La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano.
G. K. Chesterton, Ortodossia
Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-17.
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
IL COMMENTO
Non è vero che non potremo mai essere felici. Non è vero che ci sarà sempre e solo da soffrire. No. Siamo nati per una gioia piena, qui ed ora, che sarà poi misteriosamente e infinitamente colmata in Cielo. Oggi Gesù ci dice che proprio per le sue parole possiamo essere felici di una gioia vera e piena, che nessuno potrà mai toglierci. Eppure qualcosa in noi protesta dinanzi a questa affermazione. Il dolore, le angosce, le pene, le malattie, l'orrore per la violenza, le cronache che ci mostrano un mondo sporcato sin dentro al divertimento, lo sport, lo svago, siamo accerchiati e le parole di Gesù sembrano stonare.
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
IL COMMENTO
Non è vero che non potremo mai essere felici. Non è vero che ci sarà sempre e solo da soffrire. No. Siamo nati per una gioia piena, qui ed ora, che sarà poi misteriosamente e infinitamente colmata in Cielo. Oggi Gesù ci dice che proprio per le sue parole possiamo essere felici di una gioia vera e piena, che nessuno potrà mai toglierci. Eppure qualcosa in noi protesta dinanzi a questa affermazione. Il dolore, le angosce, le pene, le malattie, l'orrore per la violenza, le cronache che ci mostrano un mondo sporcato sin dentro al divertimento, lo sport, lo svago, siamo accerchiati e le parole di Gesù sembrano stonare.
Inizialmente forse le accogliamo con gratitudine ed entusiasmo, ma poi, la realtà delle nostre esistenze ci fa ripiombare nel pessimismo, in quella sottile accidia che invelenisce le nostre ore. La gioia ci sembra pura utopia. Nel mondo sembra che l'uomo sia impegnato solo per la giustizia e per fuggire ogni sofferenza. "La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno […] ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. […] Il pessimismo è tutt’al più una mezzafesta della commozione; la gioia è il lavoro tumultuario per cui vivono tutte le cose" (G.K. Chesterton, Ortodossia). In questa società non c'è spazio per la gioia, siamo tutti adirati, costantemente. Il piacere a tutti i costi è l'unica forma di felicità, di gioia consentita. Ma anche quello, una volta raggiunto, mostra il suo sorriso satanico.
Spesso, e forse mai come in questa epoca, esso appare in quel sarcasmo ironico e dissacrante che irride tutto e tutti. La satira che graffia il cuore, che sporca il pensiero, quello strano meccanismo per cui tutto deve essere oggetto di una goffa comicità che relativizza e anestetizza la serietà della vita. E' l'impossibilità di prendere sul serio la vita, la paura di entrare nella realtà che si cerca di esorcizzare con battute e ironie di bassa lega. I giovani ne sono intrappolati, le pause caffè e le soste dal fruttivendolo sembrano palchi di cabaret. La falsa allegria di chi, non conoscendo Cristo, non conosce la gioia autentica.
Niente di più lontano dall'autentico umorismo che fa bene alla vita: l'umorismo che è parente semantico dell'umiltà, della verità sull'uomo e la sua esistenza. Fatto di terra sa che non può prendersi troppo sul serio, che non può fare di se stesso un assoluto, perchè senza Dio è un nulla assoluto. L'umorismo che non è mai sarcasmo, che sottolinea invece la serietà della vita: diceva Benedetto XVI: "La gioia profonda del cuore è la precondizione del senso dell’umorismo, e così l’umorismo è, in qualche modo, la misura della fede. Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più, se non ci dessimo tanta importanza". Scendere il gradino della superbia per volare con Dio in una vita celeste già qui sulla terra. E' l'umorismo che guarda ad ogni cosa con la tenerezza di Dio.
Gesù oggi ci parla di gioia, della sua gioia. Ecco il punto. Probabilmente non l'abbiamo mai conosciuta. Non sappiamo di che cosa si tratti, una gioia che non si è assopita neanche sul Calvario. Una gioia crocifissa. L'unica gioia piena. L'unica che non dipenda dalle circostanze, dal piacere, dal realizzare progetti ed ideali, dalle buone relazioni con gli altri, dalla propria soddisfazione. Una gioia che non ci appartiene, che ci deve essere donata ed essere da noi accolta. La gioia di Gesù per noi. Essa coincide con la volontà di Dio. Con la verità. Con ogni istante della nostra vita. E' la gioia dell'intimità con Dio in Cristo Gesù.
