Ma io vi dico questo: mettete le vostre vite nelle mani di Gesù. Egli vi accoglierà e vi benedirà, e farà un uso delle vostre vite che andrà al di là delle vostre più grandi aspettative. In altre parole, abbandonatevi, come tutti quei pani e quei pesci, nelle mani potenti e affettuose di Dio e vi troverete trasformati in “una vita nuova” (Rm 6, 4); in una pienezza di vita (cf. Gv 1, 16). “Carica il tuo fardello sul Signore ed egli lo sosterrà” (Sal 55, 22).
Giovanni Paolo II, Discorso durante l'incontro con i giovani a Murrayfield (Gran Bretagna), 31 maggio 1982
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15.
Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade,
e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.
Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
«C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?».
Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.
E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto».
Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!».
Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.
IL COMMENTO
Il segno che svela il Profeta, il Messia inviato da Dio, è la Vita moltiplicata e capace di saziare, offerta gratuitamente all’umanità. Il segno del Profeta è la Chiesa, povera, debole, bisognosa di penitenza e conversione, eppure ricca della ricchezza che nessun altro nel mondo possiede: la Parola – i cinque pani, immagine dei cinque libri della Torah – ed il potere di Dio nella carne del suo Figlio – i due pesci, immagine delle due nature del Signore -. Il segno dato al mondo sono gli apostoli inviati a sfamare e molto di più, a saziare la vita d’ogni uomo. Filippo siamo tutti noi, spesso incapaci di guardare oltre, con il cuore appesantito dalla ragione imprigionata dall’unica evidenza che balza immediatamente agli occhi. Matematica imperfetta perchè incapace di contemplare l’infinito che abbraccia e dà senso ad ogni numero. Cinque pani e due pesci sono molto di più di quello che le mani son capaci di afferrare. La creazione stessa obbedisce a precise formule matematiche, ma i numeri che la definiscono non sorgono dal nulla, da un big-bang riproducibile in laboratorio. Vi è un’evidenza nascosta eppure intuibile, il segreto tracciato di numeri che non hanno fine perchè il loro stesso principio è puro mistero. Un computer, un telefono, una pila, tutto ci parla d’infinito.
Esso si svela pienamente nel miracolo compiuto dal Signore. Il Messia atteso è Dio fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. E’ lui l’infinito che, raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento. Quei due numeri che, ad una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito e circoscritto, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni d’una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito. Cinque pani e due pesci sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità.
Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio ed il conto in banca, l’altezza, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, d’un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni. Ogni numero che fa di noi quel che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano ed una Parola, quelle dell’Autore d’ogni matematica, d’ogni scienza, d’ogni vita. Le sue mani creano e ricreano e si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola ed il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento.
Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa dell’infinito. Ogni grumo d’esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo. Solo il Signore, attraverso la sua Chiesa povera ma splendente, ci conduce ai pascoli d’erba fresca dove riposare da una vita spesa in calcoli ed esperimenti infruttuosi. Sì, è preparato per ciascuno di noi un prato verdeggiante, dove possiamo sederci e riposare dalle nostre opere per abbandonarci alla sua Opera. In Cristo oggi, ed ogni giorno, la vita è trasformata e può esplodere in una sazietà che ci fa pregustare il Cielo. Ovunque vi è speranza, perchè oltre ad ogni pane e ad ogni pesce v’è un orizzonte infinito di pienezza e pace.
Sant’Efrem Siro (circa 306-373), diacono in Siria, dottore della Chiesa
Commento sul Diatèssaron, 12, 4-5, 11 ; SC 121, 214
« Riempirono dodici canestri con i pezzi avanzati »
In un batter d’occhio, il Signore ha moltiplicato un po’ di pane. Ciò che gli uomini fanno in dieci mesi di lavoro, le sue dieci dita l’hanno fatto in un istante... Eppure, egli ha misurato il miracolo non alla sua potenza, bensì alla fame dei presenti. Se il miracolo fosse stato misurato secondo la sua potenza, sarebbe stato impossibile il valutarlo; invece, misurato secondo la fame di quelle migliaia di persone, il miracolo ha sovrabbondato di dodici canestri; negli artigiani, la potenza è inferiore al desiderio dei clienti, non possono fare quanto gli viene chiesto; invece le realizzazioni di Dio superano ogni desiderio...
Saziati nel deserto, come un tempo gli Israeliti in seguito alla preghiera di Mosè, esclamarono: “Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo”. Accennavano alle parole di Mosè: “Il Signore susciterà per te un profeta”, non profeta qualunque, bensì “un profeta pari a me” (Dt 18,15), che vi sazierà di pane nel deserto. Come me, ha camminato sul mare, è apparso nella nube luminosa (Mt 17,5), ha liberato il suo popolo. Come Mosè che ha affidato il suo gregge a Giosuè, egli ha affidato Maria a Giovanni... Ma il pane di Mosè non era perfetto; è stato dato ai soli israeliti. Volendo accennare che il suo dono superava quello di Mosè, e la chiamata delle nazioni ancora più perfetta, il nostro Signore disse: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”, infatti “il pane di Dio è disceso dal cielo” e viene dato al mondo intero (Gv 6,51).
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