EMILIANO JIMENEZ. NON GIUDICATE (Mt 7,1-12)



a) La pagliuzza e la trave

Gesù, con un fermo imperativo, proibisce ai suoi discepoli di giudicarsi l'un l'altro: «Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1). Chi giudica gli altri si crede superiore e migliore di loro. Così si arroga un diritto sugli altri che non gli appartiene. Il giudizio appartiene a Dio. Nella comunità, i fratelli non si affrettano a giudicare e condannare chi pecca. Confidano nella grazia di Dio che dà a tutti il tempo per la conversione: «Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'a-dempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,8-9). Che il giudizio appartiene a Dio e non a noi, lo ricorda Paolo ai fedeli della comunità di Corinto: «Non vogliate per-ciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio»(1Cor 4,5). Anche ai Romani scrive: «Ma tu, perché giudichi il
tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto: Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello» (Rm 14,10-13). Con la parabola del grano e della zizzania, Gesù torna ad invitarci a lasciare il giudizio a Dio (Mt 13,24-30). Chi entra nel suo foro interiore e contempla il proprio peccato non giudica gli altri. E se giudica gli altri li giudica con benevolenza, «considerando gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). Il salmista detesta il giudizio dell'empio mentre accetta la correzione del giusto: «Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l'olio dell'empio non profumi il mio capo» (Sal 141,5). La correzione del giusto è rivestita di misericordia, poiché corregge e riprende per invitare alla salvezza. Il rimprovero dell'empio e del peccatore, invece, non cerca di sanare, ma di ferire. Nel Sermone della Montagna, segue una sentenza sapienziale per rafforzare la proibizione del giudizio: non giudicate «perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2). La sentenza si può esprimere in tanti modi, usando le più diverse immagini: chi scava una fossa per gli altri vi cade dentro; nella pentola in cui cuoce gli altri viene cotto lui; con la bilancia con cui pesa gli altri pesano lui. O con l'esempio di Assalonne: era orgoglioso della sua capigliatura e vi restò appeso. Il salmo riprende questa dottrina, dicendo: «Non torna forse ad affilare la spada, a tendere e puntare il suo arco? Si prepara strumenti di morte, arroventa le sue frecce. Ecco, l'empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna. Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto; la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa» (Sal 7,13-17). E la sorte di Aman, giustiziato sulla forca che aveva preparata per Mardocheo (Est 7,10). Chi osa giudicare gli altri non deve mai dimenticare che anche lui comparirà davanti al tribunale divino. E tutti siamo colpevoli, bisognosi di misericordia, poiché «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia» (Rm 11,32). È forse impossibile evitare il giudizio tra i fratelli che vivono in comunità. Conoscere il fratello è frutto della comunione. Scoprire le fragilità degli altri è un invito non al rifiuto o alla condanna, ma a «sopportare l'infermità dei deboli» (Rm15,1), «portando i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). E, soprattutto, aiuta a giudicare con misericordia la conoscenza di se stesso. Chi conosce le sue debolezze e fragilità sa comprendere quelle degli altri. Chi è sceso nelle profondità del suo cuore e sa che è vivo per grazia di Dio, come potrà non essere comprensivo con i difetti dei suoi fratelli? San Paolo, che nella sua vita di fariseo aveva giudicato e condannato gli altri con tanta facilità, una volta toccato dalla grazia di Cristo, scrive: «Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?» (Rm 2,1-3). La differenza che c'è tra una pagliuzza e una di quelle travi che sostengono il tetto delle case è la stessa che esiste tra il difetto altrui e quello proprio. Ma noi non vediamo il nostro, benché sia grande come una trave, mentre vediamo, invece, quello altrui, benché sia piccolo come una pagliuzza. Quando si giudica è facile usare due misure: una per se stesso e un'altra per gli altri. Siamo soliti fissare la nostra attenzione sulla pagliuzza nell'occhio di quanti ci vivono accanto e, tuttavia, siamo ciechi per vedere l'enorme trave conficcata nel nostro occhio. Gesù, che non vuole che tra fratelli ci siano giudizi né condanne, ci dice: «Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 0 come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,3-5). Ai farisei che condannano l'adultera, Gesù dice: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Sant'Agostino, in un sermone sul salmo cinquanta, commenta: «Davide ha confessato: riconosco la mia colpa (Sal 50,5). Se io riconosco, tu perdona [...] Gli uomini senza speranza, quanto meno prestano attenzione ai propri peccati, tanto più si occupano dei peccati degli altri. In realtà non cercano di correggere, ma di condannare. E poiché non possono scusare se stessi, accusano gli altri. Non è questo il modo di pregare e chiedere perdono a Dio, secondo quanto ci insegna il salmi-sta, quando esclama: riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi (Sal 50,5)». L'occhio vede quello che ha davanti a sé, ma non vede se stesso. Questo è il problema. Vediamo il più piccolo difetto del prossimo, ma quanto ci costa scoprire l'abisso di cattiveria dentro di noi! Solo una continua e ripetuta esperienza del perdono può aprirci gli occhi dello spirito per guardarci den-tro e riconoscere il proprio peccato. Nel CREDO confessiamo: Credo nel perdono dei peccati. L'ordine della frase è corretto. Prima si crede nel perdono e solo dopo nel peccato. Dove non c'è perdono, si cerca di giustificare tutto, incolpando sempre gli altri. Anche nell'esperienza comunitaria è importante guardare gli altri come specchio della nostra interiorità. Ciò che inizialmente non vediamo in noi lo vediamo subito negli altri. Ciò che giustifichiamo in noi forse non lo accettiamo negli altri. Così il giudizio degli altri diventa giudizio su di noi. In que-sto modo passiamo dalla condanna dell'altro alla riconoscen-za perché mi aiuta a conoscermi e a situarmi sotto la grazia di Gesù Cristo, che non è venuto a cercare i giusti, ma i peccatori (Mt 19,13). Gesù, che ci invita a «essere perfetti come è perfetto il Padre» (Mt 5,48), cioè «misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36), desidera che il nostro occhio sia limpido e luminoso per guardare il fratello con la stessa luce con cui lo guarda il Padre buono e misericordioso. Chi ha visto la trave immensa che lo acceca e ha sperimentato il perdono e la misericordia di Dio non avrà difficoltà a vedere con pietà la pagliuzza del fratello e a perdonarlo. Gesù non si limita a inculcarci l'amore per il prossimo giudicandolo con misericordia. Questa è certamente la prima cosa, «perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,12). Gesù desidera che scopriamo la trave che abbiamo piantata nel nostro occhio. Chi non vede i propri difetti è definito ipocrita, poiché vive nella menzogna. «Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14).


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