Sabato della XXII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

Per Israele, il Sabato era il giorno 
in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, 
in cui uomo e animale, padrone e schiavo, 
grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. 
Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. 
Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione 
come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza.
Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo 
dove Egli possa comunicare il suo amore 
e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. 
Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde 
è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale...

Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale del 2011










L'ANNUNCIO

Dal Vangelo secondo Luca 6,1-5. 

Un giorno di sabato passava attraverso campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 
Alcuni farisei dissero: «Perché fate ciò che non è permesso di sabato?». 
Gesù rispose: «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, quando ebbe fame lui e i suoi compagni? 
Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». 
E diceva loro: «Il Figlio dell'uomo è signore del sabato». 













COME SPIGHE STRAPPATE AL PECCATO E ALLA MORTA PER NUTRIRE IL MONDO


Dio ha donato la Legge per accogliere l'uomo nell’Alleanza con Lui, e condurlo nella fedeltà sul cammino della vita. Il sabato è il sigillo dell’Alleanza, la memoria dell’amore di Dio, la gioia del riposo e dell’intimità nuziale con Lui. Ma alcuni farisei, con le loro interpretazioni restrittive, avevano pervertito la Legge facendone una barriera che precludeva proprio il riposo e la gioia dell’incontro con Dio ai più poveri e deboli. L’esigenza e il disprezzo dei maestri li allontanavano da Dio, come appare nel Vangelo di oggi. La tradizione concedeva di entrare nel campo a raccolto ultimato, dopo che i poveri avevano spigolato la loro parte secondo i dettami della Torah: «Quando è permesso a chiunque di spigolare? Quando l’ultimo povero se n’è andato» (Mishnah, Peah 8:1). I discepoli di Gesù, dunque, non avevano infranto la Legge: come Lui avevano raggiunto l'ultimo posto, quello dietro all’ultimo povero, quello della libertà nella quale si compie il Sabato. Nulla da fare o difendere, tutto da ricevere. Ma una parte dei farisei considerava anche lo spigolare dei poveri illecito nel giorno di sabato. Non c’era limite alla loro ipocrisia: proprio loro che, soprattutto "di sabato", spigolavano nel campo del popolo per strappare con il giudizio le spighe che non crescevano secondo la Legge, impedivano ai poveri di strappare quattro spighe rimaste per miracolo nel campo. Ma questo lavoro era "permesso", anche perché spesso il giudizio restava celato nel cuore, e quando il disprezzo si palesava, lo faceva camuffandosi con gli abiti dell’insegnamento e dell’ammonimento. Come spesso capita, soprattutto di domenica, a noi preti clericali che giudichiamo i più deboli tra i parrocchiani. Come accade ai genitori (e ai figli…) che esigono moralisticamente il rispetto di regole probabilmente necessarie, ma svuotandole dell’amore che ne è il compimento, e giudicano. In tutti noi, accanto al fariseo esigente vi è anche il peccatore incapace di compiere la Legge. Per questo, la fame di Davide in fuga da Saul è la nostra, quando il demonio ci perseguita usando addirittura la Parola di Dio e l’autorità dei consacrati (preti, genitori, maestri, catechisti) per toglierci l’alimento per la nostra fede e impedirci di vivere l’elezione gratuita di Dio. 



