Card. Joseph Ratzinger, omelia pronunciata a braccio Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, 12 dicembre 2003
Orazione - Rafforza, o Padre, la nostra vigilanza nell'attesa del tuo Figlio, perché, illuminati dalla sua parola di salvezza, andiamo incontro a lui con le lampade accese.
Prima lettura (dal libro del profeta Isaia, 48, 17-19) - Le nostre sventure dipendono solo dalla nostra infedeltà al Signore, dal fatto d'aver abbandonato la strada che Dio ci ha indicato.
Dal Vangelo secondo Matteo (11, 16-19) - E' possibile chiudere gli occhi sulle opere di Dio, e in particolare su Gesù Cristo, la Sapienza incarnata. Questo avviene per la nostra incoerenza e contraddizione nel non riconoscerlo.
OMELIA
Cari amici, fratelli e sorelle,
i testi della liturgia di oggi, del venerdì della seconda settimana di Avvento, sono pieni di luce per il nostro cammino e ci aiutano di realizzare l’essenza dell’attesa che poi è l’essenza del nostro essere cristiani.
Vorrei cominciare con l’orazione: la parola fondamentale dell’orazione di oggi è “vigilanza” che tra l’altro è la parola chiave di tutto l’Avvento. Vigilanza, essere vigilanti, che cosa vuol dire?
Chi dorme è chiuso in se stesso, non percepisce la realtà fuori di sé, e anche nei suoi sogni non è in grado di percepire la realtà, ma solo ombre riflesse della sua mente, del suo subcosciente. Svegliandosi, esce dal carcere, dal muro di sé e percepisce la realtà stessa che lo circonda. Si apre ad essa.
La nostra generazione è convinta di essere realmente molto “sveglia”, più di tutte le altre generazioni precedenti solo perché percepisce molto più del mondo: il nostro occhio va fino alle distanze più lontane, distanze immense sia spaziali che temporali. E nello stesso tempo siamo capaci di entrare anche all’interno della materia, fino alle ultime particelle che la compongono.
L’orizzonte è allargato enormemente, così anche le nostre possibilità di agire in questo mondo.
E ciò nonostante dobbiamo dire che questa generazione, in un senso più profondo, dorme. È chiusa in sé, perché vede soltanto quanto può fare e avere, e si ferma alla facciata esteriore della realtà, alle cose materiali che può prendere in mano.
Ma proprio così, siamo sempre più chiusi in noi stessi e non siamo più capaci di andare realmente all’infinito, di vedere la trasparenza della luce divina nella materia creata, in noi stessi l’occhio del nostro cuore: i nostri sensi interiori sono ottenebrati dal vedere tutte queste cose esteriori che ci aiutano a fare e ad avere, non rispondono più, non funzionano più, non hanno più accesso alla vera realtà, alla grandezza del mondo. È per questo che dormiamo. Dorme la nostra generazione.
Tramite l’Avvento il Signore ci dice di risvegliarci, di uscire da questo cerchio, da questo carcere del materiale, di aprire i cuori e cominciare a vedere la realtà più grande, il senso di Dio nel mondo, la presenza di Dio nel Signore Gesù Cristo, nella sua Parola, nei suoi sacramenti.
Questo è il primo imperativo che ci obbliga anche ad andare avanti per aprire gli occhi del cuore e ad aiutare i nostri amici, i nostri contemporanei perché possano ricominciare a vedere la vera profondità e la vera grandezza della realtà. Vedere è anche partire e così logicamente dalla parola vigilanza viene fuori l’altra, propria del cammino d’Avvento: “andare incontro al Signore”.
La fede non è un mucchio di idee, ma un’avventura della vita, un cammino, un mettersi in moto verso il Signore e il cammino esteriore che facciamo preparandoci a Colonia, dovrebbe essere nello stesso tempo e soprattutto un cammino interiore, un uscire da noi stessi per andare incontro a Dio, alla vera realtà, all’amore e al prossimo.