Osservare i comandamenti è già una Grazia, è la vita nuova che si manifesta perchè si è ricevuto un cuore e uno Spirito nuovi. Compiere la volontà di Dio è amare, è una vita donata. Scriveva Santa Caterina da Siena: "Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore. Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!". La gioia di Gesù ci è donata, non implica alcuno sforzo, è la gioia del suo amore, lo stesso fuoco che ha mosso la sua vita, la certezza dell'amore di Suo Padre. Di nostro Padre.
Non vi è alcun moralismo, solo un amore infinito che brucia dal desiderio di donarsi. In ogni istante. Per questo possiamo gioire d'una gioia indicibile, anche se siamo provati in ogni modo, perchè dentro il suo amore ci colma, anche se non ce ne rendiamo conto. Non sono sentimenti, è la più pura realtà. Quando camminiamo crocifissi con Cristo rimaniamo nel suo amore, il cuore è pacificato, anche se la carne e i sentimenti sono agitati. Sotto le onde, anche le più tempestose, al fondo del mare vi è una pace infinita. La gioia piena del suo amore riversato copiosamente in noi. E' la gioia dell'amicizia con Cristo, che ci rivela i segreti del Padre, che ci illumina su ogni evento, che ci prende per mano e ci guida, sicuri, verso il Destino per il quale siamo nati. La gioia di Gesù e la gioia dei suoi discepoli nel rivedersi la sera di Pasqua: la gioia della risurrezione. La stessa gioia nel guardare i figli, la moglie, gli amici, e la nostra storia, e vedere tutto incastonato nel suo amore infinito che ha vinto la morte; la gioia per cui ogni evento ed ogni relazione esiste nella sera di Pasqua, dove la morte non ha più potere, dove nulla è definitivamente perduto, dove in tutto vi è speranza. Il frutto della nostra vita, essendo il frutto di Cristo, è un frutto eterno, che non si corrompe, che rimane per l'eternità. Questa è una notizia meravigliosa, in Cristo ogni parola, ogni gesto, ogni atto racchiude i cromosomi dell'eternità, e questo è fonte di gioia autentica e pace, perchè quello che ci distrugge è sperimentare la vanità di ogni cosa.
La gioia che sorge dal sapersi chiamati, dall'esperienza di essere stati scelti da Lui. Non siamo stati noi, in un impeto sentimentale, a scegliere il Signore. Se così fosse la nostra vita sarebbe alla mercè di noi stessi, e sarebbe ben povera cosa. E' Lui invece che, conoscendoci sino in fondo, ci ha scelti con amore; nella sua fedeltà alla sua elezione possiamo svegliarci ogni mattina, deboli, inadatti, poveri, eppure forti della sua forza, zelanti del suo zelo, amanti del suo amore. La gioia piena è tutta qui, in questa elezione gratuita che non meritiamo ma che ci ha conquistati ad una vita piena, compiuta, meravigliosa. "Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande... non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto" (Benedetto XVI).
Tertulliano (155? - 220?), teologo
Prescrizione contro gli eretici, 20-22 ; CCL I, 201s
Gesù Cristo, il Signore nostro, durante il Suo soggiorno sulla terra, manifestò chi egli fosse, ciò che era stato, quale fosse la volontà del Padre Suo di cui egli era servitore, quale comandamento prescriveva all'uomo. Tutto questo lo diceva apertamente alla folla oppure ai suoi discepoli, in disparte. Egli ne aveva prescelti dodici e li teneva sempre presso di sè: non si allontanarono mai dal fianco del Maestro: li aveva scelti, perchè fossero maestri delle genti e diffusori della dottrina divina. Uno di essi venne allontanato, ma agli altri undici, mentre stava per ritornare al Padre suo dopo la resurrezione, comandò di andare nelle varie regioni del mondo e battezzarle nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).
