La "città" di Nazaret, “fiore della Galilea”. Studio Biblico Francescano


La Galilea

Il nome di Galilea, Galila nei papiri greci di Zenone (III sec. a.C.), è un adattamento dei termine ebraico galil che sta per circondario. Nella Bibbia è ricordata come Galilea delle Nazioni (Is 9, 23), come Terra di Galilea (1 Re 9, 11) o semplicemente la Galilea (Gios 20, 7). Termini che presuppongono una distinzione tra la Galilea giudaica in senso stretto dall’area abitata in prevalenza da non Giudei. Giuseppe Flavio è il primo a distinguere tra Alta eBassa Galilea, terminologia entrata nell’uso corrente e accettata anche dai geografi moderni per i quali le differenze di altezza, di clima e di vegetazione giustificano il nome. Infatti mentre le cime dell’Alta Galilea si innalzano oltre i 1000 m, quelle della Bassa Galilea non superano i 600 m. Per lo storico Giuseppe Flavio, del I secolo, la Galilea, compresa tra la Fenicia e la Siria, confina ad occidente con il territorio di Acco-Tolemaide e con il monte Carmelo; a meridione con la Samaria e con il territorio di Bet Shean; a oriente con il territorio delle città di Hippos, di Gadara e con il Golan; a settentrione con il territorio dei Tiri o Fenici (BJ 111, 3). La divisione naturale tra l’Alta e Bassa Galilea segue la valle di Bet ha Kerem e la gola del wadi Amud.

Geologicamente le montagne dell’Alta Galilea fanno parte dell’altipiano che si estende fino al corso dei fiume Litani, a nord, oggi politicamente diviso dal confine israelo-libanese. L’altezza media è sui 600 m., con cime che raggiungono 955 m nel Jebel Canaan a nord di Safed, e i 1208 m nel Jebel Jarmak o Har Meron. è una regione accidentata, ricca di boschi, relativamente poco abitata nell’antichità come in epoca moderna. Sul lato orientale, l’altipiano galilaico si affaccia sulla piana di Hule con un dirupo di 400-700 m di altezza. Da questo lato, in una conca, si sviluppò la città di Kadesh, il centro urbano più importante della montagna occupata dalla tribù di Neftali.


La città di Nazaret, ieri e oggi

La Bassa Galilea è caratterizzata dalla pianura di Esdrelon a sud, dalla depressione con il lago di Galilea a est, e da rilievi collinari intervallati da valli nel nord con inizio nelle colline di Nazaret (573 m). Rilievi isolati come il monte Tabor (588 m) e il Har Moreh o Jebel Jahi (515 m) si innalzano sul margine orientale della pianura di Esdrelon (50 m) al confine con l’altipiano basaltico di Issachar che si affaccia sul lago di Galilea e sulla valle dei Giordano da 700 m di altezza. In epoca greco-romana la capitale fu contesa tra Seforis e Tiberiade. Oggi Nazaret é il centro politico-amministrativo della Galilea.