Appaiono poi una terza parola, importante in questa orazione, la Parola di Dio, chiamata Luce e l’invito ad accendere le lampade del nostro essere per arrivare al Signore. Cosa vuol dire questo?
Se vediamo la storia della Chiesa, la storia dei santi, vediamo queste “lampade” accese che illuminano il mondo, e vediamo che esse non solo illuminano questo tempo, ma saranno decorazioni e luce nella festa eterna dell’amore di Dio. Cominciamo con i martiri dei primi secoli, con i grandi dottori, Agostino, Ambrogio, Bonaventura, Tommaso, lampade accese che illuminano il cammino della storia e continuano ad illuminare. E san Francesco d’Assisi, san Carlo Borromeo, san Domenico, santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, santa Teresa di Lisieaux, fino a Massimiliano Kolbe, Padre Pio, Edith Stein, Madre Teresa …
Realmente, nell’oscura notte della storia, perché spesso è oscura - pensiamo alle violenze di questo tempo, a tutte le guerre - sono veramente lampade accese che illuminano, ci fanno vedere che c’è luce, che l’uomo non è una creatura fallita, ma può essere simile a Dio, conformandosi nella strada dell’amore perché Dio è amore. E siamo simili a Dio nella misura in cui percorriamo la strada dell’amore.
Passiamo ora dall’orazione alla lettura e al Vangelo. Ambedue sono intimamente connesse tra di loro e si vede proprio oggi , tra la lettura e il Vangelo, l’intima unità dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Le letture parlano della sofferenza di Dio nel rapporto con la sua creatura uomo. Dio soffre. Perché non si impone con forza con la sua onnipotenza a questa creatura? Va chiedendo il suo amore, va incontro alla nostra libertà, perché desidera non una cosa da ottenere con forza, ma desidera amore, cioè il sì libero, e così lascia alla nostra libertà di dire sì o di dire anche no, alla sua offerta e invito di amore.
Purtroppo succede che la creatura uomo dica quasi sempre di no e pensi che solo il dire no, rappresenti la prova della libertà. Dio cerca l’uomo con tutti i registri possibili; il Signore lo dice in questa parabola di oggi, cerca il cammino del rigore, della severità, nel Sinai, nel tempo dei profeti, nelle parole di Giovanni battista.
E l’uomo risponde: no, io sono libero, non accetto il rigore di questi comandamenti, prendo la mia strada. Dio cerca anche con la strada dell’umiltà, della bontà, della sua vita, dell’amore all’uomo. E cosa succede? Anche qui l’uomo dice no, anzi, deride questo Dio debole che cerca il suo consenso e si rivela così non onnipotente.
Abbiamo questa parola, abbiamo suonato il flauto e non avete cantato o ballato, lamento e non avete pianto… L’uomo non entra in questo gioco del divino amore, si oppone. Questa è la tristezza e la sofferenza divina con questa sua storia.
E nella lettura sentiamo questo lamento di Dio: se avesse prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume…
La stessa parola ritorna nel salmo 81, forse fatto anche dello stesso periodo: se tu avessi prestato attenzione ai miei comandi, io ti nutrirei con miele con fior di frumento.
E la stessa parola ritorna anche nella bocca del Signore: se avessi compreso anche tu la via della pace. A Gerusalemme, probabilmente molti di voi conoscono la cappella sulla collina il Signore piange, che è stata costruita sul punto dove Gesù vedendo la sua città avrebbe detto queste parole. Se tu avessi compreso, anche tu la via della pace.
Il testo della lettura, così come del salmo, probabilmente appartengono al tempo dell’esilio. Prima Geremia aveva detto con chiarezza ai re e a tutti i potenti di Israele, ”non fate questa guerra contro Babilonia”, non comportatevi come se Israele fosse uno dei grandi poteri che può entrare in guerra contro Babele, non fate questo e non pensate questo. L’elezione, l’essere totalmente a Dio e tutt’altra cosa. Fate pace e rimarrete in questo paese.
