Joseph Ratzinger. Chiedete e vi sarà dato




Nei testi liturgici di questo giorno (Giovedì della I settimana del Tempo di Quaresima) la Chiesa ci offre una catechesi sulla preghiera. La regina Ester rappresenta il popolo di Dio nelle sue angosce, esposta alla violenza dei potenti del mondo senza potere proprio, sorretta solamente dalla fiducia nella forza di Dio, portata quindi alla preghiera: 
"Mio Signore, nostro re, tu sei l'unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te, o Signore, perché un grande pericolo mi sovrasta".

Nel Vangelo Gesù ci invita alla preghiera: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto". Queste parole di Gesù sono molto preziose perchè esprimono la vera relazione tra Dio e uomo, e rispondono a un problema fondamentale di tutta la storia delle religioni e della nostra vita personale. E' giusto e buono l'impetrare qualche cosa da Dio; o è forse il glorificare, l'adorare, il rendere grazie, una preghiera disinteressata, l'unica risposta adeguata alla trascendenza e grandezza di Dio? Non è forse una idea primitiva di Dio e dell'uomo, un egoismo più o meno sublime, se chiediamo beni per la nostra vita dal Dio dell'universo? Gesù ignora questo timore. Gesù non insegna una religione eletta, pienamente disinteressata; l'idea di Dio insegnata da Gesù è diversa: il suo Dio è molto umano; questo Dio è buono e potente. La religione di Gesù è molto umana, molto semplice - è la religione dei semplici: "Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perchè hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli".

I piccoli, quelli che hanno bisogno dell'aiuto di Dio e lo dicono, comprendono la verità molto meglio degli intelligenti che, rifiutando la preghiera di impetrazione, ammettendo unicamente la lode disinteressata di Dio, di fatto costruiscono una autosufficienza dell'uomo, che non corrisponde alla sua indigenza espressa nelle parole di Ester: "Vieni in aiuto a me!".

Dietro questa posizione nobile, che non vuole molestare Dio con le nostre piccole indigenze, sta spesso il dubbio se Dio abbia il potere di rispondere alla realtà della nostra vita; se Dio possa cambiare le nostre situazioni e entrare nelle realtà della nostra vita terrena. Nel contesto della nostra concezione moderna del mondo questi problemi "degli intelligenti e sapienti" appaiono molto fondati. Il corso della natura è ordinato dalle leggi naturali create da Dio. Dio non è un Dio arbitrario; se queste leggi esistono, come possiamo aspettare da Dio una risposta alle necessità quotidiane della nostra vita? Ma, d'altra parte, se Dio non agisce, se Dio non ha potere sulle vicende concrete della nostra vita: come Dio rimane Dio? E se Dio è amore, l'amore non troverà una possibilità di rispondere alla speranza dell'amante? Se Dio è amore e non potesse aiutarci nella nostra vita concreta, l'amore non sarebbe l'ultimo potere del mondo, l'amore non sarebbe in armonia con la verità. Ma se l'amore non è il potere sommo, chi è o chi ha il sommo potere? E se amore e verità sono opposti, che cosa dobbiamo fare: seguire l'amore contro la verità o seguire la verità contro l'amore? I comandamenti di Dio, il cui nucleo è l'amore, non sarebbero più veri; e quali contraddizioni fondamentali non troveremmo allora nel centro della realtà? Certo questi problemi esistono e accompagnano la storia del pensiero umano; l'impressione che potenza, amore e verità non coincidono e che la realtà è segnata da una contraddizione fondamentale poiché è tragica in se stessa - questa impressione, dico - si impone alla esperienza umana; il puro pensiero umano non può risolvere il problema, e ogni filosofia e religione puramente naturale rimangono tragiche.

"Chiedete e vi sarà dato". Queste parole così semplici di Gesù rispondono alle questioni più profonde del pensiero umano conl a sicurezza che solo il Figlio di Dio può darci. Queste parole ci dicono:

1. Dio è potenza, l'ultima potenza; e questa potenza ultima, che tiene inmano l'universo, è bontà. Potenza e bontà, in questo mondo tante volte separate, sono identiche nell'ultima radice dell'essere. Se domandiamo: "Da dove l'essere?", possiamo certo rispondere: da  una potenza immensa, o anche - meditando la struttura matematica dell'essere - da una ragione potente e creatrice. Dopo le parole di Gesù possiamo aggiungere: questa potenza ultima, questa ragione suprema è nello stesso tempo la pura bontà e la fonte di tutta la nostra fiducia. Senza questa fede in Dio Creatore del cielo e della terra la cristologia rimarrebbe un frammento; un redentore senza potenza, un redentore diverso dal Creatore non sarebbe in grado di darci una vera redenzione. E perciò glorifichiamo l'immensa gloria di Dio. Preghiera e lode sono inseparabili; la preghiera è la riconoscenza concreta della potenza immensa di Dio e della sua gloria.

