I piccoli del Vangelo e la Vergine dei pellegrini di Caravaggio


Nell’anno 1603 Caravaggio riceve la commissione per un quadro destinato a diventare uno dei suoi capolavori più famosi: è la Madonna di Loreto, dipinta per la chiesa di Sant’Agostino a Roma. Qui il pittore si chiama fuori e porta sulla scena due pellegrini, raccattati tra le migliaia di poveri che popolavano Roma in quegli anni. Se ne stanno in ginocchio di spalle e il particolare dei piedi nudi di lui, sporchi e così reali, è uno di quei particolari che hanno segnato una svolta nella storia dell’arte. Davanti a loro appare Maria; ha in braccio un Gesù bambino già cresciuto e con addosso la vitalità di un ragazzetto di borgata. Immaginate cosa potesse aver pensato Caravaggio quando gli avevano chiesto di dipingere laMadonna di Loreto. La sua prima preoccupazione sarà stata quella di non cadere nella favola. Così fa appoggiare Maria allo stipite di un portone di Campo Marzio. E i pellegrini rinnovano il gesto che facevano tutti i pellegrini a Loreto, quello di fare il giro della Santa Casa in ginocchio. Un gesto che ancora oggi molti pellegrini ripetono. Ai pellegrini di Caravaggio è accaduto che, completato il giro della Casa, si siano trovati, sull’uscio, proprio Maria in persona con il Bambino in braccio. Presente e reale: per Caravaggio non poteva essere altrimenti. 

Giuseppe Frangi



Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-27.

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.


































Figlio di Maria. Suor Maria Gloria Riva

Nella chiesa di sant'Agostino in Roma all'interno della cappella Cavalletti, troviamo una bella a grande pala che ritrae in modo straordinariamente intenso la Madonna di Loreto. Il dipinto è conosciuto come la Madonna dei pellegrini.
Lo stipite di una porta e un muro leggermente scrostato è quanto, della casa di Nazareth, ci è consentito vedere.
La vergine, bella come una statua greca (la Thusnelda della Collezione del Granduca Ferdinando de' Medici) tiene fra le braccia il Bimbo. Maria, come nel dipinto di Piero, è una regina, lo si vede dal portamento nobile, ma è anche modesta, umile, compassionevole. Non riceve i pellegrini dentro casa, seduta su un trono, mandando i servi ad aprire la porta. No, esce lei stessa, va incontro ai pellegrini e li attende sull'uscio, pronta ad invitarli ad entrare. Anche qui è spinta fuori dalla sua misericordia. In braccio tiene il Figlio suo Gesù: lei stessa è il trono del Divino infante. Lo sguardo verso i due poveri inginocchiati è premuroso e attento. Gesù è nudo: ha la nudità dell'innocenza, la nudità di quel corpo che Maria prenderà in braccio, ancora per l'ultima volta, sotto la croce per deporlo nel sepolcro. Un lenzuolo, infatti, in cui già s'adombra il telo sindonico, avvolge il corpo del Bimbo.
Questo Bimbo, totalmente abbandonato all'abbraccio materno, solleva leggermente il capo per benedire i due fedeli. Benedice, ma pare nel contempo indicare i due. E ci costringe così ad osservarli a passarne in rassegna le fattezze, i costumi. Sembrano due poveretti e certo, a giudicare dai piedi dell'uomo, hanno fatto molta strada. Su questi piedi si sono scritti intere pagine e alcuni critici vicini all'epoca dell'artista (Baglione nel 1642 e l'abate Bellori nel 1672) ci hanno lasciato su di essi note non del tutto benevole, facendo addirittura velatamente credere che per quella scandalosa foggia il dipinto fu molto chiacchierato fino ad essere deriso: "
Nella prima cappella della Chiesa di sant'Agostino alla man manca fece una Madonna di Loreto dal naturale con due pelegrini, uno co'i piedi fangosi, e l'altra con una cuffia sdrucita, e sudicia; e per queste leggerezze in riguardo delle parti, che una gran pittura havere dee, da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo" (Vite de' pittori, scultori ed architetti, Baglione 1642).

Recenti studi hanno invece permesso di identificare i due pellegrini, che sono in realtà di nobile stirpe: il marchese Ermete Cavalletti e sua Madre. Gli stessi committenti dell'opera, dunque, madre e figlio, devoti della Vergine lauretana, vollero identificarsi con i molti pellegrini che, approdando all'umile casa di Nazareth, van cercando da secoli luce e conforto. Essi erano seguaci di quella corrente spirituale nota come il pauperismo borromaico ed oratoriano che, coinvolgendo cardinali e vescovi, nobili e comuni fedeli e persino interi ordini religiosi, si proponeva uno stile di vita umile, avvezzo ai digiuni, alle preghiere e ai pellegrinaggi. A differenza dell'opera di Piero dove tutti sono accomunati da tratti di raffinata nobiltà, qui viene ad essere sottolineata la comune condizione dell'uomo: povero e pellegrino, bisognoso di bussare alla porta della salvezza, rappresentata dalla Vergine santa che è, appunto, la Ianua Caeli, la porta del Cielo, una porta verso il figlio.

Ecco: il Figlio di Maria è Colui che pur essendo di natura divina, spogliò se stesso (proprio come vollero fare i due nobili Cavalletti davanti alla Vergine Madre) assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini (cfr. Fil 2, 6-8).
Questo è il volto del Figlio a cui Marco ci invita a guardare: il volto di un Dio crocifisso, regale nell'amore e nella misericordia, figlio di Dio e di Maria. 