La città, oggi capitale politico-amministrativa della Galilea, compare per la prima volta nella storia scritta nelle pagine del Vangelo. “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea che ha nome Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide, e il nome della vergine era Maria” (Lc 1, 26-27). Per obbedire all’“editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto l’impero. …salì dunque anche Giuseppe dalla Galilea, dalla città di Nazaret, verso la Giudea, alla città di Davide che si chiama Betlemme… per farsi registrare con Maria sua sposa, la quale era incinta” (Lc 2,1-4). Di ritorno dall’Egitto, dove si era rifugiato con Maria e il bambino Gesù, Giuseppe “si ritirò nella regione di Galilea e venne a stabilirsi in una città che si chiama Nazaret”. Notizia che Luca ripete due volte; dopo la presentazione di Gesù al tempio (Lc 2, 39) e a conclusione del racconto di un pellegrinaggio della famiglia a Gerusalemme: “(Gesù) scese con loro e tornò a Nazaret, ed era sottomesso ad essi. E sua madre conservava tutte queste cose in cuor suo. Gesù, intanto cresceva in sapienza, statura e grazia presso Dio e gli uomini” (Lc 2, 51s). Notizia che a Matteo serve per spiegare il nome dato a Gesù (Mt 2, 23).
All’inizio della sua missione di rabbi itinerante, Gesù lascia Nazaret e scende a Cafarnao sulla riva del lago (Mt 4, 13). La predicazione del Regno nei villaggi dell’entroterra galilaico lo riconduce a Nazaret, dove nella sinagoga si rivolge ai suoi compaesani commentando loro un passo di Isaia che vede attualizzato nella sua persona: “E venne a Nazaret dove era stato allevato, e di sabato, come era solito fare, entrò nella sinagoga e si alzò in piedi a leggere… si alzarono e lo cacciarono fuori della città, e lo condussero fino al ciglio della collina sulla quale la loro città era edificata, per buttarlo di sotto” (Lc 4,16-30; Mt 13,54-58; Mc 6,1-6). Il rifiuto dei compaesani viene vivacizzato nel racconto dell’episodio tramandato da Matteo e Marco: “Giunto nella sua patria, li istruiva nella loro sinagoga, in modo che essi stupiti dicevano: “Di dove gli vengono questa sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?…” (Mt 13, 54-58; Mc 6, 1-6).
Proprio perché originario di Nazaret, viene rifiutato in un primo momento da Natanaele che a chi gli presenta Gesù risponde ironico: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1, 46). Eppure il villaggio di origine resterà legato indissolubilmente al nome di Gesù. “È Gesù di Nazaret” che viene accolto nei villaggi (Mc 10, 46s). “È Gesù il Nazareno” che il manipolo di soldati cerca nell’orto del Getsemani (Gv 18, 5). Come “Gesù il Nazareno il re dei Giudei” viene condannato alla morte in croce da Pilato (Gv 19, 19). è Gesù di Nazaret che Pietro e gli Apostoli predicano risorto il terzo giorno (Atti 10, 38ss). Le fonti giudaiche lo conoscono come Gesù il Nazareno (Jesu ha-Nosri) e chiamano i suoi seguaci i Nazareni (ha-Nosrim).



