Silvano Fausti e Filippo Clerici. Non venni a chiamare i giusti, ma i peccatori


Salmo  32 (31)  

Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa,
e perdonato il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male
e nel cui spirito non è inganno.

Tacevo e si logoravano le mie ossa,
mentre gemevo tutto il giorno.
Giorno e notte pesava su di me la tua mano,
come per arsura d’estate inaridiva il mio vigore.

Ti ho manifestato il mio peccato,
non ho tenuto nascosto il mio errore.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie colpe»
e tu hai rimesso la malizia del mio peccato.

Per questo ti prega ogni fedele
nel tempo dell’angoscia.
Quando irromperanno grandi acque
non lo potranno raggiungere.

Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo,
mi circondi di esultanza per la salvezza.

Ti farò saggio, t’indicherò la via da seguire;
con gli occhi su di te, ti darò consiglio.
Non siate come il cavallo e come il mulo
privi d’intelligenza;
si piega la loro fierezza con morso e briglie,
se no, a te non si avvicinano.

Molti saranno i dolori dell’empio,
ma la grazia circonda chi confida nel Signore.
Gioite nel Signore ed esultate, giusti,
giubilate, voi tutti, retti di cuore.



Abbiamo scelto questo Salmo in consonanza al brano che
leggeremo che è la chiamata di Levi il peccatore. Questo Salmo, a

differenza del Salmo 1 che dice: beato il giusto e del Salmo 10 che
dice nessuno è giusto, dopo 32 Salmi forse s'interroga: ma chi è il
giusto? E allora qui dice: beato non il giusto, ma colui al quale è
perdonato il peccato.
La beatitudine del giusto non è di chi non ha sbagliato, ma di
chi ha sperimentato il perdono.
E prima di leggere il brano,  incominciamo a dare qualche
regola su quella che si chiama il discernimento spirituale.
Spiegheremo cos'è e poi un po' alla volta daremo delle regole
di vita spirituale.
Abbiamo già visto che il Vangelo presenta un cammino.
Abbiamo visto che il paralitico è mandato a casa sua e ogni persona
in fondo si sente estranea, straniera, sa di abitare altrove, la vita è
sempre un viaggio, verso dove? Dov'è che abita l'uomo davvero?
Dove sta di casa? Qual è la sua destinazione, il suo destino? e qual è
il cammino che porta?
Che cosa bisogna fare per raggiungerlo?.
E la domanda fondamentale dell'uomo: che fare?
Mentre l'animale non se la pone, ha l'istinto e se non segue
l'istinto è da abbattere, perché non va bene, l'uomo, se segue
l'istinto, non è da abbattere, perché è uomo, ma si abbatte da solo.
Perché?
Narra un antico racconto che quando Dio aveva creato il
mondo, in cinque giorni aveva già finito il mondo. Il settimo poi si
riposò. Però voleva fare ancora qualcosa di molto particolare:
qualcuno che potesse guardare il mondo e godere del mondo.
Perché la pianta non gode del mondo, neanche l'animale (un po’ sì,
ma poco).
E allora ci pensa su; cosa fare? Aveva finito tutti i modelli a
disposizione. Perché aveva fatto tutti gli animali secondo la loro

