma solo cinque avevano il cuore in veglia. Le altre, con il cuore dissipato, avevano spento il cuore, disattente e stolte.
"Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui" (Benedetto XVI). Il cuore colmo dell'amore riversato per mezzo dello Spirito Santo sa intercettare le occasioni per amare. Per questo anche "se la carne è debole lo Spirito è pronto": se il cuore è desto, anche addormentati possiamo amare... Anche se inciampiamo nei peccati, questi non ci impediscono di desiderare il Signore, di sperare e attendere il suo arrivo; la debolezza non ci separa da Lui, ma la stolta superficialità e l'ipocrita arroganza sì. E' questa la Sapienza che lo Spirito ci dona: nella notte dell'attesa, il cuore è pronto a discernere gli eventi e ad aprire allo Sposo che bussa indossando le vesti del prossimo. Anche Adamo si è addormentato, e fu vita tratta dalla sua stessa carne. Anche Abramo fu preso da un torpore, e fu l'Alleanza incorruttibile. Anche i discepoli, nel Getsemani, cedettero agli occhi appesantiti, e fu il compimento definitivo della Volontà di Dio. In comune tutti hanno la propria debolezza e il potere di Dio: è Lui che fa tutto, perché Dio dona il pane ai suoi amici nel sonno: mentre dormiamo pulsa la vita autentica, ed è il mistero a cui siamo chiamati, la vita nella morte. La primogenitura è, essenzialmente, vivere senza timore nel sonno della morte che ogni giorno prende le nostre vite, tenendo desto il cuore colmo di Spirito Santo. Accettare la propria debolezza nella certezza che essa sarà colmata, giorno dopo giorno, dall'amore infinito e potente di Dio. Accettare di non saper perdonare il coniuge o i figli, di non avere pazienza, di addormentarci di fronte ai bisogni di chi ci è accanto; accettarlo senza presumere d'essere bravi e buoni, e così attendere che giunga lo Sposo e ci desti per accompagnarci nel banchetto dove perdonare, avere pazienza, essere attenti ai bisogni dell'altro, perché ricolmi del suo Spirito e della Vita più forte del sonno dei peccati e della morte.
E' percorrendo un serio cammino di conversione che si potrà ascoltare il grido che annuncerà l'arrivo dello Sposo ed entrare con Lui nelle nozze. I "piccoli vasi" indicano proprio le orme che precedono i nostri passi, le piccole occasioni che Dio ci offre nella nostra storia: è in esse che occorre essere fedeli, pronti, colmi di olio. Per questo la vera saggezza è procurarsi l'olio dello Spirito Santo, e in esso rinnovare ad ogni evento della vita l'Alleanza che ci fa primogeniti. Scriveva Sant'Agostino: "Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore… Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore". (S. Agostino, Sermo 215, 1). Ci si può "addormentare", siamo tutti deboli come le dieci vergini che, tutte, si assopirono; non è questo il problema, perché proprio nella debolezza si manifesta la potenza di Dio. Il Vangelo di oggi ci invita piuttosto a tener desta l'attesa del cuore: "Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia»." (Ct. 5, 2). Il sonno delle vergini sagge illumina l'attitudine costante del cristiano: è debole, ma nell'intimo sa che anche il sonno è cifra dell'attesa. Il "ritardo" è colmo di vita, per questo il cuore veglia mentre si dorme, come il feto è vivo nel buio del seno materno, come le lampade sono lì, pronte, colme dell'olio necessario. Non vi è contraddizione tra il sonno e l'attesa, perché Dio guarda al cuore non all'aspetto: tutte e dieci "dormivano", ma solo cinque avevano il cuore in veglia. Le altre, con il cuore dissipato, avevano spento il cuore, disattente e stolte.
"Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui" (Benedetto XVI). Il cuore colmo dell'amore riversato per mezzo dello Spirito Santo sa intercettare le occasioni per amare. Per questo anche "se la carne è debole lo Spirito è pronto": se il cuore è desto, anche addormentati possiamo amare... Anche se inciampiamo nei peccati, questi non ci impediscono di desiderare il Signore, di sperare e attendere il suo arrivo; la debolezza non ci separa da Lui, ma la stolta superficialità e l'ipocrita arroganza sì. E' questa la Sapienza che lo Spirito ci dona: nella notte dell'attesa, il cuore è pronto a discernere gli eventi e ad aprire allo Sposo che bussa indossando le vesti del prossimo. Anche Adamo si è addormentato, e fu vita tratta dalla sua stessa carne. Anche Abramo fu preso da un torpore, e fu l'Alleanza incorruttibile. Anche i discepoli, nel Getsemani, cedettero agli occhi appesantiti, e fu il compimento definitivo della Volontà di Dio. In comune tutti hanno la propria debolezza e il potere di Dio: è Lui che fa tutto, perché Dio dona il pane ai suoi amici nel sonno: mentre dormiamo pulsa la vita autentica, ed è il mistero a cui siamo chiamati, la vita nella morte. La primogenitura è, essenzialmente, vivere senza timore nel sonno della morte che ogni giorno prende le nostre vite, tenendo desto il cuore colmo di Spirito Santo. Accettare la propria debolezza nella certezza che essa sarà colmata, giorno dopo giorno, dall'amore infinito e potente di Dio. Accettare di non saper perdonare il coniuge o i figli, di non avere pazienza, di addormentarci di fronte ai bisogni di chi ci è accanto; accettarlo senza presumere d'essere bravi e buoni, e così attendere che giunga lo Sposo e ci desti per accompagnarci nel banchetto dove perdonare, avere pazienza, essere attenti ai bisogni dell'altro, perché ricolmi del suo Spirito e della Vita più forte del sonno dei peccati e della morte.
Per questo il ritardo del Signore è fecondo, perché in esso si cela il suo mistero di Pasqua, di vita che distrugge la morte. Gli stessi verbi utilizzati da Matteo rimandano a questo significato: le vergini si "destano" come il Signore si "desta" dalla morte! Il ritardo è l'occasione per crescere nell'amore, per prepararsi all'incontro con lo Sposo, per assomigliare a Lui in tutto. Così ogni ritardo nella nostra vita, quello della moglie nello stirare la camicia e del marito nel comprendere le esigenze della sposa, quello dei figli nell'obbedire e dei genitori nell'ascoltare i figli, quello del corpo che non ce la fa a guarire, quello del datore di lavoro nel promuoverci o nel darci le ferie o lo stipendio; tutto ciò che ritarda il compimento dei nostri desideri e delle nostre speranze costituisce l'occasione per vivere come primogeniti, con i nomi inscritti nei cieli, pronti al sacrificio, a crocifiggere la propria carne con le sue passioni, e a vivere la vita nuova secondo lo Spirito.
Essere "vigilanti" è, secondo il grande esegeta H. Schlier, essere sobrii, che "significa vedere e prendere le cose così come esse sono» (La fine del tempo). Prenderle anche quando richiedono un sacrificio, che è l'unico polo capace di attrarre l'attesa e tenerla desta orientandola verso la bellezza: "Quando uno capisce il valore del sacrificio in positivo? Quando capisce che senza sacrificio non c’è bellezza, cioè le cose non corrispondono. La bellezza è la corrispondenza ultima con un’attesa che abbiamo, con un’attesa del cuore: lo splendore della verità. Bellezza, splendore della verità" (Mons. L. Giussani). Per questo la nostra vita presente e futura dipende dall'olio che abbiamo nei piccoli vasi. E' decisivo prendere l'olio, il combustibile capace di far marciare la nostra vita sul sentiero tracciato per noi. San Paolo, dopo aver ricordato ai Galati che “il tempo è breve”, conclude dicendo: “Dunque, fino a quando abbiamo tempo, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede!”. Operare il bene che lo Spirito Santo ispira e compie attraverso di noi, nei fatti e con le persone di ogni giorno: il lavoro con le sue difficoltà, le occasioni per prendere su di sé le pratiche dei colleghi e, per amore, rinunciare al proprio prestigio; il fidanzamento ancorato alla speranza di vedere compiuto il desiderio di amare, attraverso il combattimento per la castità, per il rispetto, per la libertà dell'altro, imparando nei piccoli frammenti di vita a rinunciare a se stessi; il matrimonio aperto costantemente alla vita, alla volontà di Dio, nelle occasioni di fedeltà che si presentano ogni giorno, nella pazienza e nel dono del proprio tempo, dei propri gusti, accompagnando il coniuge, in tutto, verso l'obbedienza a Cristo; i genitori a cui obbedire anche nelle cose più banali, come lavare i piatti, rifare il letto e lavarsi i denti; la scuola e lo studio nei quali approfittare per imparare a fare anche ciò che non piace, rinunciando alle più allettanti e gratificanti per compiere la volontà di Dio; la vita religiosa nella quale cogliere l'occasione per obbedire ai superiori, che ci appaiono così spesso meno perspicaci e illuminati di noi, per imparare ad ancorare la vita in Cristo e non negli uomini attraverso i quali Egli ci parla.