Ma è arrivato Cristo, e ha vinto il demonio consegnando a Davide, cioè a te e a me, la dignità e la libertà che la gelosia dell'avversario gli avevano sottratto e nascosto. Smascherando le trappole di Saul, ti annuncia che, rinato in Cristo dalle acque del battesimo, sei figlio di Dio; unto con l’olio del suo Spirito, sei re con Lui. Sei libero davvero perché l’amore di Dio è stato riversato in te e non hai più bisogno di metterti le maschere con le quali apparire giusto per esigere rispetto, considerare e affetto. La tua faccia vera, il tuo sguardo, le tue parole, i tuoi gesti non hanno più bisogno di trucco, puoi apparire così come sei, perché, anche se debole, in te è vivo Cristo, e il suo amore ti spinge nell’urgenza della carità. Quella che ha spinto Lui a cadere per terra nel campo della tua vita come un chicco di grano, e morirci per portarvi molto frutto. Per non restare solo è sceso ed è rimasto accanto a te immobile nel tuo sepolcro, proprio a Shabbat, compiendo così in pienezza ogni precetto. Risorgendo è stato proclamato “Signore del sabato” perché la sua vittoria sulla morte ha dato a Shabbat il compimento per il quale era stato donato: la libertà per entrare nel riposo dell’intimità con Dio preparato per te. Non a caso nel Talmud l'Era Messianica è chiamata “Yom shekullò Shabbat, il giorno che sarà tutto Shabbat”. Coraggio allora, viene oggi il Messia che, trasformando il sepolcro dove eri sepolto in un campo fecondo del suo amore, ha fatto di tutta la tua vita uno Shabbat di libertà e felicità. Il “sabato è per l’uomo” significa proprio questo: la tua famiglia, la tua comunità, il tuo lavoro, ogni aspetto della tua vita è “per te”, perché in tutto Cristo si dona come una spiga matura. Smetti di sforzarti, e lascia operare Dio in te. Non temere, puoi e devi nutrirti dei “pani dell’offerta” una volta riservati ai sacerdoti: Cristo, infatti, ha trasformato la tua vita in una liturgia di Shabbat che, come sacerdote, sei chiamato a celebrare ogni giorno. Non aver paura, non ti giudicare, ne hai diritto proprio perché debole e povero. “Strappa” con la preghiera e l'ascolto della predicazione le “spighe” colme dell’amore di Cristo; “mangiale” e accostandoti con piena fiducia e gratitudine ai sacramenti. Così, sfamati nella Chiesa, saremo liberi di entrare nel campo della storia di ogni giorno e cadervi anche noi come chicchi di grano, perché la nostra vita divenga una spiga che chiunque sia “affamato” di amore e “bisognoso” di misericordia, possa “strappare” e mangiare in piena libertà.









La Scrittura disegna il rapporto tra Dio e l'uomo con i tratti gioiosi di un banchetto di nozze, di cui il sabato ne è un segno tra i più importanti. Nulla di più lontano da una religione fatta di precetti e divieti, di regole da applicare, di un tedioso dare ed avere tra la divinità e l'uomo. L’halakà concedeva di entrare nel campo a raccolto ultimato, dopo che i poveri avevano spigolato la loro parte secondo i dettami della Torah: «Quando è permesso a chiunque di spigolare? Quando l’ultimo povero se n’è andato» (Mishnah, Peah 8:1). 

I discepoli di Gesù non avevano infranto la Legge, al contrario: seguendo le orme del loro Maestro avevano raggiunto l'ultimo posto, i più poveri tra i più poveri, e per questo liberi davvero. Nulla da difendere, tutto da ricevere. Il discepolo è piccolo, indifeso, bisognoso di tutto, un segno di contraddizione, un interrogativo posto dinanzi al cuore di ogni uomo perché sia svelato il cuore della Legge, e quello di Dio, che ne è l’autore. 

Una parte dei farisei considerava anche lo spigolare dei poveri illecito nel giorno di sabato, anteponendo la lettera della Legge al suo spirito. Ma Gesù e la sua comunità - la Chiesa - svelano il contenuto autentico della Legge, il sì di Dio all'uomo, il Sabato della vita più forte della quotidianità di morte che affama e getta nel bisogno le esistenze. 

La Legge, comprendendo ogni aspetto della vita dell'uomo per rivestirlo della santità di Dio, fa presente il Paradiso perduto, l'oggetto della nostalgia insopprimibile che punge il cuore di ogni uomo: "Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale..." (Benedetto XVI). 

La Legge doveva accogliere l'uomo per proteggerlo e, nel sabato, farlo risplendere come la "cosa molto buona" creata da Dio, la creatura alla quale donarsi come a una sposa, perché essa si doni a sua volta. La Legge era il luogo dell'Alleanza, ma alcuni farisei, con le loro interpretazioni restrittive, l'avevano pervertita così da farne una barriera invalicabile che precludeva il riposo e la pace ai più poveri, ai deboli, agli affamati e ai bisognosi. Donata per proteggere e guidare nel cammino (halakà deriva dal verbo halak, “camminare”) verso l'intimità con Dio, la Legge era divenuta un impedimento e un inciampo. Come capita a noi quando recintiamo le nostre vite e quelle altrui di leggi figlie dei nostri criteri, che si tramutano ben presto in aguzzine violentatrici della libertà e dell'amore. 