Come ho già accennato, qui troviamo anche il fondamento della moralità cristiana. I comandamenti di Dio non sono arbitrari; essi sono semplicemente l'esplicazione concreta delle esigenze dell'amore. Ma anche l'amore non è una opzione arbitraria; l'amore è il contenuto dell'essere, l'amore è la verità: 
"Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l'eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità" dice Agostino, là dove descrive il momento in cui ha scoperto il Dio di Gesù Cristo (Confessioni, VII, 10, 16). L'essere stesso non parla solo il linguaggio matematico, l'essere stesso ha un contenuto morale, e i comandamenti traducono il linguaggio dell'essere e della natura in linguaggio umano.

Questo rilievo mi sembra fondamentale in vista della situazione presente, in cui il mondo fisico-matematico e il mondo morale si presentano così pienamente separati. La natura sembra vuota di linguaggio morale, l'etica declina verso un calcolo utilitario, e una libertà vuota distrugge l'uomo e il mondo.

"Chiedete e vi sarà dato", cioè Dio è potenza e amore, Dio può dare e dà. Queste parole ci invitano a meditare l'ultima identità di potenza e di amore, ci invitano ad amare la potenza di Dio: "Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam".

2. Dio può udire e parlare, cioè Dio è persona. Questa costatazione è nell'interno della tradizione cristiana molto chiara, ma una corrente importante nella storia delle religioni si oppone a tale idea e diviene sempre più una tentazione per il mondo occidentale: le religioni provenientidalla tradizione induista e buddhista, e il fenomeno della gnosi con la sua separazione di creazione  e redenzione. Oggi vediamo una rinascita della gnosi, che forse è la sfida più cupa alla spiritualità e alla pastorale della Chiesa. La gnosi permette di mantenere i termini e i gesti venerandi della religione, il profumo della religione senza mantenere la fede. E questa è la tentazione profonda della gnosi: vi è la nostalgia della bellezza della religione, ma vi è pure la stanchezza del cuore, che non ha più la forza della fede. La gnosi si presenta come il rifugio in cui si può perseverare nella religione dopo la perdita della fede. Ma dietro questa fuga sta quasi sempre una pusillanimità che non crede più alla potenza di Dio sulla natura, al Creatore del cielo e della terra. E così comincia un disprezzo della corporalità - la corporalità appare esente dalla moralità. Il disprezzo della corporalità genera il disprezzo della storia della salvezza, per divenire finalmente un impersonalismo religioso.La preghiera viene sostituita da esercizi di interiorità, dalla ricerca del vuoto come luogo della libertà.

"Chiedete e vi sarà dato" - il Padre Nostro è applicazione concreta di queste parole del Signore. Il Padre Nostro abbraccia tutti i veri desideri dell'uomo dal Regno di Dio fino al pane quotidiano. Questa preghiera fondamentale è così l'indicatore che mostra la strada della vita umana. Nella preghiera facciamo la verità.

3. Un ultimo aspetto si apre se paragoniamo il testo di Matteo con quello di Luca e con i testi affini di Giovanni. Matteo conclude questa catechesi sulla preghiera con le parole di Gesù: "Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!". Troviamo qui sottolineata la bontà assoluta di Dio, troviamo espressa la personalità del Dio, Padre dei suoi figli, troviamo anche una allusione al peccato originale, alla corruzione degli uomini cattivi, perchè in ribellione contro Dio, nella strada dell'autonomismo, del "diventerete come Dio".


