Martedì della XIV settimana del Tempo Ordinario


La mia vita si è avvizzita come una ragnatela. 
Nel tempo dello sconforto e del turbamento, 
siamo divenuti come dei profughi, 
e i nostri anni si sono avvizziti sotto la miseria e le sventure.
Signore, eterna è la tua misericordia. 
O Cristo, che sei pura misericordia, donaci la tua grazia;
stendi la mano e vieni in aiuto a quanti sono tentati, tu che sei buono. 
Abbi pietà di tutti i tuoi figli e vieni in loro soccorso; 
dacci, Signore misericordioso, 
di ripararci all’ombra della tua protezione 
e di essere liberati dal male e dai seguaci del Maligno.

S. Efrem





Mt 9, 32-38 

In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. Scacciato il demonio, quel muto cominciò a parlare e la folla presa da stupore diceva: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». 
Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagòghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La mèsse è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della mèsse che mandi operai nella sua mèsse!».





IL COMMENTO


Troppe parole o troppo poche. Aspetti d'uno stesso mutismo, quello del cuore. Stanchi ed affaticati spesso non riusciamo a trovare le parole giuste al momento giusto. O serriamo le labbra per chiudere con il mondo, o con qualche suo abitante: moglie, marito, amici, genitori, suocera o colleghi. Normalmente quelli che ci sono più vicini. Il demonio muto è il demonio che strozza la lode, che impedisce la gioia. Ne abbiamo esperienza. Scontenti, trasciniamo le nostre ore come le gambe di un vecchio che si affatica tra la camera e il bagno. Il demonio muto ci appesantisce, scolora le nostre esistenze, infiacchisce speranze ed entusiasmi. Ci assopisce sulla routine quotidiana smorzando la speranza. E ci ammutolisce e immalinconisce. 


Mutismo e malinconia sono segni di un cuore stanco e sfinito di rincorrere esiti mai raggiunti. Un cuore senza pastore, compiaciuto delle proprie parole vuote e senza costrutto, guidato da un mercenario che lo conduce diritto alla morte, all'estinzione della felicità e dell'attesa. Un cuore orgoglioso sigilla le labbra. Un cuore sconfitto e incapace d'accettare l'umiliazione della verità. Un cuore chiuso in un altezzoso silenzio. "Ora, con questi muscoli che non tengono, con questa stanchezza, con questa facilità alla malinconia, con questo masochismo strano che la vita di oggi tende a favorire o con questa indifferenza e questo cinismo che la vita di oggi rende, come rimedio, necessario per non subire una fatica eccessiva e non voluta, come si fa ad accettare sé e gli altri in nome di un discorso? Non si può rimanere nell’amore a se stessi senza che Cristo sia una presenza come è una presenza una madre per il bambino. Senza che Cristo sia presenza ora – ora!–, io non posso amarmi ora e non posso amare te ora" (Mons.Luigi Giussani).


Il Signore Gesù di questo cuore ha compassione, un cuore "stanco e sfinito" che ha smarrito l'amore, per se stesso innanzi tutto, in cui non trova nulla di affascinante e appassionante, speranze evaporate nei fallimenti di relazioni e progetti. Un cuore che ha smarrito l'amore all'altro, allo studio, al lavoro, al sole e al cielo. Un cuore chiuso nel petto, muto dinanzi agli eventi, come la sera del "dì di festa", sul quale scende la coltre della disillusione: "e già non sai né pensi, Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto... E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente." (Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa). Quante piaghe in mezzo ai nostri petti, e quante giornate sfiorite come il giorno di festa che scivola via senza aver lasciato orma duratura di gioia e di pace. Cuori stretti nella solitudine, messe di Dio senza nessuno capace di operare perchè sia donata la fede, ridestata la speranza, innescata la carità. 


Ogni uomo è infatti parte della messe di Dio, proprietà di Colui che lo ha creato a sua immagine e somiglianza. L'incompiutezza dell'opera rapita dall'inganno del demonio accolto nella libertà, grida nel petto come un graffio che impedisce la felicità: essa erompe solo nel compimento dell'opera iniziata con la nostra creazione. Per questo è necessario che, sulle strade d'ogni generazione e di ogni luogo, corrano con urgenza i piedi degli operai, degli annunciatori del Vangelo del Regno. La predicazione è infatti la rugiada della compassione di Dio, le viscere di misericordia che generano la fede, danno sostanza alla speranza, muovono alla carità. Operai che operino il compimento dell'opera di Dio, di loro ha bisogno il mondo, sterminata messe di Dio; di quest'unica opera di compassione e guarigione, di queste viscere materne che nella Parola del Regno, dell'amore e della vittoria sul peccato e sulla morte, rigenerano ad una vita nuova, ciascuno di noi ha oggi bisogno. Muti possiamo essere dischiusi alla parola, alla relazione e all'amore solo dalla Parola "stolta" e semplice del Vangelo. 