Ma non l’hanno sentito, Israele non ha ascoltato, è andato per 70 anni in esilio, è sparito dalla storia, come soggetto proprio. Il Signore prende proprio la stessa predicazione di Geremia: non entrate in opposizione militare contro i romani, non pensate che il Signore sia un guerriero che vi dia forze militari che non avete.
Prendete la strada del pentimento, della fede, dell’amore, la strada della comunione con Dio, che sola può trasformare il mondo. Ma di nuovo non ascoltarono, facendo come la generazione di Geremia. Credono a Barabba … e alla fine è la distruzione di Gerusalemme, e san Luca dice nel Vangelo: va calpestata la città di Gerusalemme dai pagani, fino alla fine del mondo.
E le stesse parole sono vere anche nel nostro presente, nel secolo che viviamo: perché non avete ascoltato? Può di nuovo dire il Signore. Avreste potuto evitare il disastro del governo comunista che ha distrutto le anime e la terra, avreste potuto evitare questo grande disastro del nazismo che è una vergogna per noi, una ferita all’umanità, soprattutto della coscienza, particolarmente del popolo tedesco.
Non hanno ascoltato, Signore. Così vediamo la verità che è questo lamento di Dio, che è nello stesso tempo non solo una descrizione del passato, ma un avviso e un’ammonizione forte a noi e alla nostra generazione: ascoltate finalmente, la cosa non è ancora persa, ascoltate e seguite il Signore, il Signore della pace e non il signore della guerra.
È una parola che il Signore dice proprio a voi, la nuova generazione che ha in mano la chiave del futuro. È un grido forte: ascoltate, non c’è una sorte inevitabile. È libertà dell’uomo di dire sì, a questi cambiamenti per il meglio. E il nostro dovere, il vostro dovere è veramente di ascoltare, cari fratelli, e prendere questa strada con coraggio, gridare anche al mondo questo, anche se non vuol sentire, per lo meno far sentire questo lamento e grido del Signore, con tutto il peso del passato che conosciamo …
Così, queste parole dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono uguali, dicono la stessa cosa per generazioni diverse, e anche tra di noi la storia appare ancora aperta nelle nostre mani. Questa è la grande sfida che ci è data dai testi della liturgia di oggi.
Ma, alla fine del Vangelo, dopo la tristezza degli uomini di tante generazioni, e il pericolo che anche quelli di questa generazione dicano no, appare tuttavia una parola di gioia: una parola di promessa vittoriosa. Il Signore dice, nonostante tutto, alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere.
Sentendo questo, prima ci domandiamo: è vero che Dio è sapiente? Possiamo dire che Dio è la sapienza, che Cristo vinto sulla croce è la sapienza? In realtà il Signore vinto ha lasciato un germe della nuova vita per il suo popolo e per il mondo, un lievito che trasformerà tutto. È così creata una nuova forma di vivere la fede.
La Gerusalemme terrestre è stata distrutta sì, ma dalla croce di Cristo cresce una nuova Gerusalemme, una città nuova diffusa in tutte le parti del mondo, nelle piccole e anche nelle grandi comunità dei credenti. Cresce una città nuova, animata dalla fede, una immagine della Gerusalemme futura. E la sapienza va giustificata per le sue opere, nascono le prime comunità cristiane, un nuovo umanesimo, un amore per i sofferenti e i poveri che prima non esisteva nel mondo, una luce della verità che illumina le strade dell’umanità, trasforma il mondo e nonostante la vittoria del male.
Abbiamo già parlato della strada delle lampade accese, una strada di luce che si apre sempre di più nella storia. È stata così creata una nuova città, una nuova vita.
Nell’Apocalisse sta scritto: ho visto una folla immensa, vestiti di bianco, che vengono dalla grande tribolazione e sono la nuova umanità. La sapienza è giustificata. Dio è sapiente, nonostante queste sconfitte cresce la nuova umanità, cresce il dono dell’amore della fede della speranza che ci ha dato Cristo.
