Queste valli non sono altro che la paura che, quando è troppo grande, ci porta allo scoraggiamento.
Lo sguardo alle gravi colpe commesse porta con sé lo sgomento e la paura che abbatte il cuore.
Sono le valli che bisogna riempire di fiducia e speranza, per l’avvento del Signore.
San Francesco di Sales
L'ANNUNCIO |
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.
Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico
e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.
Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».
Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.
Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico
e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.
Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».
(Dal Vangelo secondo Marco 1, 1-8)
Chi di noi non
vorrebbe avere la possibilità di ricominciare? Chi non ha qualcosa che vorrebbe
poter rifare dal principio? Magari una parola sfuggita. O una relazione, la
scelta del liceo o dell’università, forse addirittura il matrimonio.
Per questo, tutti,
chi più chi meno, portiamo dentro un profondo senso di colpa, segreto e spesso
inconfessabile. Come una parete laggiù, nel fondo del nostro intimo, dove
sbattiamo ogni volta che qualcosa ci si sbriciola tra le mani.
Di norma accusiamo
gli altri, ma è per non accusare noi stessi. Ma il senso di colpa che la
cultura contemporanea vorrebbe estirpare - l’arrembante teoria di genere ne è
un esempio – non è un male, anzi: “Il senso di colpa, che rompe una falsa
serenità di coscienza e che può esser definito come una protesta della
coscienza contro l’esistenza soddisfatta di sé, è altrettanto necessario per
l’uomo quanto il dolore fisico, quale sintomo che permette di riconoscere i
disturbi alle normali funzioni dell’organismo. Chi non è più capace di percepire
la colpa è spiritualmente ammalato” (Card. Ratzinger).
Forse lo abbiamo
sperimentato quando, assaliti dal senso di colpa, per non morirne ci siamo
chiusi accarezzando voluttuosamente la nostra frustrazione, decidendo così di
essere i più sfortunati al mondo, unico responsabile dei nostri dolori.
E abbiamo finito
con il fare di questo la nostra identità ben riconoscibile, una sorta di
vendetta contro il mondo crudele che non ci capisce. Quanti, proprio per questa
attitudine divenuta abitudine, non riescono ad avere relazioni stabili e non
possono decidere di sposarsi. Quanti saltano da un amico all’altro, da
un’attività a un’altra, insoddisfatti e sfiduciati. Per difendersi, hanno
lentamente anestetizzato la coscienza, precipitando infine in crisi che si
trasformano in depressioni tragiche, che spengono la vita.
Per questo la
Chiesa, che conosce bene il cuore dell’uomo, attraverso la liturgia di questa
II domenica di Avvento ci prende per mano e ci conduce al fondo del nostro
intimo, dove, soli con noi stessi, ci sentiamo in esilio.
Ed è solo qui,
nella verità, che possiamo ascoltare la Parola come un Vangelo, una Buona
Notizia. “Esilio”, in ebraico “galuth”, ha la sua radice etimologica in “glh”,
che significa proprio svelare, rivelare, apparire. L'esilio non è
solo un luogo fisico, ma anche una condizione del cuore o una situazione nella
quale ci troviamo lontani dalla patria, l'unica che ci si addice,
quella per cui siamo stati creati. L'esilio è la rivelazione della nostra
realtà precipitata fuori dal Paradiso.
Non sembrano
Babilonia le nostre case, non ci viviamo in esilio con le nostre famiglie?
Vorremmo amare, donarci, ma non possiamo! Vorremmo resettare quei momenti in
cui abbiamo offeso, tradito, mentito, schiacciare il pulsante di riavvolgimento
del film di quegli istanti terribili della nostra vita. Ma non possiamo! Siamo
lontani dalla nostra terra, da Gerusalemme, dal tempio, da Dio!
Per questo non
possiamo perdonare, e tanti divorziano. Da dove viene questo tsunami
relativista che vorrebbe annegare nell’indifferenziazione uomo e donna?
Dall’incapacità di perdonare l’altro così com’è, perché filosofie e ideologie
hanno ceduto all'inganno del demonio che, da sempre, ha sedotto l'uomo
facendogli credere di poter diventare uguale a Dio. E' questa
la prima indifferenziazione, la teoria di genere affonda qui le sue radici. Se
non c'è differenza tra Dio e l'uomo non esiste neanche il peccato originale;
anzi, questo è un'invenzione della Chiesa per limitare e poter sottomettere gli
uomini.