La vera Donna e noi pellegrini. Suor Maria Gloria Riva

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, un artista che con le donne ebbe un rapporto tormentato, un po' conflittuale, seppe dare della Madonna un'immagine bella, fresca, risoluta. Come doveva essere lei, Maria di Nazaret.
Un quadro, in particolare, mi sorprende ogni volta che lo guardo, per come riesce a render vere e nuove le straordinarie parole del poeta: Donna se' tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disïanza vuol volar sanz'ali. Con tali versi Dante propone un modo per orientarsi verso mete più alte e più vere (la grazia cui si anela) attraverso di lei, la Donna che tanto grande e tanto vale.


L'opera del Caravaggio in questione è la cosiddetta Madonna dei Pellegrini situata nella chiesa di Sant'Agostino a Roma. Il Merisi la dipinge prendendo le mosse da una statua, vista probabilmente tra la ricca collezione di Ferdinando de Medici, quella di Thusnelda; una principessa germanica che, fatta prigioniera mentre era in attesa di un figlio, portò a termine la gravidanza e rimase fedele al marito il quale, a sua volta, mai la dimenticò rifiutando di risposarsi.


Anche Maria è immortalata così, statuaria e regale, tiene fra le braccia il Bimbo, come un trofeo. Così del resto aveva fatto l’eroina germanica ostendendo il figlio durante il trionfo del nemico.
Sì, Maria è regina, nobile nel portamento, ma è anche modesta, umile, compassionevole come il luogo dove appare. Lo stipite di una porta e un muro leggermente scrostato è, del resto, tutto quanto ci è consentito vedere della casa di Nazareth. Da qui Maria ostende il figlio spinta non da fierezza indomita, ma dalla sua misericordia.

Questa vergine regale non riceve i pellegrini dentro casa, seduta su un trono, mandando i servi ad aprire la porta. No, esce lei stessa, va incontro ai visitatori e li attende sull'uscio, pronta ad invitarli ad entrare. Questa donna non ha trono, lei stessa è trono del divin figlio che tiene in braccio.  Lo sguardo, rivolto ai due poveri inginocchiati, è premuroso e attento.

Gesù è nudo: ha la nudità dell'innocenza, la nudità di quel corpo che Maria prenderà in braccio, ancora per l'ultima volta, sotto la croce per deporlo nel sepolcro. Un lenzuolo, infatti, in cui già s'adombra il telo sindonico, avvolge il corpo del Bimbo.


Quella che ci offre Caravaggio insomma è l’immagine controcorrente di una donna che vive pienamente quell’«essere-per» cui fu destinata fin dall’eternità. Essere per l’altro, essere per l’uomo, per ogni uomo, in una donazione gratuita che edifica la donna che la attua.

Così comprendiamo meglio l’abbandono sicuro del divino Bambino dentro l’abbraccio materno. Da quel trono, così saldo, Cristo solleva leggermente il capo e benedice i due fedeli. Li benedice e insieme li indica: siamo così costretti a guardarli bene e a considerare l’umiltà della loro foggia, ad osservare i loro piedi testimoni eloquenti della strada che han percorso, polverosa e aspra.

Su quei piedi si sono scritti intere pagine, alcuni critici vicini all'epoca dell'artista (Baglione nel 1642 e l'abate Bellori nel 1672) hanno lasciato note non del tutto benevole, facendo addirittura velatamente credere che per il sudiciume di quelle estremità il dipinto fu rifiutato e deriso. In realtà i due pellegrini sono stati identificati con due nobili: il marchese Ermete Cavalletti e sua Madre. Furono loro a volere l’opera: devoti alla Vergine lauretana, essi vollero identificarsi con i molti che, approdando all'umile casa di Nazareth, van cercando da secoli luce e conforto. Il Cavalletti e la madre erano seguaci di una corrente nota come il pauperismo borromaico ed oratoriano, la quale, pur comprendendo prelati e altolocati, si proponeva uno stile di vita umile e dimesso, tutto teso alle cose del Cielo.


Così in questi due cenciosi ci è possibile vedere l’umanità tutta e nella donna anziana un insegnamento per noi. Forse per aver perso molte delle preoccupazioni e delle baldanze giovanili è lei a guardare più decisamente verso la Vergine, Novella Thusnelda, e ad indicarci con lo sguardo, dove orientare il desiderio.

Thusnelda  significa «a forma di stella»: nutrire desideri alti, puntare verso le stelle per avere quella forma che è la forma di Maria, la Stella Maris, è l’auspicio che ci viene da questa nobildonna del seicento.


Così superando ogni barriera di tempo e di cultura Caravaggio ci offre una straordinaria icona della donna, diversa dagli stereotipi cui siamo abituati. La Maria caravaggesca è una donna vera, regale, eppure umile, risoluta e insieme premurosa; accogliente ma nel contempo stimolante. Maria, sembra dirci Caravaggio, ti trova dove sei ma non ti lascia come sei: porta alto il tuo desiderio, ti conduce verso quella misura alta della vita che ti fa pienamente uomo e pienamente donna.

