Martedì in Albis

Accadde perciò che potè vederlo lei sola che era rimasta per cercarlo;

perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della Verità:

“Chi persevererà sino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22)


San Gregorio Magno





Dal Vangelo secondo Giovanni 20,11-18.

Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.




Il Commento


Maria e Gesù. Un incontro, un cammino al vero e alla fede. Una tomba vuota. E tante lacrime. Secondo il noto biblista Ignace De La Potterie "Maria spiega la ragione della sua pena con le parole "Hanno portato via il mio Signore e io non so dove l'hanno posto". Non sospetta minimamente che possa essere risuscitato. E' convinta che abbiano messo in qualche altro posto il corpo del suo Signore. Vuole conoscere questo posto per andare a riprendere lei stessa quel corpo inerte: potrà almeno ricordarle colui che essa ha conosciuto... Maria deve essere liberata da un attaccamento troppo sensibile al Gesù terreno, deve abbandonare la sua volontà di possederlo... Ecco perchè Gesù le chiede: "Chi cerchi?". Con questo invita Maria a prendere coscienza dell'equivoco della sua ricerca e a purificarla nella fede. Invece di tormentarsi a proposito del luogo dove pensa abbiano messo il corpo del suo Signore, deve cercare Cristo, il Signore vivente. La sua ricerca deve cessare di essere preoccupazione di trovare il Signore per sé, e trasformarsi in un movimento verso di Lui" (I. De La Potterie, Saggi di cristologia giovannea). Proprio così. Anche noi, con la Maddalena, cerchiamo oggi qualcosa o qualcuno. Ma chi cerchiamo davvero? Le nostre preghiere, le nostre stesse lacrime, la nostra vita spirituale verso chi è veramente orientata? Non è una domanda di poco conto.

Si tratta della stessa domanda rivolta da Gesù a Giovanni e ad Andrea che lo avevano seguito: "Che cercate?". Il verbo "cercare" è molto importante nel Vangelo di Giovanni. Un luogo, una persona. Alla domanda dei sue discepoli, all'alba della missione, Gesù risponde invitandoli a seguirlo, ad andare e vedere dove Lui abitava. Risuona nelle parole del Signore la promessa di Dio ad Abramo fatta sulla soglia della Storia della Salvezza, un luogo, la terra promessa, e una persona, il figlio ed il lui una discendenza. Tutti noi portiamo impresso l'anelito ad un luogo dove abitare, dove vivere, per essere felici e in pace; e il desiderio di qualcuno nel quale trascenderci, qualcuno da amare. Questi desideri sono "santi desideri", sigilli del Creatore nel cuore e nella mente della creatura. Ma sono impastati di carne. Occorre un cammino di purificazione, un percorso che ci conduca alle sorgenti della fede dove ricevere occhi nuovi e cuore nuovo.

Non si tratta di cercare il Signore in un posto qualsiasi. Un "altrove" della nostra vita, diverso da quello che è, oggi, la nostra vita. Siamo, come Maria, dinanzi alla tomba vuota, e siamo smarriti. Qualcosa è successo, ma non capiamo. Credevamo morta la speranza, distrutti i progetti, ci siamo visti deposti in un sepolcro per il nostro carattere, per i nostri peccati. Vorremmo andare a prendere il Signore e riportarlo lì nella tomba, per piangere la disfatta, il fallimento della nostra vita. Vorremmo che Lui agisse in quel sepolcro, nei vuoti delle nostre esistenze, nei nostri difetti, nelle cose storte della nostra storia, per trasformare il sepolcro in un giardino. Vorremmo mettere a posto le cose, come Maria, che piange, come noi, per l'imprevisto che turba. La tomba vuota.