Tutto quello che ci è dato di vivere è un'occasione per crescere e prepararsi all'ultima opportunità, quella che ci attende sulla soglia del banchetto escatologico. Solo gli stolti si lasciano scappare i kairos pieni di amore, i fatti e le persone che Dio ci invia ogni giorno perché siano vissuti cristianamente, intrisi cioè nell'unzione del Crisma profetico, sacerdotale e regale. In tutto come profeti del Cielo, re della carne e dei suoi desideri, sacerdoti che intercedono per ogni uomo. Il Crisma del Signore ci è donato per imparare a vivere tutto nella Signoria di Cristo. I "piccoli vasi" sono offerti perché, attraverso la Chiesa, l'ascolto della Parola, i sacramenti e la vita comunitaria, siano riempiti di Spirito Santo: i suoi frutti realizzano nella nostra vita la Signoria di Cristo: "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Per questo, ai cristiani della Chiesa di Tiàtira il Signore dice: "quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno. Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni." (Ap. 2,25). Possediamo l'unzione, i frutti dello Spirito Santo, le virtù celesti di fede, speranza e carità: nello Spirito Santo possiamo perseverare nelle sue opere.
Le vergini stolte sono invece immagine di chi non persevera nelle opere di Cristo, preferendo, per sciatteria e superficialità, le proprie. Dormono ma il loro cuore non veglia. Ogni relazione, ogni esperienza è per loro come quella di un corpo addormentato dopo un'ubriacatura, preda di sogni e passioni, ma incapace di cogliere la realtà nella sua essenza. Vivono tutto addormentate nel sonno drogato della carne, con il cuore assente e vuoto, come i loro piccoli vasi. Non possono colmare d'amore le occasioni che Dio dona loro. Fanno, disfano e non resta nulla: opere morte, opere addormentate. Così è di tanti matrimoni, di tanti fidanzamenti, di tante amicizie: "Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci è davanti, e così uno lancia le braccia - secondo il paragone dell'Eneide - e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente" (Mons. Luigi Giussani). Vivono come il figlio maggiore che non ha compreso nulla di suo padre, vive in casa con lui ma è come se non gli appartenesse nulla, perché, in fondo, non si sente figlio. Come il servo malvagio che ha nascosto il talento sotto terra, disprezzando il dono per invidia. Sono stolte perché nemmeno si rendono conto di essere state chiamate ad accompagnare lo Sposo, ad esserne le damigelle d'onore; hanno dimenticato l'abito nuziale, l'olio per le lampade, la primogenitura: sono stolte perché senza memoria. Hanno, come tanti di noi, partecipato al memoriale della Pasqua del Signore, sorgente e compimento della vocazione, ma non hanno mai rinnovato nulla, non hanno mai accolto davvero la Grazia offerta dalla Chiesa: sacramenti, preghiere, riunioni, forse anche buone opere, ma tutto come vasi forati, incapaci di trattenere lo Spirito Santo. Hanno tutto, esattamente come le sagge, ma manca loro l'umiltà che discerne le piccole occasioni; non hanno fatto provvista dello Spirito di Sapienza. Stolte come chi pensa di poterla comunque sfangare alla fine, anche se nella vita ha sempre schivato il sacrificio, le piccole occasioni, dissipando l'olio ricevuto senza provvederne dell'altro. La stoltezza è negare la Croce, ed è sempre opera dell'anticristo che nega l'incarnazione, le piccole occasioni dove incontrare il Signore. Ma, alla resa dei conti, la stoltezza si rivela per quello che è: zizzania cresciuta accanto al grano, buona solo per essere gettata fuori. Si muore come si è vissuti: benedicendo per chi ha benedetto; amando per chi ha amato.
