Il Signore
desidera fare di ciascuno di noi un discepolo
che vive
una personale amicizia con Lui.
Per
realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente;
bisogna
anche vivere con Lui e come Lui.
Ciò è
possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità,
pervaso
dal calore di una totale fiducia.
Benedetto
XVI
Gv 20,2-8
Il primo giorno della
settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro
discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore
dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì
insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti
e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al
sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche
Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là,
e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma
avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche
l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Il commento
La fede sorge come il
sole dalla notte del “primo giorno della settimana” eterna inaugurata dalla
risurrezione del Signore. Si fa strada nel buio, si veste di chiarore
nell’alba, cammina nel giorno custodendo i segni
su cui si appoggia per maturare, diviene adulta nel compimento del giorno,
quando Gesù appare e lo Spirito Santo sigilla la certezza della sua vittoria
sul peccato e la morte. Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi
siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: Egli non è dove siamo certi
debba essere; e non ci rendiamo conto di essere entrati già nel “primo giorno della settimana”, di aver cominciato a vivere
nella novità di una storia che non conosce più morte e fine. Il nostro punto di
riferimento, il criterio che ispira pensieri, sentimenti e gesti è ancora il
“sepolcro”, quello dove abbiamo visto spegnersi le speranze affidate a Dio, e,
con Lui, agli affetti e ai progetti, a tutto e a tutti coloro che possiamo
riassumere e identificare nel corpo esanime di Gesù. Lui, infatti, lo sappiamo,
è amicizia, amore, affetto, lavoro, studio, famiglia, riposo; ma è chiuso in un
sepolcro, ed è lì che, attraverso le esperienze della vita, abbiamo imparato a
immaginarlo. Ed è vero, molto di quello che abbiamo sperato ci è sfuggito di
mano. Ma la “settimana” che ci ha condotto al Golgota è scivolata via, il
Signore, disceso nella tomba con e per noi, è risorto, e un nuovo giorno ci ha
accolto. Come nella notte di Natale, Dio ci dona anche oggi dei segni per
aprire gli occhi e “cominciare a credere”, sorprendentemente simili a quelli
offerti nella grotta di Betlemme. Un Bambino avvolto in fasce per accendere
gioia e speranza, “teli posati là” e un “sudario non posato là con i teli, ma
avvolto in un luogo a parte” per “vedere e credere”. Al centro, il corpo di Gesù, il “luogo” dove credere, perché la
fede è l’incontro con una Persona viva, e un rapporto intimo di confidenza con
Lui. E’ Lui il “segno” che ci annuncia l’impossibile divenuto possibile. Nel
mistero di un neonato deposto in una mangiatoia o dell’assenza nel sepolcro è
sempre la sua carne che ci rivela e consegna un’ancora dove fissare la barca
della nostra vita.
E’ però necessario
imbatterci nel mistero e nell’oscurità sino ad “entrare” nella grotta dove Dio
si è fatto uomo e nel sepolcro dove è passato nella morte, per “vedere” la
nostra carne, la storia concreta di ciascuno, sciolta dalle catene della paura,
del peccato e della morte. “Corriamo” allora senza indugio, come i pastori
raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo
stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di
“entrare” nel dolore e nella delusione per scoprire che, proprio lì, Gesù ha
deposto il “segno” che ci apre alla gioia e alla speranza. “Inchiniamoci” come
Giovanni, con audacia e fiducia, sin dentro a quanto ci ha fatto soffrire, come
l’apostolo amato si è reclinato sul petto del Signore prima e nel sepolcro poi.
I teli e il sudario che, sino ad oggi, hanno avvolto le nostre vite esanimi, ci
parlano e testimoniano di questo “primo giorno” della vita nuova nel quale il
Signore ci ha attirati: come lo sposo del Cantico dei Cantici, per
attirarci a correre dietro di Lui, Egli ha lasciato
per noi, dentro la nostra storia, le tracce della sua vittoria, il profumo del
suo amore sulla pietra ribaltata del sepolcro, il principio di una vita nuova
che non sconvolge la precedente ma vi dà compimento secondo un ordine nuovo,
tutto racchiuso in quei teli funerari rimasti sul “luogo” dove la sua
misericordia lo aveva deposto. E’ su quei teli che dobbiamo puntare lo sguardo,
come sulle ferite che Gesù mostrerà la sera di quel giorno: nessuno avrebbe
potuto trafugare il corpo e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la
nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. E’ proprio
questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli
amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma disposti
in un modo diverso, perché il corpo risorto del Signore scivola tra le bende con
dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa; la nostra vita è come
la Sindone, tracce di una luce immensa che filtra tra le piaghe: questo è il segno
che ci è offerto per aprirci alla fede. La notte ha ormai lasciato il passo al
giorno, è tempo di “tornare a casa”, come i pastori e come gli apostoli,
camminando nella fede accesa dai “segni”, perché essa maturi sino a farsi
adulta, capace di riconoscere il Signore risorto nella nostra vita proprio
dalle sue piaghe gloriose impresse in essa, lo scandalo della Croce e del
perdono che ci spinge a donarci a Lui senza riserve, in un’amicizia e una
familiarità incorruttibili: “Non vi spaventate, ma
per questo ci vuole tempo, e occorre semplicità, purezza, abbandono. È il cammino più perfetto; che ci sia donato, a voi e a
me, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo” (Giovanni Taulero).
APPROFONDIMENTI
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