Ma No. Cristo è risorto! Non è lì dentro, non è lo stesso di prima, ha varcato la soglia della morte, del peccato, della carne. E' Lui, è il Signore, ma viene dal Cielo, vivo della vita celeste, una vita che non abbiamo ancora conosciuto. Le apparizioni di Gesù risorto ci indicano ineqivocabilmente il cambiamento che ha lo hanno coinvolto. E' carne, ma non è più solo carne. Ciò che durante la vita terrena era stato svelato in anticipo nella Trasfigurazione, era ora divenuto la sua realtà definitiva: nella carne brillava, permenentemente, la sua divinità. Per questo, la sola carne non può riconoscerlo. E' Lui, è lo stesso che i discepoli avevano conosciuto, ma è anche molto di più, e questo i discepoli non lo avevano conosciuto. E' necessario un segno, una parola, qualcosa di inconfondibile che desti nei discepoli la memoria e la induca ad un salto al di là della carne. Occorre che Lui li chiami a sé, in quel nuovo sé che è diventato. Un cammino attraverso la carne per superare la carne, senza dimenticare la carne. L'esperienza di Maria e dei discepoli sarà quella di essere attirati da Crsito risuscitato nel suo Mistero Pasquale, nella dinamica che lo ha fatto passare dal Venerdì, attraverso il Sabato, alla mattina della Domenica, dalla Passione, attraverso la morte, alla resurrezione. Quest'ultima non è un evento slegato da ciò che lo ha preceduto, ne è il compimento, non l'annullamento. Per questo Gesù mostra le ferite, accompagnando coloro ai quali appare risuscitato, nello stesso passaggio da Lui compiuto, senza eludere alcun momento, ma sigillandolo alla luce nuova e trasfigurante della Pasqua.

Come Maria, come i discepoli, camminiamo alla ricerca. Ma stiamo sbagliando oggetto e direzione. La paura continua ad afferrare la nostra esistenza, quella che sorge dal dubbio che è sempre il frutto di una carne ripiegata su se stessa. La carne conosce solo i limiti della morte, ha paura del futuro perchè il presente è avvelenato. Così non può aprirsi ad un futuro sconvolgente come quello annunciato dalla resurrezione. Questa non è nel Dna della carne che non può fornire alcun parametro per riconoscerla ed accoglierla. L'esperienza che portiamo dentro è del limite invalicabile che segna la morte; per credere alla resurrezione è necessario un parametro nuovo, che non ci appartiene; occorre un intervento esterno, qualcuno che ci dia questo parametro, e ci insegni ad usarlo. Un segno che possiamo riconoscere e che ci sospinga al di là dei nostri limiti; un anello che congiunga la nostra realtà alla sua realtà; una chiave che apra in noi la porta per entrare, esattamente come siamo, poveri, deboli, precari e limitati, laddove ora Egli è, il Regno celeste che non conosce i confini della carne.

E' la risurrezione che appare oggi dinanzi a noi. Come agli occhi di Maria quel mattino di Pasqua. E' qualcosa di totalmente nuovo, che dobbiamo imparare a conoscere, per passare dalla paura alla Pace. E' un inizio che non teme quello che sarà perchè non ha paura di quello che già è: nella carne vi è già il seme di una vita nuova, che supera le angustie di quanto è destinato a perire. Ciascuno di noi è quello che è, e sarà quel che sarà, a nessuno è dato di sapere come sarà tra dieci anni, non sappiamo neanche ciò che accadrà tra un istante. Ma il punto non è qui! La certezza che cerchiamo in un luogo ed in una persona non sono in un sepolcro; la domanda autentica e per questo decisiva che Gesù pone a Maria, come ad Andrea e a Giovanni: ha una sola risposta: Non è qui, non è nel sepolcro, non è in noi stessi, in una carne votata alla morte, perchè tutti siamo incamminati verso un sepolcro. Non cercate tra i morti Colui che è vivo!

Un cammino si schiude allora per noi. Oggi, come ogni giorno. Il cammino della Maddalena, dapprima stupita di fronte all'imponderabile di una tomba vuota, dove non capisce. E tutti noi, come Maria, non lo abbiamo riconosciuto, ancora piegati sulla nostra carne, sulla storia che ci pesa, le ferite, il male, il dolore. Ma la Sua chiamata, il nostro nome pronunciato dalle Sue labbra in modo così unico ci ha aperto gli occhi e il cuore ad una possibilità impensabile. La sua voce e dentro la sua parola che pronuncia il nostro nome, ecco la chiave, il parametro che ci fa accogliere l'impossibile: E' risorto! E' l'incontro con Gesù risorto, che ha vinto la morte, che ha distrutto alla radice ogni motivo per fallire, per aver paura, per tradire, per illudersi, per dubitare! E' l'incontro che canta il preconio pasquale "Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l'odio, promuove la concordia e la pace". Quel nome pronunciato, "Maria!" le ha ricordato il suo amore, il perdono si è fatto di nuovo cosa viva, e, attraverso quell'esperienza unica di essere stata amata laddove nessuna l'aveva amata, Maria può riconoscere il Maestro trasformato, risorto. Lui appare anche a noi allo stesso modo, ricordandoci la sua opera d'amore con noi. La Pasqua è la fonte e la garanzia che quanto Dio ha operato in noi è vero, autentico, non si corromperà mai; la Pasqua è il fondamento della speranza che non delude!

