Opera ( Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento)

I vocaboli raggruppati sotto le parole chiave opera e azione servono ad esprimere tutti gli aspetti attivi dell'azione: mentre (prasso) indica l'agire e l'essere occupato, in senso largo — spesso con un sottotono negativo (poiéó) pone l'accento sull'attività qualificata, finalizzata e creatrice (nel NT prasso è usato 39 volte, mentre poiéò 465). Del gruppo di vocaboli che fanno capo ad (ergàzomai), è usato soprattutto il sostantivo (ergorì), che sottolinea il carattere personale dell'azione. Di fronte ad esso, nel NT, il lavoro materiale ( póièma) passa iti] secondo piano.

ergàzomai, lavorare, agire, operare; ergon, attività, azione, opera, cosa (plurale: storia); ergasìa, lavoro, occupazione; ergàtès, uno che fa qualcosa, lavoratore; enérgheia, attività, efficacia, forza, potenza; agire, far qualcosa; energhés, attivo, efficace; enérghèma, l'operato, l'azione; euerghesia, il beneficio, il bene operato; euerghetéò, beneficare, fare del bene; euerghétés, il benefattore; synergós, collaboratore, aiuto, assistente; synerghéò, collaborare, agire con, aiutare, favorire.

I 1) a) II verbo ergàzomai, derivato dal sostantivo érgon, nella forma

intransitiva, ha il significato di lavorare, agire; usato in forma transitiva — per es. assieme ad ergon — significa creare, operare, compiere oppure anche elaborare (per es. una materia prima).

b) ergon indica — a cominciare dal greco miceneo — l'opera, l'azione (in opposizione all'inattività oppure alle semplici parole). Può riguardare un'attività specifica di una professione oppure di un ufficio (per es. il lavoro nei campi o l'attività bellica), e significare, a seconda delle situazioni, azione, opera e, in senso peggiorativo, cosa, oggetto. Nel plurale, ergon può voler dire anche storia.

e) Simile, anche se più limitato, è il contenuto di ergasìa, che può significare lavoro, occupazione, elaborazione, opera (soprattuttto di un'opera d'arte), oppure acquisto.

d) II sostantivo ergàtès indica o, genericamente, colui che fa qualcosa, oppure il lavoratore, come membro di una classe sociale (molto spesso gli schiavi) oppure di una professione (soprattutto i contadini).

I II verbo ergàzomai e il sostantivo érgon si possono trovare già nel periodo ! miceneo, in Omero ed Esiodo, nel loro significato fondamentale; ergasìa invece si trova per la prima volta in Pindaro; ed ergàtes è usato a cominciare dal 5 sec. a.C. I (nei tragici e in Erodoto).

Ir e) enérgheia si trova già al tempo dei presocratici per indicare l'attività. Va tradotto con attività, efficacia, potenza (forza). Per cui energhéo, all'intransitivo, indica essere all'opera, operare; al transitivo significa, più o meno, agire, effettuare; energhès I è una forma secondaria posteriore (a cominciare da Aristotele) dell'aggettivo energós, I attivo, operoso, enérghèma indica ciò che è stato fatto, l'aito.

Questi vocaboli, se nell'ellenismo e in Filone servono a indicare forze cosmiche e fisiche, nei LXX (come anche nel NT) indicano « quasi sempre l'azione di forze divine o demoniache » (G. Bertram, ThW II, 649). Però si incontrano solo in 1 e 2Mac e in Sap.

f) Al precedente gruppo di sostantivi appartiene anche euerghesìa, il beneficio, il bene operato, assieme al verbo euerghetéo, beneficiare, fare del bene e il sostantivo euerghétés, il benefattore, euerghesìa è in uso già presso Omero; il verbo si trova nei tragici, ed euerghétés in Pindaro. euerghétés acquista, nei circoli culturali ellenistici e romani, il significato di un titolo onorifico, dato a persone benemerite, soprattutto ai re.

g) synergós (a cominciare da Pindaro) indica il collaboratore, l'aiutante. Da questo, al tempo di Euripide, viene formato il verbo synerghéd: collaborare, agire con, aiutare, favorire.

2) Già in Esiodo il lavoro viene considerato significativo dal punto di vista morale: « Col lavoro (ex ergon) gli uomini si arricchiscono di bestiame e di beni. E coloro che si danno da fare sono molto più cari agli immortali (dèi). Non bisogna, per niente, vergognarsi di lavorare. La pigrizia invece è una cosa vergognosa » (Op. 307ss). L'uomo si qualifica dal suo ergon. Da questo deriva, per es. in Senofonte, una locuzione particolare che dice: l'uomo si conosce ek fon ergon, dalle (sue) opere. In Piatone (Polit. 352d-353e) ergon è messo in stretto rapporto con -» virtù ( mete). Questo rapporto è sviluppato in modo sistematico nell'etica nicomachea di Aristotele: è compito dell'arene completare Yergon di un organo per es. della vista per l'occhio). Spesso il valore etico di un'azione o opera (erga) viene espresso per mezzo di predicati come kalà, bella; , agathà, buona; oppure negativamente per mezzo di , kakà, cattiva; , àdika, ingiusta; panerà, malvagia.

II Nei LXX questo gruppo di vocaboli viene usato in tutti i significati del greco profano; spesso serve a tradurre i termini ebraici 'asah, fare, creare; pà'al, fare, agire; 'abad, lavorare, servire. Come sinonimi di érgon si trova spesso il gruppo di vocaboli che fa capo a poiéo, e più raramente pressò. Tutto ciò che di nuovo hanno questi termini, nei confronti del greco profano, è dovuto alla particolare fede in Dio di Israele.

1) Difatti i LXX fin dall'inizio usano érgon per descrivere l'azione creatrice di Dio (Gn 2,2.3). Però, riferendosi all'azione di Dio che si compie attraverso la parola (cf. 4Esd 4 (6), 38, 43), non si nota l'opposizione tra parola e azione di cui si è parlato più sopra. In questo contesto si usa più spesso ergon (per es. Sai 8,4.7; 90,16; 138,8; Gb 14, 15; Is 29,23; Eb 1, 10; 4,3.4) per esprimere l'opera del creato, che include il cielo e la terra e gli uomini (spesso: opere delle tue mani, erga cheiròn sou) Inoltre ergon sta ad indicare l'azione di Dio al di là della creazione, e indica soprattutto le azioni di Dio nella storia, per mezzo delle quali egli dimostra la sua fedeltà all'alleanza con Israele (cf. per es. la citazione del Sai 8 in Eb 3, 9). In questi casi il concetto di ergon assume talvolta il significato di prodigio (cf. per es. Dt 11,3; Sir 48,14). Naturalmente l'azione di Dio non significa solo conservazione e salvezza, ma anche giudizio (per es. Is 28,21; cf. At 13,41).

2) Quando ergon si riferisce all'attività dell'uomo, nell'ambito dei LXX, può avere uno di questi tre significati:

a) Nella maggioranza dei casi ha un significato positivo, allorché viene usato per indicare l'esecuzione, da parte dell'uomo di un compito che gli era stato assegnato

da Dio (cf. Gn 2, 15). Tra le azioni significative, dal punto di vista religioso, sono i sideralè le attività cultuali come il servizio nel tempio o il sacrificio (cf. Nm 8,1 Ma anche nella vita quotidiana il lavoro viene valutato positivamente, perché è come un ubbidiente adempimento della volontà divina e della -> legge (cf. Es e Dt 5, 13s, dove, nel quadro del decalogo, viene collocato il significativo alteri di lavoro e riposo). Questo riguarda sia la semplice attività professionale (cf. Dt : 14,29; Gb 1,10; Sai 90,17), come anche particolari attività comandate dalla le$ (per es. Ne 13, 14: atti di bontà; Sai 15, 2: giustizia; Sof 2, 3; cf. Sai 7, 4s; 18,21sse

b) Nel racconto del peccato originale ergon indica il lavoro nel senso di fatj peso e maledizione (cf. Gn 3, 17ss; 4, 12; 5, 29; Dt 26, 6). Tale concezione è presi soprattutto nel giudaismo ellenistico.

e) In altri passi dei LXX ergon — certamente sotto l'influsso del giudaisi ellenistico — ha il senso di azione cattiva, riprovevole e che separa da Dio, do« -» peccato (cf. per es. Gb 11, 11; 21, 16; 24, 14). Naturalmente, in questi casi, noni tratta tanto di un'attività che sia riprovevole in se stessa, quanto piuttosto di qualci che è dovuto alla cattiveria dell'uomo (per es. Pro 11,18). Dio osserva le opere di empi e dei malvagi, che operano nelle tenebre (Is 29,15); « in una notte li travet e vengono stritolati » (Gb 34,25), perché « le loro sono opere inique » (Is Questo giudizio sulla futilità dell'operato umano « acquista nella teologia del NT carattere fondamentale» (G. Bertram, ThW II, 642).

3) Nel tardo giudaismo viene sviluppata e costruita la concezione delle necessarie per l'adempimento della legge e della -> giustizia (5txawxruvrj, dikaiosyn Ai giudei viene indicata, in modo casuistico, la via della pietà, in una serie di prèsi zioni della —> legge, da mettere in atto. Si pensi, per es., al precetto del sabato opp alle prescrizioni riguardanti le purificazioni, con le quali Gesù o i suoi discepoli • nero in conflitto. Poiché non tutti seguono conscguentemente questa strada, si distiri tra giusti e pii mediocri (soprattutto nell'ApocBar [syr] e in 4Esd). Questa distinzio riceve il suo approfondimento escatologico (cf. già Is 3, lOs) per mezzo del conci della ricompensa e del merito (-» ricompensa), visti in rapporto al giudizio Un giorno Dio renderà agli uomini secondo le loro opere. Gli empi riceveranno la la punizione, mentre i giusti potranno morire senza timore, perché « hanno presso il privilegio delle loro opere, che viene conservato nello scrigno » (ApocBar [syr] 12; cf. Mt 6,20; Le 12,33; ITm 6, 19). Alcuni detti anche se ben formulati, il' contenuto anticipa Le 17, 10 (per es. Abot 1,3; « Non siate come i servi che ubf scono al padrone per la paga, ma siate come quei servi che ubbidiscono al padro senza pensare alla paga! »), non riescono a cancellare l'impressione di una teolo che da largo spazio alla giustizia fondata sulle opere.

Accanto a questo, il giudaismo parla anche delle opere di Dio. La lode dell opere del creatore ha un posto particolare, ma anche le azioni salvifiche di Dio nella storia e alla fine dei tempi sono oggetto della lode (per es. negli inni di Qumran). I

III Troviamo ergàzomai, lavorare, agire, operare 41 volte nel NT I

(Paolo 17 volte), ergon, opera, azione 157 volte (in Paolo 43 volte; Gv 32; Ap 19; Gè 15; lettere pastorali 14; sinottici 11; Eb 10; At 8; Pt 4; Gd 1 volta), ergasìa, lavoro 6 volte (di cui 4 negli Atti) ed ergàtès, lavoratore, 16 volte (di cui 10 nei sinottici). Il significato fondamentale di questo gruppo di vocaboli, nel NT, corrisponde a quello spie- i gato al I, 1 (vedi sopra). Da notare Ap 18, 17: « quelli che lavorano per mare» = navigare (BC traduce: «quanti commerciano per mare»)! ergon, come sta accanto a (logos), parola (per es. Le 24, 19; At7, 22; 2Ts 2, 17; 2Cor 10, 11), così sta con (houle) (At 5,38: piano progetto). Per indicare le opere che il credente compie, si può usare ergo come sinonimo di (karpós, —sfrutto). Più di una volta è usatali locuzione ergon o erga ergàzesthai = fare un lavoro (Mt 26, 10 par.;] Gv 3,21; 6,28; 9,4; At 13,41; ICor 16,10). Altra forma sinonima èli

o erga poiéin = compiere un lavoro (Mt 23,3.5; Gv 5,36; 7,21; 8,31; 10, 37; 14, 10.12; 15, 24; 2Tm 4, 5; 3Gv 10; Ap 2, 5; cf. Gc 1, 25: poietés, colui che fa); in un passo c'è erga pràssein (Àt 26,20).

1) a) Nei sinottici non è facile individuare un uso teologicamente finalizzato di questo gruppo di vocaboli, ergàzesthai indica semplicemente [il lavorare (cf. Le 13,14; Mt 21,28: nella vigna), il compiere un'opera Hper es. Mt 26, 10 par.). Una sfumatura particolare ha il termine ergasìa in Le 12, 58, che conviene tradurre con « darsi da fare ». Il termine ergàtes, [Usato abbastanza spesso, indica, in linea con il suo significato fondamentale, l'operaio che lavora per la paga (Mt 20, 1.2.8), poi i testimoni, a servizio di Cristo, che sono mandati nel mondo (Mt 9, 37.38 par.), ma anche l'empio (ergàtes adikìas), che non sarà in grado di sostenere il giudizio (Le 13,27; cf. Mt 7,23). Mentre i farisei vengono biasimati da Gesù, perché compiono le loro opere « per essere visti dagli uomini » (Mt 23, 5), l'azione della donna che unge d'unguento viene definita ergon kalón, bella azione (Mt 26, 10 par.) e i discepoli vengono esortati: « fate splendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e lodino il Padre vostro che è nei cieli » (Mt 5,16; cf. IPt 2, 12). Però i sinottici insistono sul fatto che l'uomo, davanti a Dio, non può avanzare nessuna pretesa di una ricompensa precisa (cf. Le 17, 10; Mt 20, Isspar.); e tuttavia, nello stesso tempo c'è la precisa richiesta dei frutti della fede. « La parenesi sinottica libera l'azione dei discepoli dalla securitas dell'orgoglio del merito, non però dal timore di meritare o perdere la salvezza » (W. Joest, Gesetz una Freiheìt, 160).

ergon è riferito all'attività di Cristo in Mt 11,2 e Le 24, 19, in cui si tratta dell'efficacia della sua opera e della sua parola.

b) Nel vangelo di Giovanni questi vocaboli sono usati specialmente per illustrare l'attività specifica di Gesù, che si aggancia in modo indissolubile all'opera di Dio Padre, com'è detto per es. in Gv 5, 17: « Mio Padre opera fino a questo momento e anch'io opero » (cf. Gv 4, 34; 17, 4). Gesù vede le sue azioni come adempimento della sua missione divina (cf. Gv 9,4; 5,36; 10,25), che ha come fine quello di risvegliare la fede in colui che è stato mandato a rivelare Dio (cf. Gv 6,29). A questo fine devono servire anche i miracoli operati da Gesù (—» miracolo, art.; Gv 14, 11; cf. 10,25). Di fronte all'azione rivelatrice di Gesù, che è contemporaneamente « l'azione di un giudice » (R. Bultmann, KEK II, 184), si dividono gli animi (cf. Gv 3,19-21; 15,24): l'incredulo non ha più alcuna possibilità di decisione per i suoi peccati (Gv 15, 22ss). Al credente invece è fatta la promessa che compirà opere ancor più grandi di quelle operate da Gesù (Gv 14, 12). Alle opere compiute in Dio ( en theó) (Gv 3,21), si oppongono le èrga panerà, le opere cattive (Gv 3, 19; 7, 7; cf. IGv 3, 12), che vengono compiute con l'aiuto del demonio (Gv 8,41. 44; cf. IGv 3, 8). In questo modo il concetto di attività raggiunge in Giovanni il suo contenuto teologico specifico nelle motivazioni cristologiche e nel legame con l'attività rivelatrice di Gesù.

e) Paolo invece si ricollega di più alla concezione del tardo giudaismo, dove le opere sono intese come qualcosa che è compiuto dall'uomo, per poter polemicamente dire: non c'è alcuna giustizia davanti a Dio, frutto dell'attività umana; c'è solo una giustizia che deriva dalla grazia donata, La via della salvezza non viene indicata dalla —> legge, ma da Gesù, che è « la fine della legge »; « è giusto colui che crede in lui » (Rm 10, 4). Paolo rigetta decisamente le opere della legge, che nel giudaismo avevano un ruolo così importante, perché ai suoi occhi « sono un surrogato dell'uomo al posto della vera —> obbedienza della fede » (O. Michel, KEK, IV, p. 87 ) hypakoé pìsteòs (cf. Rm 1,5; 16, 26). « La giustificazione non è... frutto dell'osservanza dei comandamenti, ma si compie in Cristo, mediante la fede in lui » (H. Schlier, KEK VII, 57). Per Paolo conta « solo » la vera fede, che ha in Abramo il suo modello (Rm 4, Iss; Gai 3, 6ss). Questa visione, della inconciliabilità soteriologica tra opere della legge (ergon nomou) e —> grazia ( charis) o —> fede ( pistis), forma il perno della teologia paolina (cf. Rm 3, 20.27s; 4, 6; 9,12. 32; 11,6; Gai 2, 16; 3,2.10).

Se da un lato le opere, intese come via della salvezza, vengono condannate, dall'altro ci sono, anche in Paolo, passi nei quali le opere hanno un significato positivo. Se conosce una legge aberrante, egli conosce anche la legge di Cristo (cf. ICor 9,21; Gai 6,2); così accanto alle opere delle tenebre ( erga tou skotous) (Rm 13, 12) o alle opere della carne (erga tés sarkós) (Gai 5, 19) ci sono le èrga positive. Per esempio, l'opera missionaria è presentata come un érgon kyrìou, opera del Signore (ICor 16, 10; 15, 58; cf. Fil 2, 30), compiuta da Cristo, per mezzo degli apostoli (cf. Fil 1,6). Per cui Paolo chiede retoricamente ai Corinti: « non siete voi, forse, la mia opera nel Signore? » (ICor 9,1). Nel campo dell'etica, secondo Paolo, vale per i cristiani l'imperativo di compiere il bene nei confronti di ogni persona (Gai 6, 10; cf. Rm 2,10; 2Ts 2, 17). Anche in rapporto al giudizio finale vale per Paolo il pensiero delle buone opere. Nel giorno « della manifestazione del giusto giudizio », Dio, senza distinzione di persone, « renderà a ognuno secondo le sue opere » (Rm 2, 5s); e non saranno giudicate solo le opere dei pagani, ma anche quelle dei cristiani (ICor 3, 11 ss; cf. IPt 1, 17; Ap 2,23). «Naturalmente Paolo sa e afferma che le azioni del cristiano, in base alle quali si svolgerà il giudizio finale, non costituiscono alcun kàuchéma, (—> vanto). Eppure è in base a queste opere — che vengono pur sempre considerate come azione di « un servo inutile » — « che Dio giudica, premia e punisce » (W. Joest, Gesetz und Freiheit, 175).

d) La dialettica vivace, che in Paolo è caratterizzata dal rifiuto di ogni giustizia derivante dalle opere, e da una uguale convinzione dell'assurdità di una fede senza le opere, comincia già a smorzarsi nelle lettere pastorali. In queste viene accentuato un aspetto, quello delle buone opere (ITm 5, 10.25; 6, 18; Tt 1, 16; 2,7.14; 3,8.14; cf. IPt 2, 12).

e) Se, da una parte, Paolo accentua la fede come elemento decisivo, dall'altra, in Giacomo, è chiaramente presente la richiesta delle opere, richiesta che deriva dalla legge della libertà ( nomos tès eleutherias, Gc 1,25). Senza opere, la fede è morta (Gc 2, 17), e solo per mezzo delle opere diventa perfetta (Gc 2,22.24). Questa concezione, così vivacemente difesa da Giacomo, deve essere spiegata in base alla sua situazione. Mentre Paolo combatteva in primo piano il malinteso giudaizzante, secondo il quale le azioni umane portano alla giustizia, Giacomo si getta contro « l'errore concreto di una ortodossia morta, che si fonda esclusivamente sulla confessione » (F. Hauck, NTD 10, p. 20). In questo modo egli contribuisce a circoscrivere il terreno, nel quale l'azione salvifica di Dio opera per suscitare la fede negli uomini, fede che ha come elementi strutturali — » obbedienza (hypakoè), -» speranza ( elpìs) Q -» amore ( agape).