Come alla fine, anche ogni giorno occorre pensare seriamente e saggiamente a se stessi. Vi sono cose che nessuno potrà mai fare per noi. Non è possibile distribuire l'olio destinato a ciascuno, perché non ne venga a mancare a tutti. Si può amare, pregare, offrire la propria vita, ma l'olio dello Spirito Santo capace di far compiere le opere per le quali siamo predestinati, quello è dono esclusivo di Dio. A Lui bisogna chiederlo al tempo opportuno. Non c'è sentimentalismo o pietismo che tenga: nulla possiamo anteporre a Cristo. Nulla all'obbedienza e all'intimità con Lui. Vi è sempre un ordine fondamentale, perduto il quale si inciampa e ci si perde: una madre non può trascurare il proprio rapporto con il Signore per tentare di aiutare suo figlio. Sarebbe assorbita dalle stesse sabbie mobili. Così per ogni relazione: quanti ragazzi distruggono la propria vita per tentare di salvare l'amico o la fidanzata drogata, perdendo il proprio olio e non offrendo nulla se non la propria indifesa debolezza. E' Cristo e solo Lui che scende nella morte, che perdona e risuscita: noi possiamo e siamo chiamati ad annunciarLo, a condurre al suo trono di misericordia chi amiamo, non a sostituirci a Lui. Per questo l'amore autentico agli altri sorge da un'intimità profonda con il Signore: spesso è meglio parlare a Dio delle persone che alle persone di Dio.
La libertà è la firma di Dio nella vita di ciascuno e spesso ci procura dolore; la stoltezza di un figlio, di un amico, di una persona cara ci spezza il cuore, ma non possiamo sostituirci a lui. L'unico che è morto al posto di ciascuno di noi è Cristo! Amare autenticamente, saggiamente, è dunque curare il nostro cuore, tenerlo desto, riempirlo di Spirito Santo perché in noi ogni stolto possa incontrare Lui, e, se ancora in tempo, accogliere il suo amore. E' Cristo che ci chiamerà e ci condurrà nel banchetto, è Lui che ci accompagnerà nella morte, come ci accompagna ogni giorno nelle piccole occasioni di donare la nostra vita. I frutti dello Spirito Santo incarnati in ciascun chiamato illumineranno il corteo trionfale dello Sposo. I frutti gratuiti accolti giorno per giorno accenderanno le fiaccole, apriranno le porte, ci introdurranno nella festa senza fine di chi contempla il suo volto d'amore.
Essere "vigilanti" è, secondo il grande esegeta H. Schlier, essere sobrii, che "significa vedere e prendere le cose così come esse sono» (La fine del tempo). Prenderle anche quando richiedono un sacrificio, che è l'unico polo capace di attrarre l'attesa e tenerla desta orientandola verso la bellezza: "Quando uno capisce il valore del sacrificio in positivo? Quando capisce che senza sacrificio non c’è bellezza, cioè le cose non corrispondono. La bellezza è la corrispondenza ultima con un’attesa che abbiamo, con un’attesa del cuore: lo splendore della verità. Bellezza, splendore della verità" (Mons. L. Giussani). Per questo la nostra vita presente e futura dipende dall'olio che abbiamo nei piccoli vasi. E' decisivo prendere l'olio, il combustibile capace di far marciare la nostra vita sul sentiero tracciato per noi. San Paolo, dopo aver ricordato ai Galati che “il tempo è breve”, conclude dicendo: “Dunque, fino a quando abbiamo tempo, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede!”. Operare il bene che lo Spirito Santo ispira e compie attraverso di noi, nei fatti e con le persone di ogni giorno: il lavoro con le sue difficoltà, le occasioni per prendere su di sé le pratiche dei colleghi e, per amore, rinunciare al proprio prestigio; il fidanzamento ancorato alla speranza di vedere compiuto il desiderio di amare, attraverso il combattimento per la castità, per il rispetto, per la libertà dell'altro, imparando nei piccoli frammenti di vita a rinunciare a se stessi; il matrimonio aperto costantemente alla vita, alla volontà di Dio, nelle occasioni di fedeltà che si presentano ogni giorno, nella pazienza e nel dono del proprio tempo, dei propri gusti, accompagnando il coniuge, in tutto, verso l'obbedienza a Cristo; i genitori a cui obbedire anche nelle cose più banali, come lavare i piatti, rifare il letto e lavarsi i denti; la scuola e lo studio nei quali approfittare per imparare a fare anche ciò che non piace, rinunciando alle più allettanti e gratificanti per compiere la volontà di Dio; la vita religiosa nella quale cogliere l'occasione per obbedire ai superiori, che ci appaiono così spesso meno perspicaci e illuminati di noi, per imparare ad ancorare la vita in Cristo e non negli uomini attraverso i quali Egli ci parla.