E gli Apostoli sùbito, [questo nome di Apostoli significa appunto inviati, messaggeri] al posto di Giuda, che era stato cacciato, titarono a sorte Mattia come loro dodicesimo compagno, secondo quanto anche era stato profetizzato, come si legge nel salmo di David. Hanno ricevuto la forza dello Spirito Santo secondo la promessa per compiere miracoli e parlare lingue nuove. Hanno reso testimonianza alla fede in Gesù Cristo dapprima in Giudea dove fondarono delle Chiese. Poi sono partiti per il mondo intero e hanno annunciato alle nazioni lo stesso insegnamento della fede.
Poi hanno fondato delle Chiese in ogni città che in seguito hanno fornito ad altre chiese la talea della fede e le sementi della dottrina. La prova della loro unità sta nel fatto che tutte sono in pace e comunione tra loro, che i loro membri si chiamano, tra loro, fratelli e che praticano reciprocamente l'ospitalità. Questa costruzione si basa sull'unico fondamento della tradizione di uno stesso mistero. Gli apostoli hanno predicato quello che Cristo ha loro rivelato e null'altro doveva essere predicato da quelle Chiese fondate direttamente dagli apostoli alle quali essi avevano parlato di viva voce o, come si attesta, tramite lettere.
San Lorenzo Giustiniani (1381-1455), canonico regolare, poi vescovo di Venezia Omelia per la festa di San Mattia
Dio sceglie l'apostolo Mattia
L'apostolo Paolo scrive: «O profondità della ricchezza, della sapienza, della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33)... E un salmo dice: «Tutto hai fatto con saggezza» (Sal 103,24), cioè nel tuo Verbo, nella tua Parola eterna. Poiché nel Verbo e per mezzo del Verbo tutto è stato fatto (Gv 1,3), chi potrà dubitare che con saggezza è stato fatto, e che egli ha perfettamente scelto i suoi discepoli, senza parzialità? «In lui ci ha scelti, dice l'apostolo Paolo, prima della creazione del mondo» (Ef 1,4)... Consideriamo la scelta di Mattia. Gli apostoli avevano scelto Giuseppe detto Barsabba e Mattia...; poi hanno proposto la loro scelta a colui che giudica secondo il cuore, e che «conosce il cuore di tutti», affinché egli mostrasse quali di questi due aveva designato. E sicuramente egli aveva scelto Mattia per questo onore prima che fossero gettate le sorti, anzi prima che il mondo fosse... Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato» (Mc 11,24). Per questo la Chiesa è solita pregare di comune accordo ogni volta che pensa di dovere domandare qualche cosa al Signore. Nessun mezzo ha presa sulla volontà di Dio quanto la preghiera, almeno se viene fatta con fede, serenità, umiltà e perseveranza. Il sorteggio non ha quindi recato nessun pregiudizio alla scelta di quel glorioso apostolo poiché, come testimonia la Scrittura, gli apostoli hanno cominciato col pregare; è piuttosoto in risposta alla loro preghiera che Dio ha ispirato loro di gettare le sorti per questa elezione. D'altra parte Mattia non ha ricevuto una grazia meno grande di Pietro, o degli altri apostoli, benché fosse stato chiamato per ultimo. Ha ricevuto lo Spirito Santo con la stessa pienezza degli altri, e gli stessi doni spirituali riservati a loro. Lo Spirito Santo posandosi su di lui l'ha riempito di carità; gli ha dato di esprimersi in tutte le lingue, di fare dei miracoli, di convertire le nazioni, di predicare Cristo e di ottenere il trionfo del martirio.
1 commento:
gentile don Antonello, nel suo commento Lei cita una frase di Benedetto XVI (la gioia profonda del cuore è la precondizione del senso dell'umorismo e così l'umorismo è in qualche modo la misura della fede) che io vorrei citare in un saggio che sto scrivendo sul Papa. Mi servirebbe quindi conoscere la fonte precisa di questa frase (la cosa buffa è che a settembre 2010 anch'io su Avvenire ho citato questa frase eppure ho "perso" la fonte), mi potrebbe aiutare? grazie di cuore, a presto! andrea monda
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