"Non credere d'aver fatto profitto nella Perfezione , se non ti tieni per lo peggiore di tutti , e se non desideri di esser posposto a tutti : perché questo è proprio di quei , che sono grandi negli occhi di Dio , essere piccoli negli occhi propri : e quanto più sono gloriosi innanzi al Signore , tanto più vili appariscono appresso se medesimi"
S. Teresa d'Avila
S. Teresa d'Avila
Dal Vangelo secondo Matteo 7,1-5.
Non giudicate, per non essere giudicati;
perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.
Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?
O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
IL COMMENTO
Giudicare in greco “krinein” significa separare, setacciando o vagliando. Molto del nostro tempo è passato a vagliare. Pesare con il bilancino ogni parola, ogni atto, ogni sguardo. Degli altri. E di noi stessi. Senza misericordia. Non si tratta di non giudicare, vivendo come impauriti d’ogni pensiero, incapaci d’ogni valutazione.
Attenzione, è facile cadere in un moralismo schiacciante. Si tratta di “misura”. Il criterio di Dio nel giudizio: la Misericordia. Essa ha sempre la meglio sul giudizio. Gli occhi pregni di pazienza, di misericordiosa compassione. Di pietà. Gli occhi di Dio che riflettono un cuore ricolmo d’amore. Che dimentica il male, che cerca testardamente il bene.
Lo sguardo di Dio, le sue viscere di misericordia. E le sue parole, di verità, di amorevole correzione, quella d’un Padre che ama davvero suo figlio. Lui ha guardato la trave dinnanzi ai suoi occhi, la Croce del Figlio, il peso d’ogni peccato rovesciato sulle sue membra. Il prezzo del nostro riscatto. Il suo Figlio, fatto peccato per ciascuno di noi.
Smettiamola dunque di giudicare una pagliuzza, di setacciare nel prossimo – marito, moglie, figli, genitori, colleghi…. – ogni sospiro e ogni presunto pensiero. Cercando chissà quale movente, quale ingiustizia, quale disprezzo. Smettiamola di appiccicare i nostri occhi su chi ci sta intorno, e fissiamoli sulla trave che pesa sulle spalle di Cristo. Pesante. Assassina. I nostri peccati. Fissiamola allora, fissiamola bene, arrossata dal sangue del Signore, fissiamola ancora, vi leggeremo il perdono.
Una risposta, ad ogni peccato: misericordia. Non accorgersi della trave che ci è negli occhi significa non aver conosciuto l’amore di Dio. Non aver sperimentato lasua misericordia. Cercare la pagliuzza negli occhi altrui, significa essere stanchi di noi stessi, dei tanti difetti, peccati, stranezze che vorremmo dimenticare. Che non abbiamo saputo accettare. Dove non abbiamo sperimentato il perdono, la pazienza e l’amore di Dio. Giudicare il prossimo senza misericordia è frutto d’un giudizio senza misericordia nei confronti di noi stessi.
Una trave ci salva. La misericordia crocifissa, il documento del nostro debito appeso e annullato. Non sbattiamoci contro alla trave. Lasciamoci amare. Basta ipocrise, vite mascherate che ci trasformano in aguzzini. Con noi stessi e con gli altri. V’è una trave. Una misericordia infinita. La misura con la quale siamo stati giudicati. La misura con cui giudicare. La misura dell’ultimo giorno. Il criterio d’ogni discernimento, di ogni legittima, auspicata correzione.
Condurre a Cristo ci ripete Benedetto XVI, come la trave della Croce ci unisce a Lui. Non v’è da togliere nessuna pagluizza, non è affar nostro. V’è solo da amare, sapendoci, istante dopo istante, amati. Infinitamente.