Tutto quello che ci è dato di vivere è un'occasione per crescere e prepararsi all'ultima opportunità, quella che ci attende sulla soglia del banchetto escatologico. Solo gli stolti si lasciano scappare i kairos pieni di amore, i fatti e le persone che Dio ci invia ogni giorno perché siano vissuti cristianamente, intrisi cioè nell'unzione del Crisma profetico, sacerdotale e regale. In tutto come profeti del Cielo, re della carne e dei suoi desideri, sacerdoti che intercedono per ogni uomo. Il Crisma del Signore ci è donato per imparare a vivere tutto nella Signoria di Cristo. I "piccoli vasi" sono offerti perché, attraverso la Chiesa, l'ascolto della Parola, i sacramenti e la vita comunitaria, siano riempiti di Spirito Santo: i suoi frutti realizzano nella nostra vita la Signoria di Cristo: "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Per questo, ai cristiani della Chiesa di Tiàtira il Signore dice: "quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno. Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni." (Ap. 2,25). Possediamo l'unzione, i frutti dello Spirito Santo, le virtù celesti di fede, speranza e carità: nello Spirito Santo possiamo perseverare nelle sue opere.
Le vergini stolte sono invece immagine di chi non persevera nelle opere di Cristo, preferendo, per sciatteria e superficialità, le proprie. Dormono ma il loro cuore non veglia. Ogni relazione, ogni esperienza è per loro come quella di un corpo addormentato dopo un'ubriacatura, preda di sogni e passioni, ma incapace di cogliere la realtà nella sua essenza. Vivono tutto addormentate nel sonno drogato della carne, con il cuore assente e vuoto, come i loro piccoli vasi. Non possono colmare d'amore le occasioni che Dio dona loro. Fanno, disfano e non resta nulla: opere morte, opere addormentate. Così è di tanti matrimoni, di tanti fidanzamenti, di tante amicizie: "Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci è davanti, e così uno lancia le braccia - secondo il paragone dell'Eneide - e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente" (Mons. Luigi Giussani). Vivono come il figlio maggiore che non ha compreso nulla di suo padre, vive in casa con lui ma è come se non gli appartenesse nulla, perché, in fondo, non si sente figlio. Come il servo malvagio che ha nascosto il talento sotto terra, disprezzando il dono per invidia. Sono stolte perché nemmeno si rendono conto di essere state chiamate ad accompagnare lo Sposo, ad esserne le damigelle d'onore; hanno dimenticato l'abito nuziale, l'olio per le lampade, la primogenitura: sono stolte perché senza memoria. Hanno, come tanti di noi, partecipato al memoriale della Pasqua del Signore, sorgente e compimento della vocazione, ma non hanno mai rinnovato nulla, non hanno mai accolto davvero la Grazia offerta dalla Chiesa: sacramenti, preghiere, riunioni, forse anche buone opere, ma tutto come vasi forati, incapaci di trattenere lo Spirito Santo. Hanno tutto, esattamente come le sagge, ma manca loro l'umiltà che discerne le piccole occasioni; non hanno fatto provvista dello Spirito di Sapienza. Stolte come chi pensa di poterla comunque sfangare alla fine, anche se nella vita ha sempre schivato il sacrificio, le piccole occasioni, dissipando l'olio ricevuto senza provvederne dell'altro. La stoltezza è negare la Croce, ed è sempre opera dell'anticristo che nega l'incarnazione, le piccole occasioni dove incontrare il Signore. Ma, alla resa dei conti, la stoltezza si rivela per quello che è: zizzania cresciuta accanto al grano, buona solo per essere gettata fuori. Si muore come si è vissuti: benedicendo per chi ha benedetto; amando per chi ha amato.