panorama

Gli scavi archeologici

Tra i primi seguaci e continuatori dell’opera di Gesù le fonti ricordano “i fratelli del Signore” (Atti 1, 14; 1 Cor 9, 5). Per i legami di sangue essi ebbero un posto di responsabilità e di rispetto nella chiesa primitiva palestinese. Giacomo diresse la chiesa di Gerusalemme, come raccontano autonomamente gli Atti (21, 8) e Giuseppe Flavio (AJ XX, 197-203). Gli successe Simeone, “cugino del Signore” martirizzato al tempo di Traiano.
Lo storico giudeo-cristiano Egesippo (seconda metà del II secolo) ricorda alcuni parenti di Gesù, nipoti di Giuda, in occasione di una persecuzione al tempo dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.). Il testo è riportato dallo storico Eusebio (IV sec.) nella Storia Ecclesiastica III, 19.20, 1-6):
Un’antica tradizione riferisce che, quando lo stesso Domiziano comandò di sopprimere i discendenti di Davide, alcuni eretici denunciarono anche i discendenti di Giuda, che era fratello carnale del Salvatore, come appartenenti alla stirpe di Davide e alla parentela di Cristo stesso. Egesippo riporta queste notizie, dicendo testualmente: Della famiglia del Signore restavano ancora i nipoti di Giuda detto fratello suo secondo la carne, i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. Il soldato li condusse davanti a Domiziano Cesare, poiché anch’egli, come Erode, temeva la venuta di Cristo. Ed egli chiese loro se erano discendenti di Davide e ne ebbe la conferma. Chiese allora quante proprietà e quanto denaro avessero. Essi risposero che avevano in totale novemila denarii, metà per ciascuno, e dicevano di non averli in contanti, ma che erano il valore di un terreno di soli trentanove plethri, di cui pagavano le tasse e di cui campavano, coltivandolo essi stessi. E gli mostrarono le mani, testimoniando il loro lavoro personale con la rudezza del corpo e i calli formatisi sulle mani per la continua fatica. Interrogati su Cristo e il suo regno, sulla sua natura, il luogo e il tempo in cui si sarebbe manifestato, risposero che il suo regno non era di questo mondo né di questa terra, ma celeste e angelico, e che si compirà alla fine dei secoli, quando Cristo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le sue opere. Allora Domiziano non inflisse loro nessuna condanna, ma li disprezzò giudicandoli di poco conto, li lasciò andare, e con un editto fece cessare la persecuzione contro la chiesa. Una volta liberati, essi furono a capo delle chiese come testimoni e insieme parenti del Signore, e ritornata la pace rimasero in vita fino a Traiano.
L’episodio sottolinea la condizione sociale dei familiari di Gesù, contadini che vivevano del duro lavoro di ogni giorno, e il loro posto nella chiesa. Giulio Africano (250 ca) ricorda che i discendenti di Gesù “dai villaggi giudaici di Nazaret e Cocaba erano sparsi nelle varie regioni” conservavano gelosamente i ricordi di famiglia (passo conservato in Eusebio, St. Eccl. I, 7, 13-14). Durante la persecuzione di Decio (249-251 d.C.), in Asia Minore fu portato in giudizio, perché cristiano, Conone. Il martire dichiarò in tribunale: “Sono della città di Nazaret in Galilea, sono della parentela di Cristo a cui presto culto fin dai miei antenati”.
La letteratura apocrifa cristiana aggiunge altri particolari accolti dalla tradizione cristiana riguardanti la famiglia di Gesù. Il Protovangelo di Giacomo ricorda Gioacchino e Anna come genitori di Maria. La Storia di Giuseppe falegname racconta della fine di Giuseppe, morto e sepolto a Nazaret. L’autore anonimo descrive Gesù - al capezzale del padre moribondo - che racconta: “Era giunto per mio padre il tempo di morire, come è destino di tutti gli uomini… Entrai dal buon vecchio e lo salutai con affetto, facendogli coraggio. La mia visita lo rese felice e lo rasserenò. Poi mi posi a sedere ai suoi piedi e lo guardavo… Gli tenni le mani per un’ora: ed egli voltando la faccia verso di me mi indicava di non abbandonarlo… Cosi serenamente spirò… Piansi il buon vecchio con Maria mia madre e i parenti… Fui io a chiudergli gli occhi …
Sotto l’aspetto monumentale, il primo a scrivere di edifici di culto cristiani sorti a Nazaret è Epifanio che ricorda il tentativo del conte Giuseppe di Tiberiade, un ebreo convertito al tempo di Costantino, di costruire una chiesa nel villaggio. Una fonte giudaica, l’Elegia di Eleazaro ha-Kalir, ricorda una famiglia sacerdotale Ha-Pizzez, inserita nei turni di servizio al tempio nel giorno di sabato (turni detti mishmarôt), che abitava a Nazaret. Notizia confermata da un’iscrizione ebraica trovata a Cesarea che enumera le diverse mishmarôt, sulla quale, tra le altre località, è leggibile il nome di Nazaret. Eusebio nell’Onomasticon fissa la posizione geografica del villaggio: “Nazaret, per cui Cristo fu detto Nazareno e noi, anticamente Nazareni ma adesso Cristiani, è ancora oggi in Galilea di fronte a Legio, al 15mo miglio verso oriente, vicino al monte Tabor”.