Davanti a questa donna, ci sentiamo allora davvero come i due nobili cenciosi e sale anche al nostro labbro la dantesca invocazione:  Donna se' tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disïanza vuol volar sanz'ali



La tensione dello sguardo. Giuseppe Frangi

« La figura della Madonna è il costituirsi della personalità cristiana», scrive sempre don Giussani. Una percezione che per i cuori semplici è sempre stata una evidenza potente. Caravaggio era l’artista giusto per documentare questa misteriosa breccia che Maria sa aprire nel cuore dei semplici. A Sant’Agostino a Roma è conservato un suo capolavoro, dipinto negli anni più felici del suo lungo periodo romano, a cavallo del 1600. Rappresenta due popolani romani, inginocchiati davanti all’uscio di una casa: da quell’uscio si affaccia una donna bellissima, con un bambino già un po’ cresciuto in braccio. È la Madonna di Loreto: come la tradizione voleva i pellegrini che si recavano alla Santa Casa, compivano un giro del suo perimetro in ginocchio. E a questi due pellegrini Caravaggio riserva la sorpresa di vedere davvero Maria sulla soglia della sua casa. Non c’è nulla di miracolistico, di irreale in quello che il grande artista lombardo dipinge. È tutto vero, tutto assolutamente nell’ordine delle cose. Caravaggio, com’è nel suo stile, non bara e non camuffa nulla del reale. I piedi in primo piano dei due pellegrini popolani inginocchiati sono così diventati un emblema di quel realismo che brucia ogni terreno alla pittura di finzione e d’accademia. Ma non è questo il dato di maggior realismo presente sulla tela. La cosa più vera che Caravaggio dipinge è, infatti, la tensione che si sprigiona dallo sguardo dei due pellegrini. Non vediamo i loro occhi, perché sono messi di tre quarti. Le loro mani non sono tese nell’enfasi dell’apparizione, sono semplicemente giunte, quasi con timidezza. Più che stupiti, i due pellegrini sembrano “appendersi” alla figura di Maria. Chiederle di essere madre anche per loro.
Caravaggio, lo sappiamo, fu dal punto di vista morale, l’artista più scandaloso del suo tempo e non solo: violento, prepotente, persino assassino. Eppure toccò a lui rappresentare, come nessuno forse è mai stato capace nella storia dell’arte, la verità documentabile del fatto cristiano. Nell’arte moderna la rappresentazione di Maria è praticamente sparita. Non è sparita la tensione religiosa, si è semplicemente eclissata la percezione semplice di quell’inizio della presenza di Dio nel mondo.



La Madonna dei pellegrini. Andrea Lonardo


«Le cose dipinte, et imitate dal naturale piacciono al popolo, perché egli è solito a vederne di sì fatte e l'imitazione di quel che a pieno conosce, li diletta»: così mons. Giovanni Battista Agucchi scriveva nel suo Trattato fra il 1607 ed il 1615[1].
Questa affermazione di un contemporaneo di Caravaggio permette di precisare la novità della pittura di Caravaggio, come appare con evidenza nella Madonna dei Pellegrini o di Loreto.
Tale novità non consiste assolutamente - come in maniera superficiale ed infondata si sostiene ripetutamente - nel fatto che la Madonna avrebbe avuto per modella una tal Lena, forse Maddalena Antognetti, alla quale, per di più, vengono attribuiti facili costumi.
Innanzitutto, perché è prassi abituale che modelle posino su richiesta dei diversi pittori e la storia dell'arte è piena di Madonne che hanno i volti di donne conosciute dai contemporanei.
In secondo luogo perché se fosse vero che è stata questa Lena a posare per la Madonna dei Pellegrini, essa non era assolutamente quel tipo di donna che la leggenda dei moderni su Caravaggio vorrebbe vedervi. Infatti, Lena compare nello scontro del Merisi con Mariano Pasqualone, avvenuto il 29 luglio 1605 ed il Passeri che lo racconta informa anche circa i particolari dell'avvenimento[2]una madre “povera, ma onorata”, vicina del Caravaggio, aveva concesso alla figlia di posare per il pittore, dietro lauto compenso, mentre aveva rifiutato più volte la mano della figlia ad un “giovane di professione notaio”. Questi, appunto Mariano Pasqualone, aveva insultato la madre della Lena per averla ceduta “ad uno scomunicato e maledetto”, ciò che aveva fatto andare in collera il Merisi che aveva aggredito con un'ascia il notaio e si era poi dovuto rifugiare in San Luigi dei Francesi per un certo tempo.
L'episodio è rivelativo della vita che conduceva il Caravaggio e non tanto della presunta professione di malaffare della povera Lena, che probabilmente sarà stata semplicemente amante del Merisi.
In terzo luogo, perché nessuna delle fonti antiche lascia trasparire alcuno sconcerto in merito alla rappresentazione della Madonna, il cui viso non fu identificata da alcuno come quello della Lena. Ciò che destò sorpresa e ammirazione - le fonti si soffermano ripetutamente su questo particolare - furono i piedi del pellegrino e la cuffia della sua compagna.
Giovanni Baglione, nella sua opera del 1642, scrive che il pittore fece «una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini, uno co' piedi fangosi, e l'altra con una cuffia sdrucita, e sudicia»[3].
Gli fa eco Giovan Pietro Bellori, che, nella vita del Merisi del 1672, scrive che egli dipinse nella chiesa di Sant'Agostino «la Madonna in piedi col fanciullo fra le braccia in atto di benedire: s'inginocchiano avanti due Pellegrini con le mani giunte: e 'l primo di loro è un povero scalzo li piedi, e le gambe, con la mozzetta di cuoio, e 'l bordone appoggiato alla spalla, ed è accompagnato da una vecchia con la cuffia in capo»[4].
Nessun riferimento è reperibile nelle fonti in merito alla modella dell'opera, tanto meno alla sua presunta professione di cortigiana che, invece, è sostenuta dalle leggende caravaggesche contemporanee.
La rappresentazione di Maria non destò alcuno scandalo, mentre ciò che fece scalpore fu la raffigurazione dei due pellegrini!
In effetti, la Madonna è resa in tratti fortemente ispirati a modelli classicheggianti.
Il Longhi la raffrontò alla testa della Irene di Cefisodoto[5], ma, forse, i riferimenti ispiratori sono molto più vicini: se si osservano, nella parete di fondo della chiesa di Sant'Agostino, la veneratissima Madonna con il Bambino di Jacopo Sansovino, che è del 1521, di chiara impostazione classica e, nella stessa chiesa, la Vergine nel gruppo di Sant'Anna, la Madonna e il Bambino di Andrea Sansovino, maestro di Jacopo, che è del degli anni 1510-1512, sono evidenti le somiglianze - si vedano in particolare i volti, l'acconciatura e, per la Madonna di Jacopo, le mani e la rappresentazione del Bambino Gesù non più neonato.
Ciò che, soprattutto, merita attenzione nella Madonna di Caravaggio è il diverso abbigliamento della Vergine e dei due pellegrini. La Madonna indossa gli abiti che la tradizione le attribuiva - sebbene ai tempi di Caravaggio la simbolica dei colori potesse aver perso la sua evidenza, certo la Madonna dei Pellegrini indossa vesti di tonalità blu e rosse, i colori che tradizionalmente rappresentano l'umano ed il divino - mentre i pellegrini sono vestiti con abiti di foggia contemporanea all'età del Caravaggio.
La stessa modalità rappresentativa era stata utilizzata nella Vocazione di San Matteo in San Luigi dei Francesi, dove il gabelliere è un contemporaneo del Merisi, mentre Gesù e Pietro indossano gli abiti che la tradizione attribuiva loro.
Con questo mezzo espressivo si vuole comunicare l'assoluta contemporaneità della Vergine e del suo Bambino con i pellegrini che giungono alla Santa Casa di Loreto. Maria ed il suo Figlio appartengono certamente ad un periodo storico che precede di secoli l'età contemporanea, pure essi sono “tuttora” viventi e storicamente contemporanei dell'uomo che a loro si rivolge[6].
Della Madonna merita sottolineare ancora la posizione delle gambe e dei piedi, che sono alzati da terra, pur toccando la soglia della casa di Loreto. È l'unico particolare che ricorda l'iconografia tradizionale della Vergine di Loreto, rappresentata in volo con la Casa della Vergine che la tradizione vuole portata dagli angeli da Nazaret alla località marchigiana.
Al candore dei piedi della Vergine - e del Bambino - si contrappongono, ma anche si relazionano idealmente, i piedi sporchi del pellegrino. Qui è la vera novità espressiva del Merisi: il mondo divino della Vergine e del Bambino si offre ad un'umanità che ha i piedi sporchi, si offre a questa umanità e non ad una umanità idealizzata ed irreale.
Deve essere sottolineato anche il posteriore del pellegrino che si impone all'osservatore - la stessa scelta figurativa si trova nella Crocifissione di San Pietro per la cappella Cerasi, dove il primo oggetto che si offre allo sguardo sono le natiche del crocifissore. Niente di irriverente in tutto questo: il Caravaggio vuole porre sotto gli occhi di ognuno la crudezza dell'esistenza umana che, pure, è toccata dalla presenza del divino - il pittore si mostra qui discepolo di Michelangelo, colui che dipinse il posteriore più famoso della storia dell'arte, quello del Padre eterno nella volta della Cappella Sistina, nel riquadro della creazione del sole e della luna. Siamo in un'orizzonte cristiano, dove l'umano è stato abilitato dall'incarnazione a rappresentare il divino.
In questo senso, come è noto, la famosa notazione del Baglione che segue la descrizione dei due pellegrini con i piedi fangosi e la cuffia sporca - «e per queste leggierezze in riguardo delle parti, che una gran pittura haver dee, da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo»[7] - se è stata letta da taluni come segno di riprovazione, da altri, forse più giustamente, è stata interpretata come espressione di plauso[8].
Certo l'opera non poteva essere esposto in chiesa, senza l'approvazione dei committenti ed, ancor più, del generale degli agostiniani e della sua curia, che risiedevano nel complesso di cui la basilica fa parte. Non si dimentichi che gli artisti non hanno mai lavorato per la chiesa come liberi battitori. In ogni epoca l'iconografia veniva discussa insieme al clero delle diverse basiliche. In particolare, proprio la basilica di Sant'Agostino vantava una lunga tradizione in materia, si pensi solo al fatto che vi abitarono Egidio da Viterbo, che fu il teologo che discusse con Raffaello dell'iconografia delle Stanze e che è sepolto nel transetto - ed è per questo legame con Egidio che l'urbinate dipinse nella navata il profeta Isaia -, e il cardinale Girolamo Seripando, uno dei protagonisti del Concilio di Trento, il cui busto è rappresentato nella navata di sinistra.
Il complesso della basilica di Sant'Agostino, completamente risistemato nel corso del rinascimento era già allora la sede della curia generalizia degli agostiniani e svolgeva un ruolo di primissimo piano nella vita religiosa e culturale della Roma di allora[9]Non è difficile rendersi conto della centralità all'epoca del ruolo dei padri agostiniani della basilica: la Biblioteca Angelica apparteneva al convento ed era uno delle più importanti di Roma. Venne realizzata dai padri agostiniani come un corpo architettonicamente inscindibile dalla basilica, insieme agli ambienti conventuali necessari per la vita comune, e solo dopo il 1870, quando venne sequestrata dal nascente Stato d'Italia, venne strappata al complesso.
I padri agostiniani dialogarono così - anche se le fonti non hanno conservato i particolari del fatto - nel corso della realizzazione dell'opera con Caravaggio, che abitava nelle vicinanze della chiesa (su questo, vedi l'appendice al testo).
I rilievi fin qui presentati vanno completati con alcune altre sottolineature. Nel quadro è evidente innanzitutto la linea diagonale a partire dalla quale Caravaggio ha impostato l'opera: essa parte dal volto del Bambino - che è così, in qualche modo, più importante di quello della Vergine – attraversa il suo corpo e la sua gamba sinistra, continua nelle mani giunte del pellegrino, poi lungo il suo corpo e raggiunge, infine, il suo piede destro che è nell'angolo della tela.
Questa disposizione non solo conferisce unità all'opera, ma mostra la relazione tra il Bambino Gesù ed il pellegrino: essi si toccano, sono in contatto.
Evidente è anche il ventaglio che la diagonale crea con lo stipite della porta della Santa Casa e con i due bastoni dei pellegrini. Questa seconda figura comunica invece un senso di apertura, di vastità, di spazio, nel quale la relazione fra la Madonna con il Bambino ed i pellegrini sembra abitare.
Le sottolineature della differenza ed, insieme, della relazione che esiste fra il gruppo della Madonna con il Bambino e quello dei due pellegrini lauretani inginocchiati esprimono alcuni contenuti essenziali della fede cristiana: da un lato la grazia di Dio che offre se stessa, non rifiutandosi, ma anzi prevenendo l'opera dell'uomo, evidente nel presentarsi sulla soglia della Madonna appena scesa dal cielo con il suo piccolo per farsi incontro all'uomo ed alla donna, e, dall'altro, il valore del pellegrinaggio, una delle opere meritorie proposte nei secoli dalla chiesa come occasione di maturazione spirituale e di crescita nella fede.
L'opera viene generalmente datata al 1605, prima del 29 luglio di quell'anno, giorno nel quale Caravaggio si dette alla fuga, riparando a Genova a motivo dello scontro con il notaio Pasqualone e, comunque, dopo il 4 settembre 1603, giorno in cui la cappella fu acquistata dalla famiglia Cavalletti, che commissionò l'opera al Merisi. Poiché la Pietà che era posta nella cappella prima della Madonna dei Pellegrini fu donata al cardinale Borghese il 2 marzo 1606 - ulteriore elemento che conferma il legame della committenza laica con le autorità ecclesiastiche - è certo che a quella data l'opera era già collocata al suo posto[10].