Ma per il momento il nostro interesse non si dirige verso questi elementi fondamentali della teologia e antropologia cristiana. Ci occupa invece il problema seguente: quali sono i contenuti possibili della preghiera cristiana? Che cosa possiamo chiedere dalla bontà di Dio? La risposta del Signore è molto semplice: tutto. Tutto ciò che è buono. Il Dio buono dà solo cose buone, ma questa sua bontà non conosce limiti. Questa risposta è molto importante. Con Dio possiamo realmente parlare come figli con il Padre. Niente è escluso. La bontà e la potenza di Dio conoscono un solo limite: il male. Ma non conoscono un limite tra cose grandi e piccole, tra cose materiali e spirituali, tra cose terrene e celesti. Dio è umano - Dio è uomo, e poteva diventare uomo, poiché il suo amore e la sua potenza abbracciano già dall'eternità le grandi e le piccole cose, il corpo e l'anima, il pane quotidiano e il Regno dei Cieli. La preghiera cristiana è completamente umana, preghiera in comunione con il Dio-uomo, con il Figlio. La preghiera dei semplici è la vera preghiera cristiana, quella preghiera che, con una fiducia senza paura porta tutte le realtà e le indigenze della vita sotto gli occhi della bontà onnipotente. Possiamo chiedere tutto ciò che è buono. Ma proprio con questa illimitatezza, la preghiera è un cammino di conversione, il cammino della educazione divina, il cammino della grazia: pregano dobbiamo imparare che cosa sia buono o no; dobbiamo imparare la differenza assoluta tra il bene e il male, dobbiamo imparare la rinuncia ad ogni male, verificare le promesse battesimali: "Rinuncio a Satana e a tutte le sue opere". La preghiera separa nella nostra vita la luce dalle tenebre e compie innoi la creazione nuova, ci fa creatura nuova. Perciò è così importante che nella preghiera presentiamo di fatto tutta la nostra vita agli occhi di Dio, noi cattivi, che desideriamo tante cose cattive. Nella preghiera noi impariamo la rinuncia a questi nostri desideri, cominciamo a desiderare le cose buone, per diventare buoni parlando con lui, che è la bontà stessa. L'esaudimento divino non è una  semplice conferma della nostra vita, è un processo di trasformazione. 

Se scorgiamo questa profondità nella risposta così semplice del Signore in Matteo, comprendiamo la sfumatura specifica della tradizione lucana. La risposta del Signore secondo Luca è: "Se voi... cattivi... sapete dare cose buone..., quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono". Qui il contenuto della preghiera è molto più limitato, definito in una maniera più precisa che in Matteo: il cristiano chiede alla bontà di Dio non qualche cosa, chiede a Dio il dono divino - lo Spirito Santo; chiede a Dio non meno che Dio stesso - la bontà stessa, l'amore stesso - il Dio che si dà - lo Spirito Santo. Fondamentalmente questo non è contrario alla tradizione di Matteo. Anche secondo Luca, a Dio si chiede il buono; la bontà che abbraccia tutte le cose buone. Ma Luca si mostra preoccupato che le cose umane rimangano nell'ambito della propria responsabilità umana; che la preghiera non diventi un pretesto per l'indolenza umana; che a Dio non chiediamo troppo poco, ma che chiediamo il tutto: Dio stesso con l'audacia del Figlio. Così Luca sottolinea più di Matteo la purificazione dei desideri, propria alla preghiera cristiana; sottolinea che la preghiera dei figli è la preghiera del Figlio, una preghiera cristologica "per Christum". Luca non limita la potenza di Dio alle cose spirituali e soprannaturali: lo Spirito Santo penetra tutto; ma lo scopo concreto della preghiera viene sottolineato: che noi cattivi cessiamo di essere cattivi e diventiamo buoni nella partecipazione alla stessa bontà di Dio. Questo sarà il vero esaudimento, se non solo abbiamo delle cose buone, ma  se siamo anche noi buoni.
Nella stessa linea la tradizione giovannea, che rileva due aspetti:

a) La preghiera cristiana è preghiera nel nome del Figlio. Se l'identità della preghiera dei figli e del Figlio in Luca è solo accennata, in Giovanni questo elemento essenziale diviene esplicito. Pregare nel nome del Figlio non è una pura formula, non sono delle pure parole; per compenetrarci in questo nome si richiede un cammino di identificazione, il cammino di conversione e di purificazione, il cammino del diventare Figlio, la realizzazione cioè del battesimo nella penitenza permanente. Così rispondiamo all'invito del Signore: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Quando pronunziamo la formula liturgica "Per Christum Dominum nostrum", tutta questa teologia è presente; giorno per giorno queste parole ci invitano al cammino di identificazione con Gesù il Figlio, al cammino del battesimo, cioè della conversione e della penitenza.

b) Giovanni chiama il contenuto della preghiera, il contenuto della promessa e dell'esaudimento, con la parola "gioia": "Chiedete e otterrete, affinchè la vostra gioia sia piena". Così il suo testo può servire da mediatore tra la tradizione di Matteo e quella di Luca. Lo scopo di tutte le nostre domande, di tutti i nostri desideri è la gioia, la felicità; tutte le singole domande cercano frammenti di felicità. Così Giovanni con Matteo ci dice: chiedete tutto da Dio - cercate sempre la felicità e il Padre ha la potenza e la bontà per darla. Con Luca, Giovanni dice: tutte le cose buone sono frammenti di questa realtà unica della gioia. E la gioia finalmente non è nient'altro che Dio stesso, lo Spirito Santo. Cercate Dio, chiedete "la gioia", lo Spirito Santo, e avrete tutto.

Così la meditazione del Vangelo ci guida alla colletta della messa di oggi: Largíre nobis, quæsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, prómptius et agéndi, ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus. Per Dóminum. 

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