APPROFONDIMENTI
LA SANTITA'
Orando un dì S. Antonio , intese questa voce : Antonio tu non sei ancora giunto alla perfezione di un tal Coriario , ch'è in Alessandria . Andò subito il Santo a trovar colui ; e richiestolo dalla sua vita , quegli rispose : Io non so d'aver mai fatto bene alcuno ; onde alzato che sono la mattina , dico tra me , che tutta la gente di questa Città si salverà per le sue buone opere , ed io solo mi perderò per li miei peccati ; e l'istesso dico pure la sera con tutta sincerità prima d'andare a letto . No , no , ripigliò S. Antonio , tu coll'arte tua t'ha assicurato il Cielo ; ed io , come senza discrezione , non sono arrivato alla tua misura . Nelle vite de' PP. si narra di un certo Monaco , il quale dando conto del suo interno all'Abate Sisois , disse , che portava quasi di continuo dentro di se la memoria di Dio . L'Abate gli rispose . Questa non è gran cosa : la gran cosa sarebbe se tu vedessi sempre te stesso sotto ogni creatura . Essendo stato ricevuto in un Monastero un uomo principale d'Alessandria , l'Abate , che nel suo aspetto , e da altri segni lo prese per uomo aspro , altiero , e gonfio della vanità del secolo , volle guidarlo per la via sicura dell'Umiltà , e però lo mise alla porteria con ordine di gettarsi a' piedi di tutti quelli , ch'entravano ed uscivano , dicendo , che pregassero Dio per lui , ch'era un peccatore . Ubbidì colui esattamente , e dopo d'essere stato sette anni in quell'esercizio , e di aver acquistata una grande Umiltà , stimò bene l'Abate di fargli prendere l'ordine , ed ammetterlo in compagnia degli altri . Ma egli , ciò inteso , tanto lo pregò e lo scongiurò di lasciarlo in quell'impiego per quel poco tempo , che dicea dovergli restar di vita , che finalmente l'ottenne . E fu indovino , perché dieci giorni dopo se ne morì con gran quiete , e sicurezza della sua salute . Il fatto vien riferito da S. Giovanni Climaco , il quale dicea di aver parlato con quest'uomo ; e che avendogli domandato in che si occupasse in tutto quel tempo che stava alla porta ; rispose , che tutto il suo esercizio era di riputarsi indegno di stare in quel Monastero , e di godere la compagnia e vista dei Padri , e di neppur alzar gli occhi per guardarli. Si legge della V. M. Serafina di Dio , che parea non avesse gli occhi , che per guardare ed esagerare i propri difetti , e per ammirare negli altri la loro virtù . Ond'è che quando vedea , che gli altri facessero alcun bene , con gran sentimento dicea : o beati loro ! Tutti attendono a servire Iddio fuorché io . E quando ne vedea a' piedi de' Confessori , stima , che d'altro non parlassero , che di Dio ; e si rammaricava con se medesima , che altro non andava a dire a quelli , che scelleraggini e peccati . E se mai vedea farsi da alcuno qualche difetto , lo sapea facilmente scusare e compatire . Ed in questa maniera ella sapea mantenersi anche in vista degli altrui mancamenti nel concetto , che di se avea di esser peggiore di tutti .
EMILIANO JIMENEZ
NON GIUDICATE (Mt 7,1-12)
a) La pagliuzza e la trave
Gesù, con un fermo imperativo, proibisce ai suoi discepoli di giudicarsi l'un l'altro: «Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1). Chi giudica gli altri si crede superiore e migliore di loro. Così si arroga un diritto sugli altri che non gli appartiene. Il giudizio appartiene a Dio. Nella comunità, i fratelli non si affrettano a giudicare e condannare chi pecca. Confidano nella grazia di Dio che dà a tutti il tempo per la conversione: «Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'a-dempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,8-9). Che il giudizio appartiene a Dio e non a noi, lo ricorda Paolo ai fedeli della comunità di Corinto: «Non vogliate per-ciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio»
(1Cor 4,5). Anche ai Romani scrive: «Ma tu, perché giudichi il
tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto: Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello» (Rm 14,10-13). Con la parabola del grano e della zizzania, Gesù torna ad invitarci a lasciare il giudizio a Dio (Mt 13,24-30). Chi entra nel suo foro interiore e contempla il proprio peccato non giudica gli altri. E se giudica gli altri li giudica con benevolenza, «considerando gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). Il salmista detesta il giudizio dell'empio mentre accetta la correzione del giusto: «Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l'olio dell'empio non profumi il mio capo» (Sal 141,5). La correzione del giusto è rivestita di misericordia, poiché corregge e riprende per invitare alla salvezza. Il rimprovero dell'empio e del peccatore, invece, non cerca di sanare, ma di ferire. Nel Sermone della Montagna, segue una sentenza sapienziale per rafforzare la proibizione del giudizio: non giudicate «perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2). La sentenza si può esprimere in tanti modi, usando le più diverse immagini: chi scava una fossa per gli altri vi cade dentro; nella pentola in cui cuoce gli altri viene cotto lui; con la bilancia con cui pesa gli altri pesano lui. O con l'esempio di Assalonne: era orgoglioso della sua capigliatura e vi restò appeso. Il salmo riprende questa dottrina, dicendo: «Non torna forse ad affilare la spada, a tendere e puntare il suo arco? Si prepara strumenti di morte, arroventa le sue frecce. Ecco, l'empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna. Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto; la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa» (Sal 7,13-17). E la sorte di Aman, giustiziato sulla forca che aveva preparata per Mardocheo (Est 7,10). Chi osa giudicare gli altri non deve mai dimenticare che anche lui comparirà davanti al tribunale divino. E tutti siamo colpevoli, bisognosi di misericordia, poiché «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia» (Rm 11,32). È forse impossibile evitare il giudizio tra i fratelli che vivono in comunità. Conoscere il fratello è frutto della comunione. Scoprire le fragilità degli altri è un invito non al rifiuto o alla condanna, ma a «sopportare l'infermità dei deboli» (Rm15,1), «portando i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). E, soprattutto, aiuta a giudicare con misericordia la conoscenza di se stesso. Chi conosce le sue debolezze e fragilità sa comprendere quelle degli altri. Chi è sceso nelle profondità del suo cuore e sa che è vivo per grazia di Dio, come potrà non essere comprensivo con i difetti dei suoi fratelli? San Paolo, che nella sua vita di fariseo aveva giudicato e condannato gli altri con tanta facilità, una volta toccato dalla grazia di Cristo, scrive: «Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?» (Rm 2,1-3). La differenza che c'è tra una pagliuzza e una di quelle travi che sostengono il tetto delle case è la stessa che esiste tra il difetto altrui e quello proprio. Ma noi non vediamo il nostro, benché sia grande come una trave, mentre vediamo, invece, quello altrui, benché sia piccolo come una pagliuzza. Quando si giudica è facile usare due misure: una per se stesso e un'altra per gli altri. Siamo soliti fissare la nostra attenzione sulla pagliuzza nell'occhio di quanti ci vivono accanto e, tuttavia, siamo ciechi per vedere l'enorme trave conficcata nel nostro occhio. Gesù, che non vuole che tra fratelli ci siano giudizi né condanne, ci dice: «Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 0 