Vi vennero in pellegrinaggio “con passo svelto” Paola e Eustochio accompagnate da Girolamo che chiama il piccolo villaggio di Nazaret “il fiore della Galilea”. L’Anonimo di Piacenza (570 ca) scrive di aver visto in Nazaret “molte cose meravigliose”, di aver visitato la sinagoga con ricordi dell’infanzia di Gesù e aggiunge: “La casa di santa Maria è ora una basilica e molti sono i benefici effetti che vengono a chi riesce a toccare le vesti di lei. Nella città è tanto grande l’avvenenza delle donne ebree che in quella terra non si potrebbero trovare donne più belle e dicono che questo è stato concesso loro da santa Maria; infatti affermano che fu loro antenata”.
Durante l’occupazione araba, seguita al 638, vi venne pellegrino Arculfo che all’abate Adamnano raccontò di aver visto a Nazaret due chiese: una nella quale fu nutrito il nostro Salvatore, la seconda dell’Annunciazione. Quando venne Willibaldo nel 724-26 restava visibile la sola chiesa dell’Annunciazione, ricordata ancora nel 943 dal viaggiatore arabo Al Mas‘udi.
Il patriarca di Alessandria Eutiche racconta che all’arrivo dell’imperatore Eraclio vincitore dei Persiani (629) gli ebrei di Nazaret gli vennero incontro chiedendogli protezione che, in un primo tempo accordata, fu revocata in seguito, su pressione dei cristiani di Gerusalemme che chiesero all’imperatore di vendicare i soprusi subiti da parte degli ebrei durante l’occupazione persiana (XV, 1-15).
Tra le case abbandonate del villaggio, i Crociati vincitori iniziarono ben presto a ricostruire il santuario, come testimonia il pellegrino inglese Sewulfo che vi venne nel 1102: “La città di Nazaret è completamente devastata e diroccata dai Saraceni, però il luogo dell’Annunciazione del Signore mostra un monastero assai bello”. Data l’importanza del santuario, Nazaret divenne sede episcopale. Il normanno Tancredi, al quale fu affidato il principato di Galilea, si fece un dovere di provvedere la basilica ricostruita sontuosamente con doni di ogni genere, come scrive Guglielmo di Tiro, lo storico contemporaneo delle Crociate, e come ricordano le descrizioni dei pellegrini che ebbero modo di visitare il santuario in tutto il suo splendore: l’igumeno Daniele, Teodorico e Giovanni Focas.
Il giorno stesso della battaglia disastrosa di Hattin, il 4 luglio 1187, Nazaret fu presa e la popolazione superstite fatta prigioniera. Un testimone racconta: “Altri (Saraceni) salirono nella città di Nazaret e insanguinarono la chiesa, ammazzando i cristiani che si erano rifugiati lì per motivo delle sue fortificazioni, parlo della chiesa santa nominata in tutto il mondo e dai fedeli ornata in omaggio al Verbo Incarnato… Distrutta la città e profanati i Luoghi santi presero la strada attraversando un certo pendio del monte chiamato “Salto del Signore” e andarono al Tabor” (Raul di Coggeshall). Nel periodo che seguì, grazie ai trattati di pace, il santuario poté essere Officiato e visitato anche se in forma ridotta. Il 24 marzo del 1251 San Ludovico IX re di Francia partecipò alla Messa celebrata dal suo cappellano nella Grotta dell’Annunciazione. La basilica fu distrutta sistematicamente nel 1263 per ordine del sultano Bibars: “Durante un soggiorno sul monte Tabor, un distaccamento della sua armata si portò a Nazaret per suo ordine e distrusse la chiesa di questa città”, scrive lo storico Abu al-Feda nei suoiAnnali.
I pochi pellegrini che si avventurarono in Oriente, dopo la perdita del Regno Latino, ricordano un povero villaggio abitato da musulmani e da alcune comunità di monaci orientali. Nel 1243 un documento d’archivio di Venezia, fa cenno a un ospedale tenuto da pie donne per l’assistenza dei pellegrini. I Francescani che già si recavano in pellegrinaggio al santuario, presero possesso delle rovine della basilica crociata e della Grotta nel 1620, grazie all’appoggio dell’Emiro di Saida Fakhr ed-Din, seguiti da alcune famiglie di cristiani Maroniti e di Greci Melchiti. Giustiziato Fakhr ed-Din nel 1635, iniziarono i soprusi delle autorità turche per estorcere denaro. Il cronista francescano racconta: Il 19 novembre 1637, con la scusa che ’91 convento e la chiesa “fusse fondato in una loro antica moschea” incarcerarono i frati e solo pagando una forte somma fu sospeso il decreto del cadi di Safed “che il convento e la chiesa fussero spianati e li frati bruggiati” (Verniero). Per ovviare a una situazione insostenibile, per i frati come per i cristiani del villaggio, i religiosi di san Francesco, decisero nel 1697 di prendere la responsabilità giuridica del villaggio, così che il Padre Guardiano divenne il capo e il giudice di Nazaret in cambio di una somma annuale al Pascià di Sidone e a quello di Acri. A Nazaret, si aggiunsero nel 1753 i villaggi di Yaffia, Mujeidel e Khneifes. Un principato francescano che durò fin verso il 1770.
Un’altra data da ricordare è il 1730, anno nel quale i frati potettero coprire con una chiesa la Grotta venerata. La chiesa francescana, ampliata nel 1871, venne finalmente demolita nel 1955. In questa occasione furono condotti scavi archeologici sistematici sotto la guida di padre Bellarmino Bagatti (1955-1959).
En 1730, levantan la primera iglesia sobre la Gruta, ampliada en 1871. Por fin, en 1955, este templo fue demolido. Con este motivo, se realizaron sistemáticas excavaciones arqueológicas dirigidas por el P. Bagatti (entre los años 1955-59).
La nuova Basilica dell’Annunciazione fu innalzata negli anni 1960-1969. Nel corso dei lavori il santuario ricevette la visita del papa Paolo VI (1964).

