29 Luglio. Santa Marta. Memoria




A te mi abbandono. - Gesù, non lasciarmi mai sola quando soffro! 
Tu conosci la mia assoluta nullità, conosci l'abisso della mia miseria. 
La mia debolezza è tanto grande, 
che non c'è davvero da stupirsi se io cadrò, lasciata sola. 
Sono impotente, mio Signore, e non so, da sola, comportarmi bene. 
In te confido, e a te m'abbandono!

Santa Faustina Kowalska



Lc 10,38-42

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi.
Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».


IL COMMENTO


Per chi sono, oggi, i nostri occhi? C'è Gesù, lo abbiamo accolto con amore, con gioia, ma il nostro sguardo si perde tra giudizi e mormorazioni. Lo sguardo di Marta, riflesso delle sue troppe preoccupazioni e agitazioni, è appesantito e fissato su ciò che non conta. Gli occhi tradiscono il cuore. "La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" (Mt. 6, 22-23). Tenebra sono i giudizi, le gelosie, le mormorazioni, avanguardie della carne malata. Lo sguardo piantato su sé stessi, dimentico del Signore che è proprio lì, accanto a noi. 

Occhi per la Parola. Di questi abbiamo bisogno, perchè la Parola è un uomo - il più bello tra figli dell'uomo - e sguardi, e amore vero e visibile: la Parola si ascolta e si guarda. La Parola si contempla, come e più del volto dell'innamorato.Non si tratta infatti di una parola qualsiasi, è Dio fatto carne, la Parola eterna che cerca la nostra vita. La parte "buona", non solo "migliore" come recita la traduzione. La Parola di Gesù è Lui stesso, la parte buona, l'unica, della vita. Guardarlo con il cuore, spalancargli le porte, accovacciarci ai suoi piedi come un discepolo. Pendere dalle Sue labbra. E' l'amore, la nostra possibilità di amore. E' Lui l'indispensabile, lo sappiamo, lo abbiamo sperimentato. 

Ma il nostro io purtroppo ci fagocita e lo sguardo si fa tenebroso. E' la nostra vita d'ogni giorno. Camminiamo con il Signore, ma restiamo intrappolati nella tristezza. Siamo bloccati dai nostri progetti, dalle nostre idee, dal nostro "fare" da cui speriamo un improbabile "essere". Mentre tutto, assolutamente tutto, ci sfugge di mano, castelli di sabbia che un'onda si porta via. Lavoro, amici, figli, amori, in tutto una precarietà disarmante. Per quanto difendiamo, come Marta, i nostri diritti, le nostre cose, nulla ci può garantire dalla precarietà. 

Tutto è vanità. Il cielo e la terra passeranno, solo la Sua Parola non passerà in eterno. Scomparirà la scena di questo mondo, resisterà solo chi fa la volontà di Dio. E una sola certezza, una sola parte buona che non sarà mai tolta: la parola fatta carne, la volontà del Padre vivente in Cristo. Guardare Lui, fissarlo e ascoltarlo, non v'è altro cammino al Cielo. I nostri occhi tutti rapiti dal Suo volto. Oggi, nella storia concreta che ci attende. La Sua Parola per noi, la Vita e la gioia. Una bandiera bianca, sventoliamola oggi di fronte alla nostra superbia. Chiediamo al Signore la Grazia di stare, oggi, con Lui. Che tutto il nostro desiderio, che ogni nostro pensiero, che ogni sguardo sia per Lui. "Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra" (Sal. 16). "Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio" (Sal 72). 