Eppure la carne, come in Maria, la fa ancora da padrona, riconosciutolo, lo vorremmo "trattenere". Vivo sì, ma per la nostra vita, per i nostri affetti, per ridar vita a quanto di noi credevamo perduto. Per sistemare i nostri cuori, le nostre menti, le nostre vite. Lo volevamo trattenere nei limiti angusti della nostra esistenza terrena. "Un' ultima soglia deve essere varcata, la più importante di tutte: quella che permetterà a Maria di elevarsi dall'attaccamento al sensibile al livello della fede. Di non volgersi più verso il passato ma verso l'avvenire.... Ma bisogna che Gesù stesso le comunichi il messaggio pasquale: "Io salgo verso il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (cfr. De La Potterie, cit.). Il luogo è dunque il Cielo, e la persona è Gesù risuscitato, il Messia atteso e vincitore di ogni morte. Conoscere il Signore e credere, vederlo con occhi nuovi, di fede, nella nostra vita, percorrendo, ogni giorno, il cammino della Maddalena. Dalla carne allo Spirito. Dalla terra al Cielo. Imparare a non trattenere il Signore, vivere ogni rapporto nella totale libertà della novità di vita dettata dalla Spirito Santo. Essere nuova creatura. Dimentichi del passato e protesi verso il futuro, le cose vecchie ormai passate, non ritornare a rimescolare la stanca minestra dei dubbi, delle debolezze, dei fallimenti. Abbandonarci a Lui, alla sua vita celeste che viene prendere dimora in noi. Morti in Lui e risorti in Lui, per non vivere più nulla per noi stessi, foss'anche Cristo stesso, ma vivere tutto per Lui, in Lui, con Lui. Camminare in una vita nuova, nelle opere che Dio Padre ha preparato "già" per noi, perchè noi le praticassimo.

Non dobbiamo cercare o inventare nulla per essere santi. Solo camminare sulle orme di Cristo, che tracciano la via della Croce, il candelabro preparato per noi. E' questa la novità: la vita di Cristo in noi crocifissi con Lui. Morti ma vivi. Nella semplicità della vita di ogni giorno, nell'amore di Cristo che ci spinge a compiere la volontà del Padre. Non ci sono "altrove", c'è il "qui ed ora" della Sua volontà. Lì è vivo Cristo. Lì, come i rinati dallo Spirito, vivere ogni giorno come il vento, discernendo il momento presente, il kairos della Grazia, uniti a Lui. Con il cuore e la mente nel cielo e il corpo qui sulla terra. Liberi, abbandonati, la nostra vita tutta per Lui, il Signore che ha donato tutto per noi. I nostri nomi pronunciati oggi dalla voce inconfondibile di Gesù sono il sigillo sulla nostra vita, la garanzia che tutto è santo in noi! Il nostro nome pronunciato per amore.

Un verso di una poesia di Antonio Machado, poeta straordinario, dice:

«Si un grano del pensar arder pudiera,
no en el amante, en el amor,
sería la mas honda verdad la que se viera».

Che, tradotto alla lettera, significa:

"se un seme del pensare potesse ardere,
non nell’amante, ma nell’amore,
potrebbe vedere la verità più profonda".

E' l'esperienza cui siamo chiamati, la stessa di Maria: un seme, un piccolissimo seme dei nostri pensieri, circa la storia, noi stessi, il matrimonio, il lavoro, un seme di quello che ora stiamo pensando ardere in Lui, nel suo Amore, e non nella nostra povera carne, amante sì ma inesorabilmente limitata; se un seme del nostro intimo, sofferente o felice che sia, potesse ardere in Colui che pronuncia il nostro nome, in Cristo che ci ama, potremmo vedere la verità più profonda, il fondamento eterno della nostra vita, la risurrezione che assorbe ogni istante della nostra storia, facendone un frammento di eternità. La verità più profonda, l'amore infinito che vince la morte e ci fa liberi e felici davvero.




Commento al Vangelo di :


San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Omelie sul Vangelo, 25,1-2.4-5 ; PL 76, 1189-1193

« Avete visto l’amato del mio cuore ? » (Ct 3,3)


Dobbiamo considerare quanta forza d’amore aveva invaso l’anima di questa donna, che non si staccava dal sepolcro del Signore, anche dopo che i discepoli se ne erano allontanati. Cercava colui che non aveva trovato, piangeva in questa ricerca e, accesa di vivo amore per lui, ardeva di desiderio, pensando che fosse stato trafugato. Accadde perciò che potè vederlo lei sola che era rimasta per cercarlo; perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della Verità: “Chi persevererà sino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22)...