L’archeologia alla scoperta del villaggio di Nazaret

È possibile visitare, a nord della basilica, l’area del villaggio antico di Nazaret e il museo annesso.
In quest’area sorgeva fino al 1930 il primitivo convento francescano costruito sulle rovine del palazzo vescovile di epoca crociata di cui restano tronconi di muri. L’area riportata a livello della roccia degradante verso sud, mostra come le case del villaggio erano costruite sul pendio con utilizzo di ambienti sotterranei facilmente ricavabili nel tenero calcare della montagna. Le abitazioni vere e proprie in muratura erano costruite in superficie o addossate alle grotte. Un ottimo esempio di abitazione semi-rupestre è visitabile nei pressi del muro a contrafforti della basilica crociata sul quale sono esposti i mosaici del monastero bizantino. Resta una grotta e una cameretta antistante con le pareti e l’ingresso ricavati dal taglio della roccia. In questa grotta, al tempo sottosuolo del parlatorio del convento, il P. Viaud scoprì i cinque splendidi capitelli ora conservati al museo. Nella grotta si conserva ancora un forno ricavato nello spigolo di nord-ovest, e si possono vedere alcune bocche di silos nel pavimento. Anelli ricavati nella roccia e una mangiatoia rimandano all’utilizzo della grotta come stalla almeno per un certo periodo.
Risalendo verso nord, in un’altra grotta aperta sulla parete occidentale, abbiamo altre bocche di silos aperte nel pavimento. Di forma a pera i silos erano usati per immagazzinare granaglie. Uno dei complessi più interessanti dell’area è quello detto del “frantoio” in relazione con la Grotta dell’Annunciazione, separato dal muro della basilica. E composto da resti di un pressoio con la vasca di circa 3 m di lato, profonda 40 cm, dalle celle vinarie o olearie, da silos e cunicoli sotterranei per il passaggio e per la necessaria areazione degli ambienti.
Il museo è ricavato in uno stanzone del palazzo vescovile adattato allo scopo. Vi sono esposti i principali reperti di scavo riguardanti il santuario. La storia dell’occupazione umana di Nazaret è riassunta da alcuni gruppi di tipologie ceramiche che vanno dal II millennio a.C. al 1500 d.C. I vasi del Medio Bronzo I e II (2000-1600 a.C.) e del Tardo Bronzo (1500-1300 a.C.) provengono dalle tombe ritrovate all’esterno del muro meridionale della basilica crociata. Quelli del Ferro I (X-IX sec. a.C.) da una tomba scoperta sulle pendici della montagna nel quartiere occidentale del centro abitato (casa Mansour). Il Ferro II (VIII sec. a.C.) è rappresentato da una giarra a collo stretto con doppio manico e imbuto, trovata in un silos a est della basilica. Le lucerne e le pentole del periodo romano provengono dalla suppellettile funeraria della tomba Lahham scoperta a sud del santuario. I piatti invetriati coprono il periodo medioevale fino al XVsecolo di provenienza diversa.
Per la storia del santuario notevoli sono gli elementi architettonici appartenenti a una sinagoga trovati sotto i mosaici degli edifici di epoca bizantina. I graffiti degli intonaci che coprono le pietre tagliate nella pietra di Nazaret, attestano il passaggio dei pellegrini cristiani e la venerazione per il luogo santo. Al centro della sala è visibile la base di colonna che con altri graffiti, come l’espressione in armeno “bella ragazza” riferita alla Madonna, reca in greco l’Ave Maria (Xaire Maria), la più antica attestazione archeologica della invocazione alla Vergine di Nazaret divenuta la preghiera mariana più comune tra i cristiani. In due bacheche a parte è esposto il rocco di colonna con l’altro graffito in greco “sul santo luogo di M(aria) ho scritto”, e il concio con il graffito rappresentante un personaggio portacroce che nell’iconografia bizantina posteriore sarà caratteristico della raffigurazione di san Giovanni Battista.