Essa è, secondo il cuore della tradizione ebraica, l'atteso "dì di festa" e giunge a noi come carne della nostra carne, ossa delle nostra ossa. L'annuncio del Vangelo che bussa al nostro cuore è l'autentico Shabbat, il giorno del riposo che completa in noi l'opera che Dio ha iniziato creandoci. L'annuncio del vangelo è il settimo giorno, il giorno in cui Dio riposa perchè, nell'incontro della sua Parola con il nostro mutismo, si compie la ricreazione, ed ecco ciascuno di noi ridiviene "cosa molto buona". Secondo la tradizione rabbinica infatti, in occasione dello Shabbat si riceve una Neshamah yeterah (anima supplementare) che permette di apprezzare nel suo più giusto valore il calore dell'amicizia e dello spirito di famiglia (B. Betsah 16a e Taanit 27b). Shabbat porta a compimento la messe di Dio, il gregge ritrova il suo Pastore che lo conduce ai pascoli del riposo. 


Ogni sua caricatura mondana ci ha sino ad ora delusi, ogni affetto, ogni progetto, ogni giorno di festa ci ha piagato il cuore nella malinconia colata dalla vanità della carne. Le viscere materne di Dio, la compassione del suo Figlio ci raggiungono oggi come la sposa che, in tutto, abbiamo atteso, l'aiuto simile a noi, l'Eva tratta dalla nostra stessa costola, il luogo ove riposare e deporre il nostro desiderio d'amare senza il timore che tutto si estingua nel volgere di un giorno. Per Israele Shabbat è la sposa da accogliere con onore e unzione. E' la carne di Cristo che ha preso su di sé ogni nostra sofferenza, che ha vinto la morte che ci assedia e ci ammutolisce, la sua Parola nella carne e nella parola dei suoi messaggeri, gli operai della messe di Dio.  


Lui cerca i nostri silenzi sanguinanti per colmarli delle Sue parole di misericordia. Oggi la Sua compassione è la nostra guarigione. Il Suo amore senza condizioni anche oggi caccia dal nostro cuore il principe del silenzio. Il Signore anche oggi sconfigge il demonio e le sue menzogne. Abbandoniamoci a Lui e consegniamogli malinconia e orgoglio. Lasciamoci amare. Anche oggi. "La tua volontà sia davanti a Te, Dio dei cieli, siano ascoltati e evangelizzati buoni vangeli, vangeli di salvezza, di conforto e consolazione dai quattro angoli della terra" (Liturgia di Shabbat per l'annuncio del mese, Rosh Odesh).








Lacordaire (1802-1861), domenicano Omelia del 3/5/1850, in Omelie, istruzioni e allocuzioni, 1885, t.II

« La messe è molta, ma gli operai sono pochi »

        È forse stata rivolta a uomini poco numerosi e scelti questa parola : « Andate ed ammaestrate » (Mt 28, 19) ? L'apostolato è forse una particolarità nella Chiesa cattolica, oppure è una generalità ? Cristo ha forse detto soltanto ai suoi discepoli « andate ed ammaestrate » ? No, la Chiesa tutta intera è solidale con tutto ciò che viene fatto nella Chiesa. C'è una comunione di tutto e in tutto fra tutti i membri della famiglia di Cristo. Dire : « Questo è il dovere di tali cristiani nella Chiesa e non è il mio dovere » è dire una parola anticristiana. San Pietro, rivoltandosi ai primi fedeli, diceva loro : « Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce » (1 Pt 2, 9). Eredi della luce dai nostri antenati, siamo i dispensatori della luce ai nostri contemporanei e alla nostra posterità.


        Non soltanto per voi il « sole di giustizia » (Mal 4, 2) è stato acceso in voi ; ma affinché risplenda tutto attorno a voi. Nella natura, i vostri occhi non hanno ricevuto la luce allo scopo di tenerla ; la riflettono. Portano fuori il vostro animo e chiunque vuole comunicare con voi vi guarda negli occhi per discernervi la luce che vi si trova, che è il vostro spirito. Tutto quello che siete risplende. Perciò, se le vostre facoltà naturali, e tutte le vostre potenze risplendono, quanto più dovete risplendere nell'ordine soprannaturale !


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