Il Dono nel Vangelo di San Giovanni

Terza Meditazione
20 Aprile 2004

- I -

Il discorso della malattia dell’uomo
nel contesto di una scena tipicamente evangelica

Il cap. 5, 1-18 di Giovanni:

«[1]Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [2]V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, [3]sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [[4]Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto]. [5]Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. [6]Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire? [7]Gli rispose il malato: Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me. [8]Gesù gli disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. [9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.

Quel giorno però era un sabato. [10]Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio. [11]Ma egli rispose loro: Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina. [12]Gli chiesero allora: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. [14]Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. [15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. [16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. [17]Ma Gesù rispose loro: Il Padre mio opera sempre e anch’io opero. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio».

C’è un elemento di questo racconto che m’interessa molto e allora mi sono fermato un po’ sopra.

Partiamo dalla scena: a Gerusalemme, piscina di Betzaetà presso la porta delle Pecore, e nel contesto di una festa. Che festa sia san Giovanni non lo dice, e quindi è meglio non cercare di indovinarlo, perché vuole dire che non è importante dal suo punto di vista, però è importante che sia una festa. Il contesto dovrebbe essere così, quindi anche gioioso, un richiamo «alle grandi opere di Dio», perché le “feste” sono sempre quelle: sono memoria di quello che Dio ha compiuto.

Ebbene, la scena ci fa vedere una:

«piscina con cinque portici, [3]sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici».

È una scena significativa, e si potrebbe dire: è proprio una scena evangelica.

1. L’uomo che s’incontra per la strada nella logica del Vangelo è malato, e una delle immagini caratteristiche di Gesù è proprio quella del medico.

Ha detto un commentatore, e credo giustamente, che se uno si chiede, chi sia l’uomo?, e se va a porre questa domanda al Vangelo, la risposta che il Vangelo gli dà è fondamentalmente che l’uomo è un malato.

Se la domanda viene posta ad un filosofo, naturalmente vi dà l’immagine dell’uomo perfetto, che fisicamente, psicologicamente, spiritualmente e culturalmente è realizzato, è compiuto diremmo noi; l’uomo per il filosofo è quello lì, per chi ragiona in astratto.

Ma il Vangelo non ragiona in astratto, non parla dell’idea di uomo, che evidentemente è perfetta, ma parla dell’uomo che s’incontra per la strada.

E l’uomo che s’incontra per la strada nella logica del Vangelo è malato.

Tutti quelli che Gesù ha incontrato fondamentalmente erano, da un certo punto di vista o dall’altro, malati, o malati fisicamente o spiritualmente. E quando pensavano di essere integri spiritualmente, come il “giovane ricco” (cfr. Mt 19, 16-22), vengono fuori dall’incontro con Gesù che si capisce bene che sono malati, che quindi c’è qualche cosa, magari nascosto, che però non funziona bene.

Allora, questa scena piena di infermi, ciechi, zoppi e paralatici è effettivamente una scena tipicamente evangelica.

D’altra parte una delle immagini caratteristiche di Gesù è proprio quella del medico, del guaritore. Quando Pietro fa quello straordinario discorso di evangelizzazione in casa di Cornelio, dice che:

«[38] (…) Gesù è passato facendo del bene e sanando – rendendo sano – tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38).

2. Quando la malattia è significativa, quello che è in gioco è il senso della vita della persona.

Il che ci aiuta anche a capire che la malattia non è semplicemente un fatto fisico. È vero che è malato il fegato o lo stomaco o i polmoni… ma in realtà la malattia è sempre qualche cosa di molto più profondo; s’intende quando è una malattia grossa, se è un’influenza non ci si bada forse neanche. Quando è una malattia significativa, quello che è in gioco è il senso della vita della persona.

La malattia è in qualche modo un anticipo della morte, e quindi una diminuzione di speranza di vita, di quella pienezza di vita a cui l’uomo si sente effettivamente chiamato. Quindi ammalarsi è effettivamente entrare in una crisi, e non semplicemente fisica, ma del modo di intendere noi stessi, del modo di vederci, di comprendere chi siamo e che cosa stiamo vivendo. Molte volte la malattia ripiega la persona su di sé: “perché è così assorbente dal punto di vista psicologico che faccio fatica a vedere il resto del mondo, faccio fatica a vedere se il sole si alza al mattino, e quindi se c’è un cammino di vita che si manifesta nella natura, nella creazione, negli altri”. Perché la mia malattia diventa in qualche modo il punto di riferimento, il punto da cui vedo il mondo che lo vedo a partire da lì. Quindi dentro c’è effettivamente un discorso grande e difficile.