Ma il male esiste,
le differenze rientrano dalla finestra. Come rispondere? Con il perdono e
il farsi carico dei peccati dell'altro no assolutamente. Significherebbe
accettare che ci sono differenze e che la persona, nella sua libertà più forte
di ogni condizionamento, è capace di operare il male. Allora si risponde come
spesso facciamo noi: accusando l'altro, identificato nelle strutture della
società capitalistica, nella morale borghese e cattolica, sino all'idea stessa
di famiglia naturale costituita da uomo e donna.
E tutto perché,
avendo cancellato dai radar il peccato, si è persa di vista la causa
dell'esilio di Adamo ed Eva lontano dal Paradiso, del popolo ebraico
fuori dalla terra di Israele a Babilonia e di ciascun uomo che vaga infelice
incapace di amare perché ha perduto Gerusalemme, il Tempio, il Santo dei Santi
e l'Arca della presenza di Dio, e vive anni luce distante dalla natura divina
che il Creatore aveva impresso in lui.
Per questo gran
parte della psicologia e dei moderni metodi educativi mirano ad esorcizzare il
senso di colpa, immaginando una società che riesca a seppellire la coscienza.
Ma se il peccato è un'invenzione perversa allora non esiste neppure l'esilio:
esiste solo questa vita qui ed ora, e bisogna lottare con tutte le forze
culturali, mediatiche, politiche per cancellare ciò che la vuole avvelenare. La
malattia è un esilio dalla incorruttibilità nella quale Dio ha creato l'uomo,
perché in nessuna creatura c'era veleno di morte; essa è entrata nel mondo a
causa del demonio e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Ma per
carità, una fandonia dei preti. Allora cancelliamo la malattia, e risolviamo il
problema: aborto, eugenetica, eutanasia, nascono qui.
Per questo il
professor Veronesi si spinge ad affermare che una relazione omosessuale è
migliore: non conoscendo l'amore di Dio nel quale si può accogliere e perdonare
l'altro così com'è, diverso e peccatore, non può far altro che tagliare il
problema della diversità alla radice! Infilandosi però in una menzogna più
grande, perché, comunque, l’altro è diverso da me, e infatti anche gli
omosessuali si separano, eccome.
Su tutto questo ci illumina
la Parola di questa Domenica. La nostra vicenda personale, infatti, è
simile a quella del popolo ebraico che si trovava in esilio. La sua
esperienza spirituale, cultuale e culturale si fonda sulla terra di Israele.
Scrutate i salmi, ascoltate i profeti, abbeveratevi alle stesse beatitudini di
Gesù, sentirete risuonare la parola terra come una struggente
melodia.
Essa, infatti, è l’unico
frammento del Paradiso perduto che Dio ha donato a un popolo scelto come una
primizia. La terra significa l’approdo sicuro di ogni nostalgia, la possibilità
di ritornare al “principio”, alla pace e alla comunione perfetta con Dio.
La terra che Dio
ha donato al popolo come esito della Pasqua, è il luogo oltre ogni schiavitù; è
il suolo dove camminare liberi, la risposta ad ogni senso di colpa. Per questo,
ogni terra che non sia quella promessa, per un ebreo è terra d’esilio. Il
Messia avrebbe riconsegnato al popolo la terra, definitivamente. E il Talmud
insegna che in ogni suo esilio, il popolo è accompagnato dalla Shekhinàh,
la presenza di Dio.
“E i qabbalisti
concepiranno questo esilio divino come una (quasi eretica per il monoteismo
ebraico) separazione di Dio da se stesso: l’aspetto femminile della divinità
segue il suo popolo nell’esilio, in attesa e in mistica ricerca del tiqqùn,
la riunificazione riparatrice, che sarà anche la fine dell’esilio, per il
popolo e per Dio” (AA.VV, “L’ombra lunga dell’esilio”).
Come non pensare
all’Avvento che stiamo vivendo, all’attesa del Signore che compirà il tiqqùn che
tutti desideriamo nel profondo? E’ vero, siamo in esilio lontani dal
Signore, lo scriveva già San Paolo. In terra straniera non possiamo essere
pienamente felici, spesso non lo siamo per nulla e la tristezza ci assale: ma
la presenza di Dio non ci ha mai lasciato: essa vibra
in noi attraverso la nostra coscienza! Essa, infatti, "è
una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che
indica responsabilità e dovere, timore e speranza. Essa è la
messaggera di colui che, nel mondo della natura come in quello della
grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è
il primo di tutti i vicari di Cristo" (John Henry Newman, Lettera al Duca di
Norfolk)
Isaia, come il Battista, sono anche un'immagine della coscienza, la "messaggera, il primo dei vicari di Cristo". Per questo sono "voce" di Dio che grida nel deserto e annunciano: "Parlate al
cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù,
è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del
Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati". Il popolo si
trova in esilio per scontare i peccati con i quali aveva
tradito l'Alleanza e disobbedito alla volontà di Dio, proprio come Adamo ed Eva
nel giardino. Ma, attraverso il profeta, Dio ordina di parlare al cuore di
Gerusalemme per gridarvi che è finito il tempo di schiavitù in terra straniera.