come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,3-5). Ai farisei che condannano l'adultera, Gesù dice: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Sant'Agostino, in un sermone sul salmo cinquanta, commenta: «Davide ha confessato: riconosco la mia colpa (Sal 50,5). Se io riconosco, tu perdona [...] Gli uomini senza speranza, quanto meno prestano attenzione ai propri peccati, tanto più si occupano dei peccati degli altri. In realtà non cercano di correggere, ma di condannare. E poiché non possono scusare se stessi, accusano gli altri. Non è questo il modo di pregare e chiedere perdono a Dio, secondo quanto ci insegna il salmi-sta, quando esclama: riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi (Sal 50,5)». L'occhio vede quello che ha davanti a sé, ma non vede se stesso. Questo è il problema. Vediamo il più piccolo difetto del prossimo, ma quanto ci costa scoprire l'abisso di cattiveria dentro di noi! Solo una continua e ripetuta esperienza del perdono può aprirci gli occhi dello spirito per guardarci den-tro e riconoscere il proprio peccato. Nel CREDO confessiamo: Credo nel perdono dei peccati. L'ordine della frase è corretto. Prima si crede nel perdono e solo dopo nel peccato. Dove non c'è perdono, si cerca di giustificare tutto, incolpando sempre gli altri. Anche nell'esperienza comunitaria è importante guardare gli altri come specchio della nostra interiorità. Ciò che inizialmente non vediamo in noi lo vediamo subito negli altri. Ciò che giustifichiamo in noi forse non lo accettiamo negli altri. Così il giudizio degli altri diventa giudizio su di noi. In que-sto modo passiamo dalla condanna dell'altro alla riconoscen-za perché mi aiuta a conoscermi e a situarmi sotto la grazia di Gesù Cristo, che non è venuto a cercare i giusti, ma i peccatori (Mt 19,13). Gesù, che ci invita a «essere perfetti come è perfetto il Padre» (Mt 5,48), cioè «misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36), desidera che il nostro occhio sia limpido e luminoso per guardare il fratello con la stessa luce con cui lo guarda il Padre buono e misericordioso. Chi ha visto la trave immensa che lo acceca e ha sperimentato il perdono e la misericordia di Dio non avrà difficoltà a vedere con pietà la pagliuzza del fratello e a perdonarlo. Gesù non si limita a inculcarci l'amore per il prossimo giudicandolo con misericordia. Questa è certamente la prima cosa, «perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,12). Gesù desidera che scopriamo la trave che abbiamo piantata nel nostro occhio. Chi non vede i propri difetti è definito ipocrita, poiché vive nella menzogna. «Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14).
(1Cor 4,5). Anche ai Romani scrive: «Ma tu, perché giudichi il
tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto: Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello» (Rm 14,10-13). Con la parabola del grano e della zizzania, Gesù torna ad invitarci a lasciare il giudizio a Dio (Mt 13,24-30). Chi entra nel suo foro interiore e contempla il proprio peccato non giudica gli altri. E se giudica gli altri li giudica con benevolenza, «considerando gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). Il salmista detesta il giudizio dell'empio mentre accetta la correzione del giusto: «Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l'olio dell'empio non profumi il mio capo» (Sal 141,5). La correzione del giusto è rivestita di misericordia, poiché corregge e riprende per invitare alla salvezza. Il rimprovero dell'empio e del peccatore, invece, non cerca di sanare, ma di ferire. Nel Sermone della Montagna, segue una sentenza sapienziale per rafforzare la proibizione del giudizio: non giudicate «perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2). La sentenza si può esprimere in tanti modi, usando le più diverse immagini: chi scava una fossa per gli altri vi cade dentro; nella pentola in cui cuoce gli altri viene cotto lui; con la bilancia con cui pesa gli altri pesano lui. O con l'esempio di Assalonne: era orgoglioso della sua capigliatura e vi restò appeso. Il salmo riprende questa dottrina, dicendo: «Non torna forse ad affilare la spada, a tendere e puntare il suo arco? Si prepara strumenti di morte, arroventa le sue frecce. Ecco, l'empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna. Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto; la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa» (Sal 7,13-17). E la sorte di Aman, giustiziato sulla forca che aveva preparata per Mardocheo (Est 7,10). Chi osa giudicare gli altri non deve mai dimenticare che anche lui comparirà davanti al tribunale divino. E tutti siamo colpevoli, bisognosi di misericordia, poiché «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia» (Rm 11,32). È forse impossibile evitare il giudizio tra i fratelli che vivono in comunità. Conoscere il fratello è frutto della comunione. Scoprire le fragilità degli altri è un invito non al rifiuto o alla condanna, ma a «sopportare l'infermità dei deboli» (Rm15,1), «portando i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). E, soprattutto, aiuta a giudicare con misericordia la conoscenza di se stesso. Chi conosce le sue debolezze e fragilità sa comprendere quelle degli altri. Chi è sceso nelle profondità del suo cuore e sa che è vivo per grazia di Dio, come potrà non essere comprensivo con i difetti dei suoi fratelli? San Paolo, che nella sua vita di fariseo aveva giudicato e condannato gli altri con tanta facilità, una volta toccato dalla grazia di Cristo, scrive: «Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?» (Rm 2,1-3). La differenza che c'è tra una pagliuzza e una di quelle travi che sostengono il tetto delle case è la stessa che esiste tra il difetto altrui e quello proprio. Ma noi non vediamo il nostro, benché sia grande come una trave, mentre vediamo, invece, quello altrui, benché sia piccolo come una pagliuzza. Quando si giudica è facile usare due misure: una per se stesso e un'altra per gli altri. Siamo soliti fissare la nostra attenzione sulla pagliuzza nell'occhio di quanti ci vivono accanto e, tuttavia, siamo ciechi per vedere l'enorme trave conficcata nel nostro occhio. Gesù, che non vuole che tra fratelli ci siano giudizi né condanne, ci dice: «Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 0 come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,3-5). Ai farisei che condannano l'adultera, Gesù dice: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Sant'Agostino, in un sermone sul salmo cinquanta, commenta: «Davide ha confessato: riconosco la mia colpa (Sal 50,5). Se io riconosco, tu perdona [...] Gli uomini senza speranza, quanto meno prestano attenzione ai propri peccati, tanto più si occupano dei peccati degli altri. In realtà non cercano di correggere, ma di condannare. E poiché non possono scusare se stessi, accusano gli altri. Non è questo il modo di pregare e chiedere perdono a Dio, secondo quanto ci insegna il salmi-sta, quando esclama: riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi (Sal 50,5)». L'occhio vede quello che ha davanti a sé, ma non vede se stesso. Questo è il problema. Vediamo il più piccolo difetto del prossimo, ma quanto ci costa scoprire l'abisso di cattiveria dentro di noi! Solo una continua e ripetuta esperienza del perdono può aprirci gli occhi dello spirito per guardarci den-tro e riconoscere il proprio peccato. Nel CREDO confessiamo: Credo nel perdono dei peccati. L'ordine della frase è corretto. Prima si crede nel perdono e solo dopo nel peccato. Dove non c'è perdono, si cerca di giustificare tutto, incolpando sempre gli altri. Anche nell'esperienza comunitaria è importante guardare gli altri come specchio della nostra interiorità. Ciò che inizialmente non vediamo in noi lo vediamo subito negli altri. Ciò che giustifichiamo in noi forse non lo accettiamo negli altri. Così il giudizio degli altri diventa giudizio su di noi. In que-sto modo passiamo dalla condanna dell'altro alla riconoscen-za perché mi aiuta a conoscermi e a situarmi sotto la grazia di Gesù Cristo, che non è venuto a cercare i giusti, ma i peccatori (Mt 19,13). Gesù, che ci invita a «essere perfetti come è perfetto il Padre» (Mt 5,48), cioè «misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36), desidera che il nostro occhio sia limpido e luminoso per guardare il fratello con la stessa luce con cui lo guarda il Padre buono e misericordioso. Chi ha visto la trave immensa che lo acceca e ha sperimentato il perdono e la misericordia di Dio non avrà difficoltà a vedere con pietà la pagliuzza del fratello e a perdonarlo. Gesù non si limita a inculcarci l'amore per il prossimo giudicandolo con misericordia. Questa è certamente la prima cosa, «perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,12). Gesù desidera che scopriamo la trave che abbiamo piantata nel nostro occhio. Chi non vede i propri difetti è definito ipocrita, poiché vive nella menzogna. «Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14).
San Giovanni Climaco (circa 575-circa 650), monaco nel Monte Sinai
La scala santa, 10° grado
Sentiti alcuni maledire il prossimo, li ho rimproverati. Per difendersi, questi operatori di iniquità hanno risposto: «Per carità e per sollecitudine parliamo così!» Ho risposto loro: Smettete di praticare simile carità, altrimenti accuserete di menzogna colui che ha detto: «Chi calunnia in segreto il suo prossimo io lo farò perire» (Sal 100,5). Se ami quell'uomo, come dici, prega in segreto per lui e non disprezzarlo. Questo modo di amare piace al Signore; non perdere di vista questo, e applicati con molta cura a non giudicare i peccatori. Giuda era del novero dei discepoli e il ladrone faceva parte dei malfattori, eppure quale cambiamento stupendo in un attimo!...
Rispondi dunque a colui che parla male del prossimo: «Smetti, fratello! Io stesso cado ogni giorno in colpe più gravi; come allora potrei condannare costui? « Ne trarrai un doppio profitto: guarirai te stesso e guarirai il tuo prossimo. Non giudicare è una scorciatoia che conduce prontamente al perdono dei peccati, se è vera questa parola: «Non giudicate e non sarete giudicati»... Alcuni hanno commesso grandi colpe alla vista di tutti, ma hanno compiuto in segreto i più grandi atti di virtù. Così i loro accusatori si sono ingannati attaccandosi solo al fumo senza vedere il sole...
I censori frettolosi e severi cadono in tale inganno perché non conservano il ricordo e il pensiero costante dei propi peccati... Giudicare gli altri, è usurpare senza vergogna una prerogativa divina; condannarli, è rovinare la propria anima... Come un buon vendemmiatore mangia l'uva matura e non coglie l'uva verde, così uno spirito benevolo e sensato nota con cura tutte le virtù che vede negli altri; è insensato invece colui che scruta le colpe e le deficenze.
Doroteo di Gaza ( circa 500- ?), monaco in Palestina
Lettere, 1 ; SC 92, 495
Alcune persone convertono in umore cattivo ogni alimento che assorbon anche se questo alimento è sano. La colpa non è dell’alimento, bensì del loro temperamento che altera gli alimenti. Allo stesso modo, se la nostra anima è in una cattiva disposizione, tutto le fa del male; essa trasforma, persino le cose utili per lei in cose nocive. Se si getta un po' di erbe amare in un vaso di miele, non altereranno forse tutto il barattolo, rendendo tutto il miele amaro? È proprio quello che facciamo: diffondiamo un poco della nostra amarezza e distruggiamo il bene del prossimo, guardandolo secondo la nostra cattiva disposizione.
Altre persone invece hanno un temperamento che trasforma ogni cosa in buoni umori, persino gli alimenti cattivi... I porci hanno una buonissima costituzione. Mangiano le carrube, i noccioli di datteri e immondizie. Eppure trasformano questo cibo in una carne succulenta. Anche noi, se abbiamo buone abitudini e un buono stato d’animo, possiamo trarre profitto da tutto, persino da quello che non è utile. Lo dice benissimo il libro dei Proverbi: “Chi guarda con benevolenza otterrà misericordia” (12,13). Ma altrove: “Per l’uomo insensato, ogni cosa è contraria” (14,7).
Ho sentito dire di un fratello che se, recandosi da un altro, trovava la sua cella trascurata e in disordine, diceva dentro di sé : « Quanto è felice questo fratello poiché è totalmente distaccato dalle cose terrene e porta così bene tutto il suo spirito in alto, da non avere più il tempo per riordinare la sua cella!” Se poi andava da un’altro fratello e trovava la sua cella in ordine e pulita, diceva dentro di sé: “La cella di questo fratello è pulita quanto la sua anima. Tale è lo stato della sua anima, tale quello della sua cella!” Mai diceva riguardo a qualcuno: “Questi è disordinato” oppure: “quello è frivolo”. Grazie al suo stato eccellente, traeva profitto da tutto. Dio nella sua bontà dìa anche a noi uno stato d’animo buono perché possiamo godere di tutto e non pensare mai del male del prossimo. Se la nostra malizia ci ispira giudizi o sospetti, trasformiamo presto questi in buoni pensieri. Infatti il non vedere il male del prossimo genera, con l’aiuto di Dio, la bontà.
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