specie, aveva messo tutti gli elementi al loro posto, non c'era più
nulla da fare. Ma voleva a tutti i costi, ostinato da Dio, fare
qualcos'altro. E allora fa l'uomo.
E quando fa l'uomo gli dice: vedi uomo, io non ho nulla da
darti di particolare. Tutti gli altri hanno la loro specie, hanno il loro
luogo. tu non hai specie, non hai luogo. Sì, tu hai dentro di te degli
elementi della natura, ma non sei un sasso, hai dentro di te, gli
elementi dei vegetali, ma non sei un vegetale. Hai dentro di te tutti
gli elementi dell'animale, ma non sei un animale.
Ti do una cosa: tu puoi diventare tutto ciò che vuoi. Sei come
un camaleonte. Secondo il tuo libro arbitrio. Potrai essere minerale,
vegetale, animale, potrai essere uomo ragionevole come gli angeli
addirittura, o potrai essere addirittura Dio. Tutto è lasciato a te.
E credo questo definisca molto bene la natura dell'uomo.
L'uomo non ha natura, non è ciò che è. Una pianta è ciò che è; un
animale è ciò che è. L'uomo è ciò che diventa. E ciò che diventa è
lasciato al suo libero arbitrio. E questo libero arbitrio distingue
l'uomo dall'animale.
E da qui nascono i guai. Perché l'uomo sperimenta in sè la
durezza della pietra, sperimenta l'immobilità della pianta,
sperimenta il guizzo del serpente, il volo dell'uccello o anche la
tenerezza del mammifero, la sua aggressività. Cioè ha dentro tutto.
Questo tutto rischia di governare l'uomo. Allora l'uomo
diventa ciò da cui è governato, diventa simile a lui. Se invece l'uomo
con la sua libertà ascolta la voce interiore di Dio, diventa Dio.
L'uomo cioè diventa la voce che ascolta.
Allora il problema del discernimento è questo: in me ci sono
tutte le voci. Qual è quella voce che mi dà libertà che mi fa tornare
alla "mia" casa? E la casa dell'uomo è addirittura Dio, l'infinito.
Quindi dalla volta prossima cominceremo a dare delle regole
di discernimento.

Ora cominciate a tenere presente alcune cose molto semplici:
in noi c'è tutto. Non meravigliarsi quindi che in noi ci sia tutto,
spontaneamente cresce di tutto. Ma non è detto allora che perché
cresce, tutto sia uno perduto, oppure che tutto vada bene; no, sono
uno che deve valutare tutto, distinguere tutto e vedere dove
porta.
Noi siamo in genere abituati a vedere solo le azioni nel loro
risultato. Per voi, per esempio adesso, che siete qui, il risultato è
uguale per tutti. Ma dietro questa azione c'è tutto un insieme di
valutazioni: l'azione è come la punta di un iceberg, sotto c'è tutto un
mondo sommerso di intenzioni.
E uno agisce secondo l'intenzione che ha dentro. L'intenzione
è come l'impulso e la direzione data alla freccia. Alla fine va dentro.
Noi normalmente non conosciamo le intenzioni profonde che
abbiamo dentro. Per cui non agiamo quasi mai liberamente, invece
di agire siamo agiti, agitati dai vari impulsi. E il discernimento serve
appunto per conoscere i vari impulsi, sapere da dove vengono e
dove portano, per vedere se è proprio quel che voglio io. In modo
che la mia azione sia libera, responsabile e cosciente. Altrimenti
sono semplicemente incosciente, irresponsabile e schiavo dei vari
impulsi.
Come vedete questo è tutto il lavoro che l'uomo è chiamato a
fare semplicemente per esser uomo. Ed è chiamato a farlo ognuno
su di sè, imparando a conoscere se stesso.
E dalla volta prossima cominceremo a dare qualcosa di più
preciso.

Prendiamo il Vangelo di Marco



E uscì di nuovo lungo il mare e tutta la folla veniva a lui e li 
ammaestrava.
E, andando avanti, vide Levi di Alfeo seduto alla 
gabella e gli dice: Segui me! E, risorto, lo seguì.
E avviene che si 
sdraia a mensa nella sua casa, e molti gabellieri e peccatori
giacevano con Gesù e i suoi discepoli; erano infatti molti e lo 

seguivano.
E gli scribi dei farisei, avendo visto che mangia con i 
peccatori e gabellieri, dicevano ai suoi discepoli: Perché mangia 
con i gabellieri e peccatori?
E, udito, Gesù dice loro: Non hanno 
bisogno i sani del medico, ma i malati; non venni a chiamare i 
giusti, ma i peccatori!