Il cuore, nel
linguaggio biblico, è la parte più intima della personalità, dove l'uomo decide
come agire. E' proprio la coscienza, "il nucleo più segreto e
il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona
nell'intimità propria" (Gaudium et Spes, 16). E' dunque alla nostra
coscienza che Dio vuol parlare, al cuore schiavo di una menzogna che lo ha
spinto a scegliere il peccato e quindi l'esilio.
Per questo, se oggi percepite
una fitta nel cuore che vi inquieta, che vi accusa, non
temete, anzi, ascoltatela. E’ il primo grido nel deserto, quello
della coscienza: "Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può
rimanere in lui testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso,
della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di
coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa
commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare
ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio"
(Catechismo della Chiesa Cattolica).
La coscienza ci rimprovera
certo, ma non per gettarci nello sconforto come sostiene il mondo. Al
contrario, proprio perché è in essa che Dio inizia a gridare la sua
consolazione, rivelandoci la verità ci apre alla Buona Notizia come a un
bisogno impellente, il desiderio più autentico.
Oggi possiamo ascoltare nel
nostro intimo le parole che abbiamo atteso da sempre: "Ecco il vostro
Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene
il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo
precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo
braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore
madri".
Dio viene, scende nel nostro
esilio, per liberare il nostro cuore, per "battezzarci in Spirito
Santo" e così formare in noi una coscienza "retta e veritiera.
Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene
voluto dalla sapienza del Creatore" (Catechismo). Il Signore viene a
compiere il miracolo decisivo: si fa carne della nostra carne per
"abituare lo Spirito Santo ad abitare nell'uomo" (S. Ireneo).
"Ha con sé il premio" della libertà, la sua stessa vita che, come
l'unico Pastore buono, ci offre. Viene a strapparci dall'esilio per introdurci
nella Terra per la quale il Padre ci ha creato. Sul suo "seno" come
"agnellini", possiamo vivere nella volontà di Dio, secondo una
coscienza finalmente orientata all'amore.
In questo esilio
nostro e dell’umanità mai così lontana dal Paradiso, erompe oggi un “grido”: è
Giovanni Battista, la voce della Chiesa che “grida nel deserto” dove non c’è
vita! Dove si scivola sui giorni cercando qualcosa per sfamarsi, appropriandosi
di persone e cose per non morire. Grida per “con-solarci”, per farsi fratello
di tutti noi “soli” e impauriti.
Eccolo Giovanni,
eccolo parlarci negli apostoli che si fanno tutto a tutti, “vestito di peli di
cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, cibarsi di locuste e
miele selvatico”. E’ profezia del Signore, che ha rivestito la nostra
debolezza, cingendosi i fianchi per servirci e lavarci i piedi. E' immagine della Chiesa che, come il suo Signore di cui è corpo, si fa peccato per perdonare ogni nostro peccato.
E’ lui stesso il
“principio” della Buona Notizia, la soglia della terra dischiusa dinanzi a noi.
Accogliendo la sua predicazione possiamo entrare nel nuovo inizio che
abbiamo smesso di sperare, e ricominciare. Per essere felici, non devono
cambiare le situazioni, non si deve tornare indietro, ma deve essere rinnovato
il cuore. Il senso delle colpe commesse è un vagito raccolto dalla misericordia
di Dio che ci invia i suoi messaggeri perché esso non sia fagocitato
dall'orgoglio.
Non siamo soli! Non dobbiamo aggiustare nulla! Nessun rimpianto,
perché, ed è scandaloso, "felice colpa che meritò un così grande
Salvatore" cantiamo la notte di Pasqua. E' una colpa, è un peccato, e ce
lo dice il grido della coscienza. Ma viene il Salvatore a perdonarlo e darci la
sua vita. E’ questo il Vangelo, il nuovo
inizio offerto a ciascun uomo: il perdono dei peccati. Il "principio" della vita nuova, che ha un nome e un cognome: Gesù Cristo, figlio di Dio. E in lui tutti noi iniziamo di nuovo, come figli nel Figlio.