Come capita ai sacerdoti, ai vescovi, ai consacrati presi nei lacci del clericalismo, figlio dell'ipocrisia superba che disprezza gli altri. Basta, infatti, pensare di essere diversi, come i farisei; basta pensare "come mai ?... perché voi ?..." che già ci si è messi al di qua di un ipotetico confine: da questa parte noi, che digiuniamo, noi che ci laviamo le mani, noi che non facciamo nulla in giorno di sabato; di là voi, poveri peccatori, incoerenti e smidollati... Noi preti e voi laici; sembra poco, invece è un cancro profondissimo, sentirsi diversi, in fondo migliori e più avanti, perché preti che hanno studiato, che hanno rinunciato al matrimonio, meno sporchi di mondo, più liberi, più... non si sa bene eppure "più" in qualcosa, mentre un prete dovrebbe puzzare di laico, come il "pastore deve puzzare dell'odore delle pecore" (Papa Francesco). 

Noi preti che... diciamolo allora, noi preti che giudichiamo anche e soprattutto "di sabato", come i farisei; certo loro non spigolavano di sabato, ma imbracciavano il mitra e sparavano - e come se sparavano - giudizi come proiettili, che uccidevano senza pietà. Forse "di sabato" era "permesso" e lecito questo lavoro della mente e del cuore? Come facciamo noi di domenica, magari dall'altare, mentre con volto beato celebriamo le nostre messe e giudichiamo i parrocchiani che non aiutano mai, avari ed egoisti; che non vengono ad ascoltarci, che preferiscono il mare e le partite alla messa e al catechismo... 

E mai una volta che andiamo a bussare alle loro case, sentendoci mille volte peggiori di loro, sedendoci alle loro tavole e annunciando il sabato di misericordia e riposo come una Buona Notizia: "Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa" (Papa Francesco). No, i nostri sabati, e le nostre domeniche, sono giorni cupi dove sforzarsi per incensare noi stessi e le nostre parole, i nostri riti vuoti che non aiutano nessuno, pieni di moralismi ed esigenze. E con noi le mamme catechiste e i papà volontari di feste e raduni, partitelle di calcetto e grigliate, che, ad ogni occasione, lasciano casa e famiglia per impegnarsi in parrocchia... Volontari del fare e mai dell'ascoltare, della fatica e mai del riposo - povera Chiesa iperattiva nell'illusione di non aver bisogno di ascoltare quello che gli "altri" invece dovrebbero sentire.... 

Quanti farisei a recintare gruppi tristemente autoreferenziali, sentine di pettegolezzi, come e peggio che dai parrucchieri. Bei sabati di ipocrisie... Spesso, scive Papa Francesco ai Vescovi del Celam "il parroco clericalizza il laico e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo... Si tratta di una complicità peccatrice". Mentre la Chiesa è "Sposa, Madre, Serva, facilitatrice della fede e non controllore della fede".

Ma il Signore oggi ci mostra la libertà e la gioia d'essere figli di Dio: "
L'autoreferenzialità e il clericalismo non consentono di sperimentare la dolce e confortante gioia dell'evangelizzare... questa gioia tante volte si accompagna alla Croce. Però ci salva dal risentimento, dalla tristezza e dalla solitudine clericale" (Papa Francesco). Ma non solo clericale eh! Lo stesso accade nelle famiglie, dove il padre o la madre assumono lo stesso atteggiamento moralistico, esigente e inquisitorio. O, ma è più difficile smascherarlo, quando assumono atteggiamenti amichevoli che lasciano liberi, tanto abbiamo sbagliato tutti da giovani. Entrambi sono figli dell'ipocrisia farisaica che assolutizza la propria idea di perfezione, e non cerca il cuore delle persone per comprenderne gli autentici bisogni, l'inesausto desiderio del Cielo. 

