Venerdì della II settimana di Avvento

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In quel tempo, Gesù disse alla folla: “A chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio.
È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori.
Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere”.

IL COMMENTO

Mai sazi. Mai contenti. Mai sereni. Mai come questa una generazione perduta. Gadget d'ogni foggia, accessori sempre più miniaturizzati. Non manca praticamente nulla. Ma della felicità neanche l'ombra. L'insofferenza ad ogni difficoltà, il rifiuto categorico a qualsiasi sofferenza. Energie profuse alla ricerca della miglior qualità della vita. E la vita scorre senza nessuna qualità. Imbottiti di cose siamo una generazione seduta sull'anima. E le orecchie tappate. I Profeti son messi in ridicolo. Tacitati, d'ogni loro parola se ne distillano le poche convenienti. Il nostro puro guadagno. Sempre. In casa, in ufficio, a scuola siamo il permanente centro di gravità, e che tutto vi giri intorno alla perfezione. E sopraggiunge la Croce. Tutto è perduto, sprofondiamo in depressioni galattiche, il senso del fare e del pensare smarrito. Ma i Profeti erano tutti indemoniati. O mangioni e beoni. Non erano proprio credibili. Era un pazzo Noè, costruiva un'arca nel bel mezzo d'una pianura. E splendeva il sole e si lavorava, si metteva su famiglia, ci si godeva la vita. E quel pazzo continuava a costruire un'arca. E vi metteva dentro coppie d'animali, e la sua famiglia. Chiuse la porta. All'improvviso un tuono, un diluvio d'acqua e tutto era perduto. Matrimoni, lavori, locande, tutto spazzato via. E l'arca era lì, riparo e salvezza d'un pugno di pazzi. Le grida di Giovanni, era un pazzo anche lui, indemoniato di certo. La legge, i tabù, le Dieci Parole, paccottiglia per soggiogare. La misericordia paziente di Gesù seduto in compagnia dei malvagi. Un ubriacone, un rammollito. Ha rinunciato alla vita e predica vane utopie. Penso e dunque sono. Nei miei pensieri niente misericordia, l'amore è solo di carne, il resto sono fandonie, non esiste nulla al di fuori dei miei schemi pensati. Pura alienazione, oppio dei popoli.
E giunge la Croce. E' vera la Croce. E' dura la Croce. Fa male. I chiodi solcano la carne e la straziano, il dolore si fa lancinante. Le spine assopiscono la mente. Dove sono i pensieri che mi han fatto essere? Dove sono le tante cose che hanno riempito tempo e pancia?
"Israele se tu mi ascoltassi!". Ma non abbiamo ascoltato. Nessuna Parola. Troppo dure. Troppo buone. Non facevano per noi le Parole di Dio. Ed ora soli di fronte alla Croce.
Ma alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere. La sapienza della Croce ha svelato l'inganno. Le opere nascoste d'un cuore infinito. L'amore cocciuto di Dio che cerca senza riposo la pecora smarrita. "Non hanno ascoltato nessuno, avranno pietà di mio Figlio" . E invece no, nessuna pietà. Deriso, insultato, condannato, crocifisso. Ed era lì l'unica vera Sapienza, nella Sua morte la nostra vita. Non c'era altro da fare, il Signore doveva morire così. Muto, come pecora di fronte ai tosatori. Non ne avevamo alcuna stima, eppure stava portando i nostri peccati. La nostra vita balorda, ingannata, ubriaca di cose e di idee, era lì, sulle sue spalle, le nostre ore perdute trafiggevano le Sue membra. E il seme caduto in terra moriva. E dalla Sua morte dentro la nostra morte, la vita. Sapienza d'un miracolo. La Giustizia della Croce ha giustiziato il nemico. La verità risplende nella Sua risurrezione. Abbiamo perso tanto della nostra vita, illusi abbiamo chiuso orecchie e cuore ai tanti profeti che il Padre ci aveva inviato. E cisiamo perduti. Ma no, non tutto è finito. Non siamo nati per morire così. Alziamo oggi il nostro sguardo a Colui che abbiamo trafitto, arrendiamoci al Suo amore sconsiderato. Ha dato la vita per dei cialtroni come noi. Non induriamo oggi il nostro cuore. Viene il Signore a salvare ciò che era perduto. Accogliamolo oggi in questo nostro Avvento. Come Maria ai Suoi piedi. In ginocchio, piegata nella sua estrema debolezza, riconosce la propria poverissima realtà. Umile, inginocchiata sull' "humus", la terra che senza lo Spirito non cessa d'esser nulla destinata al nulla. " Chi non piange su ciò di cui bisogna piangere, non potrà mai gioire" (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Matteo, I, Milano, 1998, Pag. 207). Maria ai piedi di Gesù, nuda e indifesa dinnanzi alla predicazione del Battista, alla chiamata alla conversione, la sola capace di aprire il cuore alla gioia della misericordia. Maria nella verità. Ai piedi di Gesù, nella Sua intimità, contemplando quei piedi benedetti che hanno aperto il cammino alla sua libertà. Alla felicità. Ai piedi di Gesù, pronta all'obbedienza, abbandonata alla volontà di Dio. Da Gesù, nel Suo banchetto di perdono e di pace. Ecco l'atteggiamento più puro, più vero, l'unico che si addice al cristiano. Ai piedi di Gesù, la parte buona che non sarà mai tolta, la presenza doce del Signore in ogni istante della giornata. Gesù che colma le nostre vita. Il timore capace di discernere il tempo favorevole, il Kairos nel quale il Suo amore viene a visitarci. Ai piedi di Gesù, questa è l'unico modo sensato e sapiente di vivere, nel timore di Dio, il principio della Sapienza, la porta che apre il cammino al Cielo.

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