αποφθεγμα Apoftegma
Isacco domandò al padre: «Dov’è l’agnello per l’olocausto?»
Abramo rispose: «Il Signore provvederà».
Isacco tremò perché comprese l’intenzione del padre.
Tuttavia si fece forza e disse al padre suo:
«Se è vero che il Santo, benedetto Egli sia,
mi ha scelto, allora la mia anima è donata a lui».
E Isacco stesso si legò volontariamente.
Midrash ai Salmi 116,6
COMMENTO CATECHETICO
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 26,14-25
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”. Ed egli rispose: “Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”.
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”. Ed egli rispose: “Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”.
Per questo, come già duemila anni fa, riconoscendo che "è giunto il suo tempo", Gesù invia i discepoli a preparare concretamente la Pasqua presso la sala dove, come ogni famiglia o gruppo di famiglie, dopo il sacrificio comune dell'agnello al Tempio, si sarebbero recati per celebrare il Seder. Come loro, abbiamo solo bisogno di un "tale" che ci indichi "dove preparare la Pasqua", immagine dei pastori e dei catechisti che ci conducono alla comunità, il luogo dove, mentre Giuda vende Gesù, possiamo nutrirci della vita di Cristo e imparare ad offrirci. Perché senza Cenacolo non c'è Pasqua. E sappiamo che preparare la sala e la Pasqua significa, fondamentalmente, cercare Hametz, il lievito vecchio di menzogna e malizia che il demonio ha impastato con la nostra vita. Cerchiamolo allora, alla luce della Parola che ci viene annunciata in questi giorni santi: mettiamoci umilmente sotto la sua luce, sovrapponiamo le nostre attitudini, i pensieri e i gesti a quelli di Gesù. Tutto quello di noi che non c'entra con la sua umiltà, la sua mitezza, il suo amore, è hametz, lievito che avvelena la nostra vita. Gettiamolo via allora, confessandoci e andando a chiedere perdono a chi abbiamo fatto del male. Purifichiamo il nostro cuore nella misericordia di Dio e poi andiamo a cercare i frammenti malvagi che abbiamo lasciato intorno a noi, e che hanno fermentato di divisioni la famiglia, la comunità, le varie relazioni: avviciniamoci alle persone a cui abbiamo fatto male, a quelle che abbiamo giudicato, e inginocchiamoci dinanzi a loro chiedendo perdono. Avviciniamoci anche a coloro che hanno qualcosa contro di noi, e che il lievito del demonio ci ha impedito di accettare e amare. Non potremo fare Pasqua se non ci umilieremo anche dinanzi a loro, come dice il Signore: "quando ti rechi al Tempio per un sacrificio e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta e va prima a riconciliarti con il fratello". Infatti, "perché Pesach sia un'esperienza significativa piena di efficacia e non un semplice ricordo, essa richiede un'azione concreta: l'obbedienza ai precetti pasquali. I saggi di Israele sottolineano che i padri furono redenti dall'Egitto in virtù della loro obbedienza ai comandamenti dati da Mosè per la Pasqua. Non furono liberati per merito di una grande fede, e neanche per una loro azione morale o sociale, ma per una semplice e "stupida" obbedienza alla parola di un altro, Mosè, che parlava a nome di Dio. Il Midrash racconta che furono soltanto i più poveri, così abbrutiti da non avere altra speranza di questa notte promessa, che obbedirono, mentre tutti gli altri Israeliti perirono con i primogeniti o rimasero in Egitto" (Daniel Lifschitz). Gli "azzimi di sincerità" con i quali ammonisce San Paolo di celebrare la Pasqua, sono l’umiltà di riconoscere i propri peccati, anche quelli nascosti, accettare la propria povertà e debolezza, per riconoscere il bisogno di liberazione; e obbedire alla Chiesa che ci invita a confessarci e a chiedere perdono: senza questa attitudine del cuore non si può uscire dall'Egitto.
Per questo la figura di Giuda è così importante. Smaschera la reale intenzione del cuore perché il suo tradimento, come una lama, mette a nudo il lievito vecchio; lui stesso, lievito malvagio, illumina dove si nasconda il suo gemello che è in noi, come in uno specchio. Rispondiamo al male con il cuore di Giuda? Oppure, all'apparire del nemico sulla scena della nostra vita, l'agnello mansueto, il Servo di Yahwè incarnato in noi, si rivela mansueto e umile da non resistere al malvagio? Come per Gesù, è Giuda che ci fa presente lo scoccare della nostra ora. La storia che ogni giorno incarna Giuda per noi, ci prepara all'evento decisivo, al momento propizio. Fallirlo significherebbe restare in Egitto, con tutti quelli che Dio ha legato a noi nel suo misterioso disegno di salvezza. La vita è seria, i giorni, le ore, e forse i mesi, gli anni, non sono che una lunga preparazione per la nostra Pasqua. Il matrimonio difficile, il figlio caduto nella spirale della droga, la figlia separata, la malattia, il lavoro che ci umilia, quell'insulto giunto all'improvviso e che non ti aspettavi. Tutto ci prepara, come in un catecumenato spirituale, alla Pasqua, alla libertà autentica, alla vita che è Cristo risorto. Essa, infatti, è preparata per noi che a Lui apparteniamo. Essa consiste nel camminare nei giorni in attesa del momento favorevole per essere consegnati. Per donarci a chi ci è vicino e reclama la nostra vita, a Giuda che ci vende alla morte. E sono proprio a quelli che intingono la loro mano nel nostro piatto, i nostri intimi, i nostri amati. Sapendo che quell'uno che ha tradito Gesù lo siamo stati tutti, non ci stupiremo se anche oggi "uno ci tradirà"; un cristiano, infatti, non si aspetta dall'altro che quello che anche Lui ha fatto a Cristo: incomprensioni, persecuzioni, gelosie. E così la vita sarà un cammino che unirà i momenti favorevoli nei quale donare la nostra anima a Cristo, e in Lui offrire tutto noi stessi a ogni uomo. In Lui trasformati, in Lui consegnati, nel suo amore che ci fa Pasqua viva per ogni fratello.
QUI IL COMMENTO COMPLETO E MOLTI APPROFONDIMENTI
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