San Luca nel suo Vangelo trasmette questa parola con una variante, dicendo: la sapienza è stata giustificata dai suoi figli, i figli di Cristo, i suoi fratelli. Cominciando dai primi martiri, fino ai grandi testimoni di oggi, essi giustificano Cristo come la vera sapienza divina. E così il testo invita ad essere figli della sapienza e a fare le opere della sapienza, per trasformare il mondo.
Alla fine, i testi arrivano proprio nel concreto della liturgia; il testo citato nel salmo 81 dice, se tu avessi prestato attenzione ai miei comandi, io ti avrei dato il miele ti avrei nutrito con fior di frumento. Il Signore ci nutre con fior di frumento, con se stesso, ci dà questo pane, nella piccola quantità di frumento dona se stesso. Si mette nelle nostre mani, nei nostri cuori.
Preghiamo il Signore Gesù che ci illumini, che ci permetta di ascoltare e di realizzare la sua Parola. E così di essere suoi figli, di fare le sue opere, opere della sapienza divina. Amen.
Sant' Alfonso Maria de' Liguori, (1696-1787), Vescovo e dottore della Chiesa
Primo discorso, Novena del Santo Natale (Eds Saint-Paul 1993, p. 38, trad. italiana)
Rispondere alla chiamata di Dio, per accogliere il Salvatore
Diciamo con Sant'Agostino «Fuoco sempre ardente, infiamma le nostre anime!» Verbo incarnato, ti sei fatto uomo per accendere nei nostri cuori il fuoco dell'amore divino: come mai tanta ingratitudine da parte nostra? Nulla hai risparmiato per farti amare; sei arrivato a sacrificare il sangue e la vita. Come mai gli uomini restano insensibili a tanti benefici? Forse non li conoscono? No, loro sanno, credono che, per amore loro, tu sei venuto dal cielo a rivestire la carne umana e a caricarti delle loro miserie; sanno che per amore loro hai voluto vivere una vita di sofferenze continue e subire una morte terribile. E allora, come spiegare il fatto che vivono nell'oblio totale della tua immensa bontà? Amano i genitori, gli amici, gli animali persino...; è solo verso te che non hanno amore e gratitudine! Ma che dico? Nell'accusare gli altri d'ingratitudine, condanno me stesso, poiché la mia condotta è stata peggio della loro. Ma la tua misericordia mi ridà coraggio; so che mi ha sostenuto così a lungo per perdonarmi e infiammarmi del tuo amore, alla sola condizione che decida di pentirmi e di amarti.
Sì, mio Dio, voglio pentirmi ...; voglio amarti con tutto il cuore. So bene che il mio cuore...ti ha abbandonato per amare le cose di questo mondo; ma so anche che, nonostante il tradimento, tu lo vuoi ancora. Perciò, con tutta la forza della volontà, lo consacro e lo dono a te. Degnati d'infiammarlo completamente col tuo amore santo; fa' che ormai non ami null'altro che te... Ti amo, mio Gesù; ti amo, sommo Bene! Ti amo, unico amore della mia anima.
Maria, madre mia, tu sei «la madre del bell'amore» (Si 24,24 Vulg), ottienimi la grazia di amare il mio Dio; da te la spero.
San Massimo il Confessore (circa 580-662), monaco e teologo
Discorsi, 61a, 1-3 CCL 23, 24—252
Rispondere alle chiamate di Dio a convertirci del fondo del nostro cuore
Anche se io tacessi, fratelli, il tempo ci avverte che il Natale di Cristo Signore è vicino; già questi ultimi giorni prevengono il mio discorso. Il mondo con le sue stesse angustie dice l'imminenza di qualche cosa che la rinnoverà, e desidera con un'attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre. Quest'attesa della creazione persuade anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo Sole, perché illumini le tenebre dei nostri peccati; che questo sole di giustizia, con la forza della sua nascita, dissipi le dense nebbie delle nostre colpe, e non permetta che la nostra vita si chiuda in una gretta oscurità, ma piuttosto si dilati in grazia della sua potenza.
