Sparso il seme del Vangelo mediante la sua presenza corporale,
subì la passione e la morte e risuscitò,
mostrando con la passione ciò che dobbiamo sopportare per la verità,
con la risurrezione ciò che dobbiamo sperare nell’eternità
S. Agostino. De civ. Dei XVIII, 49
Dal Vangelo secondo Luca 10,1-9.
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
IL COMMENTO
Gli Apostoli sono inviati davanti al Signore e sulle labbra recano il saluto di Gesù risorto consegnato loro la sera di Pasqua: "Pace a voi!". La pace scaturisce dalla Resurrezione del Signore che ha distrutto ogni muro come la pietra del sepolcro rovesciata, e ha fatto dei due, dei cento, dei mille, un popolo solo, rompendo l'inimicizia. La pace è un bene messianico, il trofeo conquistato dal Signore nel suo combattimento vittorioso con la morte e il peccato, e con il demonio loro generale in capo. Ha vinto un Agnello immolato e dal suo sangue è sgorgata la pace. Al mondo dilaniato dalle guerre, alle famiglie distrutte da odii e rancori, a tutti i rifiutati, a noi stanchi e sfiduciati, ad ogni uomo è inviata la Chiesa ad annunciare la Pace, la misericordia di Dio in Cristo Gesù.
Gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. E, con loro, anche noi. Ovunque giungano gli Apostoli, si fa presente il Cielo. Lo recano impresso nelle loro vite, nel pensiero, nelle parole. Il Regno della Grazia, dove vivono coloro che hanno ricevuto tutto gratuitamente e tutto gratuitamente donano. L’amore, la giustizia e la pace. Per questo non portano con sé alcuna sicurezza, alcun appoggio se non la Parola per la quale sono stati inviati. La Parola che conferma le loro parole, che rende evidente la loro natura, quella di figli di Dio, cittadini del Cielo, nei quali la volontà di Dio si compie in loro per pura Grazia.
Monete, sandali, bisacce non fanno per loro. Il loro bagaglio, come quello che fu di Davide dinanzi a Golia, sono solo le cinque pietre, i cinque libri della Torah, la Parola trafitta delle cinque piaghe del Signore. Il potere di curare e guarire li accompagna, i miracoli compiuti nel suo Nome per fare presente il Cielo, la vittoria sul mondo e la corruttibilità della carne. Gli Apostoli rendono ad ogni uomo visibile e ragionevole la vita divina come una possibilità nuova.
Essa è un dono del Padre, che brilla attraverso le virtù teologali - fede, speranza e carità - i connotati della Grazia battesimale. Vivere in questa Grazia e mostrarlo, a questo sono chiamati gli Apostoli. A questo siamo chiamati ed inviati anche noi. Ogni giorno sulle strade della nostra vita. Essere quel che siamo: al lavoro, in famiglia, nella malattia, nella sofferenza o nella gioia, l’amore con il quale siamo amati è il Regno che si fa presente. La vita celeste in noi, lo Spirito Santo che ispira, guida e compie in noi le opere di vita eterna che ogni uomo attende, che tutti hanno diritto di vedere, per credere, per essere salvati. Nessun piano preventivo, nessun programma se non quello di Benedetto XVI: essere docile alla volontà di Dio, alla Sua Grazia. Ad essa attingere ogni istante, come Maria ai piedi di Gesù, ascoltare la Sua Parola sussurrata tra le pieghe della vita. Anche oggi siamo dunque inviati ad accendere il mondo.