Solo Dio, infatti, può perdonarci. E Gesù è Dio. E’ inutile
esigerlo dagli uomini, essi sono solo capaci di avvertire il grido della
coscienza che li desta all’ascolto. L’uomo non può perdonare come Dio,
estirpando cioè il peccato dal cuore per deporvi la vita divina ed
eterna.
Giovanni grida
oggi nelle nostre assemblee per annunciarci che è finita la nostra schiavitù:
"mille anni sono come un giorno"! Mille anni di peccati, mille anni
di fallimenti, sono come oggi! Lo credete? Possiamo tornare dall’esilio, perché
“dopo di me viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di
chinarmi per sciogliere i sandali”. Ecco il Signore che viene nell’annuncio
della Chiesa, è lo Sposo legittimo di ciascuno di noi.
E’ più
forte di ogni peccato, perché tutti li ha cancellati sul legno della
sua Croce. E viene per “battezzarci con lo Spirito Santo”, il soffio di vita
che è l’aria pura della terra promessa, l’ossigeno che dà vita ai figli di Dio
ricreati a immagine di loro Padre.
Accogliamolo insieme alla
Chiesa, che ci insegna a “preparare la strada del Signore”: ciò significa,
concretamente, camminare nella conversione, dove imparare, per Grazia, a cambiare
mentalità, abbandonando quella del mondo. La conversione alla quale ci chiama Giovanni Battista non è cosa di un momento. Essa è un percorso, un uscire da se stessi come ha fatto "tutta la regione della Giudea" che "accorreva a lui". Come "tutti gli abitanti di Gerusalemme" è importante scendere giorno per giorno i gradini per "farsi battezzare da lui", dalla Chiesa "confessando i nostri peccati". Altrimenti il grido risuonato nel nostro intimo, il vangelo deposto nella coscienza, non si farà mai carne nella vita reale.
Occorre camminare insieme, nella comunità, che sorge proprio dal riconoscersi, "tutti" peccatori e bisognosi dell'acqua battesimale. E' il catecumenato che ci prepara ad accogliere lo Spirito Santo. Ed esso passa concretamente per l'accettare le umiliazioni che "abbattono monti e colli", perché il Signore "è solito umiliare e abbassare i superbi, poiché è capace di penetrare in fondo al cuore per scoprire l’orgoglio che vi è nascosto". E accogliendo i fatti che “raddrizzano” i sentieri tortuosi dell’orgoglio, “raddrizzando le intenzioni sbagliate per avere solo quella che piace a Dio, facendo penitenza, unico scopo a cui tutti dobbiamo tendere” (San Francesco di Sales).
Occorre camminare insieme, nella comunità, che sorge proprio dal riconoscersi, "tutti" peccatori e bisognosi dell'acqua battesimale. E' il catecumenato che ci prepara ad accogliere lo Spirito Santo. Ed esso passa concretamente per l'accettare le umiliazioni che "abbattono monti e colli", perché il Signore "è solito umiliare e abbassare i superbi, poiché è capace di penetrare in fondo al cuore per scoprire l’orgoglio che vi è nascosto". E accogliendo i fatti che “raddrizzano” i sentieri tortuosi dell’orgoglio, “raddrizzando le intenzioni sbagliate per avere solo quella che piace a Dio, facendo penitenza, unico scopo a cui tutti dobbiamo tendere” (San Francesco di Sales).
“Il Signore non
ritarda nell’adempiere la sua promessa”: è già alle nostre porte, rivestito di
“pazienza” perché “non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di
pentirsi”. Pentiamoci allora, dando ascolto al grido della
coscienza, e immergiamoci nel Giordano che la Chiesa ci presenta, ormai
santificato dal corpo del Signore. In Lui possiamo rinascere oggi per essere
liberi, non più in esilio ma cittadini della terra che ci appartiene in quanto
coeredi di Cristo, “senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace”.
αποφθεγμα Apoftegma
con la mortificazione delle passioni e inclinazioni e avversioni.
Che cosa desiderabile l’uguaglianza fra spirito e umore;
ma quanto dobbiamo lavorare con fedeltà per conquistarla!
Poiché siamo variabili e incostanti da non potersi dire quanto!
Si troveranno persone che sono ora di buon umore
e quindi si conversa con loro piacevolmente e con gioia;
ma subito dopo le troverete afflitte e inquiete.
Insomma, i sentieri tortuosi e impervi da raddrizzare per l’avvento del Signore.
San Francesco di Sales
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