I Appendice

I luoghi del Caravaggio in Roma e l'abitazione nella quale venne dipinta la Madonna dei pellegrini
Caravaggio dovette sostare più volte nella basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio per ammirare le opere di Andrea e Jacopo Sansovino, così come di Raffaello, così come recarsi dai padri agostiniani per discutere con loro della Madonna dei PellegriniMolti dei luoghi noti della sua vita romana sono situati, infatti, intorno al complesso del convento.
Non è facile stabilire, allo stato attuale delle fonti, né l'esatta cronologia, né dove egli risiedette nei primi anni romani. Generalmente si ritiene che abitò in un primo momento presso monsignor Pandolfo Pucci di Recanati - “monsignor Insalata” - che risiedeva presso Palazzo Colonna in piazza Santi Apostoli - poiché quest'ultimo era maestro di casa della nobildonna Camilla Peretti, sorella di papa Sisto V, imparentatasi per via della nipote con Marcantonio III Colonna e poi con Muzio Sforza Colonna.
Potrebbe però aver trovato accoglienza almeno temporanea anche presso altri ecclesiastici, per via dello zio Ludovico che era cappellano di una confraternita associata all'arciconfraternita romana della santissima Trinità dei Pellegrini e che si trasferì a Roma certamente a partire dal 1592.
Non si deve poi dimenticare - anche se le fonti tacciono quasi completamente su questo - che il Merisi ebbe un fratello, Giovan Battista, che fu ordinato sacerdote e venne almeno una volta a trovarlo a Roma, sebbene il Merisi si rifiutò in quell'occasione di riconoscerlo[11].
Caravaggio risiedette anche presso un pittore siciliano, forse Lorenzo di Marco che “habitava alli Condotti”[12], poi presso il pittore Antiveduto Grammatica, in una abitazione di cui non si conosce l'ubicazione.
Certamente abitò in Campo Marzio quando si trasferì come apprendista pittore presso la bottega di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, che era situata proprio in questo rione, finché ruppe violentemente con lui, anche se le fonti non permettono di chiarire cosa avvenne precisamente.
Certa è anche la sua presenza come convalescente presso l'Ospedale della Consolazione, ai piedi del Campidoglio, per problemi fisici non meglio identificati[13] - il fatto viene spesso posto in relazione alla rottura con il Cavalier d'Arpino.
Al di fuori delle vite, il primo documento che attesta la presenza del Merisi in Roma è del 1594 (o del 1595), quando egli fu “assistente”, insieme a Prospero Orsi, alla preghiera di adorazione del Santissimo delle “quarantore” che si teneva al Pantheon ogni anno il 18 ottobre in onore di San Luca, patrono dei pittori[14].
Risiedette poi presso San Salvatore al Campo, ospite di monsignor Fantino Petrignani, forse nel 1595.
La sua frequentazione della zona di Campo Marzio divenne certamente abituale, quando, forse nel 1593, ai tempi della sua residenza presso il cavalier d'Arpino, conobbe il mercante d'arte Costantino Spata che aveva una bottega di quadri proprio dinanzi a San Luigi dei Francesi, “presso la Madonnella” di San Luigi dei Francesi[15].
Tramite lo Spata, Caravaggio dovette giungere a conoscere il cardinale Francesco Del Monte, rappresentante a Roma degli interessi del granducato di Toscano, che, forse alla fine del 1595, lo accolse nel suo Palazzo, l'attuale Palazzo Madama, oggi sede del Senato della repubblica.
Non lontano abitavano sia il cardinale Montalto che il banchiere genovese Vincenzo Giustiniani, il primo a Palazzo della Cancelleria, il secondo a Palazzo Giustiniani, dinanzi a san Luigi dei Francesi. Vicina era anche la residenza dei Crescenzi, legati all'Oratorio della Chiesa Nuova di Santa Maria in Vallicella - San Filippo Neri morì nel 1595 e Caravaggio dovette certamente conoscerlo.
Più volte il Merisi venne rinchiuso per le sue malefatte presso il carcere di Tor di Nona, proprio sulla riva del Tevere, a partire dal 3 maggio 1958, mentre risiedeva ancora presso Palazzo Del Monte, quando fu arrestato per porto abusivo d'armi.
Quando il cardinale Del Monte acquisì, forse nel 1599, la proprietà di una villa a Porta Pinciana - oggi villa Ludovisi - Caravaggio affrescò per lui il soffitto di uno degli ambenti (è l'unico affresco superstite del Merisi)[16].
Caravaggio era ancora presso il Palazzo del cardinale Del Monte quando, nel luglio 1599, gli fu affidata l'esecuzione del ciclo di San Matteo, per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi.
Forse già nell'aprile del 1600, ma la cosa è discussa, gli oratoriani stipularono il contratto per la deposizione della cappella Vittrice presso la Chiesa Nuova: se questo fosse vero, significherebbe che la congregazione di San Filippo Neri fu fra le promotrici della fama del pittore, prima ancora che essa esplodesse pubblicamente[17] - non si dimentichi che, a quei tempi nell'urbe, il cardinale Cesare Baronio, l'oratoriano che San Filippo Neri aveva voluto come suo successore, era una figura di altissimo rilievo spirituale e intellettuale.
Il 24 settembre fu firmato il contratto per le due opere che il cardinale Tiberio Cerasi, tesoriere di papa Clemente VIII, commissionò a Caravaggio per la cappella familiare della basilica di Santa Maria del Popolo, anch'essa affidata ai frati agostiniani. Ovviamente il Merisi dovette recarsi più volte in piazza del Popolo in preparazione alle due opere che, come è noto, conobbero due versioni successive. In corso d'opera morì il Cerasi, lasciando come erede l'Ospedale della Consolazione, lo stesso dove già il Merisi era stato convalescente, e fu l'amministrazione dell'Ospedale a provvedere al pagamento del saldo delle opere.
È probabilmente nel giugno del 1601 che Caravaggio si trasferì presso la residenza del cardinale Girolamo Mattei, il Palazzo Mattei nella zona di via delle Botteghe Oscure. Anche per questo spostamento i motivi non sono del tutto chiari dalle fonti. Certamente il pittore, pur essendo ormai notissimo e apprezzatissimo in Roma, era certamente anche persona scomoda per gli episodi di violenza di cui si rendeva protagonista: questo potrebbe aver indotto il cardinale Del Monte a facilitare il trasferimento, anche se, contro questa ipotesi, ancora il 6 ottobre 1601, il Merisi, arrestato nuovamente per porto abusivo d'armi, si dichiarò persona di fiducia del Del Monte.
Il fratello del cardinale Mattei, Ciriaco Mattei, dovette adoperarsi per il trasferimento del Caravaggio presso il Palazzo Mattei, dove probabilmente il pittore ultimò le tele per la cappella Cerasi e realizzò la Morte della vergine per Santa Maria della Scala[18].
Abitò nella nuova residenza probabilmente fino al 1602-1603, realizzando anche opere per il marchese Vincenzo Giustiniani, amico dei fratelli Mattei e del cardinale Del Monte: il Palazzo Giustiniani, al quale le tele del pittore erano destinate, è situato dinanzi a San Luigi dei Francesi. È noto come il marchese aveva posto al termine del corridoio che conservava le sue opere d'arte l'Omnia vincit amor, coperto da un drappo che veniva scoperto quando la visita alle tele degli altri pittori della collezione era terminata, in maniera da far restare i visitatori a bocca aperta dinanzi ad un'opera di tale valore.
Caravaggio fu poi posto agli arresti domiciliari per il processo del 1603, accusato di aver pesantemente diffamato il pittore Giovanni Baglione, che conservò sempre un'acredine contro il Merisi - acredine che condizionò pesantemente la biografia che egli scrisse del Caravaggio. Terminato questo periodo, il Merisi si allontanò da Roma per le Marche.
Non è possibile seguire con certezza i suoi spostamenti dopo il ritorno dalle Marche, ma, certamente, Caravaggio abitò infine in vicolo di San Biagio - recentemente è stato identificato con precisione il civico che corrisponde all'odierno vicolo del Divino Amore n. 19 - dove probabilmente dipinse la Madonna dei Pellegrini.[19]
I documenti che attestano la lite che egli ebbe con l'affittuaria il 1° settembre 1605, quando il Merisi lanciò sassi contro l'abitazione di lei, tale Prudenzia Bona, ricordano che il pittore fu accusato, fra le altre cose, «di un soffitto mio di detta casa che esso ha rotto»[20]il particolare è stato interpretato da taluni, come indicativo di un accorgimento utilizzato dal Caravaggio per lasciar filtrare la luce nel buio, eliminando una situazione di luce diffusa, per poter meglio studiare i suoi effetti.
L'abitazione del Merisi era così nuovamente vicinissima alla chiesa di Sant'Agostino, in Campo Marzio: i documenti della chiesa di San Nicola dei Prefetti, da cui dipendeva il vicolo ove Caravaggio abitava, registrano nello Stato delle anime della parrocchia il suo nome ed il fatto che egli ricevette la Santa Comunione[21].
Probabilmente qui dipinse anche la Madonna dei Palafrenieri o del Serpe, destinata alla Cappella dei Palafrenieri presso la basilica di San Pietro, che venne poi rifiutata, similmente a quanto avvenne per il dipinto della Morte della Vergine (su questo cfr. la II Appendice di questo testo).
Caravaggio lasciò l'abitazione di vicolo di San Biagio in seguito al litigio con il notaio Pasqualone di cui si è parlato e risiedette per alcuni mesi a Genova. Era nuovamente a Roma il 26 agosto 1605 quando si giunse ad una pacificazione con il notaio, che venne firmata al Quirinale, alla presenza del cardinale Scipione Borghese, il cui nome compare in questa occasione per la prima volta a fianco del Merisi.
Agli inizi di settembre, come si è visto, il Merisi lanciò sassi contro l'abitazione della sua affittuaria Prudenzia Bona che, evidentemente, non lo aveva riaccolto al suo ritorno dalla Liguria nella precedente residenza. Non è nota la residenza di Caravaggio al suo ritorno da Genova, fino a che, nell'ottobre 1605, egli risulta residente nei pressi di piazza Colonna, presso l'avvocato Andrea Ruffetti[22].
In Campo Marzio, infine, avvenne l'episodio che costrinse il Merisi a fuggire definitivamente da Roma. Le fonti attestano, infatti, che la rissa e la conseguente uccisione di Ranuccio Tommasoni avvenne il 29 maggio 1606 presso il campo di pallacorda, antenato del tennis, a motivo di una palla contesa[23]. Ancora oggi il toponimo via di Pallacorda ricorda quel luogo.
Prima di fuggire da Roma, Caravaggio si rifugiò alcuni giorni presso il Palazzo Giustiniani, come ricorda la Vita dello Sandrart[24].
Ancora a Roma pervenne la richiesta del Gran Maestro dell'Ordine di Malta che chiese una dispensa per accogliere fra i cavalieri crociati dell'Ordine il pittore, nonostante fosse un omicida. Come è noto, il pontefice acconsentì a tale richiesta.
Sempre a Roma si giunse, infine, alla concessione della grazia pontificia nei confronti del pittore, che desiderava rientrare nell'urbe, ma la morte lo colse prima che riuscisse a rientrare in città.