Questo brano nella prima parte contiene la chiamata di Levi il
peccatore, poi segue a questa il banchetto in casa di Levi e poi la
discussione che fanno gli scribi e i farisei con Gesù, perché lui
mangia con i peccatori.
Questo brano risponde a una domanda precisa: abbiamo
visto all'inizio che i primi apostoli sono chiamati a seguire Gesù.
Erano dei semplici pescatori, rispondono a questa chiamata e lo
seguono. Dico: va bene, però quei pescatori forse erano anche
bravi. Io non sono uno di loro, non sono un apostolo, forse quella
chiamata non riguarda me.
Allora  qui si vede che viene chiamato anche il peccatore,
tranquillamente, si chiama Levi, che poi è Matteo. E forse qualcuno
potrebbe dire: sì, ma Levi, Matteo è un caso unico, si è alzato e l'ha
seguito, c'è anche un quadro del Caravaggio che lo fa vedere, che si
alza e lo segue, ma io non sono uno che l'ha seguito così.
E allora c'è il terzo caso: tutti gli altri, peccatori e gabellieri,
stanno a mensa con lui e lo seguivano lo stesso. E sono ancora
peccatori e gabellieri.
Come noi.
Cioè la chiamata è per tutti. Perché? Perché Gesù non è
venuto a chiamare i giusti ma i peccatori.
I giusti sono in lista d'attesa nella salvezza e non arrivano mai
alla salvezza, perché la salvezza è concessa a chi si riconosce come
tutti gli altri peccatore e sperimenta il perdono.
Quindi questo brano tocca il centro dell'esperienza cristiana,
che non è fatta per uomini eccelsi, per i giusti, per persone
particolarmente brave, è fatta per l'uomo com'è nella sua verità, coi

suoi limiti, coi suoi difetti, coi suoi fallimenti, coi suoi peccati.
Cioè è l'uomo reale che è chiamato a seguire il cammino della
vita. Non un uomo ideale, particolarmente bravo.
Non i santi. San Pietro, San Giacomo, San Matteo vanno bene.
E noi? Anche noi, uguali.
Dove non si arriva volando, si arriva zoppicando.
Il cammino è uguale per tutti. Anzi qualcosa di più.
Vedremo che il male, il peccato, non è che ci allontana da Dio.
Più noi ci allontaniamo da Dio più lui ci è vicino. Non funzionano le
regole dello spazio della geometria. Più ti allontani più ti è vicino. Se
vostro figlio va via da casa, lo pensate di più, vi è più vicino. E più è
lontano, più è inguaiato, più vi è vicino.
Così l'uomo con Dio. Più l'uomo è lontano, più Dio gli è vicino.
Questo rovescia l'atteggiamento tipico dell'uomo di fronte a
Dio, quando pensa a Dio l'uomo prova un certo timore, Dio dà
soggezione e si tende piuttosto a stargli lontano a non essere
particolarmente attirati. Qui invece vediamo che Gesù attira e in
questo brano vediamo che cosa attira di Gesù e perché si va da lui.
Quindi è proprio una conversione, una trasformazione non solo
dell'idea che si ha di qualcuno ma di un comportamento. E questo è
indotto da quello che Gesù è per tutti noi.


E uscì di nuovo lungo il mare e tutta la folla veniva a lui e li 
ammaestrava.





Continuamente Gesù va e viene, esce. C'era uno studioso
tedesco che diceva che Gesù aveva una brutta malattia: era
"dromomane".
Vuol dire uno a cui piaceva camminare, correre