Questa misericordia che guarda il cuore era proprio quella che mancava alla fredda ragione dei farisei, come ad ogni etica senza Spirito Santo. Occorreva una carne capace di compiere quello che la Legge disegnava e stabiliva, l'uomo nuovo libero dalla schiavitù del peccato: "Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito" (Rom. 8, 1 ss). 

Il suo amore “ci strappa” alla maledizione che pesa su chi, aspettando dalla Legge la salvezza, non la compie, divenendone trasgressore colpevole. La sua misericordia ci introduce nel suo Regno, dove con Lui siamo sacerdoti, re, profeti, liberi di mangiare dei pani di vita preparati per l'offerta rituale

In Cristo siamo condotti al cuore della Legge, per poterla vivere nella sua autenticità, come se ne fossimo anche noi gli autori, giorno per giorno, situazione per situazione, relazione per relazione: il compimento della Legge, infatti, è l’amore, l’unico che sa coniugarla concretamente incarnandola nell’offerta gratuita di se stessi, come spighe mature. Così, quanto fatto dai discepoli, assume un carattere profetico, annuncia la buona notizia che Gesù è venuto a proclamare: è giunto il Messia - nel Talmud (Tamid 7,4) l'Era Messianica è chiamata Yom shekullò Shabbat, il giorno che sarà tutto Shabbat. – Gesù di Nazaret, il chicco di grano caduto in terra per produrre il molto frutto dell’amore e della libertà. 

Il campo nel quale sono entrati i discepoli è immagine del sepolcro che ha accolto il Signore; le spighe sono il frutto della risurrezione, germogliato proprio per distruggere le barriere della schiavitù del peccato; i discepoli, affamati di perdono, vita e libertà, entrano in quel sabato per partecipare del compimento definitivo di ogni sabato, e non per trasgredirne i precetti:in quel campo è apparso il “Signore del sabato” che ha vinto il signore del sepolcro e della morte, il frutto atteso, la gratuità del perdono e dell’amore che ogni sabato insegna e celebra. “Strappare le spighe e mangiarne” allora, significa vivere in pienezza il sabato, “fatto da Dio per l’uomo” al termine della creazione, il sigillo dell’Alleanza che accoglie e sposa l’umanità nel suo riposo. 

Come capovolgere il disegno d’amore di Dio, facendo del suo talamo un letto di prostituzione dove comprare l’amore con gli sforzi che abbiamo visto e sperimentato inconcludenti e frustranti? La Croce è per l’uomo, e non l’uomo per la Croce! Su di essa vi è salito Cristo per perdonare proprio i peccati che impediscono all’uomo di compiere il sabato dell’amore gratuito. Su di essa Egli ci accoglie ogni giorno attraverso i fatti e le persone che incontriamo, per donarci la spiga matura che non siamo stati capaci di far germogliare nella nostra vita. Lo scandalo dei farisei è lo stesso che sperimentiamo quando rifiutiamo la storia e la misericordia che vi è deposta, convinti che “non sia lecito” quell’amore così assurdo! Non è lecito perdonare settanta volte sette la moglie, il marito, il collega. Non è lecito lasciarsi “strappare” l’onore, la dignità, il tempo e le idee. 

La “fame e il bisogno” di Davide in fuga da Saul, altro non erano che la fame e il bisogno di ciascuno di noi perseguitati dalla gelosia e dalla schiavitù di rapporti malsani, carnali, appiattiti sui criteri mondani, in cerca di un sabato che sia per noi rifugio, libertà, pace, riposo, pienezza e amore. Oggi possiamo scoprire che questo amore è a un passo da noi, cammina accanto a noi, è Cristo che attende di essere “strappato” come una spiga: basta entrare nel campo, nella storia di ogni giorno, e accogliere i frutti di una vita rinnovata; in essa, ogni giorno diviene un sabato dove chi ci è accanto possa accogliere l’amore di cui è affamato, cogliendo in noi discepoli del Signore, le sue spighe mature: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna" (Rom. 6, 4ss).


Nessun commento: