Martedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,37-41
"Belli dentro". "Star bene dentro". Slogan pubblicitari ad innescare sogni irrealizzabili. Siamo tutti prigionieri di un ego abnorme, s'annida nel nostro cuore il perfido veleno dell'ipocrisia, apparire mascherati e truccati per nascondere le macerie del nostro cuore.
A chi consegniamo l'intimo di noi stessi, a chi pieghiamo le ginocchia delle nostre ore, del nostro lavoro, dei pensieri, delle preoccupazioni? Quale totem oggi si erge maestoso al centro della nostra vita? Quante abluzioni per poter timbrare il biglietto e accedere alla tavola buona della società, degli amici, del mondo. E' la schiavitù dell'idolatria che ci opprime; anche quando non riusciamo a realizzare nulla bloccati dalla timidezza o dalle asperità del carattere, la questione non cambia. La tristezza che spesso riempie il nostro cuore è il segno di un intimo consegnato ad un idolo. E l'idolatria è sempre la madre dell'adulterio: nati per il Signore gli idoli ci spingono tra le braccia degli amanti. Come la Samaritana incontrata da Gesù, aveva avuto cinque mariti, e quello a cui era legata non lo era nemmeno.
L'idolatria si risolve nell'adulterio che è il padre dell'ipocrisia. L'adultero vive sempre mascherato, fingendo e mentendo. Fuori pulito, dentro un porcile. Quando il cuore è diviso, dissipato e lacerato dall'idolatria, si vive nell'angoscia di una doppia vita che conduce alla distruzione. Sogni, progetti, e poi affetti, ricordi, tutto può diventare oggetto di idolatria, e contaminare l'interno di ciascuno di noi dove appaiono rapina ed iniquità, relazioni violente come sotto la minaccia di una pistola, pensieri, parole e opere inique, prive dell'orizzonte soprannaturale della fede, una vita nascosta e senza la luce dell'amore di Dio.
La nostra vita inchinata dinnanzi agli idoli, stretta dall'avarizia insaziabile che, come scrive San Paolo, è idolatria. L'ipocrita è sempre avaro, di denaro, di sorrisi, di tempo; impaurito, difende quel poco che crede di avere. Ma non ha nulla, perchè la vita che conduce è falsa, ipocrita. Lucida l'esterno per nascondere il vuoto dell'interno. Apparire per non morire, il logo di questa società, e della nostra esistenza. Chi si allontana dalla fonte della vita per cercare pienezza e felicità tra gli idoli muti diviene come coloro ai quali inchina la testa e consegna il cuore: feticci senza vita. Il destino dell'ipocrita infatti è la morte, l'evaporare d'ogni menzogna che scopre il deserto della propria anima.
Per questo arriva oggi il Signore geloso e innamorato che ci ha comprato e riscattato al prezzo carissimo del suo sangue, e ci invita all'elemosina. Arriva lo Sposo, e allora via tutto. L'elemosina di quel che abbiamo nel cuore è puro amore; gettare via l'idolatria che si è annidata negli angoli nascosti del nostro intimo usurpando il posto del nostro Sposo. Dare in elemosina quel che ci corrompe e ci inchioda all'ipocrisia. Non ne siamo capaci, abbiamo timore di perdere quel brandello di identità che abbiamo messo in piedi con tanta fatica. Sappiamo che è pura ipocrisia, ma è qualcosa, è il nostro stare al mondo, ci siamo abituati. La stessa sofferenza, la stessa insoddisfazione spesso ci è così familiare che abbiamo paura di perderla e ce la stringiamo come una cara, vecchia amica.
Per questo, geloso e innamorato, giunge oggi il nostro Sposo, Colui per il quel siamo nati, ci siamo svegliati oggi. Le sue fruste, come quel giorno nel Tempio tra i banchi dei cambiavalute, vibrano anche oggi, e sono sibili d'amore a far pulizia. Quell'amicizia, quel lavoro, la salute, ogni idolo è scaraventato fuori. Il suo amore ci aiuta a dare in elemosina quel che asfissia il nostro cuore. Questa è la salvezza, il nostro cuore liberato dalle menzogne e abbandonato al Suo amore. Oggi il sangue di Cristo arriva di nuovo alla nostra vita per farci figli liberati nel Figlio libero. E il nostro sguardo finalmente purificato dalle idolatrie a scrutare in ogni evento della nostra vita le tracce del suo amore dolcissimo.
"Bellos dentro." "Estar bien dentro." Esloganes publicitarios a cebar sueños irrealizables. Somos todos prisioneros de un ego anormal; se anida en nuestro corazón el pérfido veneno de la hipocresía, aparecer disfrazados y maquillados para esconder los derribos de nuestro corazón. A quien entregamos nuestro íntimo? A quien doblamos las rodillas de nuestras horas, de nuestro trabajo, de los pensamientos, de las preocupaciones? Cuál tótem hoy se yergue majestuoso al centro de nuestra vida?
Cuántas abluciones para poder sellar el billete y acceder a la mesa buena de la sociedad, de los amigos, del mundo. Es la esclavitud de la idolatría que nos oprime; también cuando no logramos realizar nada parados por la timidez o las asperezas del carácter, la cuestión no cambia. La tristeza que llena a menudo nuestro corazón es la señal de un íntimo remitido a un ídolo. Y la idolatría siempre es la madre del adulterio: nacidos para el Senor, los ídolos nos empujan entre los brazos de los amantes. Como la Samaritana que ha encontrado Jesus, tuvo cinco maridos y aquel con el cual estaba saliendo tampoco era su marido.
La idolatría se soluciona en el adulterio que es el padre de la hipocresía. El adúltero siempre vive disfrazado, fingiendo y mintiendo. Fuera limpios, dentro es una pocilga. Cuando el corazón es dividido, disipado y lacerado por la idolatría, se vive en la angustia de una doble vida que conduce a la destrucción. Sueños, proyectos, y luego afectos, recuerdos, todo puede convertirse en objeto de idolatría, y contaminar el interior de cada uno de nosotros; asì aparecen rapina y iniquidad, relaciones violentas como bajo la amenaza de una pistola, pensamientos, palabras y obras iniquas, es decir desenganchadas del horizonte sobrenatural de la fe, y una vida escondida y sin la luz del amor de Dios.
Nuestra vida arrodillada delante a los ídolos, apretada por la avaricia insaciable que, como San Paolo escribe, es idolatría. El hipócrita siempre es avaro, de dinero, de sonrisas, de tiempo; asustado, defiende aquel poco que cree de poseer. Pero no tiene nada, porque la vida que conduce es hipócrita y falsa. Lustra el exterior para esconder el vacío del interior. Aparecer para no morir, el logo de esta sociedad, y de nuestra existencia. Quien se aleja del manantial de la vida para buscar plenitud y felicidad entre los ídolos mudos se vuelve como aquellos a los cuales inclina la cabeza y entrega el corazón: fetiches sin vida. La suerte del hipócrita en efecto es la muerte, el evaporarse de cada mentira que descubre el desierto de la propia alma.
Por éso hoy llega el Senor celoso y enamorado; El nos ha comprado y rescatado al precio de su sangre, y nos invita a la limosna. Llega el Novio, y entonces todo por la borda. La limosna de lo que tenemos en el corazón es puro amor; echar fuera la idolatría que se ha anidado en los rincones escondidos de nuestro íntimo usurpando el sitio de nuestro Novio. Dar en limosna lo que nos corrompe y nos clava a la hipocresía. Pero no somos capaces de hacerlo, tenemos temor de perder aquel jirón de identidad que hemos puesto de pie con mucha fatiga. Sabemos que es pura hipocresía, pero es algo, es el nuestro estar al mundo, nos hemos acostumbrado. El mismo sufrimiento, la misma insatisfacción a menudo nos son tan familiares que tenemos miedo de perderlos y nos apretamos a ellos como a queridas, viejas amigas.
Por eso, celoso y enamorado, hoy llega nuestro Novio; para El hemos nacido, nos somos despertados hoy. Sus látigos como aquel día en el Templo entre los bancos de los cambistas, también vibran hoy, y son silbos de amor a hacer limpieza. Aquella amistad, aquel trabajo, la salud, cada ídolo es arrojado fuera. Su amor nos ayuda a dar en limosna lo que asfixia nuestro corazón. Ésta es la salvación, nuestro corazón liberado por las mentiras y abandonado a Su amor. Hoy la sangre de Cristo llega de nuevo a nuestra vida para hacernos hijos liberados en el Hijo libre. Y nuestra mirada por fin purificada de las idolatrías a escudriñar en todo evento de nuestra vida las huellas de su dulce amor. Para vivir como sensatos, descubriendo en nustras historias el sentido profundo que la ahce una maravillosa obra de arte.
Il più antico santuario della Spagna e forse della cristianità è quello della Beata Vergine del Pilar a Saragozza. In stile barocco, la costruzione è a forma rettangolare, divisa a tre navate e riccamente decorata e affrescata da Velázquez, Francisco de Goya, Ramon e Francisco Bayen. Lunga ben centotrentacinque metri e larga cinquantanove, ha quattro torri e undici cupole, di cui quella centrale, particolarmente imponente, svetta per ben ottanta metri. Secondo la leggenda, la cappella primitiva sarebbe stata costruita da S. Giacomo il Maggiore verso l’anno 40, in ricordo della prodigiosa “Venuta” della Vergine da Gerusalemme a Saragozza per confortare l'apostolo assai deluso dei risultati negativi della sua predicazione. Il “Pilar” è appunto la colonna di alabastro su cui la Vergine avrebbe posato i piedi. Alcuni mistici, come la venerabile Maria d’Agreda e Anna Caterina Emmerick,confermarono questa antichissima tradizione secondo le loro rivelazioni e visioni, ma già nel 1200 l’episodio è riportato in quello che è considerato il primo documento scritto sulla Madonna del Pilar. Bisogna anche dire, per amore di verità storica, che la chiesa di “Sancta Maria intra muros” a Saragozza esisteva ancor prima della invasione araba, avvenuta nel 711. Il monaco Aimoinus, giunto in Spagna nell’anno 855 alla ricerca delle reliquie di S. Vincenzo, scrisse che “la chiesa dedicata alla Vergine a Saragozza era la madre di tutte le chiese della città, e che S. Vincenzo vi aveva esercitato le funzioni di diacono al tempo del vescovo Valerio”. Nel 1118 Saragozza, liberata dal dominio dei musulmani, ritornò capitale del regno di Aragona e nel 1294 Santa Maria del Pilar venne restaurata per accogliere schiere sempre più numerose di pellegrini. Al tempo dell’unificazione della Spagna (sec. XV) per opera del re di Aragona Ferdinando il Cattolico e della regina Isabella di Castiglia, sua sposa, il culto della Madonna del Pilar si affermò in campo nazionale. Con la scoperta dell’America tale culto raggiunse anche il Nuovo Mondo: nell’anno 1492 avveniva la cacciata definitiva dei Saraceni dalla Spagna, Cristoforo Colombo partiva con tre caravelle, di cui una si chiamava per l’appunto “Santa Maria”, e – fatto abbastanza curioso, se non addirittura strabiliante – la data della scoperta del continente americano coincideva proprio con la data della festa del Pilar, il 12 ottobre. Forse per tutte queste circostanze, nel 1958, la festa “pilarica” del 12 ottobre fu dichiarata festa della hispanidad, cioè della Spagna e di tutte le nazioni di lingua e cultura spagnola. Ma nel 1640 un miracolo spettacolare doveva rendere ancora più celebre il santuario. Un giovane di diciassette anni, Miguel-Juan Pellicer di Calanda, conducendo un giorno un carro aggiogato a due muli, cadde dalla cavalcatura e andò a finire sotto una ruota del carro, che gli spezzò e gli schiacciò nel mezzo la tibia della gamba destra. Trasportato in ospedale per le cure del caso, si ritenne urgente amputargli la gamba a circa quattro dita dalla rotula. Prima dell’operazione, l’infelice si era recato al santuario del Pilar per farvi le sue devozioni e ricevervi i sacramenti. Dopo l'intervento, vi era tornato per ringraziare la Madonna di averlo conservato in vita. Ma,non potendo più lavorare, Miguel-Juan si era unito agli altri mendicanti che domandavano l’elemosina all’ingresso della basilica. Nel frattempo, ogni volta che veniva rinnovato l’olio delle 77 lampade d’argento, accese nella cappella della Vergine, egli vi strofinava le sue piaghe, benché il chirurgo glielo avesse sconsigliato in quanto l’olio ritardava la cicatrizzazione del moncherino. Tornato infine a Calanda, con la gamba di legno e una gruccia cominciò a mendicare spingendosi fino ai paesi vicini. Ma, il 29 marzo 1640, rientrò a casa sua e, a sera, dopo aver invocato, come al solito, la Vergine del Pilar, si addormentò. Al mattino, svegliandosi, si ritrovò con due gambe ed avvertì così i suoi genitori che la gamba destra, amputata da due anni e cinque mesi, era segnata al polpaccio dalle stesse cicatrici di prima dell’infortunio. Fu istituita subito una Commissione d’inchiesta, nominata dall’arcivescovo,e i suoi membri, nel corso di accurati accertamenti, con loro grande meraviglia non trovarono più la gamba di Miguel sepolta tempo prima nel cimitero dell’ospedale. La fama del miracolo corse per tutta la Spagna e fu la causa della realizzazione del grandioso santuario attuale, iniziato nel 1681 e consacrato il 10 ottobre 1872. Nel santuario, all’inizio della navata centrale è situata la “santa cappella”, dove si venera una piccola statua della Vergine col Bambino del secolo XIV, che poggia i piedi sul “Pilar” ricoperto di bronzo e argento, e che viene rivestita con manti diversi a seconda dei tempi liturgici e delle circostanze. Questa immagine fu incoronata il 20 maggio 1905, con una corona tempestata da circa diecimila perle preziose, e solennemente benedetta dal pontefice S. Pio X. La Madonna del Pilar, come Patrona della Spagna, da secoli attrae masse imponenti di pellegrini appartenenti a ogni classe sociale: dai più umili contadini ai più grandi re di Spagna, da Ferdinando il Cattolico a Juan Carlos, dal cardinale di Retz nel 1654 al papa Giovanni Paolo II nel 1982. I pellegrinaggi al santuario sono ininterrotti lungo tutto l’arco dell’anno e si svolgono con la partecipazione alla santa Messa, alla recita del Rosario, con canti mariani e con il bacio alla colonna sulla piccola parte scoperta, che, a causa di questa devozione, presenta un marcato solco prodotto proprio dall’usura. Molte famiglie spagnole danno il nome di Pilar alle loro bambine e tengono ad avere la sacra immagine in casa; numerosi altari e cappelle, dedicati alla Madonna del Pilar, si trovano nella Spagna e nell’America Latina. C’è a tal proposito un canto popolare spagnolo il cui ritornello a suon di nacchere ripete giustamente questa semplice verità: “Es la Virgen del Pilar, la que màs altares tiene, y no hay un buen español, que en su pecho no la lleve”: “È la Vergine del Pilar, quella che ha più altari, né si trova uno spagnolo, che non la porti nel cuore”.
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