Che sia davvero il Signore "mia parte di eredità e mio calice" perchè la nostra eredità è già magnifica. Scriveva in proposito Giovanni Paolo II commentando il Salmo 15: "...il simbolo dell’«eredità»... si parla, infatti, di «eredità, calice, sorte». Questi vocaboli erano usati per descrivere il dono della terra promessa al popolo di Israele. Ora, noi sappiamo che l’unica tribù che non aveva ricevuto una porzione di terra era quella dei Leviti, perché il Signore stesso costituiva la loro eredità. Il Salmista dichiara appunto: «Il Signore è mia parte di eredità… è magnifica la mia eredità» (Sal 15,5.6)... Sant’Agostino commenta: «Il Salmista non dice: O Dio, dammi un’eredità! Che mi darai mai come eredità? Dice invece: tutto ciò che tu puoi darmi fuori di te è vile. Sii tu stesso la mia eredità. Sei tu che io amo… Sperare Dio da Dio, essere colmato di Dio da Dio. Egli ti basta, fuori di lui niente ti può bastare» (Sermone 334,3: PL 38,1469). Il secondo tema è quello della comunione perfetta e continua col Signore. Il Salmista esprime la ferma speranza di essere preservato dalla morte per poter rimanere nell’intimità di Dio, la quale non è più possibile nella morte. Le sue espressioni, tuttavia, non mettono nessun limite a questa preservazione; anzi, possono venire intese nella linea di una vittoria sulla morte che assicura l’intimità eterna con Dio. Due sono i simboli usati dall’orante. È innanzitutto il corpo ad essere evocato: gli esegeti ci dicono che nell’originale ebraico (cfr Sal 15,7-10) si parla di «reni», simbolo delle passioni e dell’interiorità più nascosta, di «destra», segno di forza, di «cuore», sede della coscienza, persino di «fegato», che esprime l’emotività, di «carne», che indica l’esistenza fragile dell’uomo, e infine di «soffio di vita». È, quindi, la rappresentazione dell’«essere intero» della persona, che non è assorbito e annientato nella corruzione del sepolcro (cfr v. 10), ma viene mantenuto nella vita piena e felice con Dio. Ecco, allora, il secondo simbolo del Salmo 15, quello della «via»: «Mi indicherai il sentiero della vita» (v. 11). È la strada che conduce alla «gioia piena nella presenza» divina, alla «dolcezza senza fine alla destra» del Signore. Queste parole si adattano perfettamente ad una interpretazione che allarga la prospettiva alla speranza della comunione con Dio, oltre la morte, nella vita eterna. È facile intuire a questo punto come il Salmo sia stato assunto dal Nuovo Testamento in ordine alla risurrezione di Cristo. San Pietro nel suo discorso di Pentecoste cita appunto la seconda parte dell’inno con una luminosa applicazione pasquale e cristologica: «Dio ha risuscitato Gesù di Nazareth, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24)." (Giovanni Paolo II, Udienza generale di Mercoledì, 28 luglio 2004). Dietro le Parole di Gesù rivolte a Marta vi è questo salmo, parole che schiudono alla vita eterna, alla vita salvata dalla corruzione; tutte le esperienze, ogni evento fissato in eterno dall'intimità con il Signore. Il Cielo, l'eredità magnifica che ci attende, anticipata dalla Parola del Signore preparata per noi. La parte buona della quale Maria, seduta ai piedi di Gesù, ha cominciato a gustarne le primizie. 

Quell'eredità nella quale anche Marta ha imparato a credere, sino al limite della morte che ha visitato il fratello amato. Anche di fronte alla corruzione Marta professa la fede nella risurrezione, contro ogni speranza umana.  Il cammino di Marta è il nostro cammino: dalla mormorazione alla fiducia, dal giudizio alla gratitudine, dalla tristezza alla gioia, dal moralismo alla fede e all'amore vero, gratuito, purificato. La Parola di Verità ha avuto ragione delle sue ragoni e le ha donato un cuore nuovo, colmo di speranza, fede e carità. L'opera della Grazia, in lei, come in ciascuno di noi. Guardarlo, ascoltarlo, è già la Vita eterna. Tutto di noi già eterno. In Lui, con Lui, per Lui. Gioia piena e dolcezza senza fine alla Sua presenza. In Cielo, e oggi. Gli occhi fissi nei Suoi occhi, la nostra vita nella Sua vita.


"Il Signore è il nostro specchio
aprite gli occhi e volgetevi a lui,
osservate come sono i vostri volti!
Glorificate altamente il suo Spirito!
Togliete lo sporco dai vostri visi,
amate la sua santità e rivestitevene,
siate irreprensibili al suo cospetto. Alleluia!"

Odi di Salomone, 13






Beato John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo 
PPS, vol 3, n°10 

« Sì, o Signore, io credo »
        
Cristo sapeva bene che Lazzaro risorto avrebbe attinto  la vita dal suo sacrificio. Sentiva se stesso scendere nel sepolcro dal quale stava per fare uscire il suo amico. Sentiva che Lazzaro doveva vivere e che lui doveva morire. Situazione paradossale! Gesù tuttavia sapeva che questo paradosso era proprio la legge della sua libertà: non era forse uscito dal seno del Padre per liberare l'uomo dal peccato e fare risalire ogni credente dalla sua tomba come il suo amico Lazzaro, riportandolo in vita, non per un tempo, bensì per sempre?...

        Di fronte a questa prospettiva unica di misericordia, Gesù dice a Marta: «Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.» Afferriamo questa parola di conforto: laddove c'è fede in Cristo, c'è Cristo in persona. «Credi tu questo?» domanda a Marta. Laddove un cuore può rispondere come Marta: «Sì, io credo», Cristo è presente. Pur invisibile, sta lì, persino davanti a un letto di morte o a una tomba. Sia benedetto il suo nome! Nessuno può toglierci questa sicurezza. Per il suo Spirito, siamo tanto certi che egli è presente, quanto se lo vedessimo.


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