Riuscire a vivere la malattia – non semplicemente come un momento vuoto, tra un periodo di sanità prima e un periodo di guarigione che speriamo ci sia dopo – trasformandola in una prestazione umana, cioè in qualche cosa che vivo con quel briciolino di libertà che mi rimane (quando uno è ammalato è diminuita la libertà, perché molte cose non le può fare) – il riuscire a gestirla con tutto me stesso, con tutto il mio impegno, cercando di vivere autenticamente, e non semplicemente di sopravvivere, è una prestazione difficile.

E proprio per questo il discorso della malattia nel Vangelo ha una importanza così grande.

3. L’essere così dentro la propria malattia da non riuscire nemmeno più a desiderare

Tra questa schiera di ammalati, che riempie la piscina:

«[5]Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato».

Il testo è un po’ più oscuro.

  • Non dice semplicemente che «era malato».
  • Ma che «stava da trent’anni dentro la sua malattia».

Come se la malattia fosse una specie di ambiente che lo circondava da tutte le parti, ci abitava dentro, ormai lui e la malattia erano diventati una cosa sola. Il “trentotto anni” hanno evidentemente pesato e molto, tanto hanno pesato che a prendere l’iniziativa deve essere Gesù.

  • Non è uno di quelli che si presentano al Signore e chiedono:
    • “Signore, abbi pietà di me!”.
    • “Cosa vuoi?”.
    • “Che io sia guarito! Che io sia mondato! Che io possa vedere!”.

No, questo qui è semplicemente “dentro la sua malattia”, sembra che non ci sia per lui altro.

Tanto che, dicevo, Gesù prende l’iniziativa e gli pone quella domanda semplicissima:

«Vuoi guarire?», «Vuoi diventare sano?».

E la stranezza è che questo ammalato non dice: “Sì!”. Che sarebbe la risposta naturale, la più semplice; uno è ammalato da trentotto anni: – “Che cosa vuoi?”. – “Guarire!”.

No, la sua risposta è: «[7] (…) Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».

Che è come dire: – “Ormai non ci spero più”; – “Vuoi guarire?” – “Non ci spero più!”.

È un uomo che si sente solo, non ha nessuno che lo aiuti, proprio nessuno, neanche un cane che gli stia vicino e lo aiuti nel momento in cui possa averne bisogno.

Anzi, gli altri li vede come un ostacolo: “quando sta per scendere nella piscina c’è qualcun altro che ci arriva prima di lui”, e quindi gli porta via la guarigione. “Gli altri” sono evidentemente un impedimento, questo uomo non vive più il rapporto con gli altri. Attenzione, non lo vive più come un rapporto umano, non vede negli altri delle persone che possono comprenderlo e aiutarlo; l’unica immagine che ne può avere è quella di una opposizione, di un ostacolo, da parte di qualcuno.

Insomma, è così messo dentro la sua malattia, che non sa più nemmeno quello che vuole, che non riesce nemmeno più a desiderare.

Ed è significativo che anche il Vangelo non dia un ritratto così preciso di quest’uomo. Generalmente dico che è un paralitico, perché quel «prendi il lettuccio a va a casa tua», potrebbe corrispondere a qualche altra immagine. Ma il Vangelo non lo dice che tipo di malattia avesse, semplicemente è una malattia che lo legava al suo lettuccio. Ma che cosa avesse non si sa, è un tutto confuso dentro l’esperienza di questa persona; appunto si vede solo la malattia, le qualificazioni più precise sono cancellate.

3.1. Dietro la figura di un malato cronico dovete vedere la psicologia di un malato che ormai non ha più nemmeno il desiderio di guarire

E probabilmente dietro a questa figura dovete vedere la psicologia di un malato cronico che ormai non ha più nemmeno il desiderio di guarire, può capitare anche questo.