I santi desideri infatti crescono col protrarsi dell’attesa. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri. Ha provato questo ardente amore chiunque è riuscito a giungere alla verità. Così Davide che dice: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 41,3). E la Chiesa dice ancora nel Cantico dei cantici: “Io sono malata d’amore” (Ct 5,8). E di nuovo dice: “l’anima mia è venuta meno” (Ct 2,5). “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Le viene chiesta la causa del dolore, perché il desiderio cresca, e chiamando per nome colui che cerca, s’infiammi di più nell’amore di lui.

“Gesù le disse: Maria!” (Gv 20,16). Dopo averla chiamata con l’appellativo generico del genere, senza essere riconosciuto, la chiama per nome; come se volesse dire: “Riconosci colui dal quale sei riconosciuta. Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale.” Maria dunque, chiamata per nome, riconosce il Creatore e subito grida: “Rabbunì”, cioè “Maestro”: era lui che ella cercava all’esterno, ed era ancora lui che la guidava interiormente nella ricerca.


San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Discorsi sul Vangelo, 25 ; PL 76, 1188

« Perché piangi ? »



Maria, mentre piangeva, si chinò e guardò nel sepolcro. Eppure aveva già visto che era vuoto, e aveva annunciato la scomparsa del Signore. Perché allora si china ancora? Perché ancora desidera vedere? Perché l’amore non si accontenta di un solo sguardo; l’amore è una ricerca sempre più ardente. L’ha già cercato, ma invano; si ostina e finisce col ritrovarlo... Nel Cantico dei cantici, la Chiesa diceva dello Sposo: “Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio cuore” (Ct 3,12). Due volte esprime la sua delusione: “L’ho cercato, ma non l’ho trovato”. Infine il successo corona i suoi sforzi: “Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: Avete visto l’amato del mio cuore. Da poco le avevo oltrapassate, quando trovai l’amato del mio cuore” (Ct 3,3-4).

Quanto a noi, quando, sul nostro letto, cerchiamo l’Amato? Durante i brevi riposi di questa vita, quando sospiriamo in assenza del nostro Redentore. Di notte lo cerchiamo, perché anche se il nostro spirito veglia già su di lui, i nostri occhi non vedono null’altro che la sua ombra. Ma poiché non troviamo l’Amato, alziamoci, facciamo il giro della città, cioè della santa assemblea degli eletti. Cerchiamolo con tutto il nostro cuore; guardiamo per le strade e per le piazze, cioè nei passaggi ripidi della vita o nelle sue vie spaziose; apriamo gli occhi, cerchiamo i passi dell’Amato del nostro cuore... Questo desiderio faceva dire a Davide: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Senza sosta, cercate il suo volto” (Sal 42,3).



San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Omelie sui vangeli, 25 ; PL 76, 1188-1196

Ti chiama per nome


« Se l'hai portato via tu ... » Come se Maria avesse già detto il motivo delle sue lacrime, parla di « lui », senza nemmeno aver pronunciato il suo nome. Tale è il segno dell'amore : sempre fissi in colui che si ama, si crede che tutti gli altri ne siano ugualmente occupati... Maria non immagina che si possa ignorare l'oggetto del suo immenso dolore.

Gesù le disse : « Maria ! » Dopo averla chiamata con l'appellativo generico di donna, senza essere riconosciuto, la chiama per nome ; come se volesse dire : « Riconosci colui dal quale sei riconosciuta ». Dio diceva lo stesso a Mosè, l'uomo perfetto : « Ti ho conosciuto per nome » (Es 33, 12). « Uomo » è il nome comune a tutti, invece, « Mosè » è il nome proprio, e il Signore gli dice chiaramente che lo conosce con il suo nome, e sembra dichiarargli : « Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale ».

Maria dunque, chiamata per nome, riconosce il suo creatore e subito grida : « Rabbunì », cioè Maestro : era lui che lei cercava all'esterno, ed era ancora lui che la guidava interiormente nella ricerca... « Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli : 'Ho visto il Signore' e anche ciò che le aveva detto ». In questo momento il peccato degli uomini abbandona il cuore da cui era entrato. Poiché nel Paradiso, è stata una donna a tendere all'uomo il frutto della morte ; al sepolcro, è nuovamente una donna, ad annunciare la vita agli uomini e a riportare le parole di colui che dà la vita.


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