Come alla fine, anche ogni giorno occorre pensare seriamente e saggiamente a se stessi. Vi sono cose che nessuno potrà mai fare per noi. Non è possibile distribuire l'olio destinato a ciascuno, perché non ne venga a mancare a tutti. Si può amare, pregare, offrire la propria vita, ma l'olio dello Spirito Santo capace di far compiere le opere per le quali siamo predestinati, quello è dono esclusivo di Dio. A Lui bisogna chiederlo al tempo opportuno. Non c'è sentimentalismo o pietismo che tenga: nulla possiamo anteporre a Cristo. Nulla all'obbedienza e all'intimità con Lui. Vi è sempre un ordine fondamentale, perduto il quale si inciampa e ci si perde: una madre non può trascurare il proprio rapporto con il Signore per tentare di aiutare suo figlio. Sarebbe assorbita dalle stesse sabbie mobili. Così per ogni relazione: quanti ragazzi distruggono la propria vita per tentare di salvare l'amico o la fidanzata drogata, perdendo il proprio olio e non offrendo nulla se non la propria indifesa debolezza. E' Cristo e solo Lui che scende nella morte, che perdona e risuscita: noi possiamo e siamo chiamati ad annunciarLo, a condurre al suo trono di misericordia chi amiamo, non a sostituirci a Lui. Per questo l'amore autentico agli altri sorge da un'intimità profonda con il Signore: spesso è meglio parlare a Dio delle persone che alle persone di Dio.
La libertà è la firma di Dio nella vita di ciascuno e spesso ci procura dolore; la stoltezza di un figlio, di un amico, di una persona cara ci spezza il cuore, ma non possiamo sostituirci a lui. L'unico che è morto al posto di ciascuno di noi è Cristo! Amare autenticamente, saggiamente, è dunque curare il nostro cuore, tenerlo desto, riempirlo di Spirito Santo perché in noi ogni stolto possa incontrare Lui, e, se ancora in tempo, accogliere il suo amore. E' Cristo che ci chiamerà e ci condurrà nel banchetto, è Lui che ci accompagnerà nella morte, come ci accompagna ogni giorno nelle piccole occasioni di donare la nostra vita. I frutti dello Spirito Santo incarnati in ciascun chiamato illumineranno il corteo trionfale dello Sposo. I frutti gratuiti accolti giorno per giorno accenderanno le fiaccole, apriranno le porte, ci introdurranno nella festa senza fine di chi contempla il suo volto d'amore.
Gesù,
io non aspetterò, vivo il momento presente, colmandolo di amore.
La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti uno all'altro.
Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti uno all'altro.
Dispongo perfettamente ogni singolo punto
e la linea sarà retta.
Vivo con perfezione ogni minuto
e la vita sarà santa.
Il cammino della speranza è lastricato di piccoli passi di speranza.
La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza.
Come tu, Gesù, che hai fatto sempre ciò che piace al Padre tuo.
Ogni minuto voglio dirti:
Gesù, ti amo,
la mia vita è sempre una «nuova ed eterna alleanza» con te.
Ogni minuto voglio cantare con tutta la Chiesa:
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo...
Servo di Dio François Xavier Nguyen Van Thuan
IL CUORE DESTO E' UN CUORE CHE PREGA SEMPRE
La preghiera del cuore, incessante, al ritmo del respiro, pervade ogni istante e lascia operare lo Spirito Santo anche nella notte e nel sonno, deponendo il cuore dell'uomo nel cuore di Dio. Siamo chiamati dunque all'hesychìa, patrimonio della tradizione orientale, che significa: calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione. "L'esicasta è sulla terra l'immagine di un angelo; egli, liberatosi dal torpore e dalla trascuratezza, scrive la sua orazione sulla pergamena del desiderio con le lettere del fervore. L'esicasta è colui che può dire in verità: lo dormo, ma il mio cuore veglia" (S. Giovanni Climaco, La scala del paradiso). L'invocazione del Nome di Gesù infatti, tiene sempre il cuore desto ponendolo senza posa alla presenza del Signore; dicevano i Padri: "Rimani nella tua cella, resta nel tuo eremo, ed essa ti insegnerà ogni cosa"; potremmo applicarla al Vangelo di oggi affermando: "rimani con il tuo piccolo vaso colmo di olio, ed esso ti insegnerà tutto", perché, come ci annuncia il Signore, è lo Spirito che insegna e guida alla Verità tutta intera. Anche quando la vita si fa dura, un inferno: "metti il tuo spirito agli inferi e non disperare" (S. Silvano del Monte Athos), caccia la bocca nella polvere, perchè è "morendo che risuscita a vita eterna" (S. Francesco d'Assisi).
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