È vero che la guarigione è sempre un desiderio fondamentale dell’uomo, perché l’uomo può vivere solo mantenendo aperta la speranza, e quindi mantenendo aperto il desiderio.

Però capita che in alcune situazioni l’uomo nella sua malattia ci fa il “nido”, perché per certi aspetti la malattia è anche una protezione: mi dà la possibilità di non assumermi delle responsabilità, di non dovere vivere dei rapporti che sono anche faticosi delle volte. E dopo un po’ che uno nella malattia c’è, questo atteggiamento può diventare prevalente e togliere o corrodere pian piano il desiderio di vivere, quindi il desiderio di amare, di ascoltare, di parlare, di capire, di entrare in rapporto.

4. Chiediamo al Signore di guarire, però con delle riserve, cioè non disposti a mettere in gioco tutto.

E questo non m’interessa dal punto di vista della malattia fisica perché non è il problema. Però m’intersa dal punto di vista della malattia spirituale, perché questo succede. Succede che noi spiritualmente siamo ammalati: è difficile che uno sia proprio integro e perfetto e sano, e quindi ami l’amore e viva e con perseveranza e con impegno l’amore.

Generalmente abbiamo una serie di limiti e di malattie, e capita delle volte che con qualche limite o malattia ci scontriamo davvero. Per cui ci rendiamo conto che lì c’è una partita decisiva da giocare, per fare un passo avanti, per crescere nell’amore del Signore e nell’amore degli altri, per dare alla nostra vita una forza di servizio, un significato di disponibilità più intensa.

Però capita (non dico a voi, ma a me capita qualche volta) di giocare con la richiesta della guarigione: chiediamo al Signore di guarire, però con delle riserve, cioè non disposti a mettere in gioco tutto.

4.1. “Convertimi, Signore, ma non subito”, vuole dire che la volontà e il desiderio non è autentico.

Quando sant’Agostino faceva quella bellissima preghiera, “convertimi, Signore, ma non subito”, faceva venire alla superficie quello che in noi molte volte è nascosto. Il “convertici Signore” lo diciamo, solo che dentro c’è anche il “non subito”.

Sappiamo che lì c’è la strada della vita, della gioia e della santità, che è l’unico senso che può avere la nostra vita. Però ci rendiamo conto che c’è anche un prezzo da pagare, che è il prezzo di una rinuncia, di un non riconoscimento, di qualche cosa che si perde… È vero che sono piccole gratificazioni quelle che si perdono, non sono cose immense, ma noi siamo così piccoli che anche alle piccole gratificazioni ci siamo attaccati, e il riuscire ad accettare il distacco, il taglio, ci costa.

Per cui quel “non subito” ci sta dentro molte volte nella nostra preghiera. E il “non subito” vuole dire evidentemente che la volontà e il desiderio non è autentico, non va fino in fondo, fino al centro della libertà.

E la conversione, il cambiamento, avviene lì, e bisogna riuscire a fare questo passo.

- II -
Il Signore continua l’attività creatrice del Padre

1. È Gesù che prende l’iniziativa per la conversione di questo infermo; e Gesù giustifica il suo comportamento come un prolungamento dell’attività creatrice di Dio.

Chi fa fare questo passo della conversione, nel racconto di questo infermo, è il comando del Signore, perché anche se questo uomo non ha chiesto di guarire, Gesù prende l’iniziativa e gli dice:

«Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. [9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare».

C’è quindi una parola di Gesù, una serie di imperativi: tre, uno dopo l’altro. E questi tre imperativi creano qualche cosa di nuovo; creano la guarigione, la vita, l’energia e la forza in quest’uomo: – “alzati, – “prendi su”, – “cammina”.

Quel rapporto stretto che il Vangelo pone – tra il comando del Signore, l’obbedienza, e quello che avviene – ha fatto pensare ad alcuni allo schema della creazione:

«[3]Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (Gen 1, 3).

Dove c’è una parola di Dio, è parola creatrice, lì la creazione nasce, si manifesta.

E di fatto, nel discorso che poi seguirà (e che non commenteremo), il riferimento alla creazione c’è. Gesù giustifica il suo comportamento come un prolungamento dell’attività creatrice di Dio:

«[17] (…) Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».