In realtà Dio è uno che cammina. Il movimento è vita. Chiama
l'uomo a camminare. La staticità è morte. E Gesù di Nazaret è
particolarmente mobile.
Quando non cammina è perché esce o entra e continua
ancora a camminare.
Lungo il mare. Il mare è qualcosa di molto preciso: il mare, se
uno ci sta dentro è morto; se uno ne esce è vivo.
Quindi è simbolo di morte e di vita,  bisogna passare
attraverso il mare per vivere, perché tutti dobbiamo attraversarlo.
Richiama l'Esodo.
Tutta la folla accorre da lui e Gesù li ammaestrava.
Noterete che nel Vangelo di Marco Gesù sempre ammaestra
e non si dice mai cosa dice.
Cosa dice? quel che dice è il fatto stesso. Il suo insegnamento
è esattamente l'azione che fa. Quella è la sua parola. Perché in Dio
la parola non si distingue dall'azione. Com'è che Dio mi insegna? Mi
insegna facendo delle cose.
Com'è che Dio mi insegna che lui è il creatore. Non ha
spiegato ad Adamo che  lui è il creatore; ha fatto il mondo, per
esempio.
Com'è che spiega all'uomo il cammino? Cammina con lui.
Com'è che spiega dove andare? Va.
Quindi dobbiamo stare attenti ad ogni parola, ad ogni azione
di Gesù. In realtà è qualcosa che lui fa, lo fa anche in me. È questo
l'insegnamento. Una parola che diventa fatto. E v'accorgerete anche
che ogni parola che ascoltate con l'orecchio, muove qualcosa
nell'intelligenza e nel cuore. State molto attenti a quella parola.
Perché  quella scritta è uguale per tutti,  quella capita è
diversa per ciascuno. Ed è molto importante, perché, come l'acqua

e il sole fanno crescere ogni fiore per quello che è, così la Parola fa
essere ognuno quello che è, nella sua specificità.


E, andando avanti, vide Levi di Alfeo seduto alla gabella e gli dice:
Segui me! E, risorto, lo seguì


La scena è molto semplice: Gesù che va avanti ancora, Gesù
che vede.  È importante lo sguardo. Non so se avete presente il
quadro del Caravaggio: c'è Gesù che fissa e c'è un fascio di luce che
esce da lui e investe proprio Matteo.
Esser visto è importante.
Come mi vede il Signore?
Perché l'occhio è il giudizio sull'altro. L'occhio ti accoglie, ti
giudica.
Come mi vede Dio?
È importante perché il mio essere è come sono visto da Dio.
L'uomo ci tiene tanto ad apparire e ad esser visto; chi non è
visto, non esiste.
Oggi ancora di più.
In realtà c'è sotto qualcosa di vero: l'uomo, il bambino,
ognuno di noi ha bisogno di esser visto, cioè di contare per
qualcuno, perché l'occhio porta al cuore, vuol dire che  uno ti ha
dentro.
Ecco, Dio vede ciascuno di noi - lo dice Gesù - "li hai amati
come hai amato me". Cioè vede ciascuno di noi come suo figlio
unico. Cioè ognuno di noi è amato da Dio Padre con amore infinito,
totale, unico. E quell'amore unico sei tu.  Il tuo esistere è l'amore
che Dio ha per te.
Scoprire questo è scoprire la sorgente della propria identità e
della propria vita. Ed esser liberi dall'occhio altrui. Se uno mi guarda

male, pazienza, sarà strabico lui. Però io so chi sono: sono figlio di
Dio. Cioè è la tua identità raggiunta, e poi ci vuole tutta la vita.
Per questo nelle preghiere dell'A.T., sia quelle contenute nei
Salmi, sia nelle invocazioni che troviamo nei Profeti o nei libri storici,
si dice sempre: Dio volgi lo sguardo, guarda. Uno dice, ma Dio non
ha occhio!, ma è un modo per dire: interessati, volgi lo sguardo e
visita questa vigna e vieni in mezzo al tuo popolo. Quindi questo
sguardo fa entrare dentro nel cuore le persone e le situazioni che si
vogliono far entrare.
E poi l'oggetto del suo sguardo è una persona interessante: è
Levi di Alfeo seduto alla gabella.
Ora a noi dice poco il gabelliere, l'esattore delle tasse.
Comunque non è mai simpatico nemmeno a noi. Però pensate per
gli ebrei, questa persona che riscuoteva le tasse per conto dei
Romani, dominatori stranieri, per di più pagani: era un abominio.
Già devi pagare le tasse, poi a uno straniero che collabora coi pagani
per opprimere il suo popolo. Quindi era il prototipo del male.
Ucciderlo era considerato un merito!
Pensate  agli Apostoli, in particolare a Pietro che erano
pescatori e dovevano pagare le tasse proprio lì, come lo guardava
passando.
E Gesù lo guarda in modo diverso.
La volta scorsa abbiamo visto il paralitico seduto nel letto e
sdraiato; qui il peccatore seduto alla gabella che è il suo banco,
quasi il suo letto, dove sta seduto tutto il giorno a contare i soldi, la
sua vita è lì. È bloccato da quello. E tutti gli altri lo guardano male, lo
odiano, lo detestano, perché è esattore di tasse per conto dei
romani. Gesù lo guarda con un altro occhio e gli dice: Segui me.
Con le stesse parole che ha detto a Pietro, che ha detto a
Andrea, a Giacomo, a Giovanni, le stesse parole le dice anche a
questo peccatore. Seguire Lui, il Signore è il senso della vita di tutti.



