C.S. Lewis. La visione del Regno e la sconfitta degli inferi.
Mio caro, mio carissimo Malacoda,
mio pupattolo, mio gattino, ti sbagli di grosso venendo piagnucoloso, ora che tutto è perduto, a chiedermi se i termini affettuosi che io ti indirizzavo non significavano nulla fin dall’inizio. Tutt’altro! Sta’ sicuro che il mio amore per te e il tuo amore per me sono simili come due piselli. Io ho sempre sentito un grande desiderio di te, come tu (sciocco, degno di compassione) hai desiderato me. La differenza consiste nel fatto che io sono il più forte. Io penso che ora ti daranno a me; o mi daranno un pezzettino di te. Amarti? Ma sì! Non mi son mai cibato di un bocconcino più squisito. Ti sei lasciato sfuggire dalle dita un’anima. L’urlo della fame resa più acuta per quella perdita riecheggia in questo momento per tutti i gironi nel Regno del Rumore giù giù fino al trono. Il solo pensiero mi fa impazzire.
So benissimo che cosa avvenne nell’istante che te lo strapparono di mano! Subitamente i suoi occhi videro chiaro (nevvero?) ed egli ti vide per la prima volta, e riconobbe la parte che tu avevi avuto in lui e vide che tu non l’avevi più. Pensa soltanto (e sia questo l’inizio della tua agonia) ciò che egli pensò in quell’istante; come se fosse caduta la crosta da una vecchia piaga, come se egli fosse emerso da un erpete spaventoso simile a una conchiglia, come se si fosse sbarazzato per sempre di una veste sozza e fracida che gli s’appiccicava addosso. Per l’Inferno, è tormentoso abbastanza vederli, nei loro giorni mortali, togliersi i vestiti che s’erano sporcati e che erano scomodi e diguazzare nell’acqua calda e mandar fuori piccoli grugniti di piacere stirandosi le membra riposate. E che dire, dunque, di codesta spogliazione finale, di codesta purificazione?
Più ci si pensa e peggiori si diventa. Ci è riuscito tanto facilmente! Senza scoraggiamenti crescenti, senza sentenza del medico, senza casa di salute, senza sala operatoria; liberazione pura, istantanea. Per un momento sembrava fosse tutto il nostro mondo; l’urlo delle bombe, il precipitare delle case, il puzzo e il sapore degli alti esplosivi sulle labbra e nei polmoni, i piedi che bruciavano dalla stanchezza, il cuore agghiacciato dagli orrori, il cervello che vacillava, le gambe doloranti; un attimo dopo tutto ciò era sparito, sparito come un brutto sogno, che non conterà più nulla, mai. Sciocco sconfitto superato dalle manovre avversarie! Hai notato quanto naturalmente - come se fosse nato per questo il verme nato dalla terra entrò nella nuova vita? Come tutti i suoi dubbi, in un batter d’occhio, divennero ridicoli? Io so che cosa quella creatura stava dicendosi! Sì. Naturalmente. E’ stato sempre così. Tutti gli orrori hanno seguito lo stesso corso, diventando sempre peggiori, costringendoti in una specie di collo di bottiglia finché, proprio nel momento che pensavi di dover essere schiacciato, ecco! eccoti fuori delle strettoie, ecco d’un tratto tutto a posto. L’estrazione si fece sempre più dolorosa, ma poi il dente eccolo estratto. Il sogno si fece incubo, e allora ti svegliasti. Si muore, si continua a morire, e poi eccoti al di là della morte. Come ho mai potuto dubitare di ciò?
Come vide te, vide anche Loro. So come avvenne. Ti ritraesti vacillante, stordito e accecato, colpito da loro pió che lui non fosse mai stato colpito dalle bombe. La degradazione di tutto ciò! – che questa cosa qui, di terra e di fango, potesse levarsi ritto in piedi e conversare con gli spiriti al cospetto dei quali tu, spirito, non potevi che accasciarti pauroso. Forse avevi sperato che lo spavento e la singolarità della cosa avrebbe mandato in pezzi la sua gioia. Ma qui sta la maledizione; gli dèi sono cose insolite agli occhi mortali, eppure non lo sono. Egli non aveva la più debole idea fino ad allora del loro aspetto, e perfino dubitava della loro esistenza. Ma al primo vederli conobbe che li aveva sempre conosciuti e comprese la parte che ciascuno di loro aveva avuto per molte ore nella sua vita, mentre egli si era creduto solo, tanto che ora poteva rivolgersi a loro, a ciascuno di loro, e chiedere, non: “Chi sei tu?”, ma: “Eri TU, adunque, per tutto il tempo?”.
Tutto ciò che essi erano e ciò che dicevano in questo incontro risvegliava delle memorie. La confusa coscienza di amici che gli stavano intorno, che aveva ossessionato le sue solitudini fin dall’infanzia, trovava finalmente la spiegazione, quella musica che si percepiva al centro di ogni esperienza pura, e che sempre, all’ultimo momento, era sfuggita dalla memoria, si ritrovava ora finalmente. Il riconoscimento lo fece disinvolto in loro compagnia quasi prima che le membra del suo corpo s’acquetassero. Solo
tu fosti lasciato da parte. E vide non soltanto Loro; vide anche Lui. Questo animale, questa cosa generata in un letto, poté posare il suo sguardo su di Lui. Ciò che per noi è fuoco accecante, soffocante, è per lui luce rinfrescante, è la stessa chiarità, e porta le forme d’un Uomo.
Ti piacerebbe, se tu potessi, interpretare la prostrazione del paziente alla sua Presenza, l’aborrimento di sé e la profonda conoscenza dei suoi peccati (sì, Malacoda, una conoscenza più chiara della tua), mettendo tutto ciò in confronto con le sensazioni soffocanti e paralizzanti che provi tu quando t’incontri con l’aria mortale che spira dal cuore del Cielo. Ma tutto ciò è un nonsenso. Forse avrà ancora da sopportare dei dolori, ma essi “abbracciano” quei dolori. Non li baratterebbero per nessun piacere terreno. Tutti i piaceri del senso, o del cuore, o dell’intelletto, con i quali potevi un giorno averlo tentato, perfino i piaceri della stessa virtù, gli sembrano ora, al paragone, non diversi da come apparirebbero le quasi nauseanti attrazioni di una sgualdrina truccata a colui che si sente dire che la sua fidanzata, la donna che aveva veramente amato per tutta la vita e che aveva creduta morta, è lì, ora, alla porta. Egli è ora sollevato in quel mondo dove il dolore e il piacere prendono valori oltre quelli finiti, e dove tutta la nostra aritmetica viene sgomentata.
Ancora una volta c’imbattiamo nell’inesplicabile. Subito dopo la maledizione di tentatori inetti, come te, la maledizione più tremenda
che sta sopra di noi è il fallimento del nostro Ufficio Informazioni. Se soltanto potessimo scovare quali sono veramente le sue intenzioni! Ahimè! ahimè! il fatto che la conoscenza, in se stessa cosa tanto odiosa e nauseante, debba essere necessaria per il Potere! Talvolta sono al margine della disperazione. L’unica cosa che mi sostiene è la convinzione che il nostro Realismo, il nostro rifiuto (di fronte a tutte le tentazioni) di qualsiasi stupido nonsenso, di qualsiasi trucco per attirar l’applauso, DEVE, alla fine, vincere. Intanto ho da arrangiare le cose con te.
Con tutta sincerità mi firmo il tuo sempre più voracemente affezionato
zio BERLICCHE
C.S. Lewis
Le lettere di Berlicche, Arnoldo Mondadori Editore, 1950
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