Quindi, l’attività del Signore continua prolungare l’attività creatrice del Padre, che vuole dire: c’è una creazione ma non corrisponde ancora al disegno, o al sogno di Dio, non è così come Dio la vorrebbe; c’è ancora qualche cosa da fare, c’è da prolungare e da completare l’opera, o da purificare la creazione perché corrisponda al disegno di Dio; e Gesù fa esattamente questo.

Le guarigioni che Gesù compie prendetele così: è Gesù che rende bella la creazione, che la purifica da quella schiavitù a cui è sottomessa per un potere di male del satana:

«[38] (…) risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38).

“Dio era con lui”, vuole dire: è un’opera da Dio quella che Gesù sta facendo, è un’opera da Creatore, e la sta facendo perché c’è un potere di satana che deve essere vinto e superato. Quindi avviene qualche cosa di bello:

«[9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare».

È il mondo che nasce, e nasce bello, che nasce sano e integro.

2. L’azione creatrice del Signore non suscita una risposta di gioia da parte di nessuno, anzi sembra suscitare una risposta negativa di rifiuto.

Ebbene, di fronte ad un fatto del genere dovrebbero gioire e cantare tutti i figli di Dio, tutti gli angeli del cielo, tutte le creature… Invece nel Vangelo c’è silenzio, nessuno dice niente… né il guarito comincia a saltare; come nel cap. 3, 1-10 degli Atti degli Apostoli, quando quel paralitico, che era alla porta Bella del tempio, è stato guarito, ha cominciato a saltare nel tempio, a lodare e a benedire Dio, e ha fatto salti di gioia.

Qui niente! E neanche la gente intorno non dice niente, non loda Dio, non dice: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7, 37).

No, non dice niente! Sembra che il contesto sia un “contesto di freddo”, di indifferenza. Questa azione creatrice del Signore non suscita una risposta di gioia da parte di nessuno, né del guarito né delle persone che stanno intorno.

Anzi, sembra suscitare una risposta negativa di rifiuto, perché continua san Giovanni:

«Quel giorno però era un sabato. [10]Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: È sabato e non ti è lecito prendere su il tuo lettuccio».

Di sabato non si possono sollevare pesi, tanto meno s’intende un letto, un peso di questo genere. Quindi i Giudei pongono questa obiezione all’uomo guarito:

«[11]Ma egli rispose loro: Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina. [12]Gli chiesero allora: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo».

Dunque, ci sono due cose da considerare:

  • Primo, che un uomo malato è guarito.
  • Secondo, che questa guarigione è avvenuta di sabato.

Ebbene, i Giudei si accorgono molto bene della guarigione avvenuta di sabato, ma sembra che non si accorgono che c’è stata una guarigione; per cui esaminano la possibilità che di sabato sia portato un letto, ma non stanno a riflettere sul fatto che di sabato un uomo sia stato guarito.

Insomma, vedono molto bene la Legge, ma non riescono a vedere l’opera di Dio. È così grande l’opera di Dio che sembra sfuggire alla loro attenzione, di quello non si interessano, anzi sembra addirittura che non lo vedono.

2.1. I Giudei non riescono vedere la guarigione, la creazione, l’opera di Dio.

Questa è una piccola osservazione, dopo la potete anche dimenticare.

  • La seconda volta che i Giudei parlano all’uomo guarito gli dicono: «[12] Chi è che ti ha detto (…)».
  • E non poi come dice la traduzione italiana «[12] (…) Prendi il tuo lettuccio e cammina».
  • Ma il testo dice semplicemente: «[12] (…) Prendi su e cammina». Hanno cancellato “il letto”! Non lo “vedono più”. Perché il “letto” in qualche modo ricorda la guarigione.
  • Invece, è diventato solo un “peso”: «[12] (…)Chi è che ti ha detto: Prendi su un peso e cammina?».

Insomma, hanno una scotosi. C’è qualche cosa nel mondo che loro non riescono a vedere, ce l’hanno davanti, il resto lo vedono, ma quella realtà lì, no! La guarigione, la creazione, l’opera di Dio, no! Riescono a vedere solo il resto.

2.2. L’atteggiamento di fondo del guarito non è corretto, è la condizione di un uomo che non ha ancora la sua piena umanità e maturità

È significativa anche la risposta del guarito.