II Appendice

Appunti sulle altre due tele mariane del Caravaggio in Roma
La critica moderna tende ad anticipare la datazione antica della Morte della Madonna (oggi al Louvre di Parigi), che non sarebbe più, così, l'ultima opera del Caravaggio in Roma[25]. Essa sarebbe seguita e non preceduta dalla Madonna dei Palafrenieri o del Serpe (oggi alla Galleria Borghese di Roma).
La Morte della Madonna fu commissionata al Merisi per la chiesa trasteverina della Madonna della Scala, affidata ai padri carmelitani. La commissione è del 1601[26],, ma l'opera è già in vendita nell'ottobre 1606. Si può ipotizzare, pertanto, che sia stata dipinta fra la fine del 1605 e gli inizi del 1606.
Fu fatta levare non dal committente, ma «dal Frate Scalzo» - cioè dai responsabili della chiesa - «per essere stata sproporzionata di lascivia e di decoro», come ricordano le lettere di Giulio Mancini al fratello Deifobo, scritte fra l'ottobre del 1606 ed il gennaio del 1607[27].
L'opera non aveva, quindi, niente di eretico, come talvolta si sostiene erroneamente, ma fu scioccamente rifiutata dai padri carmelitani per ragioni di gusto. Essi non compresero che quel ventre gonfio non era motivato essenzialmente dall'utilizzo come modello di una donna annegata nel Tevere - come affermano alcuni biografi antichi[28] - bensì era un riferimento alla maternità di Maria, anche nel momento estremo della sua vita[29].
Per analoghi motivi venne purtroppo rifiutata anche quella che probabilmente è l'ultima opera del Caravaggio dipinta per le chiese di Roma, la Madonna dei Palafrenieri o del Serpe.
Di essa è registrato il saldo dei pagamenti all'8 aprile 1606.
L'Arciconfraternita dei Palafrenieri papali aveva richiesto la tela al Merisi per un altare in San Pietro, in un periodo nel quale papa Paolo V insisteva con forza sull'importanza del culto mariano, forse in chiave antiprotestante. L'iconografia dell'opera, molto originale, si attiene comunque ai dettami stabiliti da papa Pio V che aveva voluto sottolineare, in una bolla del 1569[30]come la Vergine non avesse potuto sconfiggere il serpente maligno semplicemente con le proprie forze, bensì con l'aiuto che le veniva dal Figlio.
La tela fu immediatamente - forse solo due giorni dopo la collocazione - spostata nella chiesa di Sant'Anna dei Palafrenieri in Vaticano[31], probabilmente per volontà dello stesso Paolo V appena eletto, per essere poi ceduta al cardinale Scipione Borghese.
Anche questa volta il rifiuto, come attestano chiaramente le fonti, dipese semplicemente dal fatto che taluni particolari della tela furono ritenuti non confacenti al buono costume ed al decoro, in particolare il Bambino nudo e la scollatura della Vergine[32].