Nel museo sono inoltre esposte alcune sculture che decoravano la basilica dell’Annunciazione, tra i capolavori dell’arte crociata di Terrasanta. Con gli animali fantastici scolpiti sui conci modanati del grande arco di facciata della basilica, notare la parte inferiore di una figura con un ampio drappeggio della veste, forse un angelo, un frammento con ali, una testa dimezzata all’altezza degli occhi, due piedi con sandali. Sulla parete meridionale sono infissi tre pezzi di una cornice sui quali si può integrare parte di una iscrizione in bei caratteri unciali latini: “(Ecce Anci)lla Dom(ini)… conce(pit d)e Spiritu Sancto”. Nello spigolo della stessa parete, una pietra reca incisa nell’incavo in caratteri unciali minuscoli del sec. XII la prima parte dell’Ave Maria in latino.
In una absidiola della parete settentrionale, è esposta la statua acefala di S. Pietro trovata il 22 giugno 1966 demolendo il muro nord della chiesa francescana. L’apostolo indossa tunica e pallio cinto alla vita da una corda. Nella mano destra impugna due grandi chiavi e con la mano sinistra sorregge un modellino di chiesa a tre absidi sormontate da una torre. In uno slargo rettangolare della stessa parete sono esposti i 5 capitelli scoperti dal P. Viaud nel 1909, nascosti nella grotta detta dei “capitelli” da un anonimo e benemerito cultore d’arte dopo la caduta del regno latino di Gerusalemme. Il capitello della Chiesa occupa il centro. Sotto il baldacchino a motivi architettonici che si ripete anche negli altri capitelli, è raffigurata una donna con corona sul capo che incede verso destra. Tiene nella mano destra una croce astile mentre con la sinistra trascina un apostolo scalzo. Sui lati, due coppie di demoni armati di scudo, spada e arco, sono pronti ad attaccare le due figure inermi. L’artista ha voluto personificare la Fede o la Chiesa che guida l’apostolo alla predicazione malgrado l’opposizione dei demoni.
Capitello di San Tommaso. È uno dei 4 capitelli ottagonali, il primo sulla destra. Al centro di quattro coppie di apostoli, Gesù risorto, con nimbo a croce, mostra il costato ferito dalla lancia all’apostolo incredulo.
Capitello di San Pietro. Sono illustrati due episodi della vita dell’apostolo. Pietro che cammina sulle acque (Mt 14, 24-32) e Pietro che risuscita Tabita (Atti 9,36-43), divise dalla figura in piedi di Gesù nel mezzo della composizione.
Capitello di San Giacomo Maggiore. Il P. Bagatti propone di leggervi, da sinistra a destra, la vita leggendaria dell’apostolo come raccontata negli Atti apocrifi latini dello Pseudo-Abdia (Vi sec.). Predicando agli Ebrei, Giacomo aveva convertito un certo Fileto che aveva visto i miracoli dell’apostolo tra i quali la liberazione di una donna posseduta dai demoni. Giacomo, che era riuscito a fondare la chiesa locale, sul capitello rappresentata da un vescovo con tiara e da un diacono, fu perseguitato da Ermogene, dal pontefice Abiatar e dallo scriba Giosia che però, vinto dai fatti, si fece battezzare. L’apostolo pagò con la decapitazione tanto ardire. Il suo sepolcro fu onorato dai discepoli tra i quali Teodoro e Anastasio.
Capitello di San Matteo. Secondo lo Pseudo-Abdia, nella città di Maddaver in Abissinia, l’apostolo Matteo, presentato dall’eunuco Candace, battezzato dal diacono Filippo, risuscitò Eufranore figlio del re Eglippo che si fece battezzare insieme alla sua famiglia, moglie, figli (Eufranore e Beeor) e la figlia Ifigenia. Morto il re, gli successe Irtaco il quale voleva sposare Ifigenia che però si era consacrata al Signore. Matteo conferma la fanciulla nel santo proposito concedendole il velo delle vergini consacrate da lei chiesto in ginocchio davanti a tutto il popolo. Ciò provoca le ire di Irtaco che, sobillato dal demonio, condanna a morte l’apostolo. A Irtaco succede il cristiano Beeor che riportò la pace nella chiesa. I demoni devono allontanarsi sconfitti.


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