  • Domanda: “Non ti è lecito portare il tuo letto”.
  • Risposta: “Non è colpa mia! Me l’ha detto quello che mi ha guarito”.

L’atteggiamento di fondo evidentemente non è ancora corretto. Perché il discorso del guarito è un dare la colpa a Gesù, è un sottrarsi alla responsabilità, in fondo era lui che portava il lettuccio – anche se è vero che Gesù ha detto: «prendi il tuo lettuccio e cammina» –, quindi la responsabilità ce l’aveva lui, se non altro la responsabilità di obbedire.

Ma sembra – e corrisponde all’immagine che abbiamo visto prima – la condizione di un uomo che non ha ancora la sua piena umanità, la piena maturità. In qualche modo si nasconde. Prima si nascondeva nella malattia, adesso si nasconde nella responsabilità di qualcun altro, non è ancora in grado di vivere in pienezza la sua esistenza.

Di fatto, quest’uomo è stato guarito da Gesù. Ma l’uomo guarito non lo sa chi sia:

«Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse».

Infatti, era avvenuta una cosa, che “Gesù si era ritirato dalla folla”. La folla si è in qualche modo allontanata da Lui.

Gesù che si ritira fa parte un po’ di quel distacco a cui il Vangelo di Giovanni incomincia ad alludere (cfr. Gv 14, 27-29).

In fondo, lo ricordavamo prima, il comportamento di Gesù non è stato capito né accettato, non è diventato motivo di lode e di ringraziamento.

3. Il discorso va nella direzione del peccato, proprio perché Gesù è venuto per dare all’uomo la capacità di amare e di santità

L’ultima scena.

«[14]Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. [15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. [16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato».

Allora, Gesù ritrova quest’uomo nel tempio, e gli si presenta con un discorso che per certi aspetti è anche un po’ strano, perché incomincia a dire: «Ecco che sei guarito». Sembra quasi che quell’uomo non se ne sia ancora accorto di essere guarito, che i “trentotto anni di malattia” abbiano creato un abito così costante che la guarigione non l’ha ancora assorbita.

Bisogna che qualcuno glielo dica: “Bada che sei guarito!”. Infatti dice:

“Stai attento a «non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio»”.

Il che sottintende che dietro l’atteggiamento di quest’uomo ci fosse qualche cosa di non sano, nemmeno dal punto di vista spirituale.

Comunque in tutti i modi, il discorso va nella direzione del peccato, perché anche fosse solo la guarigione fisica, entra nei segni di quella guarigione integrale dell’uomo che è evidentemente lo scopo dell’attività di Gesù.

Gesù è venuto perché l’uomo sia uomo, siccome vale quella affermazione di sant’Ireneo che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”, quindi Dio è glorificato quando l’uomo vive, Dio è glorificato nella libertà dell’uomo, nella sua responsabilità.

Ebbene, Gesù è venuto proprio per dare all’uomo quella libertà e responsabilità e capacità di amare e capacità di santità che permettono all’uomo di essere tale davanti a Dio, e permettono a Dio di essere glorificato nell’uomo e dall’uomo. Quindi il discorso del peccato è sempre ultimo e decisivo.

4. L’uomo guarito, che non si assume mai la sua responsabilità, viene condotto fino a diventare testimone

«[15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo».

Conclusione un poco strana e anche un po’ ambigua, nel senso che non si capisce che cosa voglia dire. Perché può volere dire due cose:

  1. Può volere dire che questo uomo è andato a fare la spia, a dire ai Giudei che tutta la colpa di quello che era avvenuto (il sabato e il lettuccio, ecc.) era colpa di Gesù. Siccome prima non era stato in grado di spiegarlo, e quindi di giustificarsi del tutto, va a giustificarsi in modo definitivo ma accusando Gesù. Di fatto, quello che viene dopo può essere inteso così:

«[16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato».

Quindi, in qualche modo ha scatenato la persecuzione dei Giudei.

  1. Però potete anche essere più buoni, e pensare che in realtà questa sia una testimonianza, che questo uomo finalmente guarito – che ha raggiunto dopo le ultime parole del Signore una consapevolezza di sé, della sua guarigione, di quello che di bello e di positivo è avvenuto nella sua vita – va ad annunciare ai Giudei quello che Gesù ha compiuto. Quindi una testimonianza, e una testimonianza evangelica bella e positiva.

Quale delle due sia l’interpretazione giusta lo decidete voi. E le potete prendere anche tutte e due, perché tutte e due hanno per noi un significato grosso.

  • Sia quella dell’uomo che non si assume mai la sua responsabilità ed quindi fa pagare gli altri.
  • Sia quella di chi partendo dalla condizione di malattia, che è così profonda che l’uomo non ha più nemmeno il desiderio di guarire, però pian piano attraverso l’incontro con Gesù, viene condotto fino a diventare testimone.

Dicevo, ci stanno bene tutte e due le letture, e vanno bene per noi. Alla fine la seconda lettura è consonante, il dire:

“È vero, un poco ci siamo anche noi nella condizione spirituale di questo uomo, che nelle nostre malattie spirituali ci facciamo un poco il nido, l’abitudine. Venirne fuori lo desideriamo teoricamente, facciamo fatica però a dire di sì con tutto il cuore, a pagare il prezzo. Però attraverso l’incontro con il Signore, con il suo imperativo, con le difficoltà anche di assumerci la responsabilità di figli di Dio, pian piano forse si apre anche per noi quel cammino della testimonianza che va fino a raccontare le grandi opere di Dio che sono state compiute in noi”.

- III -
Il senso dell’azione del Signore come continuazione
dell’attività di creazione del Padre

Dopo di che c’è un lungo discorso che, come dicevo, non riusciamo a commentare (per mancanza di tempo). Però varrebbe la pena che si leggesse e ritrovaste, attraverso questo discorso, il senso dell’azione del Signore come continuazione dell’attività di creazione del Padre:

«[17] (…) Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».

Gesù si giustifica in questo modo perché, secondo la teologia ebraica, è vero che il libro della Genesi dice che il sesto giorno Dio si è riposato, però gli Ebrei dicono tranquillamente che anche in quel settimo giorno l’opera creatrice di Dio continuava. Perché anche nel settimo giorno c’è gente che nasce e che muore, e il Signore dona la pioggia dal cielo; quindi ci sono tutte una serie di attività che continuano anche nel settimo giorno e fanno parte dell’opera creatrice di Dio.

La cosa interessante è che Gesù collochi la sua attività nella continuazione dell’opera creatrice di Dio.

1. L’attività di Gesù è giustificata e spiegata da quel rapporto di comunione perfetta che c’è tra Lui e il Padre, questo è molto “cattolico” e fondamentale per noi.

Dopo bisognerà spiegare questo, e si spiegherà con quel rapporto di amore e di intimità intenso che c’è tra il Padre e il Figlio, per cui il Padre dà al Figlio tutto quello che ha, e il Figlio compie tutto e solo quello che vede compiere dal Padre. C’è una serie di attività di Gesù (che è bellissima almeno mi sembra):

«[19] (…) In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. [20]Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. [21]Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole» (Gv 5, 19-21).

Cioè, l’attività di Gesù è giustificata e spiegata da quel rapporto di comunione perfetta che c’è tra Lui e il Padre.

Dicevo, questo credo sia molto bello e sia molto “cattolico”. Cioè il fatto che dentro la storia del mondo, dentro al tessuto degli avvenimenti mondani, ci siano azioni, parole, gesti e decisioni nelle quali Dio passa, Dio si manifesta. Questo (almeno a me sembra) è fondamentale per noi, e provo a spiegarmi.

2. Attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, la presenza di Dio nella storia del mondo c’è e rimane nella vita che Lui ha compiuto

Ogni tanto viene riporta o richiamata quella teoria della cabala, secondo cui quando dio ha creato il mondo lui si è ritirato. La creazione del mondo è come un ritiro di dio: dio che riempie tutto, si è tirato da parte per lasciare spazio al mondo. E da una teoria di questo genere, che in origine è della cabala, viene fuori (o molti tirano fuori l’idea) che il mondo è staccato, separato, da dio; va avanti senza che la presenza di dio nel mondo sia rilevabile, perché appunto dio si è tirato indietro, per lasciare spazio al mondo dio ha tolto un po’ della sua potenza perché il mondo potesse avere lo spazio per respirare.