E andare come pecore in mezzo ai lupi. Indifesi. Esposti agli attacchi di tutti, proprio per il fatto di essere di Cristo. Non c’è nulla da stupirsi. L’apostolo incarna Colui che lo manda. E’ Lui che perseguitano, è Lui che odiano. Anche noi ne sappiamo qualcosa, quando il nostro cuore in fermento è incapace di accettare un minimo rimprovero, un semplice aiuto. Quante volte abbiamo rifiutato, perseguitato e ucciso nei nostri cuori i messaggeri del Signore. Lui è la Verità. E l’essere smascherati non piace a nessuno. L’orgoglio ferito muove rabbiosamente le acque torbide della violenza nascosta. Vi è un episodio nel primo Libro di Samuele che esprime bene quanto stiamo dicendo. Si tratta della vicenda di Nabal, nel capitolo 25, dove di Nabal si dice che “è troppo cattivo e non gli si può dire una parola" (1 Sam. 25,17). La traduzione non è esatta perchè l’originale ha, invece di cattivo, “stolto”. Nabal è accecato e non è capace di leggere gli eventi, non vuole accogliere Davide con i suoi prodi, nonostante in passato lo avessero aiutato e difeso. Nabal non ascolta nessun consiglio, mentre la moglie di nascosto si accinge ad intercedere per il marito presso Davide che, grazie a lei, desiste da ogni vendetta: “Non faccia caso il mio signore di quell`uomo cattivo che è Nabal, perchè egli è come il suo nome: stolto si chiama e stoltezza è in lui” (1 Sam. 25, 25). Nabal, al venire a conoscenza del corso degli eventi, è preso da un fremito e muore. La sorte dello stolto, strangolato dalla propria stoltezza.
Davide è figura di Cristo e dei Suoi Apostoli, inviati nel mondo ad annunciare il Regno mentre Nabal è figura di chi non accoglie la predicazione, per stoltezza o per orgoglio. Per questo il Signore invia i propri discepoli come pecore in mezzo ai lupi, indifesi dinanzi alla violenza bruta di chi è accecato dalla superbia e dalla presunzione, con il cuore e la mente chiusi in un vano e stolto ragionare. Per questo li invia prudenti e semplici, capaci cioè di discernere gli eventi. Semplicità e prudenza infatti sono le due facce della stessa preziosa medaglia del discernimento. Esso è un aspetto fondamentale per la missione degli apostoli, imprescindibile per assolvere alla chiamata di cui ci ha resi partecipi il Signore: saper leggere in ogni avvenimento l’opera di Dio, discernere tra i flutti spesso violenti della storia il dito di Dio.
Tutto ciò che accade agli Apostoli è legato alla missione: tutto quello che avviene nelle nostre vite è perchè siamo di Cristo. Tutto è a causa del Suo Nome che ha preso possesso di noi. Il nome nuovo che abbiamo ricevuto nel Battesimo è infatti il dolce nome di Cristo. Siamo, con gli Apostoli di ogni generazione, il suo vessillo innalzato sul mondo, una profezia di verità sulle tenebre della menzogna. E le tenebre non hanno accolto la luce, non possono. Ma per il mondo vi è una sola salvezza, quella che è stata anche per noi: la Croce del Signore, le Sue braccia distese sul male. Sappiamo, come San Paolo, che non ci aspettano altro che catene e persecuzioni, incomprensioni, odio e rifiuto, da tutti. E’ tremendo ma è così. Il mistero dell'iniquità si scaglia contro Cristo, e contro coloro che portano la sua testimonianza. E’ la vita di Cristo in noi e non può essere diversamente, perchè la salvezza giunga ai nostri, ai suoi persecutori. Ogni istante della nostra vita diviene così un frutto preziosissimo della Passione del Signore, maturo per essere mangiato da tutti coloro che, affamati e accecati, hanno smarrito la vita. Stiamone certi, il Signore ci verrà incontro e ci porterà con Lui, nel riposo che attende ogni “umile lavoratore della Sua vigna”, la mercede di cui siamo degni. Senza esigere nulla, mangiando di ciò che la Provvidenza prepara per noi, senza passare di casa in casa cercando affetti e radici, e gratitudine e riconoscimenti. La nostra ricompensa è preparata per noi in Cielo, laddove sono scritti i nostri nomi. E' questa, e solo questa, la fonte della nostra gioia. Per essere uomini di pace, della sua Pace.
Benedetto XVI
Udienza generale del 13/12/06 - Copyright © Libreria Editrice Vaticana
Timoteo e Tito: due collaboratori di Paolo
Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito, suoi due collaboratori più stretti. Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione...
Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Gal 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo... Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all'obbedienza.
Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un'altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell'assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa... Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole,... essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.
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