2) a) enérgheia, operosità, si trova 8 volte nel NT (solo nel corpo paolino), energhéó, agire, far qualcosa, 21 volte (18 in Paolo, 2 in Mt, 1 in Gc), enérghèma, azione, 2 volte nella ICor e energhès, operante, 3 volte (2 in Paolo e 1 in Eb). Questo gruppo di vocaboli si riferisce, di solito, all'azione di Dio (per es. ICor 12,6; Ef 1, 11) oppure del suo avversario Satana (2Ts 2,9; cf. Rm 7,5; Eb 2,2), che però alla fine è sempre dipendente da Dio (2Ts 2, 11), analogamente alla — » morte, che viene presentata come una potenza (2Cor 4, 12). Viene messa particolarmente in risalto la potenza operante di Dio, per mezzo della quale egli ha risuscitato Gesù Cristo (Ef 1,20; Col 2,12). Questa potenza divina è operante sia in Cristo (Fil 3,21; cf. Mt 14,2), sia nello Spirito santo (cf. ICor 12, 11, in cui lo Spirito santo viene presentato come la vera origine operante dei doni divini). Per mezzo di essa gli apostoli vengono resi idonei al loro ministero (Ef 3,7; Col 1,29), così come la parola, per mezzo di essi, si trasforma in forma misteriosa che scruta e giudica « i pensieri e i sentimenti del cuore » (Eb 4, 12). Ad essa, però, partecipano anche le membra del corpo di Cristo (Ef 4, 16; cf. ICor 12, 10). Dio, in qualità di energón, colui che opera, stimola la loro volontà ( thélein) e la loro azione (energhéin, Fil 2, 13), la quale assume la propria fisionomia nell'amore dei credenti (cf. Gai 5,6).

b) euerghétès, nell'unica citazione del NT (Le 22, 25), ha il significato di un titolo onorifico (vedi sopra I, If), che, in ogni caso, viene respinto in modo categorico. I discepoli di Gesù non devono farsi chiamare, come i signori del mondo, « benefattori » (cf. il rifiuto del titolo di rabbi, di padre e di maestro in Mt 23, 7ss); da Cristo, i discepoli sono chiamati a -» servire (Le 22,26; cf. Mt 23, 11).

Il verbo euerghetéin, fare del bene (solo in At 10, 38) si riferisce ai benefici operati da Gesù, e testimoniati dai suoi apostoli. Con euerghesia At 4, 9 indica una guarigione di malati per mano degli apostoli. Lo stesso termine, in ITm 6, 2, caratterizza il comportamento evangelico di un padrone cristiano, nei confronti dei suoi schiavi.

e) Nel NT si trova 5 volte il verbo synerghéò, cooperare, e 12 volte (di cui 1 1 in Paolo) synergós, collaboratore. In Rm 8, 28 Paolo affronta un « insegnamento », che deriva dalla tradizione tardo-giudaica. Afferma che « per coloro, che amano Dio, tutte le cose concorrono al bene »; cioè, che per essi tutto, anche le sofferenze, le avversità, gli enigmi della fede tornano utili. In Gc 2, 2 si parla della necessaria collaborazione tra fede e opere.

Nei casi rimanenti, i vocaboli si riferiscono alla situazione missionaria. Me 16,20 parla della collaborazione del Signore, che «convalidava con segni di conferma » la parola dei discepoli. Questa collaborazione accreditante di Dio è l'aspetto decisivo in ogni attività missionaria; però è unvero « lavorare-con », solo se l'uomo, chiamato da Dio a testimoniare, nell'opera di evangelizzazione non è solo uno strumento inerte, ma un servo che realmente collabora con Dio. Per cui Paolo può arrivare a dire: theoù gar esmen synergói, noi siamo, infatti, collaboratori di Dio (ICor 3,9; cf. 2Cor 6, 1). La collaborazione apostolica viene maggiormente precisata nel contenuto in ITs 3, 2 (« nel vangelo di Cristo », secondo alcuni manoscritti), Col 4, 11 («per il regno di Dio»), 3Gv 8 («per la [diffusione della] verità) e 2Cor 1,24 («della vostra gioia»).

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