Ora, una visione di questo genere è lontanissima dalla visione cattolica delle cose. Perché, è vero che il mondo non è Dio, ci mancherebbe altro, la creazione vuole proprio dire questo: che non è una emanazione di Dio, che non c’è una visone panteistica, per cui il mondo e la natura sono dio, che si identificano con dio; ci mancherebbe altro!

Però la presenza di Dio nel mondo ci sta e profondamente; il senso dei Sacramenti è quello. Se non c’è una presenza di Dio nel mondo, che cosa allora significano i Sacramenti? Che cosa allora significa la parola di Dio?

Se quando annuncio il Vangelo dico alla fine: Parola del Signore! Bisognerà pure che ci sia una presenza del Signore dentro la nostra storia, perché qui l’abbiamo incontrato.

E da dove allora viene la capacità di amare se Dio si è ritratto dal mondo? se non c’è una comunicazione tra Dio e il mondo?

È vero che nel mondo ci sono tante miserie e sofferenze e ingiustizie e tanti peccati che questo mi angoscia, e può darmi l’impressione che Dio non intervenga con quella pienezza che io desidererei, che io mi aspetterei. Ma da questo a dire che non c’è una presenza di Dio nel mondo, e il mondo va avanti per una autonomia assoluta, c’è un passo grosso da fare, e credo sia un passo che un cristiano non possa fare.

L’Incarnazione del Figlio di Dio non vuole dire solo che in quei trent’anni c’è stata una presenza di Dio in mezzo al mondo; ma vuole dire che, attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, la presenza di Dio nella storia del mondo c’è e rimane nella vita che Lui ha compiuto, ma nella vita che sono chiamati a compiere tutti gli uomini, tutti i credenti, in modo che:

  • «Cristo diventi il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rm 8, 29),
  • «il mondo sia ricapitolato in Cristo» (Ef 1, 10).

E così via…

Allora m’interessa soprattutto questo discorso. Il resto lo potete leggere per conto vostro. Questo 5° capitolo è molto bello e anche teologicamente ricchissimo.

- IV -
L’esercizio da fare

Nella seconda Meditazione abbiamo fatto l’esercizio fondamentalmente del “raccontare i doni di Dio nella nostra vita”, quindi raccontare la nostra vita dall’ottica della misericordia, della generosità infinita di Dio.

1. Una riflessione sulla nostra “malattia”, interrogare il nostro cuore se vuole davvero guarire, e trasformarla in una preghiera.

Adesso l’esercizio fa fare, sarebbe quello di diagnosi, del rivedere dentro di noi… quindi si potrebbe raccontare nella prospettiva delle nostre malattie, di quelle realtà della nostra esperienza spirituale che hanno dimensioni di debolezza, di miseria, di falsità… di malattia in genere. Notando i sintomi, quindi bisognerebbe riuscire non solo a fare la malattia in modo astratto, ma a vedere i sintomi, le cose in cui questa malattia si esprime, e evidentemente anche le cause.

E poi bisognerebbe fare un passettino in più, e interrogare il nostro cuore, e chiedere al nostro cuore se vuole davvero guarire, se quando chiediamo al Signore che ci perdoni, e quindi ci guarisca, lo chiediamo davvero, cioè se c’è in noi la disponibilità a quella novità di vita che scaturisce dalla guarigione.

Oppure, se invece siamo ancora, e non ci sarebbe niente di strano perché c’è stato sant’Agostino, nell’atteggiamento di dire: “Convertimi ma non subito, ma non ora”. Però dobbiamo rendercene conto se c’è questo meccanismo. Dicevo, non è stranissimo perché fa parte della condizione dell’uomo, però è un meccanismo che bisogna smascherare, perché fin che è nascosto è un pasticcio. Quando lo vediamo in faccia, non dico che lo abbiamo superato, questa sarebbe una visione un po’ freudiana, ma riusciamo a controllarlo meglio; e la sincerità con il Signore ci può aiutare a percorrere un cammino di guarigione.

E il trasformare tutta questa riflessione sulla nostra “malattia” o su quello che abbiamo nel cuore in una preghiera. La preghiera come volete, la scrivete o non la scrivete.

* Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore.

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