Note

[1] Trattato di monsignor Agucchi, citato in Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 93.
[2] Cfr. per le fonti del fatto, Angela Ottino Della Chiesa, curatrice de L'opera completa di Caravaggio, Classici dell'arte Rizzoli, Milano, 1999, p. 99.
[3] L'intera vita di Caravaggio del Baglione è ora disponibile in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, pp. 61-71, in particolare, per il testo citato, pp. 65-66. Come è noto il Baglione, anch'egli pittore, scrisse la Vita di Caravaggio nel 1625 ed essa confluì poi nelle sue Vite de' pittoriscultori et architetti nel 1642. L'intera descrizione dei fatti della vita del Caravaggio è contrassegnata dall'astio del Baglione che nacque a motivo dei sonetti dileggiatori che il Merisi, insieme ad Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni, scrisse contro di lui quando il Baglione realizzò la perduta pala d'altare per la Chiesa del Gesù con la Resurrezione di Cristo. Su questo vedi l'introduzione alla Vita, di Francesca Valdinoci, in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, p. 56 e Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, pp. 158-159 che riporta i terribili versi.
[4] L'intera vita di Caravaggio di Giovan Pietro Bellori è ora disponibile in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, pp. 81-119, in particolare, per il testo citato, pp. 93-94.
[5] Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 2006 (che riprende l'edizione del 1982, mentre l'originale è del 1968), p. 60. Longhi si dichiara fortemente contrario alla leggenda riguardante il presunto utilizzo della Lena come modella: «per la conferma della data più tarda non è, in alcun caso, di alcun appiglio, perché d'intonazione puramente romanzesca, il rapporto indicato dal seicentista Passeri con il grave contrasto, documentato nel 1605, tra il Caravaggio e il notaio Pasqualone, a cagione di una donna che avrebbe servito da modella per la Vergine di questo dipinto!».
[6] Per approfondimenti sul tema della “contemporaneità” in Caravaggio, cfr. su questo stesso sito l'articolo Caravaggio "oggi", di Giuseppe Frangi.
[7] G. Baglione, in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, p. 66.
[8] Sulla discussione, cfr. Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 93, che ricorda la lettura in negativo dell'espressione da parte di M. Cinotti, Caravaggio. La vita e l'opera, Bergamo, 1991, pp. 524-525, e quella in positivo di F. Bologna, L'incredulità del Caravaggio, Torino, 1992, pp. 230 ss. In particolare è il Bologna a notare che in un altro passo della Vita del Baglione il termine “schiamazzo” ha chiaramente un significato di lode e di plauso.
[9] Per una presentazione del complesso, cfr., su questo stesso sito, l'articolo che apparirà fra breve.
[10] Sulla datazione e le fonti in merito, cfr. Angela Ottino Della Chiesa, curatrice de L'opera completa di Caravaggio, Classici dell'arte Rizzoli, Milano, 1999, p. 99.
[11] G. Mancini, che racconta l'episodio nel suo Considerazioni sulla pittura, lo definisce “huomo di lettere e bon costumi”; cfr. su questo Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 2006, pp. 4 e 175. Il testo del Mancini è ora disponibile in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, p. 49.
[12] Cfr. su questo Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 33 e Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 33.
[13] Cfr. su questo Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 33 e Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 34.
[14] Cfr. su questo Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 33 e Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 58.
[15] Così nei documenti relativi all'aggressione del garzone Pietropaolo, citati in Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 79.
[16] Sull'affresco del casino Ludovisi, vedi, su questo stesso sito, Caravaggio senza veli. Gli affreschi del Casino Ludovisi, di Marco Bona Castellotti.
[17] Sulla questione, cfr. Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 114.
[18] Cfr. Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, p. 136.
[20] Il documento è integralmente pubblicato in appendice a Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, pp. 173-174.
[21] Cfr. su questo Maurizio Calvesi, Caravaggio, Art Dossier, Giunti, Firenze, 1986, p. 13, che cita gli «Stati d’Animae» di San Nicola dei Prefetti, conservati nell’Archivio Vaticano, alla data 6 giugno 1605, e Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 95.
[22] Cfr. Rossella Vodret, Caravaggio, l'opera completa, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo Milano, 2009, pp. 171-172.
[23] Le fonti antiche sono concordi: ne parlano nelle loro vite il Baglione, il Bellori, il Sandrart ed il Susinno. Per i testi dei quattro autori, vedi Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, p. 69, 98, 138 e 166.
[24] Ora in Vite di Caravaggio, CasadeiLibri Editore, 2010, p. 138.
[25] Sulla complessa questione, cfr. Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 97.
[26] Cfr. su questo Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 99.
[27] Cfr. Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 98 in nota.
[28] Per le citazioni del Mancini, del Baglione e del Bellori, cfr. Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 98 in nota.
[29] Per una lettura iconografica dell'opera, cfr. R. Filippetti, Caravaggio. L'urlo e la luce, Itaca, Castel Bolognese, 2005, p. 49.
[30] Cfr. su questo Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 100.
[31] Così Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 2006, p. 193.
[32] Così Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 2006, pp. 61-62 e Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Rizzoli, Milano, 1998, p. 100 in nota.

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