E non è che perché uno è peccatore non possa seguirlo. È chiamato
anche lui nè più nè meno. Anzi, mentre gli altri sono chiamati a due
a due, qui è chiamato singolarmente, è più preziosa la sua chiamata;
là quattro insieme, più o meno. Qui è unica.
Cioè gli sta più a cuore e questa chiamata è preparata da due
capitoli già.
Segui me.
E questo è importante: capire che non è perché io non sono
bravo, perchè mi vedono male, quelli di Chiesa, Pietro compreso
che è infallibile chissà come  mi vede! No,  Dio mi vede in modo
diverso e chiama me.
Lo stupore che notate anche nel quadro del Caravaggio che lo
fa così incredulo, quasi a dire:  proprio me?
Proprio lui.
La chiamata è personale e non s'è sbagliato. Forse mi chiama,
ma voleva chiamare il mio vicino che è più  bravo. No, no, chiama
me.
E lui, risorto - e la parola è di risurrezione, la stessa che si usa
che per la risurrezione di Cristo - questa chiamata mi fa risorgere, mi
dà la mia identità, la mia verità.
E lo seguì.
È messo all'aoristo. E un atto deciso, puntuale, lo segue.


E avviene che si sdraia a mensa nella sua casa, e molti gabellieri 
e peccatori giacevano con Gesù e i suoi discepoli; erano infatti 
molti e lo seguivano.


Gesù va a casa sua. Al paralitico aveva detto: vai a casa tua.
Ora anche Matteo va a casa sua, ormai ha una casa, non sta più lì al
suo banco e in questa casa accoglie il Signore. E lì il Signore
addirittura si sdraia a mensa, come si usava nei banchetti solenni, ci

si stendeva sui divani e la mensa era in mezzo. Era il banchetto che
si faceva solo nelle grandi feste o tra amici la sera. È lo stesso che si
fa nell'Eucaristia, nell'ultima cena. È segno proprio della familiarità
mangiare insieme e passare le notti insieme mangiando, ed è la
festa.
Gesù è familiare, fa festa con questo e con tutti i suoi.
E mangiare insieme vuol dire vivere insieme.
Noi abbiamo perso il significato del cibo. È molto grave. Ma
mangiare insieme è vivere insieme. Si mangia insieme in famiglia. E
quando non c'è la famiglia non si mangia più insieme. Perché è
mantenere la vita e la vita la si condivide alla mensa. Cioè l'uomo
non è l'animale che mangia nella sua ciotola ringhiando a chi gli è
vicino. È uno che spezza il pane con l'altro, cioè lo stesso mangiare
diventa comunione con l'altro. È un alto valore simbolico.
Poi nelle culture primitive dove tutto il problema è la
sussistenza e il mangiare, il mangiare insieme è proprio il vivere
insieme.
Ed è interessante allora. Le stesse cose  che tu prendi per
mangiare se le divori da solo nella ciotola sono semplicemente
qualcosa che ti chiudono in te e ti dividono dall'altro.  Il mangiare
insieme diventa invece comunione, dono reciproco, lo spezzare del
pane.
E Gesù mangia con Levi. Ma non solo Levi, ma ci sono anche
molti gabellieri e peccatori. Quindi ci sono molti gabellieri compagni
di Levi e altri peccatori. Indeterminato chi siano.
Anche questi stanno a mensa con Gesù e con i suoi discepoli.
Ora stare a mensa, nel significato assunto nella chiesa, vuol dire
anche la mensa eucaristica, cioè il far famiglia insieme, sono della
sua famiglia.
E anche questi lo seguivano

Si dice che Matteo lo seguì, questi lo seguivano.
Hanno cominciato a seguirlo, però erano ancora peccatori e
facevano ancora il loro mestiere di gabellieri, eppure lo seguivano e
mangiavano con lui.
Non so se intuite che problema c'è sotto.  È quello che ci
preoccupa un po' tutti: sì anch'io lo seguo, più o meno, però sono
ancora immischiato in tante cose sbagliate, mi sento ancora molto
inadatto, mi sento molto lontano e molto diverso da quello che
vorrei essere.
Avete mai notato che prima della comunione si dice: Signore
non sono degno? E perché vai a fare la comunione se non sei
degno?
Proprio perché non sei degno. Se io l'avessi meritato, non
sarebbe comunione, sarebbe qualcosa che ho pagato.
Invece siccome non sono degno, non l'ho pagato, è un dono,
è un segno d'amore e allora lì accolgo l'amore gratuito. Quindi è in
quanto peccatore che io ricevo il dono, non in quanto lo merito.
Così prima della messa si dice per celebrare degnamente
l'Eucaristia  - e qualcuno dice: meno indegnamente: no, no, per
celebrarla degnamente  - riconosciamo di essere peccatori. L'unica
dignità e che siamo peccatori.
Chi non lo riconosce non può celebrare l'Eucaristia, va lì
semplicemente con la sua carta di credito a riscuotere ciò che Dio gli
deve: io sono bravo, mi devi pagare. E invece no, vado a ricevere il
dono gratuito del suo amore.
Qui siamo sollecitati a correggere un po' quel modo di pensare
-che parte da una buona intenzione, da un desiderio che la comunità
cristiana effettivamente sia capace di esprimere quello che viene
celebrato - per cui si dice: ma allora cosa va a fare quello lì a messa,
gente che va e poi nella vita cosa combina? E invece bisogna piano

piano, andando dietro al Signore, riuscire anche a seguirlo in quello
che fa, non solo stare ad ascoltarlo, però stare attenti che questo
discorso non sia quello degli scribi e farisei di cui leggeremo ai
versetti seguenti che vuol dire stravolgere, non riconoscere
effettivamente che cosa è Dio per noi, perché Gesù è lì. Perché vive
in mezzo ai peccatori. La Chiesa nella sua esperienza e nella sua
saggezza che le viene dallo Spirito non ha mai voluto essere una
setta di perfetti, nonostante che ci sia ricorrente questa tentazione
anche in tanti riformatori, ma ha voluto continuare ad essere una
Chiesa di peccatori.
E guardate che la scena è bella perché molti giacevano con
Gesù e i suoi discepoli. Erano molti che lo seguivano, e lo seguivano
senza neanche essere stati chiamati.
Mentre gli altri erano stati chiamati e a stento l'hanno
seguito, quel giovane ricco e perfetto che non aveva mai fatto nulla
di male neanche lo segue, questi lo seguono anche senza esser
chiamati; hanno intuito che è per loro.
È molto bello.
E questo è un problema grosso per gli scribi e i farisei.


E gli scribi dei farisei, avendo visto che mangia con i peccatori e 
gabellieri, dicevano ai suoi discepoli: Perché mangia con i gabellieri 
e peccatori?


Si sottolinea tre volte che giace e mangia con loro. Chi sono
gli scribi? Sono i maestri della legge, che sanno tutto bene quel che
bisogna fare; i farisei sono quelli che fanno bene tutto. E gli scribi e i
farisei sono quelli che sanno e fanno, cioè sono i più perfettini.
Vedendo questo brontolano con i discepoli: e brontolano perché?
Se Gesù fosse un peccatore e va coi peccatori poco male. Va coi pari
suoi! Ma lo scandalo è che Gesù è colui che fa i miracoli, che Gesù è
Gesù, è il Signore - poi si capirà - come mai lui sta con loro? Capite
che è una cosa tremenda. Se io sono giusto e m'accorgo che Dio va

con i peccatori, mi chiedo: allora, perché sono giusto, se lui sta con i
peccatori?! Allora ho sbagliato io. Cioè si sente messo in crisi.
Non è tanto l'interesse che lui sia lì, vada dove vuole. Il
problema è mio! Vuol dire che lui con loro giace a mensa, sta steso
tranquillo, chiacchiera, condivide la vita; e non è giusto, dovrebbe
star con me! Di fatti qualche volta Gesù va anche dai farisei al pasto,
ma non giace a mensa, si siede: era il pranzo più veloce che non si fa
tra amici. E gli va sempre di traverso. Qui cercano di fargli andar di
traverso anche il pasto dove sta tranquillo con gli altri.  È
interessante.
E questa obiezione è fatta ai discepoli.
Cioè probabilmente è l'obiezione che i discepoli hanno nella
Chiesa : si vede tanta gente che c'è nella Chiesa e che segue il
Signore, ma  che non ha ancora rotto con tante cose con le quali
dovrebbe rompere. Cosa facciamo? Li mettiamo in prigione, li
castighiamo, li mettiamo a pane e acqua, li fustighiamo un po' fino a
quando migliorano e poi dopo..?. Invece Gesù sta a mensa con loro.
È interessante: gli scribi dei farisei non stanno a mensa, sono
lì a criticare. Vedete qui sotto c'è un grande mistero: è il mistero di
Dio che è amore gratuito!
E  l'amore gratuito si manifesta dove non è meritato. Se è
meritato non è amore e non è gratuito.
Quindi i peccatori lo capiscono, i giusti no. Per questo Gesù
non è venuto a chiamare i giusti. I giusti non possono salvarsi. La
salvezza è l'amore e l'amore è gratuito e loro non lo vogliono
gratuito. Vogliono pagarlo!
E quindi questa obiezione è molto seria, perché è la messa in
crisi della religione del giusto.


E, udito, Gesù dice loro: Non  hanno bisogno i sani del medico,
ma i malati; non venni a chiamare i giusti, ma i peccatori!


La domanda è fatta ai discepoli. Così anche noi le domande
nella Chiesa ce le facciamo tra di noi. Come si fa a rispondere? Si
risponde ricorrendo a quel che ha detto e fatto Gesù.  È Gesù che
risponde. Così è quando nella Chiesa si è presentato questo
problema, cosa ha fatto Gesù, qual è la risposta che ha dato. Così
anche a noi: qual è la risposta che dobbiamo dare? quella che ha
dato Gesù.
Gesù dice: i sani non hanno bisogno del medico.
Il medico è uno degli attributi di Dio nell'Antico Testamento, è
quello che cura le ferite profonde dell'uomo, che lo rifà nuovo, gli
ridà la sua vita. Non è per i sani, ma per i malati.
E quindi Gesù, che è medico, è venuto allora non per i giusti,
ma per i peccatori. E ci presenta un'altra immagine di Dio: Dio è
medico e il medico è per i malati. E così lui è per i peccatori che sono
i malati nello spirito. Perché Dio è Dio e ama tutti, sono tutti suoi
figli. Se uno ne ha più bisogno, lo ama di più.
Quindi non è semplicemente perché Dio ci prova gusto a far
dispetti, semplicemente per un altro motivo: Dio è Dio e l'amore si
misura per il bisogno. Quindi il peccatore è più amato
effettivamente da Dio.
È venuto per loro.
Mentre invece non è venuto per chiamare i giusti. E chiamare
vuol dire chiamare alla salvezza. Nessun giusto è salvato. Perché il
giusto è quello che vuol salvarsi lui.  La salvezza è invece l'amore
gratuito che Dio ha per noi. Il giusto è quel Paolo che era
irreprensibile nell'osservanza della legge e voleva essere a posto con
Dio mediante la sua giustizia. Sarebbe come uno che pretendesse di
essere a posto perché dice: i miei genitori mi hanno mantenuto fino
a vent'anni; hanno speso tanto, allora mettiamo via i soldi per
restituire. Poi mi hanno fatto queste cure che si possono
concretizzare in questa cifra, allora vediamo di restituirla; poi mi
hanno dato la vita e allora cosa faccio? mi sparo per restituirla? Il

giusto con Dio va così. Vuol avere i conti pari e si spara proprio,
sacrifica la vita senza capire che la vita è un'altra cosa,  è dire grazie
che mi vuoi bene e allora cercherò di voler bene anch'io a te e ai
fratelli.
Non è invece l'andare in pari con i conti. È tutta un'altra vita.
Non è la vita nella legge, è la vita nell'amore di chi si sente amato e
una volta che si sente amato, si sente riscattato, risorto e può
rispondere a questo amore. Quindi è la religione della libertà dei
figli, che è per tutti, tranne che per i giusti. Perché il vero peccato è
quello dei giusti, che vogliono appunto pagare a Dio il conto.
Mentre chi sa di non poterlo pagare accetta il condono.
C'è alla fine come al principio un movimento: Gesù usciva,
andava, la folla veniva a lui e poi lo seguiva. Penso che questo
manifesti il fatto che l'uomo è fatto per Dio. Quando non ha trovato
e quando si crede già salvo è come altrove. Allora bisogna cambiare
strada, muoversi da un'altra parte. E vedete che la folla, i peccatori, i
gabellieri seguivano, vanno da Gesù. Gli altri restano lì, come fermi,
come fossero già arrivati, aspettano solo un riconoscimento, non
hanno ancora questa coscienza che sono altrove. Come il figlio di
Luca 15 che si ferma sulla porta e non vuole entrare al banchetto,
per questo fratello che è andato ma poi è tornato. C'è  questo
movimento che appunto richiama l'esodo che è questo cammino che
il popolo fece liberato dalla schiavitù verso una libertà da vivere e da
conquistare ogni momento.
C'è un racconto di un gesuita indiano che può dare un po' il
senso di questo: questo racconto dive che alla fine del mondo
durante il giudizio, Dio in un momento di debolezza dice a Pietro:
apri le porte, che entrino tutti. E allora Pietro apre le porte e
entrano tutti. Quando tutti sono dentro, si sente bussa. Chi è?  È il
diavolo che si lamenta e dice: e me mi lasci solo? Hai ragione, non
posso lasciarti solo, entra anche tu. No, io non voglio entrare con te,
mandami chi mi spetta. E allora Gesù dice: Pietro, allora chiamali

tutti in adunata, comincia a leggere i comandamenti e di mano in
mano che passano i comandamenti, chi ha trasgredito esca.
Comincia a leggere il primo, si sente un brusìo, ma non si può
disubbidire a Dio e una parte esce. Secondo: un'altra parte. Arrivati
al sesto, escono tutti, tranne uno. Era piccolo grasso e pelato. Era un
eremita. Tutto contento si guarda in giro, c'era solo lui. Dio,
poveretto, lo  guarda, si trovava solo con lui e poi Pietro e gli altri
Dodici che erano da un'altra parte. Ma non si annoierà a star da
solo? E allora dice: guarda, torna giù, fai entrare tutti e basta.
E quando questo qui sente, s'arrabbia e dice: dovevi dirmelo
prima!
Rende l'idea un po' di questo racconto!



























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