E come in quel giorno sulla terra comincia ad aumentare la durata della luce, così anche noi allarghiamo la misura della nostra virtù; la luce di quel giorno è comune ai poveri e ai ricchi, così anche la nostra liberalità si estenda ai viandanti e agl'indigenti; e come la terra fa retrocedere l'oscurità delle sue notti, così anche noi respingiamo le tenebre della nostra avarizia...
Perciò, fratelli, mentre stiamo per accogliere il Natale del Signore, rivestiamoci di indumenti nitidi, senza macchia. Parlo della veste dell'anima, non di quella del corpo. La veste che riveste il corpo è tunica senza importanza. Invece, del corpo, oggetto preziosissimo, è vestita l'anima. La prima veste è tessuta da mani umane; la seconda è opera di Dio. Per questo occorre badare con la più grande sollecitudine a preservare da ogni macchia l'opera di Dio... Prima della Natività del Signore, purifichiamo dunque la nostra coscienza da ogni macchia. Abbigliamoci non con abiti di seta, ma con opere sante... Adorniamo prima la coscienza dell'uomo interiore.
ICONA DELLA SANTA SAPIENZA
Nell’immagine appare chiaro un asse verticale che si muove da Dio verso il creato, passando attraverso Cristo e giungendo alla Sua prima Creatura: la “Sofia”. E’ interessante notare come le figure del Cristo e della Sua Santa Madre siano separate dalla Sofia. La sapienza siede su un trono riccamente decorato e poggia i suoi piedi sul mondo. "A me appartiene il consiglio e il buon senso, io sono l'intelligenza, a me appartiene la potenza. Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia."(Prov. 8,14-16)
Secondo i Padri greci, il cristiano scopre la posizione sovrastante della Sofia perché ne scorge un riflesso in tutti gli esseri che il Divino Amore ha voluto creare.
Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo
e come nube ho ricoperto la terra.
Io ho posto la mia dimora lassù,
il mio trono era su una colonna di nubi.
Ho percorso da sola il giro del cielo,
ho passeggiato nelle profondità degli abissi.
Sulle onde del mare e su tutta la terra,
su ogni popolo e nazione ho preso dominio.
(Siracide 24, 3-6)
La Sofia è rappresentata come una creatura angelica "infuocata" dotata di grandi ali, spesso rosse, recante in una mano il "merillo" simbolo della sua dignità angelica, nell'altra il rotolo delle Sacre Scritture: la Parola di Dio. Il trono della Sofia riccamente adornato è sostenuto da ben sette colonne "La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne."(Prov. 9,1). Chiarissima l'allusione alla sua "nuova Dimora" nell'umanità: la Chiesa, la Gerusalemme Celeste. Il tutto è inscritto in una mandorla di luce chiara, che in alcune icone procedendo nello spazio si evolve in luce blu increata. La Sofia è dono di Dio all'umanità perché è porta d'accesso alla contemplazione di Dio. La Sofia designa la Chiesa, e la Madre di Dio come tramiti dell'intera umanità per la divinizzazione, che però può aver luogo soltanto attraverso il Cristo, da qui la posizione preminente di Gesù benedicente racchiuso nella mandorla di luce increata, sopra la Sofia. Sopra Gesù è rappresentata l'Etimazia, il trono preparato per Cristo nel giorno del Giudizio. Due gruppi, ciascuno di tre angeli, sono in adorazione del Santo Trono del Cristo.
La composizione generale dell'Icona è fortemente ispirata ai canoni della Deesis. Ai lati della Sofia in atteggiamento di intercessione, la tutta Santa Madre di Dio (Panaghia) dipinta in piedi, qualche volta anche con il modulo detto del "segno". Tutta la vita di Maria fu in effetti un continuo incontro tra il visibile corporeo e l'invisibile increato. Da un lato la Santissima Vergine vedeva, accarezzava e toccava il Dio fatto uomo, dall'altra parte nel suo animo fu sempre ben impressa la visione spirituale del Lògos. "Se tutta l'umanità è la Sofia, la Chiesa che è l'anima e la coscienza dell'umanità è la Sofia universale. Se la Chiesa dei santi è la Sofia, Maria è colei che intercede per tutte le creature presso il Verbo Divino..., è Sofia per eccellenza."(Pavel Florenskij)
Contemplando lo sguardo di Maria sembra quasi di udire i Suoi pensieri: "Dio ha scelto voi piccoli per realizzare i suoi grandi progetti. Figli miei, siate umili. Dio attraverso la vostra umiltà con la sua sapienza, delle vostre anime farà la sua dimora scelta. Pregate, cari figli, specialmente per i doni dello Spirito Santo, affinché nello spirito dell' amore ogni giorno ed in ogni situazione siate più vicini al fratello e nella sapienza e nell'amore superiate ogni difficoltà. Mettete Dio al centro del vostro essere cosicché possiate testimoniare nella gioia le bellezze che Dio vi dona continuamente nella vostra vita."
Dall'altro lato San Giovanni Battista: il primo testimone dell'Epifania. Il concetto stesso di Epifania è intimamente legato alla Conoscenza di Dio, la Sofia; in greco il termine epiphanein assume il valore semantico di mostrare, cioè rivelare l'essenza stessa e più intima di ciò che è stato creato. Ecco quanto si è rivelato a Giovanni sulla riva del Giordano: gli occhi di una creatura si posarono sul Creatore fattosi creatura, mentre lo spirito di Giovanni contemplava Dio. "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio"(Gv 1,32-34). La figura stessa di Giovanni è quindi una personificazione del riflesso della Sofia intesa come chiave, porta di accesso, alle realtà invisibili.
Ancora una volta ecco la rappresentazione della Sofia; la creatura angelica infuocata che siede in una chiara luce, comprensibile agli occhi delle creature, per progredire via via che ci si muove nello spazio dell'icona in una luce blu, simbolo della luce increata di Dio.
L'intera icona è continuamente ispirata ad uno schema trinitario: quattro gruppi di tre figure ciascuna. In alto due gruppi di tre angeli contrassegnano la parte divina dell'Icona (Dio Padre), al centro in modo verticale le tre visioni che colgono, rispettivamente, il Padre, il Lògos, la Sofia intesa come superficie delle cose. In basso le creature, spesso poggiate su una superficie verde, simbolo della terra, in atteggiamento di intercessione: la Santissima Vergine, il Battista e la personificazione della Sofia.
“Vi sono presentate le tre visioni, che colgono, rispettivamente, la superficie, le Idee e Dio Padre. Ma siccome avevano paura che questo fosse un panteismo, dicevano: «C’è dentro la sapienza divina. Invece di ritrarre Dio, dipingono un angelo in forma femminile, che rappresenta la sapienza che è dentro tutte le cose: la Sophia».” (T. Rupnik). Il numero trinitario simboleggia Dio, mentre quattro sono i bracci della croce cui fu attaccato il Dio fattosi uomo, quella stessa croce ove Gesù raccolse la sofferenza dell'intera umanità, ma che a noi ha procurato la salvezza, la divinizzazione, l'unione con Dio. La Sapienza, questo immenso dono di Dio, grande fondamento del Creato, indica la via verso il ponte che porta l'uomo verso l'invisibile, quel ponte costruito sull'abisso stesso della nostra esistenza. Scoprendo Dio, Cirillo, come abbiamo visto, esclamò: "Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente. Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen".
Ecco perché nel centro della cristianità d'Oriente a questa odigitria fu dedicata la più importante chiesa del mondo cristiano, patrocinata, guarda caso, dalla tutta Santa Madre di Dio: l'Odigitria.
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